1 INDICE
Introduzione . . . » 1
I. La neurologia secondo Hughlings Jackson . . . » 12
I.1 Evoluzione e dissoluzione del sistema nervoso . . » 12
I.2 Modello sensori-motorio e localizzazione. . . » 25
I.3 Parallelismo psico-fisico e coscienza . . . » 36
I.3.1 La “filosofia” di Jackson. . . » 47
II. Applicazioni cliniche . . . » 50
II.1 Epilessia. . . » 50
II.1.1 Lo stato sognante. . . » 61
II.2 Linguaggio e Afasia. . . » 69
II. 2. 1 Linguaggio proposizionale e emozionale: i diversi livelli delle affections of speech . . » 73
II. 2. 2 Linguaggio esterno e interno. . . » 79
II. 2. 3 La proposizione inconscia . . . » 81
II. 2. 4 Impercezione . . . » 82
III. Hughglins Jackson sulla psichiatria. . . » 86
Bibliografia. . . » 98
2
Introduzione
John Hughlings Jackson ha contribuito alla nascita e al perfezionamento di alcune teorie che, nella storia della neurologia, hanno avuto e continuano ad avere particolare rilevanza: l’elaborazione del sistema nervoso come sistema gerarchico integrato sottoposto alle leggi dell’evoluzione, l’interpretazione delle infermità mentali come dissoluzioni, oltre ad alcune importanti intuizioni sull’epilessia.
Nato nel 1835 nello Yorkshire, qui cominciò a studiare medicina presso la York Medical School. Completò i suoi studi alla St. Bartholomew’s Hospital Medical School, ottenendo le qualifiche di chirurgo tra il 1855 e il 1856. Assieme all’amico e collega Jonathan Hutchinson proseguì la carriera a Londra: tra il 1859 e il 1862 fu assunto prima al London Hospital e poi al National Hospital for the Paralysed and Epileptic, incarichi che mantenne fino al completo pensionamento nel 1904. Si allontanò progressivamente dalla vita lavorativa e sociale, anche a causa di una crescente sordità. Morì a causa di una polmonite il 7 Ottobre del 1911. Ricevette alcuni importanti riconoscimenti, come la nomina a Fellow nel 1868 al Royal College of Physician di Londra e alla Royal Society nel 18781.
L’apertura dell’annuncio della sua scomparsa sintetizza efficacemente due aspetti principali del lavoro di H.J. che contribuiranno a renderlo una figura di spicco nella storia della neurologia. Da una parte la sua indiscutibile capacità di minuziosa analisi clinica, e dall’altra la sua propensione a ricondurre la mole dei dati raccolti all’interno di un quadro ampio e sistematico sul funzionamento del sistema nervoso:
1
Per i dettagli biografici è possibile consultare la biografia scritta da Taylor (Taylor 1925), suo collega e biografo; l’articolo di Hutchinson (Hutchinson 1911b). Per una biografia dettagliata scritta di recente Critchley and Critchley 1998 e York and Steinberg 2006.
3 The announcement of the death of Dr. Hughlings Jackson on October 7th will produce a deep sense of regret and loss not confined to this country, for his name is know in every country where neurology is studied. […] Hughlings Jackson brought to bear on this scattered unconnected material a mind which combined singular acuteness in analysis with a remarkable power of philosophical thought.2
Secondo alcuni interpreti, tra i suoi connazionali le sue idee vennero trascurate e incomprese, in particolar modo dai neurologi e psichiatri britannici – sebbene, come si evince anche dal testo appena citato, ciò non sia del tutto vero3. Ad esempio, Henry Head (1861 – 1940) scrive:
Arnold Pick dedicated Die agrammatischen Sprachstörungen to “Hughlings Jackson, the deepest thinker in neuropathology of the past century”, no one attempted to under stand his contribution to the subject.4
Head offre quattro ragioni per spiegare l ”indifferenza” verso il lavoro di H.J.: anzitutto, l’eccessiva modestia dello stesso H.J., incline a dare lui stesso poca importanza al suo operato. Infatti, dalle testimonianze di Jonathan Hutchinson (1828 – 1913) e James Taylor (1859 – 1946), il profilo di H.J. si delinea come quello di un uomo molto riservato, se non addirittura austero, dalle abitudini semplici. Aveva scarso interesse per le relazioni sociali, ancor meno amava esser presente alle occasioni ufficiali. Così, prosegue Head, la maggior parte dei suoi
2
1911a, p. 950.
3
Dewhurst (1982, pp. 131 sgg.) invita infatti a non enfatizzare questa indifferenza. A partire da Henry Head, Dewhurst ricorda i contributi, ad esempio, di Kinnier Wilson, Lord Brain, Sir Francis Walshe, Macdonald Critchley. Se è vero che l’interesse di questi autori verso le idee di H.J. non è antecedente ai primi decenni del XX secolo, non può per questo essere ignorato. In ambito britannico credo vada aggiunto all’elenco il lavoro di Sherrington: l’opera The Integrative Action of
the Nervous System (1906) è stata profondamente influenzata dalla concezione del sistema
nervoso come sistema di livelli gerarchici integrati così come proposta precedentemente da H.J.. Accoglienza migliore ci fu in America, dove già a partire dal 1870 James Jackson Putnam si interessò alle teorie jacksoniane, e dove soprattutto si stabilì lo svizzero Adolf Meyer, allievo diretto di H.J.. Oltre a questi, Dewhurst (1982, pp. 120 sgg.) cita gli studi più recenti di Greenblatt, Engelhardt, Riese, Penfield, Levin, e ovviamente i contributi di Temkin, Young e Ellenberger.
4
4 articoli venne pubblicata in riviste non accessibili agli stranieri, e molti di questi lavori erano difficilmente accessibili, così scrive, anche per i medici inglesi. Secondariamente, gli articoli erano inoltre molto difficoltosi da seguire a causa del complesso modo di scrivere di H.J., così diverso dallo stile fluente dei suoi contemporanei. Inoltre, molti dei concetti chiave erano illustrati in lunghe note. Il terzo punto riguarda lo stretto legame con le teorie di Herbert Spencer. Sebbene H.J. avesse avuto la grande intuizione di applicare le dottrine di Spencer anche alle malattie nervose, questo collegamento, secondo Head, contribuì ad allontanare psichiatri e psicologi quando le dottrine di Spencer persero consensi. Da ultimo, le idee di H.J. sono viste da Head semplicemente come troppo moderne per il suo tempo: «He was always accustomed to say that “it generally takes a truth twenty-five years to become known in medicine”, a dictum certainly founded on his personal experience.»5. Anche Aleksandr Romanovič Lurija (1902 – 1977) rileva la stessa inadeguatezza dei tempi ad accogliere le idee jacksoniane:
L’ipotesi di Jackson, troppo complessa per la sua epoca, non venne presa in considerazione e non si sviluppò fino a 50 anni più tardi, quando riappare negli studi di eminenti neurologi della prima metà del XX secolo: Monakow, Head, Goldstein.6
Tuttavia, più che una incapacità dei contemporanei a comprendere la visione di H.J., certamente i suoi lavori già evidenziavano molte delle debolezze del paradigma localizzazionistico, all’epoca predominante. Va sottolineato tuttavia che
5
Ivi, p. 31.
6
Lurija, trad. it. 1977, p. 29. Lurija sottolinea anche la modernità del pensiero jacksoniano rispetto alle funzioni dell’emisfero destro: «Quasi cento anni fa, Hughlings Jackson postulò che l’emisfero destro, benché non connesso con alcuna funzione linguistica o con forme logiche di organizzazione della coscienza dipendenti dal linguaggio, partecipasse ai processi percettivi e fosse responsabile di forme più dirette, visive, di rapporto con il mondo esterno. Questa ipotesi non attrasse la necessaria attenzione per molti decenni ed è solo recentemente che ha cominciato ad essere apprezzata». (Lurija, trad. it. 1977, p. 182).
5 H.J. non si è mai dichiarato un oppositore di questo paradigma7. Se non si può negare che la visione evolutiva e dinamica del sistema nervoso sia prevalente nella sua visione, non si scorgono tuttavia aspre critiche agli autori che appartengono più al filone del localizzazionismo così detto classico, come Gustav Theodor Fritsch (1838 – 1927), Eduard Hitzig (1839 – 1907), Paul Broca (1824 – 1880) e David Ferrier (1843 – 1928). Al contrario si coglie il difficile tentativo di armonizzare in un sistema onnicomprensivo l’approccio olistico e localizzazionistico. La posizione di H.J. era, in altre parole, difficilmente inquadrabile. Sarà però l’aspetto olistico del suo lavoro ad essere ripreso e modificato durante la “riscoperta della globalità” del sistema nervoso dei primi del novecento. Neurologi e psichiatri quali Sigmund Freud (1856 – 1939)8, Constantin von Monakow (1853 – 1930), Kurt Goldstein (1878 – 1965) e Charles Scott Sherrington (1857 – 1952)9 s’ispirarono ai concetti jacksoniani per interpretare il rapporto mente-cervello-comportamento in termini gerarchici, integrativi, dinamici ed evolutivi.
Le commemorazioni organizzate a circa un secolo dalla nascita di H.J. danno un’idea della centralità che il neurologo aveva acquisito nella storia della medicina. Una prima occasione per ricordare il contributo di H.J. si presentò durante la consegna della Hughlings Jackson Medal a Sherrington, nel 1932. Un anno prima la sezione di neurologia della Royal Society of Medicine decise di istituire un fondo per onorare le Hughlings Jackson Lectures con una medaglia e un premio in
7
Non voleva essere definito né “universaliser” né “localiser”. Vedi p. 33.
8
Vedi capitolo III.
9
«Dr. F. M. R. Walshe, F. R. S., writes: […] There is perhaps something singularly appropriate in this, for it was from clinical neurologist, Hughlings Jackson, that Sherrington himself derived no little inspiration. The very phrase, “Integration keeps pace with differentiation”, that we associate with Sherrington, and that we find implied in the title of his classic work, The Integrative Action of the
Nervous System, he took from Jackson, and he has returned to neurological medicine in
overflowing measure the gift he got from its distinguished exponent.» (in Obituary. Sir Charles Sherrington, O.M., G.B.E., M.D., F.R.C.P, F.R.C.S., F.R.S., Br Med J., 1952 March 15; 1(4758): 606-608, 609. p. 608). Vedi anche Angel, R. W. “Jackson, Freud, and Sherrington on the relation of brain and mind”, American Journal of Psychiatry, 1961, 118, pp. 193-7.
6 denaro. Il primo articolo della Lectures fu scritto da H.J. stesso, nel 189710. Successivamente altri eminenti fisiologi e neurologi vi presero parte. Tra I primi interventi si possono ricordare quelli tenuti da Hitzig nel 1901 (Hughlings Jackson
and the cortical motor centres in the light of physiological research), da William
Broadbent (1835 – 1907) nel 1904 (Hughlings Jackson as pioneer in nervous
physiology and pathology), e da Victor Horsley (1857 – 1916) nel 1907 (On the illustration by recent research of Dr Hughlings Jackson’s views on the functions of the cerebellum). L’ultima, prima della pausa dovuta alla guerra, fu scritta da
William Richard Gowers (1845 – 1915) nel 1909 (Special sense discharges from
organic disease). Ripresero poi nel 1920 con la Lecture di Head (Aphasia: An historical review).
L’intento dell’iniziativa era di trasmettere anche alle nuove generazioni, che non avevano avuto l’occasione di conoscere H.J. in vita, l’ispirazione che solo “uno dei più grandi neurologi del nostro tempo” poteva dare11. Sherrington ricevette quindi la prima delle medaglie, per la Lecture intitolata Quantitative managment of
contraction for ‘lowest-level’ co-ordination.
In occasione della premiazione fu invitato a parlare James Crichton-Browne (1840 - 1938), unico amico di vecchia data di H.J. all’epoca ancora in vita. Crichton-Browne ricordò alcuni particolari della vita professionale di H.J.: l’insegnamento ricevuto da Thomas Laycock (1812 - 1876) e l’incontro con Ferrier. Ferrier fece i suoi primi esperimenti nel laboratorio di Crichton-Browne, al West Riding Asylum. I risultati di questi esperimenti, che ebbero un ruolo decisivo per
10
Vedi p. 28.
11
“Hughlings Jackson Memorial”,British Medical Journal, May 23, 1931; 1(3672): 908. L’iniziativa
era stata per così dire “pubblicizzata” in una lettera, datata 13 maggio 1931, inviata al British Medical Journal, che la pubblicò poco dopo. L’obiettivo era di raggiungere un numero maggiore di donazioni per il fondo, di cui Wilfred Harris era tesoriere. La lista preliminare degli aderenti alla Hughlings Jackson Memorial Fund erano comunque già cinquantadue. Tra questi, Edward Farquhar Buzzard, Macdonald Critchley, Alfred Ernest Jones, James Taylor, Gordon Morgan Holmes, Pierre Marie.
7 H.J., furono pubblicati nel West Riding Asylum Report. Fu proprio a causa della chiusura di questo periodico, ricorda Crichton-Browne, che H.J. e Ferrier diedero vita alla rivista “Brain”: «As your West Riding Asylum Reports have come to an end, we must have a neurological journal of some kind in this country.»12
Thomas Watts Eden (1846 – 1946), presidente della Royal Society of Medicine, presentò formalmente il premio a Sherrington il 19 Maggio. Nel suo discorso, Eden sottolineò l’importanza dell’evento come un’occasione per riunire attorno alla figura di H.J., grande medico prima che neurologo, diversi esponenti delle specializzazioni mediche. Secondo Eden, infatti, H.J. sarebbe stato ricordato come uno dei più grandi clinici che il mondo avesse mai visto13.
Nei suoi ringraziamenti, anche Sherrington ribadì l’importanza del carattere universale della scienza medica, i cui membri erano riuniti per l’occasione sotto il nome del neurologo inglese. Ricevere la medaglia fu per Sherrington un onore e un forte incoraggiamento per il suo lavoro. H.J. era una fonte di ispirazione sia per l’aspetto clinico sia per quello sperimentale della neurologia. Anche nella parte finale della sua Lecture Sherrington riprese questo concetto:
The present seems to me a time of unusual promise for neurological investigation both in the clinic and in the laboratory; a time which for that reason class for close liaison between them. […] Where in all the world could be a more fitting point for such liaison, for such contact, than at the institution which, with peculiar claim within its portal the bust of the great master to whom our lecture to-day seeks to pay commemorative tribute, Hughlings Jackson?14
Sherrington era consapevole di concentrare le proprie forze più sull’attività di laboratorio che su quella clinica. Riprese questo aspetto sia durante il discorso di
12 “
The Hughlings Jackson Medal. Presentation to Sir Charles Sherrington”, British Medical Journal, Br Med J. May 28, 1932; 1(3725): 1000–1001, p. 1001.
13
Ibidem
14
8 ringraziamento, sia nella chiusa finale della sua Lecture, in contrapposizione all’abilità di H.J. di unificare l’elemento più ristretto della sua analisi con una visione più ampia, integrando il tema della coordinazione muscolare con quello dell’esperienza mentale come fossero due lati della stessa medaglia.
Per il centenario della nascita di H.J., nel 1935, fu istituita un’altra commemorazione in occasione del secondo International Neurological Congress, tenutosi a Londra. Il segretario generale del congresso era Samuel Alexander Kinnier Wilson (1878–1937), all’epoca anche presidente della sezione di neurologia della Royal Society of Medicine.
Prima di questo evento più formale, Kinnier Wilson presiedette una cena commemorativa15 nel giorno della nascita di H.J., il 4 Aprile. A questo evento parteciparono alcuni neurologi, amici o discepoli di H.J., e alcuni membri originari della Neurological Society of London, come Thomas Barlow ( 1845 - 1945) e William Hale – White (1857 - 1949). Kinnier Wilson lavorò all’ospedale di Queen Square, poco prima che H.J. si ritirasse definitivamente nel 190616. Nel suo discorso Kinnier Wilson descrisse quei pochi anni come “estremamente preziosi”, e traspare un profondo senso di ammirazione verso il collega più anziano:
I love Dr. Jackson, and more or less attached myself to him. I saw more of him than anyone in my generation, and I yielded to none in my appreciation and affection. It is difficult to say exactly what was in Jackson that made the appeal. Partly, no doubt, seniority, which I had been brought to respect. But it was his philosophic theorizing that fascinated one. I have never knew him in heyday, but even in age the stimulus of his mind was deeply felt.17
15
“Hughlings Jackson Centenary. A commemorative dinner”, British Medical Journal, 1935; 1(3875): 769–770.
16
Purdon Martin 1975, p. 313.
17
“Hughlings Jackson Centenary. A commemorative dinner”, British Medical Journal, 1935; 1(3875): 769–770, p. 769.
9 Durante il suo discorso Wilson riferì anche della sua abitudine di scrivere le conversazioni avute con H.J. , memorie di cui diede alcuni estratti. Alcuni di questi riguardavano, ad esempio, l’afasia:
Spoonerism (which, according to another speaker, Jackson attributed to “hurry of the right hemisphere”) especially interested him. He pointed out that Spoonerism might relate to ideas as well as phrases, and told of a man who went to a dentist ad was asked to open his mouth that the dentist might insert his finger. “No”, said he, “you might bite it”.18
Oltre a Wilson, alla commemorazione era presente anche James Taylor, che portò alcune lettere e raccontò alcuni episodi personali. Altre lettere furono mostrate da Wilfred Harris (1869 – 1960), che per l’occasione ricordò che l’originalità del pensiero di H.J. era forse in parte dovuta alla mancanza di studi universitari, che H.J. non rimpiangeva affatto. In questo modo, disse Harris, la sua mente era rimasta più libera di intraprendere percorsi poco battuti19. Altri discorsi, brevi e informali, furono tenuti da K. H. Bouman, professore di psichiatria e neurologia ad Amsterdam, da Edwin Bramwell (1873-1952), e da alcuni discendenti di H.J.
La commemorazione successiva del secondo International Neurological Congress si tenne invece da luglio ad agosto del 193520. Per l’occasione i delegati del congresso ricevettero una medaglia commemorativa, voluta da Kinnier Wilson. Durante il congresso, furono presentati più di 250 articoli, per la maggior parte riguardanti l’epilessia. Tra questi, anche la Hughlings Jackson Lecture di Otfrid
18
Ibidem
19
«We thoroughly recognized the advantages' offered at the larger colleges; but, in attempting to strike a balance of lose and gain, Dr. Jackson was always unflinching in his avowal that he was glad he had not been sent to a university. He held that by exemption from over-teaching his mind had retained more of freedom and energy than might otherwise have been the case.» Hutchinson 1911b, p. 1553.
20
10 Foerster (1873–1941) intitolata The motor cortex in man in the light of Hughlings
Jackson’s doctrines. Tra i presenti vi erano, oltre all’ospite illustre Ivan Pavlov
(1849 – 1936), anche William Gordon Lennox (1884 - 1960) e Wilder Penfield (1891 – 1976) che presentarono le ultime ricerche sull’epilessia alla luce della tecnica, da poco messa a punto, dell’elettroencefalogramma.
Penfield, in particolare, era un grande ammiratore di H.J., tanto da istituire delle
Hughlings Jackson Lectures anche al Montreal Neurological Institute, nello stesso
anno della sua fondazione21. Le teorie di H.J. sulla gerarchia del sistema nervoso, sulle funzioni motorie e in particolar modo quelle sulla coscienza soggettiva e oggettiva ebbero un ruolo significativo nelle successive ipotesi di Penfield22. Alla base di questo legame c’era il comune interesse di entrambi gli autori a illuminare il funzionamento della mente e del cervello grazie alle osservazioni dei pazienti colpiti da epilessia, che Penfield fu in grado di approfondire grazie all’uso dell’elettroencefalogramma e nel corso di interventi chirurgici intracranici sui pazienti epilettici.
In base alle sue osservazioni, H.J. aveva ipotizzato l’esistenza di una “coscienza soggettiva”, una sorta di coscienza primaria e di per sé inaccessibile, se non grazie all’intervento della coscienza oggettiva, quella che richiama alla mente le memorie acquisite dalla controparte soggettiva. Durante le crisi epilettiche, e in particolar modo durante la particolare variante del dreamy state, la coscienza soggettiva prendeva il sopravvento. Similmente, Penfield ipotizzò due meccanismi distinti alla base del pensiero cosciente: un primo “flusso di coscienza”, indipendente e automatico, in grado di preservare le memorie di un
21
Al Montreal Neurological Institute si trova una copia del busto di Hughlings Jackson, nella hall principale, accanto a quello del fondatore Wilfred Penfield. Trimble 1997, p. 350.
22
11 evento passato, organizzate e interpretate da un secondo meccanismo separato dal primo23.
Riassumendo, non solo H.J. venne ricordato per gli indiscutibili meriti in ambito strettamente medico, ma anche per l’originalità e la passione che riusciva a trasmettere nei suoi scritti:
There are, however, three types of great man, in medicine. The first achieves his greatness during his life by his clinical work and by his kindness and skill in curing and alleviating the suffering of large numbers of patient. The second, in addition to his clinical work, or perhaps to the relative exclusion of it, leaves behind him various scientific treatises, papers and books in which are recorded the facts and theories which he elucidated during life – very valuable reading to the searcher after knowledge, but containing no illuminating of the character of the man who wrote them. The third type of great man leaves, in his writing, the stamp of his own personality. He is not content merely to record scientific findings, but gives in addition some of his own philosophy of life – explains his difficulties and puts the reader into possession of far more than he would have gained from perusal of an assembly of merely academic facts and theories. Jackson unquestionably belongs to this last type of medical genius […].24
L’intento del presente lavoro è di offrire, nella prima parte, una panoramica dei presupposti teorici più generali del lavoro di H.J. Mi è sembrato opportuno dividerli in tre macro-argomenti. I primi due tratteranno i principi base del pensiero jacksoniano: l’evoluzione e la dissoluzione come chiave interpretativa dei disturbi nervosi; la concezione del sistema nervoso come apparato sensori-motorio, e il conseguente tipo di localizzazione. Il terzo paragrafo esporrà le implicazioni dei presupposti illustrati nei primi due paragrafi sul rapporto mente-corpo – coscienza, volontà, parallelismo psicofisico - così come elaborato da H.J.. Nella seconda
23
Hogan and English 2012, p. 312.
24
12 parte si tenterà di illustrare come H.J. applicò le sue teorie alle sindromi epilettiche e afasiche.
Certamente una divisione così netta è impossibile da trovare nell’opera di H.J.: ogni suo scritto contiene riflessioni di carattere squisitamente clinico, interrotte e, in un certo senso, confuse con digressioni di taglio più generale, per non dire filosofico. D’altronde, H.J. non poteva non impiegare questo metodo durante la genesi della sua opera: separare, ad esempio, l’elaborazione della struttura sensori-motoria del sistema nervoso dalla teoria dell’evoluzione sarebbe stato un criterio difficile da usare, ma che mi permetto di adottare per provare a rendere, a posteriori, più chiaro e ordinato il suo pensiero, vista la mancanza di un’opera di sintesi scritta da H.J. stesso.
Una regola parzialmente simile è stata seguita da James Taylor, suo collega e biografo, nella sua raccolta di testi scelti25 tra oltre 300 articoli di H.J., scritti tra il 1861 fino al 1900. Senza dubbio infatti H.J. fu uno scrittore prolifico. I suoi articoli, senza contare i contributi elaborati assieme ad altri autori, trattano una grande varietà di temi: dai primissimi lavori sulle patologie neuro-oftalmologiche, ai disturbi del linguaggio, l’epilessia, le paralisi.
Nei Selected Writings26 Taylor raccoglie nel primo volume le opere che trattano, perlopiù, di questioni mediche specialistiche, in particolare riguardo alle convulsioni epilettiche. Nel secondo volume, invece, sono radunati gli articoli dal respiro più ampio.
25 Dopo un primo tentativo di raccolta nei Neurological Fragments del 1925. Vedi Jackson 1925.
13
I. La neurologia secondo Hughlings Jackson
I.1. Evoluzione e dissoluzione del sistema nervoso
Non c’è dubbio che tra le diverse influenze ricevute da H.J. quella di Herbert Spencer (1820 -1903) sia stata determinante nella genesi del modello neurologico jacksoniano. Il nucleo centrale della sua teoria è infatti saldamente ancorato alle linee generali dell’evoluzione spenceriana, così come al dibattito scientifico sulle teorie evolutive della seconda metà dell’800. Un debito che H.J. non tiene minimamente nascosto. Le citazioni dalle opere di Spencer sono numerose, così come le formule di ringraziamento che H.J. gli dedica.
Ad esempio, quando H.J. usa il termine “dissoluzione” nel 1876, scrive:
What I have to say of the constitution of the nervous system appears to me to be little more than illustrating his doctrine on nervous evolution […]. Anyone interested in diseases of the nervous system should carefully study Spencer’s Phychology.1
Quando uscì la prima edizione dei Principles of Psychology, nel 1855, H.J. aveva appena terminato il suo apprendistato a York. Poco prima, nella York Medical School, H.J. ebbe tra i suoi professori Thomas Laycock2 (1812–1876), che più tardi diventerà professore di medicina a Edimburgo. Laycock fu uno dei primi a dare sostegno all’ipotesi secondo cui tutte le funzioni nervose, incluse quelle del comportamento volontario complesso, fossero soggette alle leggi
1
Hughlings Jackson 1932, vol. I, p. 147.
2
Sull’importanza per H.J. dell’opera di Laycock e, più in generale, sul problema dell’eccitabilità della corteccia vedi paragrafo 2.
14 dell’attività riflessa. Laycock, inoltre, introdusse già nel 1844 un concetto molto simile a quella che poi sarà quello di dissoluzione in H.J.
Scrive Laycock:
Non si dà soltanto un’evoluzione cerebrale rispetto allo sviluppo del cervello, ma anche una legge inversa, altrettanto generale, che regola una sorta di ‘disvolution’ (sic), altrettanto importante per lo studio dei disturbi mentali.3
In misura minore, invece, H.J. si interessò alle opere di Charles Darwin (1809 – 1882). Com’è noto, la prima edizione dell’Origins of Species fu pubblicata nel 1859, anno in cui H.J. si era appena spostato a Londra per avanzare nella sua carriera. E’ evidente che H.J. fosse a conoscenza anche dei lavori di Darwin4, sarebbe stato impossibile il contrario, ma questi non ebbero un ruolo altrettanto determinante. L’opera di Darwin è citata solo una volta5, e sempre nel contesto più generale del debito verso le teorie di Spencer: «[…] the first edition of his
Principles of Psychology appeared so long ago as 1855, five years before the
publication of the Origin of Species.»6. Probabilmente, ciò fu dovuto al fatto che l’ambito di applicazione delle teorie di Darwin era ristretto alla biologia.
Al contrario i principi di Spencer avevano ambizione universale, e andavano a toccare anche l’interesse, più definito, per il nesso fra comportamento e sistema nervoso. Secondo Spencer, così come in biologia, politica, e sociologia, anche i fenomeni psicologici e fisiologici sono governati dai principi dell’evoluzione, basati sulle leggi universali della forza scoperte dalla fisica. In estrema sintesi, l’evoluzione è caratterizzata da un progressivo passaggio dall’omogeneo,
3
cit. in Morabito 2004, p. 53.
4
«Hughlings Jackson was a great reader. […] His interest in the science of life was wide and general.» Thomas Buzzard in “Obituary. John Hughlings Jackson, M.D., F.R.C.P., F.R.S”, British
Medical Journal, 2:950-4, p. 952.
5
Young 1970, p. 198.
6
15 indefinito, incoerente ma semplice, ad un sistema più complesso e quindi eterogeneo, definito, coerente. Le strutture più evolute sono le “superiori” anche dal punto di vista morale. Il processo inverso, che riporta ad una semplificazione del sistema, si chiama, appunto, dissoluzione. Sono proprio questi i “primi principi” basilari che ritroveremo in H.J.
Tuttavia, il credito che, forse eccessivamente, H.J. riserva a Spencer non può certo oscurare il suo merito di aver rielaborato i principi spenceriani per creare un modello del sistema nervoso complesso, integrato e per quanto possibile unitario, che fosse efficace, prima di tutto, ai fini della diagnosi e del trattamento dei disturbi nervosi. La prima necessità di H.J., in quanto medico, era di tipo clinico: ogni ipotesi sul funzionamento cerebrale nasceva dall’esigenza pratica di una migliore conoscenza delle malattie. All’originalità dell’approccio metodologico di H.J., George York e David Steinberg dedicano un importante capitolo7, di cui riassumo l’analisi.
Già in uno dei suoi primi scritti H.J., insoddisfatto della contemporanea pratica diagnostica, tentava di mettere a punto un metodo clinico - diagnostico che riuscisse nel contempo a rendere conto dei meccanismi del sistema nervoso, sia sani sia patologici. Il tutto, e questo è l’elemento importante, partendo da alcune osservazioni su una teoria evolutiva.
Lo scritto, del 1863, riservato alla circolazione privata tra amici e colleghi di H.J., era intitolato Suggestion for studying diseases of the nervous system on
professor Owen’s vertebral theory8. Richard Owen, stimato anatomista dell’epoca, sosteneva la così detta teoria vertebrale del cranio: cioè che le ossa del cranio
7
York and Steinberg 2006, p. 9-11 sgg.
8
Hughlings Jackson 1863. Non mi è stato possibile tuttavia accedere direttamente al testo. La descrizione si basa sulla ricostruzione di Critchley and Critchley 1998, e York and Steinberg 2006. Anche Temkin ricostruisce il contenuto dell’articolo sulla base dell’analisi di Greenblatt. Temkin 1979, p. 331.
16 altro non sono che vertebre modificate nei diversi animali. Nel suo scritto H.J. propone un sistema neurofisiologico in cui ogni diversa vertebra modificata, ogni “vertebra del cranio”, ha corrispondenza e controllo su una segmentazione degli organi interni, dei nervi, dei muscoli, della circolazione. Al di là dello schema, che H.J. non riprese più nei lavori successivi (ma che, in ogni caso, fu importante anche per l’individuazione futura della forma di epilessia così detta jacksoniana9), l’obiettivo era di proporre un “sistema naturale” dei nervous arrangements più che arbitrario, anche se questo avrebbe comportato il sacrificio di alcuni dettagli del sistema elaborato.
Lo stesso proposito di adottare un “metodo naturale” si ritrova nella conferenza
On the study of diseases of the nervous system10, tenuta nel giugno del 1864 al London Hospital. Sebbene in questo caso non vi siano riferimenti a teorie evolutive, lo scritto è una importante testimonianza di come H.J. ponesse l’accento sulla necessità di avere non solo un sistema interpretativo ma soprattutto un metodo controllato di pratica efficacia per la diagnosi e la cura, in anni in cui la disciplina neurologica stava nascendo. Il componimento si apre con una citazione da Bacone: «it is easier to evolve truth from error than from confusion»11. L’ordine che deve essere dato alla “confusione” dei dati clinici deve necessariamente basarsi sullo studio meticoloso dell’anatomia, ma conoscere la malattia significa avere, allo stesso tempo, una visione quanto più possibile onnicomprensiva dell’organismo: 9 Temkin 1979, pp. 330-331. 10 Hughlings Jackson 1864. 11 Ivi, p. 367.
17 Our pathology should be both particular and general. We should try to make it as wide in its principles as our physiology will let us, but at the same time as precise and accurate as our anatomical knowledge will permit.12
In ogni diagnosi, tre livelli di osservazione, di crescente complessità, sono da integrare:
Just as we study, as physiologist and anatomists, the vegetative life of general tissues, the structure of organs for special functions, and the universal harmony of most diverse functions in individuals, so we ought, as workers in the field of practical medicine, to study every case that comes before us as:
1) DISEASE OF TISSUE. (Changes in tissue.) 2) DAMAGE OF THE ORGANS.
3) DISORDER OF FUNCTION.13
L’opera ebbe una buona risonanza, e contribuì ad aumentare la notorietà di H.J. nell’ambito medico londinese14. Negli stessi anni, H.J. cominciò ad elaborare un modello evolutivo del sistema nervoso proprio a partire dalla sua esperienza clinica, in particolare durante lo studio della patologia epilettica. Secondo la sua teoria, le convulsioni epilettiche si verificano in conseguenza di una “scarica anomala” a livello di alcune aree della corteccia, che “scende” attraverso i diversi livelli del sistema nervoso producendo una convulsione strettamente collegata all’area corticale specifica colpita dalla scarica, che determinava il luogo e l’entità della convulsione. Questo modello clinico ipotizzava che la corteccia avesse anche funzioni motorie - ipotesi che sarà verificata sperimentalmente solo più tardi - e che l’intero sistema nervoso fosse interamente composto da elementi sensori-motori strettamente collegati tra loro.
12 Ivi, p. 368. 13 Ibidem. 14
18 La costituzione senso - motoria dei centri cerebrali e la dottrina dell’evoluzione nervosa si implicano a vicenda; come scrive H.J. nel 1873, in On the anatomical
and physiological localisation of movements in the brain:
I have always written on the assumption that the cerebral hemisphere is made up of processes representing impressions and movements. It seems to me to be a necessary implication of the doctrine of nervous evolution as this is stated by Spencer.15
Lo schema interpretativo del disturbo epilettico presupponeva che i centri nervosi superiori fossero ri-disposizioni dei centri inferiori, che rappresentavano
direttamente le sensazioni e i movimenti.
H.J. infatti, in Remarks on evolution and dissolution of the nervous system16, vedeva il sistema nervoso composto da tre livelli di natura esclusivamente sensori-motoria – inferiore, medio, e superiore – che si connettono tra di loro in una scala gerarchica, in cui ogni livello superiore include e rappresenta quello inferiore: il livello inferiore rappresenta direttamente una particolare parte del corpo, il livello medio ri-rappresenta gli elementi del livello inferiore in modo doppiamente indiretto, mentre i livelli superiori non sono altro che una ri-ri-rappresentazione di tutti i livelli, in linea triplamente indiretta:
A lowest centre is one which represents some limited part of the body most nearly directly; it is a centre of simplest, and yet it is one of compound, co-ordination […]. The sum of these representation in detail is the first, most nearly direct representation of the whole body. […] A middle centre represents over again in still more complex, etc., combination what many or all of the lowest have represented in comparatively simple combinations; […] The middle centres are re-representative; they represent parts of the body doubly
15
Hughlings Jackson 1932, vol. I, p. 42.
16
19 indirectly; they are centres of doubly compound co-ordination. […] The sum of these representations of wider districts is the second, and is a doubly indirect representation of the whole organism. […] The highest centres […] represent over again in more complex, etc., combinations, the parts which all the middle centres have re-represented, and thus they represent the whole organism; they are re-re-representative; they represent parts of the body triply indirectly. They are centres of triply compound co-ordination.17
Per ogni livello H.J. individua una precisa struttura anatomica: il livello inferiore consiste nelle corna anteriori e posteriori della sostanza grigia del midollo spinale, il livello intermedio è composto dall’area motoria della corteccia e dai gangli basali, mentre il livello superiore si trova nella porzione anteriore dei lobi frontali18.
La dinamica dell’evoluzione e della dissoluzione si instaura su questi tre livelli, che indicano sia il grado della complessità delle funzioni, sia i differenti livelli evolutivi. Per avere la più chiara esposizione possibile, conviene guardare alle
Croonian Lectures19, una delle opere maggiori di H.J. che, risalente al 1884, offre un resoconto ormai maturo della sua visione. Dopo una breve introduzione in cui ribadisce l’importanza dell’evoluzione spenceriana nell’indagine dei disturbi nervosi, H.J. scrive che il sistema nervoso si è evoluto, dal punto di vista sia ontogenetico sia filogenetico, a partire da un primo livello di natura inferiore, verso un progressivo aumento, nella fase successiva, di complessità, eterogeneità e disorganizzazione.
L’evoluzione è quindi un passaggio:
1) from the most to the least organised […] 2) from the most simple to the most complex. […] 3) from the most automatic to the most voluntary.20
17
Hughlings Jackson 1932, vol. II, pp. 41-2.
18
Ibidem.
19
Hughlings Jackson 1932, vol. II, pp. 45-77.
20
20 Ogni livello si è evoluto a partire dal precedente, in ordine ascendente. I centri inferiori hanno funzioni limitate al comportamento riflesso, sono meno flessibili e più antichi. Le funzioni dei centri superiori sono invece deputate al comportamento volontario, sono più adattabili e relativamente più recenti. Questi centri sensori-motori superiori, scrive H.J. «make up the “organ of mind” or physical basis of consciousness»21. H.J. sottolinea che nonostante i vari livelli abbiano funzioni differenti la loro composizione fisica non cambia. Sarebbe «straordinario» che, ad un certo livello, la loro costituzione cambiasse improvvisamente: l’unica caratteristica che differenzia i centri superiori è quella di essere molto più complicati rispetto agli altri, in quanto rappresentano «innumerable, most complex, and most special movements of the whole organism […]»22.
Ad una prima impressione potrebbe sembrare contro-intuitivo che i centri più complessi siano contemporaneamente meno organizzati. Nella visione di H.J., i centri inferiori sono più organizzati proprio grazie all’esiguità di elementi in gioco. Così questi ultimi sono più stabili e, nello stesso tempo, più automatici:
Suppose a centre to consist of but two sensory and two motor elements; if the sensory and motor elements be well joined, so that “currents flow” easily from the sensory into the motor elements, then that centre, although a very simple one, is highly organised.23
Il grado di organizzazione e di automatismo sono quindi due facce della stessa medaglia. I centri inferiori hanno già raggiunto un grado perfetto di evoluzione: dato che presiedono alle funzioni vitali, non devono, per quanto possibile, subire alcuna modifica: sono ben organizzati alla nascita, e solo grazie alla loro 21 Ibidem. 22 Ivi, p. 30. 23 Ivi, p. 46.
21 resistenza è possibile la vita. Invece, la disorganizzazione dei centri superiori, che sono ancora nel pieno del processo evolutivo, rende possibile l’interazione uomo-ambiente. Se i centri superiori fossero già rigidamente e staticamente organizzati, non sarebbero in grado di adattarsi al cambiamento delle circostanze esterne e di «ri-organizzarsi continuamente durante la vita»24. Non potrebbe esserci nessuna operazione volontaria. Oltre all’evoluzione dei diversi centri si dà infatti anche un altro tipo di evoluzione, strettamente legata al funzionamento dei centri superiori, che H.J. chiama “evoluzione interna”.
Scrive H.J.:
There is another matter of vast importance […]. We have to mention that evolution is not a necessary process: it depends on conditions. […]. We develop as we must, that is, according to what we are by inheritance; and also as we can, that is, according to external conditions. There is something more: there is what we call Internal Evolution, a process which goes on most actively in the highest centres. […]. We acquire numerous different ideas: that is to say, there is, on physical side, an organization of many different nervous environment.25
We have spoken of evolution as if it were a “necessary” process, which it is not. We spoke as if the higher centres were so to speak evenly evolved out of their lower. No doubt there is in the highest centre what we may call internal evolution – re-combination of nervous arrangements each of which has been organized during complete correspondence of the organism and its environment.26
La plasticità dei centri nervosi superiori determina però, allo stesso tempo, la loro maggiore vulnerabilità a lesioni cerebrali e malattie nervose. Sono queste le parti che soffrono maggiormente e le prime ad essere intaccate dal processo di
24
Hughlings Jackson 1884a, p. 703.
25
Ivi, p. 705.
26
22 dissoluzione. La dissoluzione altro non è che il processo inverso dell’evoluzione: è un percorso a ritroso dal meno organizzato al più organizzato, dal più complesso al più semplice, dal meno automatico al più automatico.
Nelle Croonian Lectures, H.J. usa l’efficace immagine della dissoluzione che “fa a pezzi” ciò che è stato “montato” dall’evoluzione: se la dissoluzione fosse totale, se in altre parole fossero colpiti anche i centri automatici, si arriverebbe alla morte. La malattia è quindi in una regressione verso i livelli inferiori ed evolutivamente più antichi, quelli rimasti intatti:
Hence the statement: to “undergo dissolution” is rigidly the equivalent of the statement, “to be reduced to a lower level of evolution.”27
La malattia presenta una doppia condizione, dato che comporta sintomi sia positivi sia negativi. La corteccia cerebrale, in quanto centro più alto della gerarchia, non solo presiede alle funzioni consce e volontarie, ma controlla e/o inibisce le funzioni dei centri inferiori. Questo “controllo” non si riferisce ad alcun tipo di volontà immateriale e/o “speciale” sui centri nervosi inferiori, ma ad un “controllo” di tipo fisiologico basato sull’integrazione dei tre livelli senso-motori. I sintomi negativi si presentano quindi per la disattivazione della funzionalità di controllo dei centri nervosi superiori su quelli inferiori, mentre i sintomi positivi sono il risultato dell’attività dei livelli inferiori lasciata intatta. Attività che può provocare illusioni, allucinazioni, e condotta stravagante. Non è, quindi, il disturbo che causa i sintomi della pazzia, ma questi sono il prodotto indiretto di ciò che resiste. I sintomi positivi sono niente altro che la manifestazione della maggiore attività dei centri non intaccati dal processo patologico, in una spenceriana lotta per la “sopravvivenza del più adatto” tra i diversi livelli.
27
23 H.J. scrive:
The most absurd mentation, and most extravagant actions in insane people are the survivals of their fittest states. I say “fittest”, not “best”; in this connection the evolutionist has nothing to do with good or bad.28
La dissoluzione può essere di due tipi: uniforme e locale. Nel caso della dissoluzione uniforme, il disturbo è uniformemente distribuito nell’intero sistema nervoso. Si verifica quindi solo quando tutti i centri sono colpiti dalla dissoluzione, anche se quest’ultima non intacca tutti i centri con la stessa intensità:
In these cases the whole nervous system is “reduced”, but the different centres are not equally affected. An injurious agency, such as alcohol, taken into the system, flows to all parts of it; but the highest centres, being least organised, resist longest. Did not the lowest centres for respiration and circulation resist much more than the highest do, death by alcohol would be a very common thing.29
Nel secondo tipo di dissoluzione, si ha una inversione localizzata dell’evoluzione, che comporta una regressione solo in una parte del centro nervoso. Può presentarsi a qualsiasi livello, in qualsiasi parte, ma ne sono maggiormente affetti sempre i deboli centri superiori. La molteplicità dei tipi di pazzia, e delle infermità in generale, deriva secondo H.J. dai corrispondenti tipi di dissoluzione locale.
Una volta trattata la genesi della malattia, era possibile capire, di conseguenza, come il sistema nervoso potesse risanarsi. H.J. non aveva solo uno schema originale per interpretare la malattia, ma anche per il recupero delle funzioni. Lo
28
Ivi, p. 47.
29
24 vedeva in modo molto diverso dal modello della sostituzione totale di una funzione della scuola francese.
Per poterla esporre devo necessariamente anticipare alcune caratteristiche della concezione jacksoniana della localizzazione delle funzioni, che sarà ripresa nel prossimo capito. In sintesi, secondo H.J. nei centri nervosi non sono rappresentati i muscoli, ma i movimenti. Questo implica che ogni muscolo o gruppo di muscoli è rappresentato più volte, ogni volta in maniera diversa, in differenti parti del centro, a seconda del movimento che controlla. In altre parole, secondo H.J. non esisteva un punto del centro, ad esempio, per la mano o per il braccio, ma per la gamma dei movimenti che questi potevano compiere. In più, vale ripeterlo, ogni centro rappresentava, ri-rappresentava, e ri-ri-rappresentava l’intera molteplicità dei movimenti di tutto il corpo. Se, quindi, un movimento specifico veniva a mancare, c’era la possibilità che un altro punto del centro contiguo a quello danneggiato potesse apportare una qualche compensazione, non una sostituzione vera e propria di una funzione.
Nelle parole di H.J.:
Compensation does not, in this scheme, mean that nervous arrangements take on duties they never had before, but that, having more or less closely similar duties, they serve – not as well, but only - next as well as those destroyed.30
Questo tipo di recupero funzionale non sarà mai perfetto. Le strutture nervose danneggiate sono perse per sempre, lasciano un “vuoto”. Ma è possibile arrivare ad una compensazione “perfetta” da un punto di vista pratico, anche se solo apparente:
30
25 When the first term is destroyed there appears, we repeat, to be decided paralysis of X only, but slowly the other terms come to serve for moving the whole region more efficiently, and what is called the paralysis of X diminishes. There is some compensation.31
H.J. rimase fedele alle linee generali dell’evoluzionismo spenceriano per tutta la durata della sua carriera. Non ci sono testimonianze di un incontro tra Spencer e H.J., mentre del loro scambio epistolare (durato diversi anni anche se a intermittenza) sono rimaste solo due lettere; inoltre, una lettera di Spencer indirizzata all’amico E.L. Youmans testimonia un giudizio positivo sull’iniziativa di H.J. di applicare la teoria della dissoluzione ai disturbi nervosi32. H.J. seguirà questo modello non solo per l’epilessia ma anche per altri disturbi nervosi, primo su tutti il disturbo afasico - che saranno discussi nel secondo capitolo.
31
Ibidem.
32
26
I.2 Modello sensori-motorio e localizzazione
Il secondo importante aspetto della teoria jacksoniana, che si è già anticipato nel paragrafo precedente, è la concezione del sistema nervoso come sistema esclusivamente sensori-motorio33. Questo modello, assieme a quello dell’evoluzione e della dissoluzione, costituisce la base dello schema della localizzazione cerebrale secondo il neurologo inglese.
Lo studio del movimento fu, infatti, uno dei punti su cui la ricerca neurofisiologica si concentrò maggiormente già a partire dai primi anni dell’Ottocento34, durante i quali si assiste ad un vero e proprio cambio di paradigma: dalla predominanza dell’elemento sensorio nella teoria della conoscenza si passa ad una crescente attenzione al movimento come componente primaria dell’attività psichica e nervosa, assieme all’attività riflessa35. Uno dei punti cardini di questo cammino è senza dubbio la legge di Bell-Magendie. Charles Bell (1744-1842) nel 1811 pubblicò Idea for a new anatomy of
the brain, opera in cui esponeva i suoi esperimenti sui cani anestetizzati. Il suo lavoro aveva mostrato le differenze funzionali dei nervi del midollo spinale. Recidendo il fascicolo posteriore dei nervi, non si presentavano nell’animale convulsioni ai muscoli della schiena. Andando a ledere invece il fascicolo anteriore, anche solo pungendolo, si producevano convulsioni in modo molto più marcato. Bell Ne concluse quindi che i nervi posteriori avessero funzioni sensoriali, mentre i nervi anteriori funzioni motorie. Poco dopo, nel 1822, François Magendie (1783 – 1855) pubblicò Expériences sur les fonctions des racines des
33
«The whole nervous system is a sensori-motor mechanism, a coordinating system from top to bottom.» Hughlings Jackson 1932, vol. II, p. 41.
34
Morabito 2004, p. 32.
35
27
nerfs rachidiens: dopo aver diviso radici anteriori e posteriori, notò che tagliando le
prime si produceva una paralisi, mentre tagliando le seconde si causava una perdita della sensazione.
A partire da queste nuove acquisizioni anatomo - funzionali sul midollo spinale, Marshall Hall (1790-1857) e Johannes Müller (1801-1858) articolarono la legge dell’azione riflessa. Hall dimostrò che il riflesso motorio richiedeva solo che il nervo spinale fosse intatto. Müller d’altra parte contribuì grazie al suo Handbuch der
Physiologie des Menschen (1835, tradotta da William Baly in inglese nel 1838) a
diffondere e organizzare queste ultime scoperte.
Nessuno di loro si spinse ad attribuire nulla più del comportamento “involontario” all’azione riflessa dei nervi spinali. Ad esempio, Hall mantenne distinto il “sistema spinale” dal “sistema cerebrale”, attribuendo solo al primo la teoria dell’arco riflesso. Tuttavia, la spiegazione del meccanismo fisiologico alla base anche solo di alcuni automatismi aprì la strada per nuove ipotesi che estendevano l’azione riflessa anche alle funzioni volontarie complesse. Anche ammettendo che l’attività riflessa fosse la base per alcuni processi mentali, affermare che le capacità dei centri cerebrali potessero essere soggette all’attività riflessa era un passo ulteriore e, in un certo senso, audace. Chi tra i primi estese questo principio in modo esplicito anche ai centri superiori fu Thomas Laycock. Nell’articolo On the reflex function of the brain36 scrive:
[…] the brain, although the organ of consciousness, was subject to the laws of reflex action, and that in this respect it did not differ from the other ganglia of the nervous system. I was led to this opinion by other, that the ganglia within the cranium being a continuation of the spinal cord, must necessarily be regulated as to their reaction on external agencies by laws identical with those
36
28 governing the functions of the spinal ganglia and their analogues in the lower animals.37
L’encefalo veniva visto da Laycock come una prosecuzione dei centri spinali e sottocorticali, alla luce di una legge generale di natura relativa allo sviluppo ascendente e ordinato in tutti gli esseri viventi. Questo modello unitario si rivelò di estrema utilità dal punto di vista euristico, dando la possibilità di affrontare lo studio di fenomeni psichici e fisici secondo gli stessi meccanismi d’azione.
Il passaggio appena citato è riportato integralmente anche, più volte, nelle opere di H.J., a testimonianza della sua centralità. Se Laycock aveva mantenuto un tono più speculativo38, H.J. lo assunse come guida in ambito clinico, in modo analogo a quanto fatto seguendo il modello dell’evoluzione e della dissoluzione. Estendendo la legge dell’attività riflessa a tutti i centri, anche la corteccia cerebrale poteva essere letta secondo il paradigma senso-motorio che sempre di più si stava affermando. La decisa affermazione di H.J. di un nesso fra corteccia e movimento è, secondo Robert M. Young39, uno dei più importanti contributi di H.J. alla storia della localizzazione cerebrale.
Un apporto della cui importanza H.J. è pienamente consapevole. Già a partire dagli anni ’60 H.J. propone questa idea, basandosi esclusivamente sulle osservazione dell’epilessia – H.J. infatti non compì mai esperimenti. Solo più avanti, H.J. vedrà la propria ipotesi dimostrata sperimentalmente. Nel 1870 Gustav T. Fritsch (1838 – 1891) e Edward Hitzig (1838 -1907) usarono per la prima volta la tecnica della stimolazione elettrica corticale: applicando una debole corrente galvanica a diverse zone della corteccia cerebrale di un cane, riuscirono a provare che diverse aree degli corteccia provocavano diverse risposte motorie (in
37
Laycock 1845, p. 298.
38
Harrington 1987, trad. it. 1994, p. 232.
39
29 particolare, mostrarono che flessione e contrazione dei muscoli dipendevano da zone distinte delle aree anteriori). Pochi anni più tardi (1873) David Ferrier (1843 – 1928) usò lo stesso principio della stimolazione elettrica – in questo caso con la corrente faradica – per mettere a punto una delle prime mappe corticali, sintetizzando i risultati nell’opera The function of the brain (1876). Il punto di partenza delle indagini di Ferrier non fu solo la volontà di proseguire gli esperimenti di Fritsch e Hitzig, ma prima di tutto quello di «test the accuracy of the views entertained by Dr. Hughlings Jackson on the pathology of Epilepsy and Chorea»40.
H.J. scrive:
In innumerable places I have written to the same effect explicitly or implicitly. To have long believed this is no proof of its truth; but I think that, to say the least, it adds something of plausibility to the evidence in favour of the interpretation Hitzig and Ferrier give to the results of their experiments. I had been driven to the conclusion that the convolutions must represent movements and impressions long before their experiments were made.41
L’influenza reciproca tra Ferrier e H.J. non si limitò a questo: nel 1878 H.J. fondò proprio assieme a Ferrier, oltre a John Charles Bucknill e James Crichton-Browne, la rivista “Brain” – pubblicata tutt’oggi. Fu la prima rivista dedicata a raccogliere studi sul sistema nervoso. Nel 1887 divenne il periodico ufficiale della Neurological Society, nata l’anno precedente, con H.J. eletto presidente per acclamazione. Nel 1897 uscì, con la firma di H.J., la prima delle Hughlings
Jackson Lectures, che usciranno a cadenza triennale.
40
Ferrier 1873, p. 152.
41
30 Grazie anche alle conferme sperimentali e alla continua collaborazione con Ferrier, è importante notare che H.J., a partire dagli anni 70, non si limitò solo ad affermare che il sistema nervoso era composto anche di movimenti e sensazioni, ma che era esclusivamente costituito da questi due elementi. Nelle già citate
Croonian Lectures H.J. non ha esitazione ad affermare che «a man, physically
regarded, is a sensorimotor mechanism».
Nella prefazione del 1875 ad una ripubblicazione di On the anatomical and
physiological localisation of movements in the brain (del 1873) H.J. scrive:
I had for years assumed that convulsions contain processes representing movements and impressions. In fact, I cannot conceive of what other materials
the cerebral hemisphere can be composed than of nervous arrangements representing impressions and movements.42
Non esistono quindi altri “materiali” di cui possa essere composto “l’organo della mente”: questa poteva essere la sola logica conseguenza dell’accettazione, insieme, della teoria dell’evoluzione e dell’estensione della legge di Bell - Magendie anche ai centri nervosi superiori. Viene così a cadere la divisione tradizionale tra sistema nervoso composto, da una parte, di elementi sensori-motori e, dall’altra, di centri deputati esclusivamente alla memoria, alla volontà, al linguaggio e alle idee:
The doctrine of evolution repudiates all schemes which make piebald division into ideational, etc., centres, and sensory and motor centres – all centres are sensory or motor, or both.43
Oltre alla teoria dell’evoluzione e dell’arco riflesso, sullo sfondo generale di questa affermazione ritroviamo anche il principio della conservazione di energia.
42
Hughlings Jackson 1932, vol. I, p. 42.
43
31 Anche H.J., infatti, non era immune dall’influenza esercitata da Hermann von Helmholtz44(1821- 1894) con le sue leggi della termodinamica (Über die Erhaltung
der Kraft, 1847). Seguendo questa legge45, H.J. si oppone all’idea che un agente immateriale, come la volontà, possa essere la causa del movimento:
It is asserted by some that the cerebrum is the organ of mind, and that it is not a motor organ. Some think the cerebrum is to be likened to an instrumentalist, and the motor centres to the instrument – one part is for ideas, and the other for movements. It may, then, be asked, How can discharge of part of a mental organ produce motor symptoms only?46
In altre parole, H.J. contrasta fortemente l’idea che all’improvviso, «da qualche parte dei centri superiori» ci sia un salto e si passi da sensazioni e movimenti – così come nel midollo spinale e nei centri inferiori – a “stati mentali” fisicamente ed ontologicamente distinti dagli stati inferiori:
There are in use such expressions as that an “idea produces a movement”. […] Supposing that we do begin in the cerebrum to have to do with mental states, does it follow that we cease to have to do with impressions and movements?47
Le tradizionali facoltà mentali subivano così una radicale riconsiderazione. Se l’essere umano e il suo sistema nervoso erano interamente costituiti da elementi sensori-motori e se in nessun livello del sistema si poteva concepire uno straordinario cambio di costituzione, allora non si dava più la possibilità di
44
Helmholtz ebbe anche un altro ruolo, sempre indiretto, nella pratica clinica di H.J. Nel 1859, H.J. fu nominato assistente al Royal London Ophtalmic Ospital, oggi meglio noto come il Moorfields Eye Hospital. L’invenzione dell’oftalmoscopio era stata perfezionata alcuni anni prima, nel 1851, proprio da Hermann von Helmholtz (1821-1894) e H.J. non ebbe solo l’opportunità di accedervi poco dopo, ma fu tra i primi a riconoscerne l’importanza come strumento diagnostico: non solo per le patologie della vista ma anche per i disturbi neurologici, insistendo per tutto il corso dei suoi studi sulla relazione tra disturbo visivo e cerebrale.
45
York and Steinberg 2006, p. 17
46
Hughlings Jackson 1932, vol. I, p. 42.
47
32 concepire facoltà esclusivamente mentali, localizzate in maniera differente rispetto alle facoltà così dette “fisiche”, come il movimento. In altre parole, diventava evidentemente contraddittorio provare a localizzare anatomicamente ciò che era solo psichico48. Secondo H.J., l’unico obiettivo ragionevole da raggiungere era quello di arrivare ad una migliore conoscenza anatomica:
We, in our character as medical men, have to ask further question, What is the anatomy of the centres of ideas?49
Parlare di centri separati per la volontà, l’immaginazione, il ragionamento e le emozioni era semplicemente sbagliato da un punto di vista anatomico e fisiologico, l’unico punto di vista che un medico potesse accettare. Usare espressioni come “centro della memoria” o “centro per le idee” non aveva, secondo H.J., alcun senso: li definisce un semplice truismo. Termini di questo genere erano un misto inappropriato di definizioni morfologiche e psicologiche, inutili dato che nulla aggiungevano alla conoscenza neurofisiologica del cervello.
E’ evidente lo sforzo di trovare un linguaggio adeguato per la nascente disciplina della neurofisiologia, in modo da delimitarne il territorio di competenza e una propria legittimità:
Those who speak of 'centres for memory of words', or of 'centres for ideas' of any kind, as arbitrarily acting on and governing motor centres, are, as regards their method, essentially like those who speak of the soul producing movements, etc. The difference is that the former practically talk as if the soul were a solid one, made up of fibres and cells. This physiologico-materialistic method practically ignores anatomy and physiology. It leads to verbal explanations, such as that an aphasic does not speak 'because he has lost the memory for words'; that 'chorea is a disorder of volition'; that 'ideas are formed
48
Harrington 1987, trad. it. 1994, p. 232.
49
33 in the cortical grey matter of the brain, and produce movements by acting on lower centres'; 'that we combine two retinal impressions by a mental act'; it leads to the free use of such phrases as ‘volitional impulses', 'by an act of memory', etc.50
Non per questo, però, H.J. rifiutava qualsiasi ipotesi sulla localizzazione cerebrale. Era infatti certamente lontano dal considerare la corteccia come un tutto indivisibile e, come abbiamo visto, anche dalla dottrina di una rigida localizzazione di facoltà mentali descritte in termini generali. Tuttavia, pur essendo legato maggiormente alla tradizione di tipo associazionistico, H.J. non rinnega il principio più generale della divisione in aree funzionali. Come già giustamente messo in evidenza da Young51, H.J. trae ispirazione da Spencer anche per la propria concezione della localizzazione cerebrale, oltre che per l’evoluzione e la dissoluzione. Leggiamo infatti che Spencer presupponeva l’esistenza di una qualche specializzazione emisferica: in ogni organizzazione ci deve essere infatti una diversificazione dei compiti. A questa divisione delle funzioni, deve corrispondere una separazione delle strutture:
Localization of function is the law of all organization whatever: separateness of duty is universally accompanied with separateness of structure: and it would be marvellous were an exception to exist in the cerebral hemispheres. Let it be granted that the cerebral hemispheres are the seat of the higher psychical activities; let it be granted that among these higher psychical activities there are distinctions of kind, which, though not definite, are yet practically recognizable; and it cannot be denied, without going in direct opposition to established physiological principles, that these more or less distinct kinds of psychical activity must be carried on in more or less distinct parts of the cerebral hemispheres. […] If there is no organization, the cerebrum is a chaotic mass of fibres, incapable of performing any orderly action. If there is some organization, it must consist in that same “physiological division of
50
Ivi, pp. 51-52.
51
34 labour” in which all organization consists; and there is no division of labour, physiological or other, of which we have any example, or can form any conception, but what involves the concentration of special kinds of activity in special places.52
Tuttavia, continua Young, la localizzazione di Spencer – e di H.J. – era fondamentalmente diversa da quella avanzata da Gall ai primi dell’ottocento: entrambi infatti si opponevano all’idea che potesse essere possibile demarcare esattamente il cervello in base a funzioni rigidamente concepite. Funzioni che si evolvono e si ricombinano sono infatti ovviamente incompatibili con la statica suddivisione di Gall. Sebbene, quindi, la dottrina dell’evoluzione implicasse anche quella della localizzazione, quest’ultima poteva essere intesa solo in un’ottica di integrazione e associazione di funzioni non già pre-determinate.
H.J. rifiuta quindi la definizione stretta di localizzazione:
Nor am I a localiser. […] This seems to me to ignore that there is in healthy operations co-operation of movements of different regions.53
Allo stesso modo rifiuta la visione “universale” di una diffusione omogenea delle funzioni corticali. Pur accettando quindi il principio secondo cui il sistema nervoso è composto da organi discreti, ciascuno con la propria funzione, questa localizzazione è dinamica e flessibile, e si compone di gradazioni e sovrapposizioni tra aree sensoriali e motorie. Come già anticipato nel primo capitolo, uno degli aspetti più interessanti della localizzazione secondo H.J. è il fatto che nei diversi centri non sono rappresentati muscoli ma movimenti. Secondo H.J., ogni unità del centro rappresenta un movimento dell’intera regione che il centro rappresenta: ogni unità è il centro stesso in miniatura. Quindi, non esiste
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Spencer 1855, pp. 607-608.
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35 localizzazione nel senso che ogni unità del centro rappresenta una zona muscolare: non esiste un centro cerebrale solo per il braccio, né uno solo per la gamba. Ogni centro, inoltre, è così organizzato:
Each part of a centre represents the whole of a muscolar region, and each part of it represents the whole region differently. Thus, in an hypothetical centre representing the face, arm, and leg, each of, say, three parts of it, represent the face, arm, and leg, but in one part the face is more represented, in another the arm, and in another the leg.54
Ovviamente una concezione di questo tipo ha delle ricadute importanti anche su come concepire la malattia nervosa, dato che funzionamento patologico e sano procedono in parallelo. Così come le facoltà devono essere considerate solo dal punto di vista fisiologico e anatomico, anche le patologie smettono di essere considerate da un punto di vista “mentale”, ma motorio. Ad esempio, nella patologia afasica – che sarà approfondita nel secondo capitolo – la perdita del linguaggio corrisponde alla perdita dell’equivalente movimento acquisito per esprimere quella parola. Un errore in una parola, scrive H.J., è un movimento sbagliato, una corea: di conseguenza, non c’è più una differenza sostanziale tra patologia dell’apparato sensori-motorio come può esserlo una corea, l’emiplegia o l’attacco epilettico, e patologia della facoltà del linguaggio o della memoria:
Surely the conclusion is irresistible, that ‘mental’ symptoms from disease of the hemisphere are fundamentally like hemiplegia, chorea, and convulsion, however specially different. They must be due to the lack, or to disorderly development, of sensori-motor processes. 55
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Ivi, p. 30.
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