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Le fonti agiografiche: generi e forme

Nel documento Relatori Prof. F (pagine 67-72)

CAPITOLO II LA DECAPITAZIONE COME ATTO PRODIGIOSO

1. La vita dei santi e la loro letteratura: per una storia agiografica del tema

1.1. Le fonti agiografiche: generi e forme

La parola “agiografia” non esisteva a quel tempo o almeno nel senso in cui la intendiamo oggi. Infatti il termine nasce soltanto due secoli fa. Inizialmente utilizzata per designare la “scienza” dei professionisti dei santi, chiamati a partire del XVII secolo, agiografi, la parola viene a poco a poco impiegata per indicare un vero e proprio corpus letterario. Oggi questa “letteratura” diventa, non senza difficoltà, oggetto di ricerca anche per la storia.

Le fonti agiografiche, sia documentarie che letterarie, costituiscono una parte molto importante delle produzioni medievali. Nonostante la loro estrema diversità, questi testi hanno come punto comune l’interesse per la vita dei santi e per il loro culto. Il documento agiografico è quindi essenzialmente religioso e propone di promuovere un culto per l’edificazione dei cristiani3. Il documento agiografico è caratterizzato anche da un’organizzazione testuale in cui sono spiegate le possibilità implicite nel titolo attribuito precedentemente a questo tipo di narrativa: acta o, successivamente, acta

sanctorum e acta martyrum4. La combinazione di atti, luoghi e temi indica una struttura adeguata che non si limita soltanto a narrare le vicende. Ogni vita è piuttosto da considerarsi come un sistema che organizza un evento con una combinazione topologica di virtù e miracoli.

Le fonti documentarie – calendari e martirologi - hanno tutte uno scopo liturgico. Sono preziose testimonianze dei santi, del loro culto e della loro influenza su tutta la cristianità. La distinzione tra calendario e martirologio a volte può sembrare formale. Il calendario ha la forma di una tabella che divide l’anno in mesi e giorni. Si trova molto spesso nei libri liturgici come i sacramentari, messali, pontificali, libri d’ore. Riprende la suddivisione romana del mese in calende, none e idi, alle quali aggiunge

3 Hippolyte DELEHAYE, op.cit., p. 2.

4 Termine con cui in seguito, venne indicata anche una delle più importanti collezioni agiografiche, gli Acta sanctorum, un lavoro della Compagnia dei Bollandisti il cui fondatore fu il gesuita Jean Bolland. Iniziata nel 1643, questa raccolta di sessantasei volumi fu portata avanti per tre secoli senza essere completata.

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a volte, indicazioni astrologiche come i segni zodiacali o delle informazioni inerenti alle stagioni. A queste istruzioni pratiche si aggiungono quelle di natura liturgica organizzate in due cicli: il ciclo temporale che celebra gli anniversari della vita di Cristo con le due festività più importanti: Natale e Pasqua, e il ciclo santorale che rende conto delle feste dei santi nel corso di tutto l’anno (i martiri, gli apostoli). Questi calendari costituiscono un fondo considerevole che è stato parzialmente studiato. Con questi documenti, testimoni della vita liturgica di una comunità cristiana con culti particolari, si possono conoscere il mese e il giorno in cui è apparso il culto del santo, la sua distribuzione geografica e le forme prese dal culto in momenti differenti.

Anche i martirologi, divisi in mesi e giorni, presentano l’elenco dei santi e dei martiri dei quali la Chiesa celebra il culto. Il giorno solitamente scelto è il giorno della morte, il dies natalis, “il giorno di nascita” nella vita futura. I primi martirologi sono rudimentali, limitati al nome del martire accompagnato da una indicazione topografica. Ma a partire da Beda il Venerabile, il quale scrisse verso il 731 d.C. un importante martirologio, diventa di uso comune presentare il riassunto della vita di un santo insistendo sulle circostanze della sua morte. Il martirologio fa parte dei libri liturgici in quanto consente alla comunità cristiana di commemorare il ciclo annuale dei martiri e dei santi sia della Chiesa locale e della Chiesa universale. Tutti i martirologi vengono ricopiati, modificati e abrogati a seconda delle necessità liturgiche delle diverse comunità. Alcuni, come ad esempio quello di Adon di Vienne, forniscono informazioni molto dettagliate partendo dalle passioni e le vite dei santi. Questo tipo di martirologio prolisso è un’anticipazione dei leggendari apparsi in seguito nel XIII secolo. Il primo, intitolato Abbrevatio in gestis et miraculis sanctorum, è un’opera di Jean de Mailly del 1225.

L’abitudine di leggere le vite dei santi e i loro miracoli in sostituzione alle lezioni scritturali o patristiche cresce sempre di più. Ed è proprio in queste lezioni che leggiamo il riassunto della vita dei santi commemorata: legenda, è infatti il testo che “si deve leggere”. I termini leggenda e leggendario in agiografia si discostano dal senso moderno della parola, ovvero quello di un racconto più o meno fantastico.

Le fonti agiografiche sono state oggetto di importanti studi. L’edizione di questi testi letterari porta alla creazione di collezioni voluminose. Si distingue tra i diversi tipi di opere agiografiche: gli atti, le passioni, le vite, le inventiones, le traslazioni ed i

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miracoli. Ciascuna categoria obbedisce a delle regole e dei modelli anche se gli autori tendono a una forte commistione. È frequente che la vita di un santo integri la sua morte, il racconto dei suoi miracoli e la storia delle sue reliquie.

La letteratura agiografica nasce con gli acta e le passioni che raccontano gli ultimi momenti della vita dei martiri. I primi atti furono scritti sulla base delle registrazioni ufficiali preparate dai cancellieri tributari in presenza del proconsole romano o delle testimonianze cristiane oculari del martirio. Quando le storie sono indirizzate al pubblico, gli autori di queste opere caricano di maggior pathos gli episodi della persecuzione, della morte e gli ultimi istanti del martirio. Da quel momento, la narrazione sostituisce gradualmente il dialogo degli atti che riproducono l’interrogatorio del martire durante il suo processo.

La passione invece, che nasce a un’epoca successiva rispetto gli acta, assume una forma più letteraria seguendo un piano più uniforme: persecuzioni - arresto - prigione - processo - confessione - morte. Alcune passioni di martiri esercitano una notevole influenza sui cristiani del Medioevo, come nel caso del martirio di Policarpo, della

Passione di Cipriano o della Passione di Perpetua.

Lo scopo delle vitae è quello di raccontare la vita del santo secondo il modello degli antichi biografi: dalla nascita alla morte. Le prime vitae riguardano i martiri la cui esistenza era più importante del martirio. Una delle prime vite fu quella di san Cipriano, vescovo di Cartagine, martirizzato intorno al 257 d.C. L’autore è Ponzio, il quale attraverso quest’opera, volle dimostrare l’eminenza del santo dovuta non solo al martirio subito ma anche al modo in cui conseguì l’episcopato. Ma sono soprattutto i santi confessori che le vite celebrano: vite di vescovi come quella di Ambrogio da Milano per mano del suo segretario, Paolino. Molto presto anche gli asceti eserciteranno un grande fascino sul popolo cristiano. La più illustre di queste vite ascetiche è quella di sant’Antonio, scritta intorno al 360 d.C. da Atanasio d'Alessandria e in seguito tradotta in latino. La Vita di Martino, che venne composta immediatamente dopo la morte di Martino da Sulpicio Severo nel 397 d.C. e che presentava il modello dell'asceta diventato vescovo, esercitò ugualmente una grande influenza in Occidente. Gli autori delle vite sono interessati agli episodi più significativi dell’esistenza del santo. Fra i diversi autori possiamo ritrovare un celebre scrittore o un chierico. Non a caso i luoghi in cui si sviluppano questi generi letterari sono gli scriptoria monastici

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ed ecclesiastici5. L’avvento del monachesimo, sancito dalla stesura dei Dialoghi di Gregorio Magno dove vengono narrate le vicende di san Benedetto da Norcia, finisce per affermare il ruolo di questo genere letterario. Nel corso del VII e VIII secolo le figure dei monaci, le quali avevano ormai avviato un processo di evangelizzazione nel mondo, vengono affiancate da figure di nobili confessori. L’età carolingia apporta un profondo cambiamento alla letteratura agiografica che inizia ad aprire dibattiti in diversi campi. Ricordiamo l’Admonitio generalis di Carlo Magno in cui vengono trattati argomenti inerenti ai santi e alle loro reliquie6.

Sebbene le vite e le passioni pongano l’accento sui miracoli compiuti dal santo durante la sua vita o dopo la sua morte, la raccolta di miracoli raggiunge un grande successo fin dall’inizio del Medioevo. In Occidente, è Agostino che dedica nella Città

di Dio un lungo capitolo ai miracoli compiuti dalle reliquie di Gervasio e Protasio, di

cui sant’Ambrogio aveva attestato l’esistenza nel 386 d.C., e quelle di santo Stefano che erano state scoperte a Gerusalemme nel 415 d.C. Ma fu Gregorio di Tours, uno storico affascinato dai miracoli, che compose otto “libri dei miracoli” (Libri

miraculorum) con particolare attenzione ai miracoli di san Martino e a quelli di san

Giuliano di Brioude.

Dobbiamo terminare la nostra tipologia di fonti parlando delle inventiones e delle traslazioni. Questi documenti possono a volte essere posti dopo le passioni e le vitae, ma spesso si trovano in un libro separato. Se la Chiesa orientale ha autorizzato sin da subito il trasferimento e la condivisione delle reliquie, la Chiesa occidentale si è opposta fermamente a questo culto restando fedele alla legge romana. Fu l’insicurezza delle invasioni germaniche che spinse i papi a riportare nelle catacombe delle basiliche romane le reliquie dei santi più prestigiosi. In Neustria, il terrore provocato dai vichinghi causò la fuga dei monaci che portarono con sé i resti dei santi fondatori della loro abbazia.

Durante lo spostamento delle reliquie spesso si verifica qualche miracolo. Questo è il caso in cui i resti dei santi ritornano nel loro luogo d’origine dopo essere stati portati via dal clero in paesi più sicuri durante le invasioni nemiche. Tali eventi suscitano un

5 Nell’articolo di Umberto Longo intitolato Panorama storiografico, osserviamo una suddivisione dei codici agiografici in due categorie: i lezionari e i leggendari. Cfr. Umberto LONGO, La santità medievale con un saggio introduttivo di Giulia Barone, Jouvence Editoriale, Roma, 2006, p. 39.

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grande entusiasmo popolare e generano solenni processioni: le storie che fanno memoria sono precisamente chiamate traslazioni.

I sermoni, invece, non sono considerati un vero e proprio genere agiografico, ma grazie alla loro funzione e ai loro contenuti possono essere ascritti a questo tipo di letteratura. Vengono letti durante le cerimonie per ricordare le gesta di un santo e acquisiscono un’importanza rilevante durante il XIII secolo con la maggiore diffusione della predicazione nella vita religiosa.

Se gli exempla, altro genere collegato alla letteratura agiografica, non era affatto una novità per il Medioevo, le legendae novae lo erano. Nell’Italia settentrionale e nella Francia del Duecento i movimenti ereticali aumentavano sempre di più e i predicatori che erano molto attivi nel trasmettere un messaggio diverso da quello degli eretici per riportare il popolo cristiano sulla retta via. Nella prima metà del XIII secolo la riforma gregoriana e l’indipendenza della Chiesa avevano portato la cristianità al suo massimo splendore. Ed è proprio in questo contesto che nasce uno dei capolavori della letteratura agiografica: la Legenda aurea di Iacopo da Varazze. Egli propone una selezione delle vite dei santi più significative, contribuendo al rinnovamento del canone. L’opera viene realizzata inizialmente a scopo divulgativo e culturale. Scritta in latino venne in seguito volgarizzata per poter essere compresa dal maggior numero di lettori. Nella seconda metà del Quattrocento viene stampata.

Tutte queste fonti agiografiche pongono delicati problemi di approccio metodologico, soprattutto le fonti narrative su cui si concentra la nostra attenzione. Alcune prospettive hanno dato origine a studi importanti, altre sono state oggetto di esplorazione parziale. La ricerca ha messo in evidenza le diverse tipologie di santi proposte dal Medioevo: il martire, l’asceta, il sacerdote, il re, il missionario e il predicatore. Tutti questi modelli hanno goduto di fortune diverse in base ai tempi e ai luoghi.

Dalla vox populi alla vox papae, vi è un’evoluzione che porta a partire dal XIII secolo a una presa di potere da parte del pontefice romano che subentra progressivamente nelle procedure di canonizzazione. Da quel momento ci furono santi il cui riconoscimento ufficiale fu immediato perché questi eroi della fede incarnavano il modello proposto dalla Chiesa.

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