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Nel corso dell’età repubblicana i finanziamenti per i lavori stradali avevano gravato, come si è visto, quasi esclusivamente sull’erario390. Sul finire del I sec. a.C., complice un quadro

amministrativo ancora in corso di definizione, l’ultimo grande intervento sulla viabilità urbana era stato finanziato – per la prima volta e per precisa volontà di Augusto – privatamente da Agrippa: μηδὲν ἐκ τοῦ δημοσvίου λαβών, ricorda Cassio Dione391. Ancora

nel 20 a.C. il princeps aveva invece fatto fronte in prima persona alla sistemazione delle strade nei pressi di Roma392.

Prima di passare in rassegna alcuni momenti cruciali in cui si è creduto di poter individuare evidenti segni di discontinuità rispetto alla prassi in uso, è opportuno ricordare che – in riferimento all’età imperiale – non sempre è possibile distinguere con chiarezza l’esatta natura dei fondi utilizzati. Ciò deriva, da un lato, dalla sempre più sfumata linea di demarcazione tra aerarium, fiscus e patrimonium, dall’altro dalle modalità con cui gli imperatori gestirono di volta in volta tali casse (e le rispettive contabilità).

Una prima sostanziale modifica al sistema vigente in relazione agli aspetti finanziari fu apportata da Claudio. In seguito a un suo provvedimento, infatti, le spese per la viabilità (non solo urbana), sino ad allora finanziate con i fondi dell’aerarium393, furono

fatte gravare – ma non è chiaro in che percentuale – su quelli del fiscus394. Per quanto

riguarda le motivazioni sottese a tale disposizione, non si può escludere che in questo modo l’imperatore volesse avocare a sé il controllo diretto della rete stradale395. Nell’ambito

della stessa riforma finanziaria del 44 d.C. è da ricondurre anche l’elusivo passo in cui Svetonio ricorda che Claudio collegio quaestorum pro stratura viarum gladiatorium munus

388Cfr. supra, 2.2.1 a pagina 73. 389

Chastagnol 1960, p. 49; Christol 1986, pp. 316-318; Panciera 2006d, p. 488, nota 57; Vallocchia 2013, p. 15 e nota 26.

390Cfr. supra, 1.5 a pagina 51. 391

Cass. Dio, IL, 43, 1: cfr. supra, 1.5 a pagina 54.

392Cfr. supra, 2.1.1 a pagina 57. 393Cfr. supra, 1.5 a pagina 51. 394

Homo 1951, p. 257: «le dépense du service qui incombient au début particulièrement à l’Aerarium, sont, au moins en partie, transférées depuis Claude au Fiscus impérial, avec pour conséquence un droit de regard croissant de l’empereur dans le service»; Kolb 1995, p. 549: «seit Claudius wurde die Finanzierung der Straßenverwaltung vom Äerarium zumindest teilweise auf den kaiserlichen Fiskus übertragen und damit der direkten Kontrolle der republikanischen Amtsträger entzogen»; Alpers 1995, pp. 120-142; Campedelli 2014, pp. 30; 58-59.

L’età imperiale Il finanziamento degli interventi

iniunxit396. Di recente il luogo svetoniano è stato utilizzato per sostenere che i questori di

Roma397, fino all’età di Claudio, «erano soliti» investire la propria summa honoraria nella

pavimentazione delle strade398. La proposta, già in passato autorevolmente espressa399,

nel caso di Roma incontra però un rilevante ostacolo nella totale assenza di adeguati riscontri forniti dalle fonti letterarie ed epigrafiche. È dunque più agevole assumere che il biografo intendesse semplicemente sottolineare come la riforma finanziaria di Claudio400

– riassegnando ai quaestores aerari401la gestione dell’erario, ma spostando al contempo il

capitolo di spesa della viabilità dall’erario al fisco – avesse avuto come doppia conseguenza l’esclusione dei questori dalla gestione dei fondi per la rete stradale e una significativa riorganizzazione dei munera gladiatori. Non è forse casuale che, dal 47 d.C., la connessione tra assunzione della questura e allestimento dei giochi gladiatori diviene una costante402.

Più problematico è invece stabilire come debba intendersi l’espressione inpensa sua utilizzata in riferimento al rifacimento della viabilità urbana nell’iscrizione di età vespa- sianea CIL VI, 931 già richiamata403. Come già notato da S. Panciera in occasione della

pubblicazione dell’iscrizione commemorante il restauro de pecunia sua di un tempio per volere di Claudio, l’utilizzo di tali formule (pecunia sua / inpensa sua) da parte di un imperatore sono piuttosto rare sia a Roma, che nel resto dell’impero404. Escluso che tali

396

Suet., Claud., 24: Collegio quaestorum pro stratura viarum gladiatorium munus iniunxit detracta- que Ostiensi et Gallica provincia curam aerari Saturni reddidit, quam medio tempore praetores aut, uti nunc, praetura functi sustinverant. Trad.: «Al collegio dei questori, al posto della pavimentazione delle strade, affidò l’allestimento degli spettacoli gladiatori e, dopo aver sottratto loro la provincia di Ostia e quella Gallica, gli restituì (ai questori) la cura dell’erario del tempio di Saturno, che precedentemente era stata affidata ai pretori in carica o, come adesso, agli ex pretori». Per un’analisi di dettaglio di questo passo in relazione ai munera cfr. Corbier 1974, pp. 672-6764; Roda 1976, pp. 145-147.

397 In età repubblicana i questori, come discusso a proposito della Tabula Heracleensis, gestivano gli

affidamenti degli appalti in quanto responsabili dell’erario (supra 1.4 a pagina 43).

398

Campedelli 2014, p. 59: «ciò potrebbe indicare che a Roma, almeno fino a Claudio, i questori erano soliti pavimentare le strade come pagamento della summa honoraria». In tutta l’Italia romana le iscrizioni che ricordano pavimentazioni di strade finanziate dai questori sono due. In entrambi i casi si tratta però di una delega loro affidata dal senato locale (come a Praeneste) o dal collegio dei decurioni (Casinum).

399 Römisches Staatsrecht, II, p. 534; Pekári 1968, pp. 104-105; Cavallaro 1984, p. 100 e note

224, 225; Kolb 1995, p. 549. La proposta derivava dall’esistenza di iscrizioni relative al versamento di summae honorarie variamente elargite (Frei-Stolba 1989, p. 32, in part. nota 35 con una sintesi della documentazione epigrafica di supporto). Le iscrizioni, tuttavia, fanno riferimento a specifiche situazioni locali che non possono essere trasformate in paradigmi estendibile alla città di Roma.

400Sul tema cfr. Alpers 1995, pp. 120-142, con ricca bibliografia; Fasolini 2006, pp. 120, nota 44. 401 Da non confondere con i quaestores urbani: cfr. Corbier 1974, p. 643; Merola 2009, p. 508. 402Secondo Piganiol 1923, pp. 130-133, l’organizzazione dei giochi gladiatori sarebbe stata un’antica

prerogativa dei questori, successivamente sostituita dall’uso di finanziare opere pubbliche. In questa prospettiva, Claudio avrebbe semplicemente ripristinato una pregressa attribuzione questoria.

403 Imp(eratori) Caesari / Vespasiano Aug(usto), / pont(ifici) max(imo), tr(ibunicia) pot(estate) III,

/ imp(eratori) IIX, p(atri) p(atriae) co(n)s(uli) III des(ignato) IIII, / s(enatus) c(onsulto) / quod vias urbis / neglegentia / superiori tempor(is) / corruptas in/pensa sua restituit. Cfr. supra, 2.1.1 a pagina 59.

404 Per la formula pecunia sua Panciera 2006b, pp. 141-148 e Appendice – al quale rimando per i

dettagli – ha individuato trentaquattro ricorrenze epigrafiche in tutto l’impero. Le undici provenienti da Roma, che si concentrano soprattutto tra l’età di Claudio e l’età flavia, sono da ricondurre a interventi

L’età imperiale Il finanziamento degli interventi

indicazioni potessero essere impiegate in riferimento a fondi provenienti dall’erario405 o

dal patrimonium personale dell’imperatore, si può presumere che la dicitura intendesse sottolineare piuttosto l’utilizzo di sostanze del fiscus Caesaris. Pur accogliendo tale let- tura, anomala rimane l’assenza pressoché totale di tali formule nelle iscrizioni relative agli interventi imperiali sulla rete stradale406. In assonanza rispetto alle conclusioni di

S. Panciera, secondo cui l’utilizzo della formula de pecunia sua da parte di Claudio era strumentale ad accentuare la natura evergetica di un determinato intervento cui l’impe- ratore non era “obbligato”, è evidente che Vespasiano (o meglio, i suoi celebranti) si sia mosso secondo lo stesso principio: ponendo l’accento sulla natura dei fondi utilizzati, si intendeva marcare una netta discontinuità rispetto all’opera di Nerone.

Al fine di ricostruire i differenti canali di finanziamento cui si poteva ricorrere nel corso dell’età imperiale, particolarmente significativa mi sembra l’iscrizione CIL IX, 2922407,

della metà del II sec. d.C. L’epigrafe, già commentata408, attesta che Tito Flavio Germano

provvide a pavimentare due terzi della rete stradale della città. È pertanto verosimile ritenere che l’intervento sia stato affidato ad attori diversi: per due terzi al procuratore, che li avrebbe finanziati ricorrendo alla cassa imperiale; la restante parte – ma è considerazione

ex silentio – agli edili, che ricorrevano ai fondi erariali (salva diversa indicazione). Se

tale lettura cogliesse nel segno, si tratterebbe di una sorta di finanziamento “misto”, un esempio di compartecipazione delle due casse in occasione di attività manutentive di carattere straordinario.

Per l’età tardoantica la documentazione è evanescente. A partire dal regno di Costan- tino le competenze in materia stradale (e più in generale di lavori pubblici) erano state trasferite al prefetto urbano409, che godeva di un ottimo margine di autonomia, eccetto

nei casi in cui – complice la difficoltà di reperire i fondi necessari – era costretto a ricor-

sugli acquedotti, luoghi sacri, viabilità e costruzione di monumenti. Fuori Roma, invece, il fenomeno si attarda, poiché le attestazioni sono distribuite tra il regno di Domiziano e l’età severiana. Circa la tipologia di interventi, delle ventitré epigrafi individuate, oltre la metà riguardano le infrastrutture stradali (strade, ponti, etc), mentre le altre ricordano per lo più restauri di edifici civili e sacri.

405Si ricordi, a titolo d’esempio, il restauro del tempio siciliano di Venere Ericina restaurato da Claudio

ex aerario populu Romani (Suet., Claud., 25). Contra Kloft 1970, pp. 128-136, secondo cui era possibile ricorrere alla formula de pecnia sia anche in riferimento ai fondi dell’erario.

406

Panciera 2006b, p. 146.

407 CIL XIV, 2922: T(ito) Flavio T(iti) f(ilio) Germano / curatori triumphi felicissimi

/ Germanici secundi --- exornato / sacerdot(i) splendidissimo pontif(ici) minor(i) / proc(uratori) XX her(editatium) proc(uratori) patrimoni(i) proc(uratori) ludi / magni proc(uratori) ludi Matutini

proc(uratori) reg(ionum) urbi(s) / [a]diuncto sibi officio viarum / [ster]nendarum urbis partibus duabus / [proc(uratori)] XX her(editatium) Umbriae Tusciae Piceni / [region]is Campaniae

proc(uratori) ad alimenta / [Lucan(iae)] Brutt(iorum) Calabr(iae) et Apuliae / cur(atori) [sartor]um tectorum operum publ(icorum) / et aed(ium) [sacrar(um)] aed(ili) IIvir(o) flam(ini) divi Aug(usti) / II- vir(o) q(uin)q(uennali) patrono coloniae / Cerdo lib(ertus) patrono incomparabili / cum Flavis Maximino et Germano / et Rufino fili(i)s equo publ(ico) ornatis.

408Cfr. supra, 2.1.2 a pagina 62. 409Cfr. supra, 2.1.4 a pagina 68.

L’età imperiale Il finanziamento degli interventi

rere al sostegno dell’imperatore. Nonostante sia indubbio il continuo supporto finanziario garantito da quest’ultimo, è difficile tratteggiare le modalità attraverso il quale esso si esplicitava410. Il progressivo aggravarsi della situazione finanziaria, almeno a partire dal

regno di Costante I, aveva tuttavia indotto il princeps a stabilire che i prefetti urbani non stanziassero per i lavori pubblici una somma superiore a quella loro assegnata411. A Roma

non mancano però – in particolare durante periodi di difficoltà finanziarie – attività di re- stauro di opere pubbliche promosse dal prefetto urbano e finanziati con proventi derivanti da confische, come testimoniato per gli acquedotti durante il regno di Stilicone412. Nella

documentazione disponibile sono invece del tutto assenti, sfortunatamente, i riferimenti alle operazioni connesse con la rete stradale.

410Sul finanziamento dei lavori pubblici e per le competenze del prefetto urbano a Roma in età tardo

antica cfr. Chastagnol 1960, pp. 335-371.

411 C. Theod., 15.1.6: dem aa. ad Marcellinum comitem Orientis. Quae operibus publicis impensa

constiterit, accepto ferri oportere cognoscas. Dat. V non. octob. Constantinopoli Limenio et Catullino conss. (349 oct. 3).

412 L’iscrizione CIL IX, 4051 (398-399 d.C.) testimonia il restauro di un acquedotto – probabilmente

l’aqua Marcia – promosso dal prefetto urbano Quintilio Leto e finanziato con i beni confiscati a Gildone (Chastagnol 1960, p. 340). Per l’inquadramento dell’epigrafe cfr. Chastagnol 1962, pp. 251-252 e Orlandi 2011, p. 458. Per il restauro dell’aqua Claudia voluto dal prefetto urbano Nicomaco Flaviano cfr. C. Theod., 15.2.9: Idem aa. ad Flavianum praefectum Urbi. Ne quis claudiam interruptis formae lateribus adque perfossis sibi fraude elicita existimet vindicandam. Si quis contra fecerit, earum protinus aedium et locorum amissione multetur. Officium praeterea, cuius ad sollicitudinem operis huius custodia pertinebit, hac poena constringimus, ut tot librarum auri illatione multetur, quot uncias claudiae nostrae coniventia eius usurpatas fuisse constiterit. Dat. VI id. nov. Mediolano Stilichone et Aureliano conss. (400 nov. 8). In generale sulla sua attività a Roma: Chastagnol 1962, pp. 239-244.

Capitolo 3

Gli aspetti giuridici e normativi

3.1

Le strade urbane di Roma tra pubblico e privato

La condizione giuridica delle viae romane, intendendo il termine in senso lato, è stata da sempre argomento centrale negli studi di romanistica413. Le riflessioni della critica

moderna sono state dedicate in genere alla rete viaria extraurbana e alla servitù prediali414,

rispecchiando in un certo senso un’impostazione dominante già nella documentazione antica. L’esigenza di organizzare entro schematizzazioni fisse la varietà di regimi giuridici (pubblico, privato, sottoposto a servitù, etc.) cui erano sottoposti i vari percorsi stradali (viae, itinera, actus, etc.) originava infatti dalla necessità pratica di disporre di criteri di riferimento utili alla risoluzione delle controversie fondiarie in ambito extraurbano (da qui le riflessioni dei giuristi) o, in alternativa, da quella di stabilire la condizione giuridica di quegli elementi del paesaggio utilizzato come elementi di confine tra le proprietà (da qui le riflessioni dei gromatici). In questa sede, tuttavia, i complessi problemi sollevati in dottrina circa la natura giuridica delle viae saranno trattati solo in riferimento esclusivo al tema in discussione, ossia la natura delle vie urbane.

In considerazione del fatto che da Roma proviene una cospicua serie di iscrizioni che attestano l’esistenza di vie urbane a carattere privato, ciò su cui interessa porre l’atten- zione è la complessa dicotomia – di cui non si darà che un rapido riscontro – tra publicus e privatus. È quindi necessario stabilire innanzitutto quali siano stati i criteri alla base di tale distinzione, verificando al contempo se siano intercorse, durante i secoli, modifiche sostanziali all’interno della stessa dottrina antica. Converrà dunque chiedersi per quale motivo i giuristi, nel tentativo di individuare il discrimine tra vie pubbliche e private, facciano riferimento talvolta alla modalità di utilizzo dei tracciati, talaltra alla proprietà

413Per gli approfondimenti sul tema e per l’aggiornamento bibliografico rimando al recentissimo volume

Frühinsfeld 2017, interamente dedicato agli aspetti in seguito discussi.

414Si segnalano le principali sintesi sul tema: Franciosi 1967; Capogrossi Colognesi 1976; Palma

Aspetti giuridici e normativi Regime pubblico e privato

del terreno su cui esse insistono. Si legga, in proposito, la nota glossa di Festo, in cui il grammatico – che come noto attinge a fonti di età tardo repubblicana e della prima età augustea (Varrone, Verrio Flacco) – propone un primo paradigma di riferimento:

Fest., 508L415

Viae sunt et publicae, per quas ire ager omnibus licet, et privatae, quibus neminem uti praeter eorum quorum sunt.

Secondo lo schema proposto, sarebbe stato dunque il diverso tipo di esercizio delle vie416

a costituire il carattere distintivo tra vie pubbliche (utilizzabili da chiunque) e vie private (riservate ai soli proprietari del terreno). Tale assetto doveva essere ancora in vigore alla fine del I sec. d.C. se Giavoleno, giurista che ebbe il suo floruit in età traianea, ammette la possibilità che una strada pubblica (cioè in uso pubblico) potesse sorgere su un terreno non appartenente al populus417. Egli è dunque testimone di un orientamento volto a

fondare il carattere pubblico delle strade sul loro esercizio.

Un cambiamento significativo nella riflessione giurisprudenziale si registra nel periodo immediatamente successivo. Se in Pomponio, attivo in età antoniniana, non è ancora pos- sibile rintracciare in che misura la proprietà del terreno concorresse a definire il carattere pubblico della via418, in Ulpiano questo aspetto è ben chiarito:

Dig. 43.8.2.21-23 Ulp. 68 ad ed.419

21. Viam publicam eam dicimus, cuius etiam solum publicum est: non

enim sicuti in privata via, ita et in publica accipimus: viae privatae solum alienum est, ius tantum eundi et agendi nobis competit: viae autem publicae solum publicum est, relictum ad directum certis finibus latitudinis ab eo, qui ius publicandi habuit, ut ea publice iretur commearetur. 22. Viarum quaedam publicae sunt, quaedam privatae, quaedam vicinales. Publicas vias dicimus, quas Graeci Basilikas, nostri praetorias, alii consulares vias appellant. Pri- vatae sunt, quas agrarias quidam dicunt. Vicinales sunt viae, quae in vicis

415Trad.: «Ci sono le vie pubbliche, che sono quelle in cui è lecito a chiunque transitare, e le vie private,

in cui a nessuno al di fuori di coloro di cui sono (è lecito transitare)».

416

Palma 1982, p. 859.

417 Dig. 43.11.2 (Iav., ex Cass.): viam publicam populus non utendo amittere non potest. Trad. «Il

popolo, a causa del non utilizzo, non può perdere una strada pubblica». L’affermazione del giurista, infatti, non avrebbe alcun senso se il terreno fosse di proprietà statale; è evidente egli si riferisca ad un passaggio pubblico posto in una proprietà non pubblica (cfr. Capogrossi Colognesi 1976, II, p. 15; Palma 1982, pp. 864-865).

418

Capogrossi Colognesi 1976, II, p. 6 ha posto in evidenza come il noto passo Dig. 43.7.1 (Pomp., 30 ad Sab.) in realtà ribadisca semplicemente un aspetto scontato, ovvero che le vie pubbliche erano destinate all’uso pubblico; nulla aggiunge, invece, circa il ruolo giocato dalla pertinenza del terreno.

419 Trad.: «Noi definiamo via pubblica quella il cui suolo appartiene al popolo. [...] Nel caso di una

strada privata, il suolo appartiene ad altri, e noi abbiamo solo il diritto di camminarci e attraversarla; il suolo di una via pubblica, invece, è posseduto dalla comunità, ed è stato stabilito con riferimento a precisi confini da quanti avevano il diritto di renderlo pubblico, al fine di consentire a tutti di attraversarlo».

Aspetti giuridici e normativi Regime pubblico e privato

sunt vel quae in vicos ducunt: has quoque publicas esse quidam dicunt: quod ita verum est, si non ex collatione privatorum hoc iter constitutum est. Aliter atque si ex collatione privatorum reficiatur: nam si ex collatione privatorum reficiatur, non utique privata est: refectio enim idcirco de communi fit, quia usum utilitatemque communem habet 23. Privatae viae dupliciter accipi pos- sunt, vel hae, quae sunt in agris, quibus imposita est servitus, ut ad agrum alterius ducant, vel hae, quae ad agros ducunt, per quas omnibus commeare liceat, in quas exitur de via consulari et sic post illam excipit via vel iter vel actus ad villam ducens. Has ergo, quae post consularem excipiunt in villas vel in alias colonias ducentes, putem etiam ipsas publicas esse.

Il passo di Ulpiano certifica dunque una mutata concezione, poiché l’uso pubblico non sembra essere più sufficiente a garantire, da solo, il carattere pubblico della via, essendo condizione necessaria anche la pertinenza pubblica del suolo (etiam solum publicum est). Ciò è ulteriormente ribadito anche attraverso la netta contrapposizione con il regime delle vie private (non enim sicuti in privata via): il giurista severiano sembra sottintendere, per queste ultime, una separazione netta tra proprietà e utilizzo. È sorprendente, inoltre, la genericità con cui egli tratteggia il profilo delle vie private: viae privatae solum alienum

est, ius tantum eundi et agendi nobis competit. Non è chiaro, infatti, se lo ius eundi fosse

riservato ad alcuni specifici titolari di una servitù di passaggio o piuttosto esteso a chiunque fosse legittimato a servirsi di un sentiero privato, ma aperto al pubblico. Quest’ultima soluzione, tuttavia, sembra restituire una maggiore coerenza interna al testo. Ulpiano, il cui intento è quello di passare in rassegna le vie destinate a un uso pubblico, le distingue in pubbliche (di pertinenza pubblica) e private che, pur restando in proprietà privata, sono gravate dall’onere di fornire un passaggio pubblico.

È opportuno a questo punto rimarcare «il carattere eccentrico420» che l’aggettivo pri-

vatus assume in riferimento alle strade in Ulpiano e, più in generale, nei testi giuridici421.

I giuristi, le cui formulazioni hanno origine in genere da controversie tra soggetti, sono interessati alle strade che rivestono una “rilevanza pubblica”: le vie private cui fanno riferimento sono pertanto quelle in cui transito è consentito a una o più persone oltre al proprietario (come quelle che sunt in agris, sulle quali cioè è imposta una servitù di transito) o a chiunque (come quelle che ad agros ducunt, in cui omnibus commeare licet), mentre non sono prese in considerazione le strade poste nelle proprietà private e sui cui non grava alcun diritto di utilizzo da parte di terzi422.

420

Palma 1982, p. 854.

421

Capogrossi Colognesi 1976, II, p. 22.

422 Diversa è invece la prospettiva dei gromatici, che prendono in considerazione anche le vie in go-

dimento esclusivo dei proprietari. Per un approfondimento della tematica, che esula dagli obiettivi del lavoro, cfr. Capogrossi Colognesi 1976, II, pp. 37-51; Palma 1982, pp. 866-876.

Aspetti giuridici e normativi Regime pubblico e privato

Dopo questa premessa riguardante il regime giuridico delle vie così come codificato dai giuristi in riferimento alla viabilità extraurbana, è necessario volgere l’attenzione allo spazio urbano di Roma. Benché in ambito urbano la proprietà del suolo sul quale insiste- vano le strade fosse per lo più demaniale, non si può affermare che tutte le strade fossero pubbliche423.

N. Epigrafe Testo Luogo di ri-

trovamento

Datazione

1 CIL VI, 31285 Pr(ivatum) Stazione

Termini (archeologia)41-54 d.C.

2 CIL VI, 28786 Iter (sic) / privatum - -

3 CIL VI, 8862 Iter privatum a via publica per hortum pertinens ad monimentum

sive sepulchrum quod Agathopus Aug(usti) lib(ertus),

invitator,

vivus et Iunia Epictesis fecerunt. Ab iìs omnibus dolus malus abesto et

ius civile

- 150-200 d.C. (onomastica, paleografia)

4 CIL VI, 37305 Via pri(vata). XI Via Cassia,

vicino ponte Milvio

50-1 a.C. (paleografia) 5 CIL VI, 29781 M(arcus) Agrippa privat(um) iter Dal Tevere,

presso ponte Garibaldi

63-12 a.C. (prosopogra-

fia) 6 CIL VI, 29783 privatum / via privata / M. Hereni

A. f.(ilii) Dintorni di Roma, ad aquas Salvias (via Laurentina) -

7 CIL VI, 29788 Inter duos parietes ambitus privat(us) Flavi Sabini. Quirinale, Vigna Sadoledo 51-69 d.C. (prosopogra- fia)

8 CIL VI, 29785 via priv(ata) -

9 CIL I2, 2993 Iter privatum tribus Camilliae - 30 a.C.-30

d.C. Tabella 3.1 – Strade private a Roma.

423Così in Zaccaria-Ruggiu 1995, p. 264.

Aspetti giuridici e normativi Regime pubblico e privato

Da Roma, come anticipato, proviene un gruppo di iscrizioni dal contenuto abbastan-