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La Iudit di Della Valle: una decapitazione “fedele”

Nel documento Relatori Prof. F (pagine 52-55)

CAPITOLO I LA DECAPITAZIONE COME ATTO DI SUPREMAZIA

3. I volti di Giuditta e Salomè: storia, forme e fortuna di due miti

3.1. La Iudit di Della Valle: una decapitazione “fedele”

«Portavoce pienamente convinto e pugnacemente militante dei valori dell’ortodossia cattolica»52, Federico Della Valle aveva già ritratto una scena di decapitazione. Infatti nella tragedia Reina di Scozia racconta la vita di Maria Stuarda, la cui morte per decapitazione venne interpretata dall’Europa cattolica come un martirio. La regina, per restare fedele alla sua fede, scelse di sacrificare la propria esistenza morendo da condannata. Successivamente, nel 1627, Federico Della Valle pubblica a Milano una tragedia in versi di argomento biblico sotto il titolo Iudit. Insieme all’eroina di Betulia, l’autore pubblica anche la storia di Ester, personaggio anch’essa delle Sacre Scritture. Ester viene riconosciuta dalla critica come vicina, per stile e ispirazione, alla Iudit53. L’opera teatrale si inserisce in un contesto storico molto particolare: Milano in quegli anni era dominata dallo spirito della controriforma e la letteratura, fortemente influenzata dagli spagnoli, presentava temi religiosi e a carattere morale54. Oltre a riprodurre quasi fedelmente la vicenda biblica, Della Valle si inserisce nello scenario della produzione teatrale italiana del momento, ricreando gli ambienti cortigiani del suo tempo.

Il polimorfismo della figura di Giuditta ha permesso la creazione di diversi aspetti che da sempre hanno caratterizzato il profilo della vedova israelita. Nella

Gerusalemme Liberata (1575) di Tasso, il personaggio di Armida reincarna il potere

nascosto di Giuditta la quale, attraverso la sua scaltrezza ed eloquenza, si introduce nell’accampamento nemico e sconfigge il popolo assiro. Anche l’autore astigiano, seguendo l’esempio del drammaturgo sorrentino, contribuisce a riaffermare la dote ingannatrice della Giuditta del XVI e XVII secolo; basti pensare alle parole di Vagao, quando, scoprendo il cadavere di Oloferne, dice: «Miseri, in treccia e ̓n gonna / ha combattuto, ha vinto i forti Assiri / ingannatrice donna!»55

52 Fulvio SENARDI, In nome di un Dio nascosto: la Iudit di Federico della Valle, Nuova Corvina, Numero 11, 2002, p. 71.

53 Nello stesso volume sottotitolato Tragedie, Della Valle ci propone due riscritture delle storie bibliche di Giuditta ed Ester.

54 Fulvio SENARDI, op. cit., p. 71.

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Oltre a quest’aspetto, troviamo nel testo valliano alcuni passaggi che esaltano la bellezza disarmante di questa donna, caratteristica già biblica, accresciuta dall’arte e dall’ornamento: «La bella ebrea, se basta dirsi bella / cosa che molto piaccia a gli occhi miei, […]»56; «Bellezza sovra ogni altra aventurosa, / poi ch’è giunta a piacer a gli occhi miei, […]»57; «O Iudit bella, / tu sei dolce e cara / a gli occhi miei; me il tuo volto alletta, / e mi tira a partir teco le mense / et il gemmato letto […]»58; «Bellezza è sempre bella, / et ella di se stessa è veste e fregio, / e più piace più nuda, / o meno adorna almeno.»59

Giunta all’accampamento, Giuditta mette in atto la sua strategia di seduzione. La bella eroina si presenta agli occhi di Vagao, il fedele servo di Oloferne, il quale rende partecipe della sua visione il lettore:

Era in semplice gonna, / e l’aurea testa in fasce intorte avolta, / come notturno ciel par che richieda. / Seco era la sua ancella. / Al mio apparir la bella fronte ha sciolto / de le bende ravvolte, / credo per far onore / a me che servo al seggio/ de le glorie et onori, / o per tòrsi dal volto / i limpidi sudori;60

Catapultata in una dimensione ormai sovrannaturale, la figura di Giuditta ci appare come una donna accattivante dal fascino irresistibile. La vedova subisce un cambiamento: la «umil riverente anzi pur dea»61 diventa una donna dalla «veste succinta, / scarmigliata le chiome ancor che d’oro, / e molle di sudor e polverosa»62.

Vagao assiste alla svestizione progressiva di Giuditta che seduce sempre di più Oloferne: «[…] e veggio lei / che, delicata assisa e parte stanca, / a la dorata testa toglie il notturno velo, et apre il cielo / de le bellezze ascose»63; «Mentre si scinge e si distoglie, giunta / a la più interna gonna, […]»64. Ed è proprio con questa tattica che Giuditta raggiunge il suo scopo e libera il suo popolo dal nemico. La parte finale della tragedia si apre con la liberazione di Betulia e il rinvenimento del corpo lacerato di Oloferne.

56 Federico DELLA VALLE, op. cit., p. 204.

57 Ivi, p. 205. 58 Ivi, p. 211. 59 Ivi, p. 215. 60 Ivi, p. 216. 61 Ibidem. 62 Ivi, p. 217. 63 Ivi, p. 229. 64 Ivi, p. 230.

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Il momento più significativo è certamente quello della decapitazione. L’effetto di maggiore impatto è raggiunto nel momento in cui la serva Abra racconta simultaneamente lo svolgersi dell’azione al di là della cortina del letto di Oloferne:

Tutta tremo, son piuma / a gran soffio di vento: / non ho cuor, non ho spirto, / se non a lo spavento. / Che farà la mia donna? / Arrischiati pensieri / parmi che ̓n sé raggiri; / né so che me ne speri. / Signor, che tutto guidi e tutto fai, / mira, soccorri, aita / donna che, qual tu vedi, / sol da te spera aita. / Misera me, d’aver sentito parmi / gemito colà entro! / O mia donna, che fie?65

Nell’opera, la scena della decapitazione viene descritta attraverso le parole del coro che la ritraggono come «cadaverosa»66. Il servo, recatosi nella tenda di Oloferne, è il primo ad assistere allo spettacolo e dice:

[…] come egli vacilla / co ̓l capo e con le membra / tremole già cadenti, veder parmi / ch̓̓ ̓al padiglion giungendo avrà bisogno / più di letto che d’armi.67

Emblematico è il passaggio nel quale Iudit, intenta a lasciare l’accampamento nemico, descrive la vittima e chiede alla sua ancella di porre la testa nel sacco:

Lascio il prencipe e ̓l letto, / a cui mia pudicizia era promessa, / e la mercé qui porto / de le dolcezze date al sen lascivo / di fortunato amante. / Fu pria Oloferne del mio amor ferito; / or il misero è morto, / e qui meco di lui gran parte porto. / Prendi, Abra, prendi e ̓nvolvi / in quest’aurato panno a lui rapito / il capo del Levante.68

Della Valle utilizza l’espressione «capo del Levante» probabilmente per indicare che la testa del comandante assiro non solo rappresenta la parte principale del suo popolo, ma anche il fulcro dell’Oriente, il punto in cui sorge il sole e nasce il giorno nuovo. Sinardi dice:

L’intero organismo drammaturgico troverà infine il suo culmine nel gesto sacrificale di Iudit che decapita Oloferne assopito, colpendo l’uomo e il simbolo dell’empio potere che dava legge all’Oriente ed al Levante.69

65 Federico DELLA VALLE, op. cit., pp. 255-256.

66 Ivi, p. 249. Anche Vagao, servo fedele di Oloferne, parlando con Arimaspe, descrive il la scena del delitto: «(ahi dolorosa / orrida lagrimosa / vista!), veggo di sangue oscuri e tinti / et origlieri e letto. / Tremando più discopro ahi, e rimiro / caduto e teso in terra il corpo ignudo / del mio caro signore, / immerso, si può dir, in negro sangue, / senza la testa, ahi lasso, / senza la regia testa!» Cfr Ivi, p. 264. Arimaspe risponde fornendoci un’altra descrizione: «Alza tu quella tenda, e de l’estremo danno abbian la vista gli occhi come n’ha il cuor l’affanno. O spettacolo orrendo! / O di somma sciagura /fiera imagine oscura! / Miserabile tronco / miserabile avanzo / di misero signore, / tutto mi fa timore / tutto m’empi d’orrore!» Ivi, p. 265.

67 Ivi, p. 251.

68 Ivi, p. 256.

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Incarnando quindi gli ideali della Controriforma, Della Valle ci invita a osservare l’assassinio di Giuditta come un gesto di solidarietà. Seguendo le orme dell’eroina biblica la Giuditta valliana, mossa da un sentimento di collettività, salva il suo popolo. Riflessioni politiche caratterizzano l’opera che porta il lettore a riflettere sui diversi principi su cui si fonda la società seicentesca, come quello della superbia del potere: così si conclude l’opera: «Già veggio, già ̓ l cuor sente / che d’orgoglioso re superba voglia / a la soggetta gente / sempre è di danno o doglia, / spesso costa la vita»70.

Nel documento Relatori Prof. F (pagine 52-55)