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Per un’introduzione ai temi: la storia di Lisabetta fra realismo e fiaba 94

Nel documento Relatori Prof. F (pagine 94-99)

CAPITOLO II LA DECAPITAZIONE COME ATTO PRODIGIOSO

1. Boccaccio tra fantasia e meraviglioso: il realismo, la preoccupazione per

1.1. Per un’introduzione ai temi: la storia di Lisabetta fra realismo e fiaba 94

La storia di Lisabetta è ricordata in una ballata, anonima, assai conosciuta a quel tempo, tanto che l’autore si limita a citarne soltanto l’incipit che il lettore riconosce: «Quale esso fu malo cristiano, / che mi furò la grasta, et cetera.»4 Si tratta di una canzone popolare studiata in particolare nel XIX secolo e pubblicata anche da Giosue Carducci, nel 1871, in una raccolta di cantilene e ballate5.

Iniziamo col fornire alcune informazioni preliminari della novella. Dopo la novella di Elissa (IV, 4), la voce narrante condivide e mette in comune con i propri ascoltatori una storia. Una storia che coinvolge l’uditorio e, in particolar modo, il lettore. Con le parole che seguono l’autore rende omaggio alle capacità narrative di Filomena e riassume in breve la vicenda che sta per raccontare:

I fratelli d’Ellisabetta uccidon l’amante di lei; egli l’apparisce in sogno e mostrale dove sia sotterrato. Ella occultamente disotterra la testa e mettela in un testo di bassilico; e quivi su piagnendo ogni dì per una grande ora, i fratelli gliele tolgono, ed ella se ne muore di dolore poco appresso.

Nella didascalia Boccaccio, oltre a riassumere brevemente l’intreccio, traccia i punti più salienti della storia e fornisce tutte le notizie necessarie per contestualizzarla. Siamo a Messina e i primi personaggi che appaiono sono tre mercanti, figli di un uomo di San Gimignano. I ragazzi sono fratelli di Lisabetta e posseggono una bottega presso la quale lavora Lorenzo, «un giovinetto pisano assai bello della persona e leggiadro molto»6. In questa descrizione essenziale, notiamo una sorta di sovrapposizione tra gli aggettivi che delineano la figura di Lisabetta: «giovane assai bella e costumata»7. Entrambi i personaggi sembrano rispettare i canoni dell’ideale cortese di bellezza: oltre alla grazia fisica ritroviamo anche una nobiltà d’animo. Anche i fratelli, allo stesso modo, rispettano la consuetudine della società duecentesca: non solo sostituiscono negli affari il padre ormai defunto, ma controllando celatamente la vita della sorella - «senza accorgersene ella»8 - i fratelli impongono le loro volontà. Quindi dietro l’apparente disinteresse - «se ne fosse cagione, ancora’ maritata non aveano»9 - si

4 Giovanni BOCCACCIO, Decameron, a cura di Vittore Branca, UTET, Torino, 1956, p. 362.

5 Giosue CARDUCCI, Cantilene e ballate dei secoli XIII e XIV, Pisa, 1871, in LuigiRUSSO, Letture critiche del Decameron, Edizioni Laterza, Bari, 1956, pp. 187-188.

6 Giovanni BOCCACCIO, op. cit., p. 358.

7 Ibidem.

8 Giovanni BOCCACCIO, op. cit., p. 359.

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nasconde una maniacale seppur incostante attenzione sul mondo di Lisabetta. Questa discontinuità è dimostrata dall’alternarsi di eventi in cui i fratelli sono completamente assenti ad altri in cui sono i protagonisti: li ritroviamo infatti all’inizio e alla fine della novella.

Un’altra tematica cara alla società cortese la ritroviamo in una seconda sequenza narrativa, quella dell’innamoramento e dell’unione dei due amanti. Lisabetta, attraverso la sua dimensione espressiva, quello dello sguardo - «avendolo più volte Lisabetta guatato, avvenne che egli le incominciò stranamente a piacere» 10- crea il movente dell’omicidio. Gli occhi della donna come saette perforano il cuore di Lorenzo, il quale, proprio come un cavaliere fedele, «lasciati suoi altri innamoramenti di fuori, incominciò a porre l’animo a lei»11. La preoccupazione degli amanti di non destare sospetto agli occhi vigili della gente ma soprattutto dei fratelli - «non passò gran tempo che, assicuratisi, fecero di quello che più desiderava ciascuno»12, scompare gradualmente con l’aumentare della passione che diventa sempre più difficile da celare. Però, una volta scoperti dal «savio giovane»13 che subito consulta i fratelli e decide con loro di mettere a tacere «questa vergogna»14, il segreto amore di Lisabetta diventa manifesto. Si notino i diversi termini utilizzati da Boccaccio per evidenziare la clandestinità non soltanto della relazione, ma anche quella dei fratelli che stanno per compiere un omicidio - «senza far motto o dir cosa alcuna»; «di passarsene tacitamente e d’infignersi del tutto d’averne alcuna cosa veduta o saputa»15.

Lo scandalo è causato dall’estrazione sociale di Lorenzo, semplice lavorante del «fondaco». I fratelli di Lisabetta, mercanti, non permettono a tale infamia di diffondersi, non macchiando così l’onore e la reputazione “borghese” della famiglia. Nel Medioevo il matrimonio era concepito come un mezzo per assicurare utili legami di prestigio e permettere alla donna e alla famiglia una vita economicamente felice.

I fratelli non agiscono impulsivamente e si dimostrano dei lucidi pianificatori: l’uccisione di Lorenzo avviene nel momento più propizio - «veggendosi il destro»16.

10 Giovanni BOCCACCIO, op. cit., p. 358.

11 Ibidem. 12 Ibidem. 13 Ivi, p. 359. 14 Ibidem. 15 Ibidem. 16 Ibidem.

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Allontanatisi da Messina e recatisi «fuori della città», i giovani tolgono la vita al ragazzo, e una volta tornati in paese, la loro prima preoccupazione è quella di dar «voce d’averlo per loro bisogne mandato in alcun luogo».17

Dopo queste sequenze narrative in cui i protagonisti principali sono i fratelli, assistiamo a una presa della ribalta da parte del personaggio di Lisabetta, fino a quel momento, posto nell’ombra. L’unico tentativo della giovane donna di comunicare con i fratelli avviene quando, disperata, chiede loro dove sia finito Lorenzo. Oltre alla ricorrenza quasi ossessiva delle diverse forme del verbo “domandare”, ritroviamo una continua ripetizione del pronome personale “tu”, soprattutto nella battuta di uno dei fratelli:

Non tornando Lorenzo, e Lisabetta molto spesso e sollecitamente i fratei domandandone, sì come colei a cui la dimora lunga gravava, avvenne un giorno che, domandandone ella molto instantemente, che l’uno de’ fratelli disse: “Che vuol dir questo? che hai tu a far di Lorenzo, che tu ne domandi così spesso? Se tu ne domanderai più, noi ti faremo quella risposta che ti si conviene.” Per che la giovane dolente e trista, temendo e non sappiendo che, senza più domandarne si stava e assai volte la notte pietosamente il chiamava e pregava che ne venisse; e alcuna volta con molte lagrime della sua lunga dimora si doleva e senza punto rallegrarsi sempre aspettando si stava.18

Il rifiuto da parte dei fratelli di comunicare a Lisabetta dove si trovi Lorenzo, porta la ragazza a chiudersi nel suo dolore, dal quale, però, trae forza, quella forza che si manifesta soltanto quando ritrova il corpo dell’amato e che la conduce a compiere con assoluta freddezza la decapitazione - «quivi non era da piangere»19.

Ma prima di assistere a questa scena, ritroviamo nel testo l’episodio dell’apparizione in sogno da parte di Lorenzo a Lisabetta. L’incipit, che è quello di una fiaba - «Avvenne una notte»20 - conduce il lettore «in un mondo irreale, in una fiaba amorosa, in un idillio fuori della storia, il cui il poeta vuole solo celebrare la tenerezza, la fedeltà, la dolcezza di un amore che non ha termine»21. Il revenant Lorenzo appare a Lisabetta per fornirle delle informazioni importanti. È proprio qui che si inserisce una delle tematiche più importanti della novella, quella del sogno.

17 Giovanni BOCCACCIO, op. cit., p. 359.

18 Ivi, pp. 359-360.

19 Ivi, p. 360.

20 Ibidem.

97 2. Il sogno tra Bibbia, agiografia e Decameron

L’esperienza dei sogni è fin dall’antichità un’importante fonte di immaginazione letteraria. Gli scrittori di tutti i tempi non hanno mai smesso di trarre ispirazione da questa esistenza notturna oltre la mente vigile dell’uomo. Ma la scrittura onirica non può essere equivalente alla fedele rappresentazione del mondo sognato. Se il sogno è un processo psichico molto particolare, è indipendente dalla coscienza del sognatore la cui sostanza è impossibile afferrare; riportare un sogno è, d’altra parte, un processo linguistico che può solo simulare i suoi effetti formulando una narrazione nel testo. Infatti non ci si può introdurre nei sogni del Decameron senza tener conto dell’importanza capitale che hanno ricoperto fin dai tempi antichi, soprattutto nella Bibbia e nella letteratura agiografica.

Oltre a una serie di immagini, il sogno è inteso come un messaggio orale che viene ascoltato: è un oracolo, vale a dire una parola profetica; dice qualcosa. Questa è una concezione comune alla Bibbia.

Gli Ebrei, ad esempio, furono ferventi seguaci dell’oniromanzia. Nel Pentateuco, è in sogno che Dio parla agli uomini22. Ai tempi di Saul i sogni assumevano la stessa importanza degli urim e delle i profezie23. Così Eliu dice a Giobbe:

Dio parla in un modo o in un altro, ma non si fa attenzione. Parla nel sogno, visione notturna, quando cade il sopore sugli uomini e si addormentano sul loro giaciglio: apre allora l’orecchio degli uomini e con apparizioni li spaventa.24

Geremia invece fa una distinzione fra sogni di profeti e sogni di indovini25. Infatti, l’Antico Testamento ci fornisce molti esempi di queste manifestazioni divine. È così che Geova rivela ad Abimelech, re di Gerar, il destino che lo aspetta per aver portato via Sara26, e ordina a Labano l’Arameo di non dire nulla a Giacobbe27. I sogni di Giuseppe sono notevoli per la loro semplicità e per la loro perfetta realizzazione28. Daniele fa un sogno durante il quale gli vengono mostrati i destini dei regni della terra

22 Numeri, 12,6. 23 I Samuele, 28, 6. 24 Giobbe, 33,14-16. 25 Geremia, 23, 25-28. 26 Genesi, 20, 3. 27 Ivi, 31, 24. 28 Genesi, 40.

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e il regno di Dio29. Mardocheo vede nel suo sogno una piccola sorgente diventata poi una prefigurazione di Ester che salva il suo popolo30.

La credenza nel significato dei sogni si trova anche nel Nuovo Testamento. Giuseppe, sposo della Vergine, riceve, durante un sogno, tutte le direttive divine necessarie per regolare la sua condotta nei casi difficili. È così che viene successivamente avvertito di non dover separarsi da Maria, rimasta incinta dalla grazia di Dio, per fuggire in Egitto con Gesù e sua Madre, per poi ritornare in Palestina e finalmente ritirarsi in Galilea31. La moglie di Ponzio Pilato dice: «Non avere a che fare con quel giusto; perché oggi fui molto turbata in sogno per causa sua»32; e il vangelo di Matteo, che ci segnala questo, è lungi dal disapprovarlo.

Con il cristianesimo, l’anima errante reclama una sepoltura cristiana in una terra consacrata. Questo è il motivo per cui leggiamo in numerose leggende agiografiche che i santi appaiono in sogno a viventi per indicare il luogo della sepoltura.

Questo tema si presenta in due forme ben diverse: a volte il santo appare a un dormiente per indicare dove si trova il suo corpo e chiedere una degna sepoltura; a volte il beato disturba il sonno del sacrestano, il prete della chiesa dove riposano le sue stesse reliquie e ne denuncia la negligenza e l’abbandono. Si tratta, generalmente di reliquie grossolanamente conservate o semplicemente dimenticate. L’elemento in comune tra i due temi è quello di conservare per rendere omaggio ai resti del santo.

Una delle storie più straordinarie è quella di Donnino di Fidenza, il quale, una volta raccolta la testa, attraversa il fiume Stirone e rivela il luogo dove verrà seppellito. Così Cattabiani descrive la vicenda:

Si narra che verso la fine dell’impero di Costantino, quando la chiesetta era ormai scomparsa, i fedeli dei dintorni videro splendere per molte notti una luce misteriosa nel luogo dov’era stato sepolto ma del quale si era perduta la memoria. Meravigliati, decisero di chiedere al vescovo di Parma di compiervi una ricognizione. Il vescovo, dopo avere imposto al popolo un digiuno di tre giorni, si raccolse in preghiera finché vide durante una visione che il corpo di un santo giaceva in quel luogo. La mattina seguente si cominciò a estirpare gli alberi e a procedere ad alcuni scavi finché si ritrovò un corpo con la testa staccata e posta fra le mani, così come esso appare in uno dei rilievi della facciata della chiesa: emanava un profumo gradevole, così intenso che i muti riebbero la parola, i sordi l’udito, gli zoppi ripresero a camminare, i lebbrosi guarirono33.

29 Daniele, 4.

30 Ester, 10.

31 Matteo, 1, 20.

32 Ivi, 27, 19.

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Anche Firmina si manifesta in sogno al vescovo di Amelia, il quale, dopo tre giorni di digiuno, si reca sul posto dove gli appare una croce luminosa e ritrova i corpi della santa e di un altro martire, Olimpiade34. Anche il luogo dove si trovano i corpi dei santi Gervasio e Protasio è rivelato in una visione avuta da sant’Ambrogio, a causa della loro memoria quasi dimenticata35.

Anche san Vincenzo da Saragozza appare in sogno a una coppia e rivela il luogo dove è il suo corpo. La leggenda narra:

Indispettito, Daciano ordinò che il corpo del martire fosse gettato in un campo deserto, in pasto agli animali. Ma il Signore rispose alla sua malvagità mandando un corvo a vegliarlo e a difenderlo contro le fiere. Il prefetto allora lo fece rinchiudere in un sacco appesantito da un sasso e gettare in mare. Ma il masso […] galleggiò sulle acque permettendo alle onde di depositare il corpo su una spiaggia dove venne ritrovato da alcuni cristiani dopo che il santo era apparso in sogno a un uomo e una donna rivelando il luogo dove si trovava36.

Nel documento Relatori Prof. F (pagine 94-99)