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Empowerment attraverso il training cognitivo e l'esercizio fisico

2.4 Effetti trasversali dell'esercizio fisico sulle funzioni cognitive di alto livello

2.4.3 Flessibilità cognitiva ed esercizio fisico

La principale caratteristica della flessibilità cognitiva è la capacità di cambiare prospettiva (es. dal punto di vista spaziale o interpersonale); per fare ciò è necessario inibire prospettive precedenti e "caricarne", all'interno della WM, altre diverse. Per questo motivo risulta indispensabile la co-attivazione di vari sottoprocessi di ordine superiore, inclusi il controllo inibitorio e la WM (Diamond, 2013). Un altro aspetto della flessibilità cognitiva implica la capacità di cambiare ciò che pensiamo rispetto a un dato aspetto della realtà e riorganizzare i dati per adattarsi ai cambiamenti. Una famiglia specifica di abilità che sono incluse all'interno della flessibilità cognitiva è la fluenza, in particolare la fluenza

fonemica e semantica. I compiti designati per valutare tale capacità richiedono di

comunicare tutte le parole che vengono in mente con una data lettera iniziale (fluenza fonemica), oppure riferire parole appartenenti ad una categoria specifica di riferimento (es. tutti i nomi di animali che iniziano per S; fluenza semantica) (Baldo & Shimamura, 1997; Baldo, Shimamura, Delis, Kramer, & Kaplan, 2001; Chi et al., 2012; Van der Elst, Hurks, Wassenberg, Meijs, & Jolles, 2011).

La flessibilità cognitiva viene indagata usando una serie molto ampia di strumenti psicometrici, che implicano al loro interno anche le capacità di task switching e set-

shifting; uno degli strumenti più utilizzati a questo fine è il Wisconsin Card Sorting Task

(Milner, 1964; Stuss et al., 2000), che viene impiegato soprattutto per la valutazione della funzionalità della corteccia prefrontale. Il test consiste in una serie di carte suddivise in base alle caratteristiche degli stimoli: colore, forma e numero. Il compito è quello di dedurre il criterio corretto di categorizzazione sulla base dei feedback dello sperimentatore, tenendo a mente che le regole e i criteri vengono continuamente modificati durante il task. Altri paradigmi utilizzati nella valutazione delle abilità legate alla flessibilità cognitiva, consistono ad esempio nell'indicare (a) se una lettera è una vocale o una consonante, (b) se un numero è pari o dispari (es., Monsell, 2003), (c) se uno stimolo è sulla sinistra o sulla destra di uno schermo (es., Meiran, 1996), o ancora (d) se uno stimolo è di un determinato colore o di una determinata forma (es., Allport & Wylie, 2000). Di norma la risposta viene data premendo un tasto, in relazione alle caratteristiche dello stimolo alle quali bisogna

dare una risposta. La maggior parte degli stimoli sono bivalenti, cioè presentano caratteristiche rilevanti per ciascuno dei compiti e la risposta corretta per un compito è sbagliata per un altro (es. A2, la risposta corretta per la lettera A è quella di premere il tasto di destra perché si tratta di una vocale, mentre la risposta corretta per il numero pari sarebbe quella di premere il tasto di sinistra).

Dal punto di vista della valutazione neuroelettrica per ciò che concerne i parametri della flessibilità cognitiva, anche in questo caso, viene preso in considerazione la componente dell'ERN (valutata per l'AM). È ormai stabilito con chiarezza che l'ampiezza dell'ERN è aumentata quando viene richiesto esplicitamente, di controllare l'accuratezza della risposta a discapito del fattore temporale durante un compito cognitivo, e ciò sembra riflettere l'aumento della salienza dell'errore (Gehring et al., 1993) o la variazione del focus dell'attenzione a causa dell'enfasi posta sulla risposta corretta (Yeung, Botvinick, & Cohen, 2004). Sembrerebbe che indurre a rispondere ponendo attenzione sulla necessità di farlo in modo più accurato possibile richiede una maggiore regolazione da parte delle capacità di controllo cognitivo, rispetto al fattore velocità di risposta. Themanson, Pontifex, e Hillman, (2008), manipolando tale aspetto (istruzioni legate all'accuratezza vs velocità), hanno indagato la relazione tra il fitness aerobico e l'ERN in giovani adulti, dimostrando che più alti livelli di fitness erano associati ad ampiezze minori di tale componente. Nonostante i dati hanno dimostrato la presenza di un aumento dei livelli di post-errore durante la fase

accuratezza, rispetto alla fase velocità, i soggetti più fit mostravano comunque un numero

inferiore degli stessi rispetto al gruppo di controllo (Themanson et al., 2008). Pontifex et al. (2011) hanno esteso tale relazione tra flessibilità cognitiva e fitness in un gruppo di preadolescenti, manipolando la compatibilità tra stimolo-risposta attraverso una versione modificata del flanker task. Nella condizione stimolo-risposta compatibile, il compito dei partecipanti era quello di premere un tasto in accordo con la direzione della freccia presentata al centro dello schermo, mentre nella condizione incompatibile era richiesto di premere il tasto opposto alla direzione della freccia stessa. Il criterio razionale di riferimento che sottende tale modello consiste nella condizione d’incompatibilità che richiede livelli di flessibilità superiori, a causa di una maggiore modulazione da parte del controllo cognitivo necessario (Friedman, Nessler, Cycowicz, & Horton, 2009). Pontifex et al. (2011) riscontrarono che i soggetti adolescenti con più alti livelli di fitness cardiovascolare mostravano una accuratezza maggiore in tutte le condizioni, mentre i soggetti con livelli più bassi di tale fattore esibivano un numero superiore di errori nelle due condizioni. Dalle analisi dei parametri elettroencefalografici, una conferma di tale

differenza emerge in riferimento alle ampiezze della P300, le quali erano superiori nelle condizioni incompatibili solo nel gruppo dei soggetti più fit (Pontifex et al. 2011). Anche i parametri relativi all'ERN presentavano la stessa tendenza, confermando i risultati riscontrati nel campione di soggetti adulti di Themanson et al. (2008); in particolare livelli più bassi di tale componente comunicano una riduzione del conflitto durante le fasi con maggiore interferenza. Tali risultati suggeriscono che livelli più elevati di cardiofitness (sia in adulti che in bambini) sembrano influenzare positivamente le capacità di flessibilità e nello specifico di controllo cognitivo, dimostrando capacità maggiori di ottimizzare l'effetto dell'interferenza.

Ricerche parallele hanno indagato tali parametri utilizzando tasks più tradizionali; la flessibilità cognitiva viene spesso valutata tramite paradigmi basati sull'abilità di task-

switching. I test implicano la capacità di prestare attenzione ai vari stimoli ambientali,

inibire risposte interferenti, mantenere una serie di regole attive in WM e modulare la risposta avendo cura di seguire tali regole. Un esempio paradigmatico di tali strumenti consiste in una serie di condizioni omogenee e disomogenee: le condizioni omogenee includono un singolo set di regole (es. AAAAA... o BBBBBB) e richiedono ai soggetti di rispondere in base agli stimoli che vengono presentati; le condizioni disomogenee sono composte da due o più compiti (set di regole multiple) e il compito è quello di switch da un set di regole a un altro durante i vari trial (es. ABABAB...o AABBAA). Di norma i TR per le condizioni disomogenee sono in media più elevati, e tale differenza rispetto alle condizioni omogenee viene definita "global switch cost” (Bojko, Kramer, & Peterson, 2004; Rogers & Monsell, 1995); esso deriva dall'elaborazione necessaria per il mantenimento attivo delle regole in WM (Kray & Lindenberger, 2000; Rogers & Monsell, 1995).

Diverse ricerche hanno applicato il paradigma suddetto, mettendo a confronto soggetti “attivi” e “non attivi” (es. Hillman et al., 2006; Kamijo & Takeda, 2010) in un campione di giovani adulti e individui anziani. I risultati hanno dimostrato che i soggetti attivi presentavano latenze inferiori per la P300 rispetto ai soggetti sedentari per le condizioni eterogenee ma non per quelle omogenee. In altri termini, le differenze tra i gruppi emergevano solo per quei tasks nei quali fosse necessario un carico superiore in WM e una maggiore flessibilità cognitiva; i risultati dimostrano quindi che il costo cognitivo necessario (global switch cost) per portare a termine il task sia inferiore per i soggetti fisicamente attivi con una velocità di elaborazione superiore.

La flessibilità cognitiva implica numerose abilità cognitive, che sono accomunate dalla capacità di modulare le risposte in base alle informazioni provenienti dal contesto. Tra queste abilità si possono inserire anche quelle relative alla capacità di accedere in modo veloce ed accurato alle strutture conoscitive del pensiero. L'essere umano organizza la conoscenza in strutture ed insiemi dotati di significato, che vengono definiti categorie. Tale organizzazione della conoscenza permette agli individui di recuperare le informazioni e trarre inferenze rispetto alla realtà. La valutazione di questa abilità viene fatta tramite strumenti che portano il soggetto ad accedere ai magazzini della memoria semantica, ovvero test di fluenza categoriale (o semantica) e fluenza fonemica; in questi ultimi sono compresi compiti in cui si chiede di generare parole che iniziano con una specifica lettera (fluenza verbale per categorie fonemiche) o che appartengono alla stessa categoria semantica (fluenza verbale per categorie semantiche). Si tratta di metodi di valutazione che sono inclusi spesso in batterie di questionari atti ad effettuare screening cognitivi per deficit neurodegenerativi. Non sorprende quindi che tale valutazione sia stata condotta con soggetti anziani dopo training sportivi di varia natura. Ad esempio Lam et al. (2009) in uno studio trasversale, hanno dimostrato una associazione positiva tra esercizio fisico (esercizio aerobico e esercizio integrato mente-corpo) e diversi parametri della flessibilità cognitiva, inclusa la fluenza. Risultati simili sono stati riscontrati da Wang et al. (2013), mentre Chan et al. (2005), in una ricerca che indagava gli effetti dell'esercizio cardiovascolare sulla memoria, hanno riscontrato una debole relazione con le funzioni linguistiche. Uno dei motivi più plausibili risiede nella questione ancora dibattuta rispetto alla possibilità che l'esercizio fisico possa modificare funzioni cognitive considerate più stabili e meno variabili nel tempo.

Nonostante la presenza in letteratura di dati che favoriscono la conferma di una relazione positiva tra l'esercizio fisico a lungo termine e le diverse sottocomponenti della flessibilità cognitiva, ricerche hanno riscontrato risultati discordanti, soprattutto nel momento in cui entrano in gioco le caratteristiche relative alle difficoltà e alla complessità del compito. Mentre Hillman et al. (2006) hanno utilizzato tasks che coinvolgevano stimoli semplici (es. discernere tra una serie di numeri presentati visivamente e rispondere solo al numero 5 oppure rispondere solo a numeri pari o dispari), Scisco, Leynes, e Kang (2008) hanno impiegato tasks con stimoli ben più complessi: ad esempio ai partecipanti veniva richiesto di giudicare la grandezza in termini di quantità per numeri doppi (11 e 99, e giudicare se è più piccolo o più grande di 50) oppure se la somma di due numeri fosse più

grande o più piccola di 10. È possibile che compiti così costruiti implichino capacità superiori che eccedono ciò che può essere modificato dal semplice esercizio fisico.

Kamijo e Takeda (2010) hanno testato questa ipotesi creando un paradigma che prevedeva la variazione tra la difficoltà dei tasks; i compiti più semplici erano quelli in cui bisognava discriminare la grandezza numerica (caratterizzati da TR inferiori e accuratezza maggiore), rispetto ai tasks di discriminazione pari/dispari. Gli autori hanno riscontrato una relazione diretta tra esercizio fisico a lungo termine, TR e ampiezza della P300 come segno di miglioramento del controllo cognitivo, solo per i tasks più semplici (Kamijo & Takeda, 2010). Questi risultati, assieme a tutte le evidenze relative alla variabilità dei parametri elettroencefalografici, e in particolare della P300 in relazione alle difficoltà dei compiti (McCarthy & Donchin, 1981; Polich, 1987; Pontifex, Hillman, Fernhall, Thompson, & Valentini, 2009; Pontifex, Hillman, & Polich, 2009), dimostrano la possibilità che metodologie più complesse di valutazione interagiscono negativamente in test che necessitano flessibilità cognitiva. Tali risultati discordanti inducono a dover esplorare maggiormente nel dettaglio l'interferenza legata alla difficoltà dei tasks cercando di comprenderne i fattori sottostanti.