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Le prime ricerche archeologiche che hanno tentato di ricostruire le trasformazioni dell’insediamento rurale intercorse tra età tardoantica e medioevo si sono fondate principalmente su un’ipotesi generalizzata di spopolamento motivata principalmente dall’analisi di dati storici. Con la diffusione di ricerche archeologiche su larga scala si è giunti ad analisi più dettagliate che hanno rivelato la difficoltà, se non addirittura l’impossibilità, di fornire un modello interpretativo valido anche al di fuori dell’area studiata. E’ bene precisare che quest’ultima considerazione perde di validità se si prende in considerazione, ad esempio, l’insediamento sparso diffusosi durante l’età romana, che trova riscontri e similitudini anche in regioni differenti e distanti tra loro302.

La recente raccolta di contributi relativi alle campagne di VI-IX secolo curata da Gian Pietro Brogiolo, Alexandra Chavarria Arnau e Marco Valenti è particolarmente rappresentativa delle peculiarità che anche aree finitime restituiscono, se analizzate attraverso il dato archeologico. Le specificità di ogni contesto geografico o di ogni progetto derivano certamente da un diverso grado di approfondimento e spesso da approcci ben distinguibili a seconda dei gruppi di ricerca che si sono occupati della problematica insediativa nelle campagne altomedievali. Tuttavia, la comparazione e il tentativo di sintesi attuato a conclusione del seminario di studio hanno permesso di tracciare un quadro entro cui articolare le larghe prospettive aperte dallo studio degli abitati rurali medievali, purché si ricalibrino le strategie e gli approcci di analisi303. Particolarmente significativa è la riflessione sulla

necessità di una continua verifica a livello metodologico, anche e specialmente nel rapporto tra fonte scritta e materiale.

302 G

ELICHI 1991a, pp. 9-12.

303 Si vedano l’introduzione di BROGIOLO 2005, pp. 7-16 e le conclusioni di FRANCOVICH, WICKHAM 2005, pp.

Lo studio dell’insediamento, applicato in modo specifico all’età medievale, per lungo tempo ha risentito di un approccio restio all’analisi sistematica dei dati archeologici, in quanto condotto tramite lo sfruttamento pressoché totalizzante delle fonti scritte304. Questo

orientamento ha comportato il rischio di creare quadri insediativi piuttosto statici nelle fasi storiche che si sono succedute, incapaci di restituire con fedeltà la complessità e l’articolazione delle diverse situazioni geografiche e regionali.

Se si prendono in considerazione le riflessioni storiografiche compiute sull’insediamento dei primi secoli del medioevo (VII-VIII secolo), sono talvolta ancora visibili le conseguenze di un profondo radicamento di alcuni stereotipi, che, per quanto ridiscussi, approfonditi e spesso contraddetti da ricerche archeologiche sempre più frequenti e sistematiche, conservano il carattere di semplificazione e unilateralità che rende più agevole la trattazione e l’elaborazione di sintesi sulle problematiche relative alle trasformazioni dell’assetto e della configurazione materiale degli insediamenti.

Restringendo lo spazio delle riflessioni alla sola regione Emilia Romagna, è evidente che il numero di fonti scritte relative alla topografia, alla distribuzione e gestione degli abitati non risulta tanto ampio e preciso da possedere una uguale consistenza e precisione per i differenti quadri sub-regionali305. Perciò talune conclusioni che restituiscono i lineamenti

rappresentativi di ogni area, in realtà sono spesso delle forzature raggiunte attraverso l’uso “in negativo” di testimonianze assenti per un comprensorio e presenti in un altro.

In questo senso, la persistenza di un certo grado di sperimentazione nelle metodologie applicate alla ricerca archeologica e la consapevolezza di confrontarsi presto o tardi con le conclusioni storiografiche indirizzano verso una maggior cautela nel definire sintesi dai tratti nettamente definiti.

La scarsità, o meglio l’occasionalità, di fonti scritte relative ad alcune fasi storiche (per esempio per il periodo tra V-IX secolo) comportano un grado di analisi molto approfondito da parte degli storici, pressoché esaustivo, ma è ovvio che necessitano di una revisione o per lo meno di un confronto ogni qual volta nuovi risultati raccolti sul campo attraverso la ricerca archeologica offrano un’immagine differente, quesiti nuovi su contesti per lo più ristretti, ma che conducono ad una necessaria rettifica dei presupposti storiografici fondanti.

Il sistematico studio archeologico e la valutazione da punti di vista differenti di alcune affermazioni storiografiche hanno messo in luce la persistenza di alcune convinzioni cristallizzatesi in decenni di studi, tanto da divenire modelli preconcetti più o meno radicati.

304 C

REMASCHI 1980, pp. 53 – 158.

305 Difficile per esempio poter comparare le attestazioni dei secoli altomedievali relative al patrimonio

Si considera utile ricordarne alcuni: primo tra tutti l’immagine delle campagne altomedievali e la quantità di potenziale archeologico disponibile alla conoscenza degli studiosi di oggi. A lungo si è mantenuta la convinzione di un dissesto geomorfologico generalizzato e a tratti disastroso in alcuni areali della regione, che dimostravano a priori l’impossibilità o il basso livello di visibilità di tracce archeologiche relative all’insediamento altomedievale, in particolare sfruttando come metodo di indagine la ricognizione di superficie.

In seguito ad alcuni scavi compiuti nella città di Modena, per esempio, si è avuta una conferma della presenza di spessi sedimi alluvionali tra le fasi romane o tardo romane e quelle altomedievali, tuttavia si è ridimensionata la visione “catastrofica” restituita da alcune fonti storiche; queste ultime, infatti, descrivono una situazione quasi apocalittica per la città altomedievale ed il suo comprensorio che, soprattutto a causa delle alluvioni, avrebbero subito trasformazioni radicali del quadro insediativo306. Benché sia stata ormai ricusata tale

interpretazione “estrema” delle fonti, i documenti offrono ben poche indicazioni sulla produttività e lo sfruttamento del territorio, di conseguenza si è creata e rafforzata con il tempo una percezione del paesaggio altomedievale quasi “immobile” e fondamentalmente “selvatica”, in cui gli elementi caratterizzanti erano rappresentati da foreste e paludi. Qualora si considerino i primi secoli del medioevo, è innegabile la diffusa presenza di incolto, di cui le fonti scritte parlano ampiamente e di cui sono testimonianza diretta il ritrovamento di tracce residuali di zone occupate da paludi o foreste307; tuttavia gli archeologi tendono ad interpretare

tale preminenza rispetto all’età antica come conseguenza di una diminuita necessità di aree coltivabili, in rapporto a mutati modelli economici, fondati sulla complementarietà tra aree coltivate ed incolto, quest’ultimo da considerare come vero e proprio elemento di ricchezza nell’economia altomedievale308. Sono infatti recuperate o incentivate attività come la caccia,

la pesca e la raccolta di frutti spontanei; inoltre, è stata messa in luce l’importanza che l’allevamento ha rivestito nello sfruttamento di ampi spazi non coltivati309.

La visione delle campagne altomedievali abbandonate all’incolto è stata anche criticata con fermezza, allorché è stata valutata come deformante l’applicazione di una

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ELICHI 1988, pp. 553-555; MALNATI 1988, pp. 335-337; GELICHI 1992, pp. 591-592, con riferimento alla

documentazione scritta che attesta l’avvento di catastrofi naturali, in particolare Paolo Diacono, Historia Langobardorum, III, 23-24 e Rerum Italicarum Scriptores, II, 2, coll. 691-692. Una recente sintesi da cui si sono riprese alcune riflessioni sono in GELICHI 2003.

307 Un recente e rappresentativo studio paleoambientale di un bosco subfossile nella pianura modenese-

mantovana suggerisce interessanti prospettive di studio, si veda MARCHESINI, MARVELLI, MANCINI, FORLANI 2003,

pp. 137-144. Si veda anche TRAINA 1988; CALZOLARI 1996; GIACOMELLI 1997; GIORGI 2000.

308 MALNATI 1990, p. 764; GELICHI 1992; ARTHUR 2004; WICKHAM 2005; SAGGIORO 2006.

309 MONTANARI 1979; ANDREOLLI, FUMAGALLI, MONTANARI 1985; FUMAGALLI 1985d; ANDREOLLI, MONTANARI 1988;

interpretazione univoca a due realtà differenti, la campagna di età romana e quella altomedievale, senza tenere conto della differente percezione che gli uomini del tempo avevano del paesaggio che li circondava. Una ipotesi sostenuta da Giusto Traina, che ha biasimato la tendenza ad applicare criteri di razionalità che sono propri dell’epoca contemporanea e ha criticato l’inclinazione ad idealizzare l’economia rurale romana, frutto dell’analisi della trattatistica agronomica, che costituisce il tramite dell’ideologia romana della terra, tesa ad “emarginare” in senso geografico quanto non rientrava nei criteri di abitabilità. Di conseguenza lo studioso ha interpretato la presenza di toni opprimenti nelle fonti scritte e la maggiore frequenza dell’attestazione nei documenti tardoantichi e altomedievali di foreste e di paludi come una conseguenza dell’accentuato mutamento di percezione, più realistica e meno schematica, del paesaggio naturale e non come un’incontrovertibile prova dell’incremento dell’incolto rispetto all’età romana310.

Si considera tale ipotesi troppo radicale e opinabile, soprattutto alla luce dei dati materiali sopra accennati, ma certamente da annoverare entro una valutazione complessiva delle trasformazioni del paesaggio e degli abitati in senso diacronico.

Rimane tuttavia innegabile che il mutamento degli assetti insediativi congiunto ad un significativo spopolamento di città e campagna appare ormai come un dato avvalorato non solo dalle fonti scritte, ma anche da quelle archeologiche, benché emergano in modo sempre più definito le notevoli fluttuazioni riscontrabili nell’attestazione dell’insediamento tardoantico e altomedievale e di conseguenza si approfondisca la riflessione sulle cause determinanti tale fenomeno per i differenti contesti in esame311.