Empowerment attraverso il training cognitivo e l'esercizio fisico
2.5 Relazione tra caratteristiche “qualitative” dell’attività fisica e la cognizione
Nonostante alcune ricerche hanno analizzato gli effetti di varie tipologie di attività fisica, pochi studi abbracciano una prospettiva più complessa, cioè quella di fornire le basi per distinguere quali siano le qualità fondamentali affinché una determinata attività fisica possa influenzare funzioni cognitive specifiche.
Come è stato sottolineato precedentemente, la maggior parte delle ricerche che hanno analizzato la relazione tra l’esercizio fisico e la cognizione, si sono concentrate sugli effetti che riguardano la “quantità” dell’esercizio fisico, piuttosto che la “qualità”. Ciò ha condotto a mettere a confronto, ad esempio, l’attività fisica acuta con quella cronica, valutando gli effetti a lungo termine tramite programmi di training o dopo singole sessioni di esercizio; poche ricerche hanno invece messo a confronto tipi diversi di pratica. I ricercatori si sono concentrati su fattori legati all’attività di cardiofitness, variando soprattutto parametri come l’intensità, la durata e la frequenza dell’esercizio fisico; tra le capacità cognitive analizzate, la performance riguardava o funzioni cognitive di alto livello, oppure funzioni non esecutive, anche se è stata dimostrata una preferenza
soprattutto per le prime (Etnier & Chang, 2009). Ad esempio, all’interno della ricerca sugli effetti a lungo termine dell’esercizio fisico, sono state manipolate variabili come la frequenza delle sessioni settimanali, la durata delle singole sessioni e il periodo complessivo dei training, ma i risultati non sono stati chiari a causa del fatto che spesso queste variabili venivano covariate tra di loro (Colcombe et al., 2004). Per ciò che riguarda invece gli effetti a breve termine, i ricercatori hanno messo a confronto prevalentemente variabili come l’intensità dell’attività fisica, cercando di individuare i livelli minimi affinchè si potesse implementare una reale modificabilità (Keightley et al., 2003; Schneider, Askew, Abel, Mierau & Struder, 2010; Schneider, Askew, et al., 2009; Woo, Kim, Kim, Petruzzello, & Hatfield, 2009). Queste ricerche hanno permesso di dimostrare che dal punto di vista neurofisiologico, i meccanismi sottostanti alla modificabilità cerebrale sembrano essere diversi: mentre nell’esercizio fisico a lungo termine i fattori che mediano la relazione tra il fitness cardiovascolare e la cognizione, includono meccanismi complessi che favoriscono la connettività soprattutto nelle aree pre-frontali, alla base invece della singola attività i cambiamenti sembrano essere indotti da variazioni del livello di arousal, dall’aumento delle catecolamine e da altri fattori fisiologici (Ferris, Williams, & Shen, 2007; Lambourne & Tomporowski, 2010; McMorris, 2009).
Ciò che è assente all’interno della letteratura attuale riguarda le variazioni di caratteristiche “qualitative” dell’attività fisica (Pesce, 2012); ci si è concentrati soprattutto sull’attività cardiovascolare, a confronto con attività statiche (aerobic training vs. stretching), e pochissimi studi hanno invece analizzato i vari tipi di attività all’interno della stessa ricerca (es. Fedewa & Ahn, 2011). Solo di recente alcuni autori hanno iniziato ad indagare gli effetti di altri tipi di attività fisica oltre al classico esercizio aerobico, come training di resistenza (Liu-Ambrose et al., 2011), esercizi integrati mente-corpo (Matthews & Williams, 2008), stretching training (Patar & Mondal, 2017) e training di coordinazione (Voelcker-Rehage et al., 2011). Ad esempio, Voelcker-Rehage et al. (2011) hanno riportato miglioramenti nella performance di soggetti anziani in compiti visuo-spaziali associati a cambiamenti nelle aree frontali e parietali durante l’esecuzione dei tasks, dopo la partecipazione a training di coordinazione, a confronto con rilassamento e stretching; tali variazioni potevano essere considerate sovrapponibili a quelle che seguono la pratica dell’attività cardiovascolare. Anche in questo caso, evidenze neurobiologiche hanno dimostrato che nonostante tutti i tipi di attività fisica sopra elencati abbiano effetti diversificati sulla cognizione, sembra che i processi sottostanti a tali cambiamenti possano essere diversi. Ad esempio, Cassilhas et al. (2012), hanno dimostrato che training aerobici
e di resistenza migliorano entrambi la memoria spaziale, ma tramite meccanismi diversi: mentre l’esercizio aerobico migliora tale funzione modulando la produzione del BDNF nell’ippocampo, i training di resistenza hanno invece effetti più marcati sul fattore di crescita IGF-1.
La rilevanza delle caratteristiche qualitative viene soprattutto da quegli studi che hanno analizzato aspetti specifici dell’apprendimento di capacità motorie (Carey, Bhatt, & Nagpal, 2005); alcune attività sportive sono caratterizzate da pattern di movimenti complessi, i quali devono essere svolti all’interno di uno spazio tridimensionale, che richiedono il coinvolgimento ampio di funzioni che vanno al di là di quelle prettamente motorie (es. capacità visuo-spaziali, WM, e FE). Sono numerose le caratteristiche “qualitative” che possono essere la causa degli effetti diversificati (es. equilibrio, ritmo, coordinazione, complessità cognitiva e motoria dell’attività stessa, strategie mentali necessarie e attivazione emotiva), e ciò ha condotto i ricercatori, negli ultimi anni, a prendere in considerazione la possibilità che le attività complesse possono condurre a cambiamenti più ampi, supponendo che la complessità cognitiva dell’attività motoria scelta potrebbe favorire non solo la componente strutturale, ma anche l’efficienza del cervello in termini di “software” (Davis et al., 2011). Nonostante si ipotizzi una relazione lineare tra la complessità dell’attività e il numero delle funzioni cognitive influenzate, la maggior parte delle ricerche che hanno preso in considerazione attività motorie complesse, si sono focalizzate soprattutto sulle abilità spaziali (Jansen, Titze, & Heil, 2009; Moreau, Clerc, Mansy-Dannay & Guerrien, 2012).
Alcuni autori sostengono l’idea che l’attività fisica, se adeguatamente modificata affinché incorpori al suo interno stimolazioni cognitive, potrebbe da sola essere considerata un training a tutti gli effetti (Moreau & Conway, 2014). Una review che ha analizzato le metodologie maggiormente adatte a incrementare le FE nei soggetti in via di sviluppo, ha sottolineato che nonostante siano efficaci sia i training computerizzati che quelli sportivi, i
training grosso-motori hanno la facoltà di incorporare al suo interno stimoli diversificati e
con complessità crescenti. La caratteristica di queste attività risiede proprio nella necessità di apprendere capacità sempre più complesse e nuove, con un coinvolgimento mentale che è tipico della progressione a stadi, che porta nel tempo a livelli più alti di autonomia e automaticità (Schmidt & Wrisberg, 2004). I vantaggi di un intervento multiplo basato sul movimento (movement-based), che incorpora al suo interno altre componenti come l’autoregolazione e la mindfulness, sono stati testati empiricamente con risultati
incoraggianti, sia in adulti che in bambini (es. Chang, Nien, Tsai, & Etnier, 2010; Gothe, Pontifex, Hillman, & McAuley, 2013; Wayne & Kaptchuk, 2008).
Hill, et al. (2010), sostengono la necessità di esplorare come gli effetti dell’attività fisica sulla cognizione possano variare rispetto alle caratteristiche di ciascuna, ma soprattutto come la funzione della complessità coordinativa e cognitiva dell’attività possa avere esiti diversificati. Manipolando la dose della coordinazione necessaria e le richieste cognitive, è possibile favorire lo sviluppo delle funzioni di alto livello: svolgere sempre le stesse attività, le quali non aumentano di difficoltà nel tempo, non favorisce lo sviluppo cognitivo (es. FE; Diamond & Lee, 2011). A tal proposito autori hanno dimostrato che l’incremento di funzioni cognitive di alto livello può derivare anche dall’esposizione temporanea a singole sessioni di una attività motoria complessa, come le arti marziali, probabilmente a casua delle richieste di attivazione cerebrale superiore rispetto ad una attività ripetitiva come la camminata (Douris et al., 2015). Lakes e Hoyt (2004) hanno riscontrato che la pratica di uno sport complesso come l’arte marziale (tae-kwon-do) può portare a numerosi benefici, soprattutto per le FE, dimostrando inoltre la generalizzabilità a contesti multipli. Diamond e Lee (2011) sostengono che i benefici delle arti marziali derivano dalla presenza, al suo interno, non solo della stimolazione motoria, quanto piuttosto delle richieste sia cognitive (che aumentano gradualmente, ad esempio inibizione e autoregolazione) sia affettive che questa attività incorpora.
Anche una attività sportiva creata ad hoc, cioè disegnata affinché possa incrementare una specifica funzione cognitiva, è stata sottoposta di recente a una valutazione empirica. Moreau et al. (2015), basandosi sul presupposto che la WM può essere considerata una base per numerose operazioni cognitive (Kane et al., 2004) e, che allenata, può condurre a effetti trasversali, hanno creato una attività motoria complessa che includeva al suo interno la stimolazione delle abilità spaziali e di WM. Ad esempio, ai soggetti veniva chiesto di svolgere sequenze di movimenti (simili al wrestling) che implicavano una coordinazione tra informazione percettive e propriocettive, e di valutare le azioni più adeguate da svolgere (ad esempio per liberarsi), all’interno di situazioni problematiche sempre più complesse (Moreau et al., 2015). Dopo otto settimane i soggetti sottoposti ai training motori complessi, mostrarono un miglioramento in numerose funzioni cognitive, dimostrando l’efficacia di programmi personalizzati, i quali possono essere creati ad hoc per favorire benefici diversificati.
Moreau (2015), abbracciando una nuova prospettiva, applicata all’interno del contesto educativo, sostiene che vi siano numerose motivazioni valide affinché si possa
proporre una fusione (attività cognitiva e attività fisica) all’interno di uno stesso approccio. Facendo riferimento soprattutto al contesto educativo, in primo luogo, Moreau (2015) afferma che il tempo a disposizione è limitato, per cui indurre una stimolazione cognitiva tramite training classici, con l’ausilio ad esempio di software computerizzati, favorirebbe solo singole funzioni cognitive; un approccio integrato permetterebbe di superare i limiti, in quanto l’unione tra attività fisica e cognitiva stimola più funzioni in un tempo limitato (thinking while moving). In secondo luogo l’approccio integrato potrebbe essere una sfida psicologica: dal momento che i vari organi competono tra di loro per avere il sostentamento, il cervello è costretto a lavorare in maniera più efficiente, cioè ad elaborare le informazioni più velocemente, ma con meno risorse a disposizione (Gómez-Pinilla, 2008). Si ha la consapevolezza della difficoltà di svolgere compiti cognitivi complessi durante l’attività fisica e tale difficoltà cresce all’aumentare dell’intensità dell’attività; riconducendo ciò all’interno dello schema classico dei training cognitivi, la difficoltà può essere variata incrementando gradualmente la velocità, ma mantenendo le richieste del task costanti (Moreau, 2015). Adattando il regime dei training, si costringe il cervello a lavorare di più ma con meno sostentamento, e quindi l’acquisizione delle nuove capacità deriva dalla tendenza naturale ad aumentare l’efficienza con il tempo, riducendo però il coinvolgimento di un numero minore di aree corticali (Wiesmann & Ishai, 2011). In terzo luogo, numerose ricerche hanno dimostrato che l’attività motoria può essere considerata un meccanismo compensatorio che può facilitare il funzionamento cognitivo, soprattutto nei soggetti che presentano difficoltà nel controllo degli impulsi e nella concentrazione (es. Deficit di Attenzione e Iperattività, ADHD; Archer & Kostrzewa, 2012). Il coinvolgimento in attività cognitive durante la pratica dell’esercizio fisico, può essere considerata come una sorta di “training cognitivo grosso-motorio”, con effetti evidenti a livello trasversale su più funzioni; difatti, è stato dimostrato che il coinvolgimento in attività che implicano il training di abilità di coordinazione esecutiva, migliorano le capacità di controllo cognitivo che si trasferiscono a domini più remoti (Alesi et al., 2014; Hertzog, Kramer, Wilson, & Lindenberger, 2009; Zelinski, 2009).
La cardiovascular fitness hypothesis (North, McCullagh, & Tran, 1990) è il modello che maggiormente è stato utilizzato per spiegare l'effetto dell'esercizio aerobico sulla cognizione, sostenendo che l'aumento dei livelli di cardiofitness sia il fattore predittivo dei miglioramenti legati alla pratica dell'esercizio fisico; i fattori sottostanti responsabili di tipo neurobiologico (aumento del flusso sanguigno cerebrale, variazioni del BDNF e influenza diretta su determinate strutture cerebrali) sembrano essere indotti
dall'aumento di tali parametri (Cotman & Berchtold, 2002; Van Boxtel et al., 1997). Ciononostante, evidenze provenienti da studi meta-analitici (Colcombe & Kramer, 2006; Etnier et al., 2006) hanno dimostrato che tale fattore non può essere considerato l'unico responsabile, e che le altre variabili di mediazione non siano state ancora pienamente identificate.
La possibilità di mettere appunto training che stimolino contemporaneamente il sistema fisiologico insieme al sistema percettivo e a diversi altri meccanismi cognitivi, potrebbe essere considerata la via più adatta affinché tali miglioramenti possano essere generalizzati a molteplici contesti di vita quotidiana. Numerosi dati sono emersi a sostegno dell'idea che le aree cerebrali maggiormente coinvolte siano le aree prefrontali, con benefici che abbracciano prevalentemente le componenti di controllo esecutivo. Detto ciò, le FE potrebbero trarre maggiore vantaggio da training che non solo conducano ad una capacità aerobica superiore (promuovendo un adattamento fisiologico legato ad un superiore irroramento sanguigno nelle varie aree cerebrali; ricambio neurotrasmettitoriale; ecc.) ma che stimolino direttamente le componenti esecutive tramite task comportamentali (es. pianificazione, inibizione, ecc). Programmi così costruiti potrebbero indurre effetti maggiormente duraturi e generalizzabili a più contesti e funzioni.