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La proposizione inconscia

Nel documento Hughlings Jackson neurologo (1835 - 1911) (pagine 82-104)

II. 2 2 Linguaggio esterno e interno

II.2.3 La proposizione inconscia

La parte rimasta integra è la stessa che durante la produzione del linguaggio in condizioni normali precede nelle sue funzioni la produzione vera e propria di una proposizione.

For the perception (or recognition or thinking) of things, at least in simple relations, speech is not necessary, for such thought remains to the speechless man. Words are required for thinking, for most of our thinking at least, but the speechless man is not wordless; there is an automatic and unconscious or subconscious service of words.73

Come descritto nel primo capitolo, l’attività mentale è divisa da H.J. in una fase

soggettiva e una oggettiva: anche il linguaggio è soggetto a questo meccanismo.

C’è, scrive H.J., un’inconscia o subconscia evocazione primaria delle parole, prima della seconda evocazione che è il linguaggio proposizionale, che può essere o interno o esterno. Il processo di verbalizzazione è quindi duale, di cui solo la seconda fase, la proposizione oggettiva, è ciò che propriamente si può definire linguaggio.

If we coin the term verbalizing to include the whole process of which speech is only the end or second half, we may say that there are in it two proposition; the subject-proposition followed by the object-proposition […] The subject- proposition symbolizes the internal relation of two images […] The object-

72

Head 1915.

73

83 proposition symbolizes relation of these two images as for things in the environment.74

Queste due fasi, ancora una volta, sono divise da H.J. in modo simmetrico tra funzioni dell’emisfero destro e funzioni dell’emisfero sinistro:

We spoke of the right half of the brain as being the part during the activity of which the most nearly unconscious and most automatic service of words begins, and of the left as the half during activity of which there is that sequent verbal action which is Speech.75

In modo analogo funziona anche la percezione: prima dell’evocazione d’immagini in relazione tra loro – così H.J. definisce la percezione – c’è una precedente attività inconscia che richiama la relazione di quelle immagini. Quando anche quest’ultima è danneggiata, si presenta un difetto della comprensione generale che H.J. definisce impercezione.

II. 2. 4 Impercezione

Parallelamente al disturbo afasico, che attacca l’emisfero sinistro, un’altra serie di processi è inficiata nel caso di un danno all’emisfero destro. Se entrambi gli emisferi infatti sono coinvolti nella comprensione del linguaggio, la funzione più involontaria di tutte, secondo lo schema di H.J. il riconoscimento degli oggetti, cioè la percezione, e l’organizzazione seriale delle immagini delle cose, il pensiero visivo, sarebbero funzioni controllate dall’emisfero destro76.

74 cit. in Head 1915, p. 19. 75 Hughlings Jackson 1878, p. 327. 76

L’impercezione jacksoniana non è da confondersi con l’agnosia così come concettualizzata da Lisseaur. L’agnosia infatti non colpisce solo l’emisfero destro, ma si può presentare in seguito a lesioni bilaterali (Harrington 1987, trad. it. 1994, p. 294). Nei suoi studi sull’afasia e sull’impercezione in particolare, H.J. fu il primo, nel 1866, ad individuare i sintomi del disturbo che più tardi sarà nominato da Liepmann aprassia: «In some cases of defect of speech the patient seems to have lost much of his power to do anything he is told to do, even with those muscles that

84 Un paziente afasico pur perdendo la capacità di riferire parole ad oggetti («It is better, however, to use the simple expression that he has not lost images, and that he has lost the words used in speech»77), non perde la coscienza delle cose attorno a sé, anche se non è più capace di nominarle. Non solo, quindi, delle immagini visuali, ma di tutte le “immagini” che formano in serie il mondo esterno:

The term “image” is used in a psychical sense, as the term “word” is. It does not mean “visual” images only, but covers all mental states which represent things. Thus we speak of auditory images. I believe this is the way in which Taine uses the term image. What is here called “an image” is sometimes spoken of as “a perception”. In this article the term perception is used for a process, for a “proposition of images”, as speech is used for proposition, i.e. particular inter-relations of words. The expression “organized image” is used briefly for “image, the nervous arrangements for which are organised” correspondingly for “organised words, etc.78

L’incapacità che deriva da un danno alla parte destra – in particolare dal “lobo posteriore destro”79 secondo H.J. - di riconoscere oggetti, persone, o luoghi, prende il nome di “impercezione”.

Moreover, there is a morbid condition in the image series (Imperception) which corresponds to aphasia in the words series. The two should be studied in relation. The speechless patient’s perception (or “recognition”, or “thinking” of

are not paralysed. Thus, a patient will be unable to put out his tongue when we ask him, although he will use it well in semi-involuntary actions – for example, eating and swallowing. He will not make the particular grimace he is told to do, even when we make one for him to imitate. There is power in his muscles and in the centres for coordination of muscular groups, but he – the whole man, or the ‘will’ – cannot set them a going…. In a few cases patients do not do things so simple as moving the hand (ie the non-paralysed hand) when they are told…. A speechless patient who cannot put out his tongue when told will sometimes actually put his fingers in his mouth as if to help get it out; and yet, not infrequently, when we are tired of urging him, he will lick his lips with it.» (cit. in Wilson S.A.K. 1908. “A contribution to the study of apraxia with a review of the literature”, Brain, 31:164–216, pp. 167-168). 77 Hughlings Jackson 1878, p. 322. 78 Ivi, p. 321. 79 Vedi p. 45.

85 things) (proposition of images) is unaffected, at any rate as regards simple matters.80

La proposizione delle immagini rimasta intatta permetterebbe al paziente di riconoscere semplici oggetti già conosciuti prima della malattia. Ad esempio, riuscirebbe ad indicare su richiesta qualsiasi oggetto conosciuto che prima era in grado di nominare, anche se rappresentato in disegni.

Da notare il mancato riferimento al contemporaneo lavoro di Carl Wernicke (1848 - 1905), che fornisce una lettura completamente diversa della perdita della

comprensione del linguaggio. Lettura che avrebbe smontato l’intero apparato

concettuale alla base dell’interpretazione jacksoniana del disturbo afasico. Wernicke, infatti, in parallelo all’afasia motoria indicata da Broca, giunse ad individuare un secondo centro del linguaggio legato alla comprensione, piuttosto che alla sua articolazione. La patologia derivante da un danno in questa seconda area prese il nome di “afasia sensoriale”. Secondo la visione di Wernicke, quindi, non è necessario chiamare in causa elementi troppo distanti dall’afasia stessa.

Un’ipotesi di questo genere avrebbe infatti scardinato il complesso sistema dell’attività mentale di H.J. perfettamente divisa in linguaggio, nell’emisfero sinistro, e percezione, nell’emisfero destro81.

Agli inizi del suo lavoro H.J. aveva una concezione molto rigida della divisione tra gli emisferi destro e sinistro preposti a percezione ed espressione, ma anche ad attività automatica e volontaria, rendendola poi in seguito meno categorica per

80

Hughlings Jackson 1878, p. 321.

81

«Speech and Perception (“words” and “images”) co-operate so intimately in Mentation […] that the latter process must be considered. We must briefly speaking of Imperception – Loss of images – as well as Loss of Speech – loss of symbols.» Hughlings Jackson 1878, p. 307.

86 mancanza di prove cliniche positive82, ma mantenendo ferma la duplicità generale dell’attività mentale:

The thing which it is important to show is, that mentation is dual, and that physically the unit of function of the nervous system is double the unit of composition; not that one half of the brain is “automatic” and the other “voluntary”.83

82

Harrington 1987, trad. it. 1994, pp. 245-246.

83

87

III. Hughglins Jackson sulla psichiatria

Questo breve capitolo finale vuole offrire un resoconto delle principali opinioni degli studiosi riguardo alle maggiori influenze che H.J. ha esercitato in ambito psichiatrico e psicoanalitico. La dottrina della dissoluzione ha infatti avuto un ruolo importante nell’interpretazione delle afasie da parte di Freud, nello sviluppo del concetto di dissociazione, e nella psicologia organo-dinamica di Henry Ey (1900 – 1977).

Diversi interpreti hanno sottolineato il rapporto diretto tra dissoluzione e regressione freudiana. Il debito di Freud verso H.J. nell’elaborazione del concetto di “regressione temporale” è, infatti, rintracciabile chiaramente in una delle prime opere di Freud (appartenente al periodo definito pre-psicoanalitico), lo studio critico del 1891 L’interpretazione delle afasie. Questo testo è il punto di partenza di ogni discussione contemporanea sulle influenze di H.J. in ambito psicoanalitico.

Nella sua monografia Freud critica in modo deciso le categorie di Carl Wernicke (1848 – 1905), cercando di demolire i suoi diagrammi e, con essi, le nozioni di afasia motoria e sensoriale. Freud si proponeva, in altre parole, di riportare al centro della discussione sull’afasia la prospettiva dinamica e funzionale, evitando allo stesso tempo la commistione di anatomia e fisiologia duramente contestata a Wernicke che rimanda alla simile posizione sul parallelismo psicofisico di H.J.:

[…] dovette sembrare un grande passo in avanti la spiegazione di Wernicke secondo cui si potevano localizzare solo gli elementi psichici […]. I processi fisiologici non cessano appena s’iniziano quelli psichici, anzi la catena fisiologica prosegue, solamente che, a partire da un certo momento, a ogni elemento (o a singoli elementi) della catena corrisponde un fenomeno

88 psichico. Lo psichico è così un processo parallelo a quello fisiologico (a

dependent concomitant).1

Freud ricercava un principio generale del funzionamento sano e patologico del linguaggio che fosse in grado di preservare l’unità dell’apparato linguistico, diminuendo il peso dato alla lesione subita da uno dei centri linguistici nella genesi della sindrome afasica. Il contributo dato da H.J. nella formulazione di un approccio alternativo rispetto a quello dei “creatori di diagrammi” Wernicke e Ludwig Lichtheim (1845 – 1928) è chiaramente espresso dallo stesso Freud:

Per la valutazione della funzione dell’apparato del linguaggio in condizioni patologiche proponiamo la formulazione di Hughlings Jackson che tutti questi modi di reazione rappresentano casi d’involuzione funzionale dell’apparato a organizzazione superiore e corrispondono quindi a precedenti stati del suo sviluppo funzionale. In tutti i casi andrà dunque perso un ordine associativo superiore sviluppatosi successivamente e ne permarrà uno più semplice acquisito precedentemente.2

Il danno, scrive John Forrester3, costringeva in generale tutto l’apparato linguistico ad operare ad un livello funzionale inferiore, ma senza che questo comportasse una perdita della sua unità. E’ qui che entra ancora in gioco il concetto jacksoniano di dissoluzione. Le forme di afasia infatti riprodurrebbero uno stadio diverso, e inferiore, del processo evolutivo di apprendimento del linguaggio: una gerarchia che partirebbe dal centro sensorio - uditivo, quindi motorio, visivo e infine grafico4. La soppressione di una di queste funzioni, più “alta” e recente, lasciava intatta l’attività funzionale inferiore, più stabile anche se più lenta:

1

Freud 1891, trad. it. 1980, pp. 111-113.

2

Ivi, pp. 155-156.

3

Forrester 1980.

4

89 E’ presumibile che continuiamo a svolgere le singole funzioni di linguaggio lungo le stesse vie associative per cui le abbiamo apprese. Possono verificarsi abbreviazioni e sostituzioni ma non è sempre facile dire di quale natura siano. La loro portata viene ulteriormente ridotta dall’annotazione che verosimilmente nei casi di lesione organica l’apparato di linguaggio viene danneggiato quasi come un tutto e costretto a tornare ai modi di associazione primari, più sicuri e circostanziati.5

Non mancano citazioni più dirette di opere di H.J. Gli esempi ripresi da Freud testimoniano chiaramente un’attenta lettura dei due principali articoli di H.J. sull’afasia6 e delle Croonian Lectures, che può avergli offerto una sufficiente conoscenza delle principali teorie jacksoniane. Non è inverosimile infatti che Freud avesse letto anche altri saggi di H.J., dato che, secondo Kenneth Dewhurst, era abbonato alla rivista “Brain”7.

L’approccio basato sulla dissoluzione si rivelava particolarmente utile nella spiegazione delle espressioni ricorrenti negli afasici, ma anche nelle persone sane. Il seguente passaggio anticipa il futuro interesse di Freud per gli errori e i lapsus nei soggetti sani. Le parafrasie possono essere il risultato di una diminuzione momentanea (ad esempio, per una forte emozione) del controllo delle funzioni superiori:

Per ora ci limitiamo a notare che la parafrasia osservata in alcuni malati non si distingue da quella sostituzione o mutilazione di parole che chi è sano può riscontrare su di sé in caso di stanchezza o di attenzione fluttuante o sotto l’influenza di stati affettivi che lo disturbano. […] E’ quindi ovvio considerare la

5

Ivi, pp. 141-142.

6

«Per esempio, un uomo che sapeva dire solo «I want protection» (press’a poco «Aiutatemi») era stato colpito da afasia durante una zuffa in cui aveva ricevuto un colpo alla testa che lo aveva fatto cadere svenuto. Un altro presentava il curioso resto del linguaggio List complete: era uno scrivano e l’afasia lo aveva assalito dopo uno sforzo compiuto per ultimare la lista del catalogo.» Freud 1891, trad. it. 1980, p. 121. Gli esempi sono tratti dall’articolo di H.J. On affection of speech from

disease of the brain del 1878-1879 pubblicati in “Brain” (Freud 1891, trad. it. 1980, p. 49).

7

90 parafrasia come sintomo puramente funzionale, come segno di funzionalità ridotta dell’apparato associativo del linguaggio.8

Come fa notare Forrester9, uno dei punti di originalità maggiore dell’approccio di H.J. al problema dell’afasia sta proprio nel suo interesse verso le occasional e

recurring utterances, cioè il motivo per cui un afasico usa un certo tipo di

espressione ricorrente piuttosto che un’altra. Se la lesione avesse danneggiato uniformemente un centro, si sarebbero dovuti presentare disturbi altrettanto uniformi. Al contrario, si manifestano nell’afasico espressioni o frasi ricorrenti ben definite, residui corrispondenti a ciò che un individuo sta dicendo o è sul punto di dire poco prima di subire un trauma. In altre parole, i nervous arrangements linguistici, attivati durante o poco prima il sopraggiungere di una lesione, si bloccano al momento del trauma e rimangono così perennemente attivi.

Ne risulta l’incapacità di un individuo afasico di pronunciare altre espressioni, diverse da quella legata al trauma, ormai divenute automatiche:

Questi esempi inducono a ritenere che I resti di linguaggio siano le ultime parole formate dall’apparato del linguaggio prima della lesione, forse già nel suo presentimento. Sarei indotto ad attribuire il permanere di quest’ultima modificazione alla sua intensità, quando si produca in un momento di grande eccitazione interiore.10

Parlando dei resti del linguaggio, che secondo Hughlings Jackson sono le ultime parole pronunciate, ho indicato che ciò che è associato intensamente, anche come risultato di un processo raro, acquisti una forza che sopravvive alla lesione.11

8

Freud 1891, trad. it. 1980, p. 51.

9

Forrester 1980, trad. it. 1984, p. 40.

10

Freud 1891, trad. it. 1980, p. 121.

11

91 Freud, continua Forrester, si avvale della teoria dell’afasia per spiegare l’apparente mancanza di significato di un sintomo, che poteva essere invece riscoperto se collegato al contesto passato del trauma. Riassumendo quanto già detto a proposito del linguaggio proposizionale, anche se le espressioni ricorrenti negli afasici possono apparire come proposizioni dal contenuto sensato sono in realtà unità linguistiche automatiche, “già pronte”, che l’individuo colpito da afasia non era in grado di sostituire a seconda del contesto. Queste espressioni erano portatrici di senso solo nel contesto traumatico della loro origine. La stessa distinzione, argomenta Forrester, viene rielaborata da Freud nella teoria dell’isteria, come opposizione tra sintomo e parola:

Il sintomo isterico cronico rassomigliava in modo notevole all’espressione ricorrente nell’afasico: era un elemento del linguaggio che aveva avuto un significato ma che, rimanendo separato dalla struttura degli elementi contingenti […] aveva perso il suo significato, e […] era destinato alla ripetizione.12

Diversi autori riconoscono l’influenza di H.J. ben oltre lo studio dell’afasia. Ad esempio, secondo Frank J. Sulloway13, la teoria dell’afasia avrebbe influenzato anche le successive concezioni di Freud del sogno e della nevrosi. E’ noto infatti che secondo H.J. i livelli funzionali inferiori si attivano, negli individui sani, durante il sonno e i sogni. In una nota aggiunta nel 1914 all’Interpretazione dei sogni, Freud richiama la frase di H.J. «Trovate l'essenza del sogno e avrete trovato tutto quel che si può sapere intorno alla follia»14. Benché non sia un’affermazione ascoltata direttamente da Freud ma basata sulla testimonianza di E. Jones, la citazione – l’unica esplicita oltre a quelle viste nell’Interpretazione delle afasie –

12

Forrester 1980, trad. it. 1984, p. 43.

13

Sulloway 1979, trad. it. 1982, pp. 297-300.

14

92 può essere considerata una spia di altri debiti della teoria psicoanalitica nei confronti di H.J. Stengel scrive infatti:

The close similarities between certain Freudian and Jacksonian concepts suggest that Jackson's influence on Freud went far beyond the field of the aphasias and contributed to the foundations of psychoanalytic theory.15

Oltre a concetti più generali già evidenziati, come quello del sistema nervoso inteso in senso dinamico-funzionale e la dottrina della concomitanza, tra le somiglianze Stengel rileva anche quella tra conflitti interni e i “survival of the fittest

movements”, cioè dei sintomi sintomi positivi come espressione dei livelli più

antichi della personalità.

In questo senso anche Louis Linn16 individua in un passaggio delle Croonian

Lectures molti elementi che si ritroveranno poi alla base della teoria psicoanalitica:

Besides his not knowings, there are his wrong knowings. He imagines himself to be at home or work, and acts, as far as practicable, as if he were. Ceasing to recognise his nurse as a nurse, he takes her to be his wife. […] His delirium is the “survival of the fittest states” on his then highest evolutionary level. Plainly he is reduced to a more automatic condition. Being, negatively, lost to his present “real” surroundings […] he positively talks and acts as if adjusted to some former “ideal” surroundings, necessarily the more organised.17

Il paziente, incapace di adattarsi e di accettare la sua malattia e il contesto ospedaliero che lo circonda, trasforma l’ambiente in cui si trova. Nella sua illusione l’ospedale si trasforma, in senso positivo, in un luogo collegato a memorie piacevoli, un luogo ideale in cui era solito vivere prima della malattia. In questo modo si protegge, in senso negativo, da una nuova realtà insopportabile. Questo modello, scrive Linn, è alla base della teoria psicoanalitica della psicosi.

15 Stengel 1963, p. 349. 16 Linn 1960, p. 279 17

93 Altre connessioni rilevate da Stengel sono l’importanza data all’attività inconscia18, la preferenza per lo studio della “la “resistenza” dei centri, e – da ultimo – un’analogia tra la divisione freudiana della personalità in Es, Io e Super-io con la divisione in livelli evolutivi di H.J.

L’influenza delle idee jacksoniane si estese ben oltre Freud, sebbene nella maggior parte dei casi indirettamente. Stengel, ad esempio, propone un’ipotesi per spiegare la sorprendente somiglianza tra la teoria dei sintomi positivi e negativi di H.J. con quella di sintomi primari e accessori della schizofrenia di Bleuler. Secondo Walther Riese19 la sorprendente somiglianza tra la psicodinamica di Bleuler e la neurodinamica di H.J. non era nulla più di una coincidenza, visto che manca una menzione di Bleuler a H.J.

Stengel, invece, vede in Freud il tramite tra le idee di H.J. e Bleuler, non considerando la somiglianza una semplice coincidenza. Bleuler, argomenta Stengel, aveva chiaramente indicato Freud come fonte primaria per la sua psicopatologia della schizofrenia. In particolare, conclude Stengel, Bleuler trasse ispirazione per la gerarchia dei sintomi della schizofrenia dall’interesse di Freud per i sintomi positivi, che Stengel collega direttamente a H.J.20

In America, Max Levin si è impegnato a re-introdurre in psichiatria i principi jacksoniani, principi che erano stati ingiustamente sottovalutati e ignorati. Nell’articolo del 1936 Degrees of automatic action: some psychiatric applications

of Hughlings Jackson's concept of `reduction to a more automatic condition Levin

analizza nel dettaglio diversi disturbi psichiatrici alla luce dei principi

18

Sebbene H.J. in realtà, come abbiamo visto, rifiutò la possibilità di indagare l’inconscio.

19

Riese 1954.

20

Stengel del resto considera Freud il solo tramite delle idee di H.J. in psichiatria. Sulloway (Sulloway 1979) ricorda che già prima le idee di H.J. erano entrate in circolazione, se non altro grazie all’allievo Adolf Meyer.

Nel documento Hughlings Jackson neurologo (1835 - 1911) (pagine 82-104)

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