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Prima di affrontare l’analisi delle fonti materiali è necessario presentare una sintetica analisi dei caratteri geomorfologici che contraddistinguono il territorio preso in considerazione. Questi elementi forniscono il quadro geografico in cui devono essere inserite le azioni antropiche, che hanno poi determinato lo sviluppo insediativo nel corso del medioevo. Lo studio geomorfologico in associazione all’archeologia ha valore soprattutto per le ricerche di carattere regionale328, affinchè le scale di analisi possano essere adeguatamente

comparate. Per questo non si pretende di fornire una descrizione esaustiva e specialistica, ma unicamente di individuare gli elementi geografici che hanno rivestito un ruolo fondamentale nell’indirizzare le scelte insediative.

327 F

RANCOVICH, GELICHI 1988, pp. 467-476.

328 Per una sintesi sull’inquadramento geologico e geomorfologico dell’intera pianura padana con un’attenzione

L’archeologia dei paesaggi si propone, infatti, di comprendere le trasformazioni del paesaggio considerandolo come palinsesto di strutture e processi complessi non ristretti unicamente al sito antropico. Particolarmente rappresentativo a tal proposito è lo schema elaborato recentemente da Josè Maria Martìn Civantos329.

Egli propone una lettura del paesaggio scomponendolo in tre elementi: - l’ambiente fisico (o matrice ambientale)

- lo spazio sociale (o ambiente costruito) - lo spazio simbolico

Il primo presuppone specifiche competenze paleoecologiche e geomorfologiche, mentre gli altri due possono essere affrontati direttamente attraverso l’archeologia del paesaggio, attenta a intercettare i siti, ma anche le relazioni economiche e sociali intercorrenti tra questi. Questo tipo di studio necessita di un orizzonte di ampia diacronia; difficilmente infatti possono essere colti nella loro complessità gli spazi sociali e simbolici senza avere un prima e un dopo di lungo periodo a cui far riferimento.

I caratteri geomorfologici della bassa pianura sono innanzitutto: le quote minime sul livello del mare (inferiori ai 20 m circa), la prevalenza di terreni a tessitura fine, un microrilievo di origine fluviale che si alterna e si intreccia a settori depressi con drenaggio difficoltoso (la cosiddetta “morfologia a dossi e valli”), una complessa rete idrografica in continua evoluzione, che ha rappresentato l’elemento naturale più influente sugli equilibri ambientali, in quanto per molti secoli è stato contraddistinto da una spiccata precarietà330.

La totalità della pianura analizzata è composta da suoli alluvionali e da suoli alluvionali idromorfi. I primi sono localizzati al di sopra delle alluvioni di età olocenica e sono potenzialmente coltivabili sia con colture erbacee intensive ed estensive che con impianti arborei da frutto (vigneti, frutteti) e da legno (pioppi, piante legnose a rapido sviluppo). Su di essi nel corso dei secoli si sono alternate colture differenziate: dalla piantata canapina intensamente coltivata delle aree sabbiose, alla piantata cerealicola delle zone argillose di medio impasto, ai prati e alle aree di “larga” a frumento e maggese delle zone argillose compatte331. I suoli alluvionali idromorfi sono costituiti da tutti i terreni di età

olocenica sottoposti a idromorfia accentuata fino al recente passato. L’utilizzazione prevalente è il seminativo, ma in ampie porzioni fino alla metà del secolo scorso predominavano le risaie. Infatti fino al Settecento queste aree erano ancora quasi interamente vallive o occupate

329 MARTÌN CIVANTOS 2006, pp. 3-7.

330 Tra i mutamenti ambientali il dissesto idrogeologico è uno dei fattori tenuti maggiormente in considerazione

nello studio insediativo della pianura tra Adda e Adige, in SAGGIORO 2005b, in particolare alle pp. 82-86.

331 Si chiamano “larghe” le vaste superfici coltivate estensivamente solitamente con rotazioni biennali frumento-

da prati inondabili, come si vede bene anche dalla cartografia storica di quel periodo332. La

loro progressiva destinazione specifica al coltivo è stato frutto perciò degli ultimi due secoli di bonifica.

L’elemento geografico di maggiore interesse, da cui non si può prescindere nell’affrontare lo studio dell’insediamento nella bassa bolognese, è rappresentato, quindi, dalla fitta e complessa rete idrografica afferente ai fiumi Reno e Po, prima che questo si dirami in Volano a nord e in Primaro a sud. Tuttavia non è sempre semplice studiare la rete idroviaria nelle sue trasformazioni, sia perché le fonti scritte in proposito sono per lo più a carattere sparso con accenni poco sistematici, sia perché l’analisi autoptica, anche se supportata da altri strumenti quali la cartografia storica o le aerofotografie, non risulta sempre di facile interpretazione, soprattutto in questo caso, in cui i mutamenti sono stati repentini e talvolta profondi.

L’idrografia storica risulta, però, essenziale per comprendere appieno la dinamica insediativa, in particolare in riferimento al ruolo degli assi fondamentali della rete itineraria, considerata una vera e propria fonte di reddito in connessione allo sfruttamento signorile, grazie ai proventi derivati dalla presenza di approdi, di centri di snodo nei trasporti e di mercati, nonché come fonte di risorse idriche per il sostentamento diretto e per la produzione di energia333.

Il fenomeno del continuo mutare dei corsi d’acqua è dovuto alla natura dei torrenti bolognesi che erodono in modo consistente i terreni dei bacini imbriferi montani, ma più avanzano nella pianura, più perdono di caduta e si alzano sui piani di campagna deponendo ai lati sedimentazioni di terreni sabbiosi e leggeri. A seconda della portata d’acqua, dei trasporti terrosi e dello stato di inalveamento o disalveazione terminale, questi torrenti diventano sempre più pensili sulla campagna, finché gli argini stessi, incapaci di contenere il fiume, vengono rotti, in modo che il corso d’acqua trovi un nuovo corso con sufficiente caduta. Nel tratto superiore alla rottura il torrente provoca una profonda riescavazione così che tra i due corsi, il vecchio e il nuovo, si crea un forte dislivello, che rende pressoché impossibile riprendere il vecchio andamento.

Solitamente il dosso del fiume antico, secondo la logica geografica, costituisce il luogo di preferenza per l’insediamento antropico. Questo dato si nota solitamente in modo accentuato per l’età medievale e rinascimentale, sia quando ancora il fiume era ancora attivo, in quanto lungo l’alveo ci sono i terreni più fertili, sia in seguito alla rottura, perché il vecchio

332 Particolarmente rappresentativa è la carta di Andrea Chiesa (1740-42), riprodotta a cura di VENTURI 1992. Si

veda anche il all’A.S.Bo., Catasto Boncompagni, Cart. V.

alveo si trasformava in una sorta di strada ghiaiosa sopraelevata rispetto al resto della campagna. Inoltre, dal subalveo si ricavava facilmente acqua potabile, di qualità certamente migliore rispetto al carattere malsano dell’acqua presente in abbondanza nel resto della pianura. Un ulteriore vantaggio di questa zona rialzata rispetto all’area circostante era il fatto di essere più protetta da eventuali alluvioni e ristagni e ricca di terreni fertili e leggeri, più facilmente lavorabili334.

Il ruolo determinante di queste rotte lungo i corsi d’acqua è attestato chiaramente anche dalle numerose rotture compiute artificialmente e finalizzate a strategie espansionistiche. Basti pensare alle azioni intraprese dal comune di Bologna sul Sillaro e il Panaro al fine di estendere il controllo del contado verso la Romagna e il Modenese; ancora di più in età moderna specialmente tra il Bolognese e il Ferrarese335.

Il corso del Reno, dall’età antica ad oggi, si è progressivamente spostato da est ad ovest. Il paleoalveo più orientale, che seguiva la direttrice di Castelmaggiore, S. Giorgio di Piano, S. Pietro in Casale, Poggio Renatico, perdurò in età romana fino al IV-VI secolo, periodo entro il quale si disattivò, prendendo un corso più occidentale all’altezza del ponte romano sulla via Emilia, spostandosi quindi verso il Centopievese336. Le possibili cause di tale

mutamento sono da ricercarsi o in una più accentuata deforestazione del bacino montano o nella cessazione delle cure dovute alle opere di regimazione. E’ da rilevare, tra l’altro, che durante lo stesso periodo si formarono neoalvei di altri corsi d’acqua (Idice, Savena, torrenti romagnoli) che determinarono un generalizzato frazionamento del bacino idrografico a est del Reno in più piccole entità minori, che aggravarono ulteriormente il problema del controllo idraulico337. D’altro canto, nello stesso periodo, tra tarda antichità e alto medioevo le alluvioni

del Reno dovevano aver favorito un processo di colmata creando favorevoli condizioni di insediamento e sistemazione del suolo agrario lungo il dosso renano stesso. Da qui procedendo ad opere di bonifica delle bassure circostanti338.

Il Reno altomedievale occupò vari percorsi che, sebbene non siano precisamente databili singolarmente, fluivano approssimativamente da Argile verso Massumatico, arrivando fino a Galliera e scorrendo a oriente di Pieve. L’assestamento del corso fluviale a ovest di Cento risale al XIII secolo, mentre ancora non del tutto chiarite sono le vicende legate al proseguimento del Reno verso nord, oltre il Reno Finalese. Il cosiddetto Vecchio

334 CALZOLARI 1986; UGGERI 1987; Insediamenti e viabilità nell’alto Ferrarese 1989; La pianura e le acque tra

Bologna e Ferrara 1993; MARCHETTI, CASTALDINI 2006.

335 GIACOMELLI 1988; PATITUCCI UGGERI 1989; ANDREOLLI 2000; CAZZOLA 2000; FRANCESCHINI 2003.

336 Riguardo al corso del Reno precedentemente all’età romana si veda BONDESAN, FERRI, GRAZIANI 1992, p. 23 con

riferimenti bibliografici in nota.

337 CREMONINI 1991, pp. 243-301; UGGERI 1987, pp. 73-74; VILLANI 1989, pp. 108-111; CREMONINI 2008. 338 CALZOLARI 1996.

Reno, che scorreva già tra Cento e Pieve, si formò in seguito ad una rotta a sud di Cento

intorno alla metà del XV secolo e mantenne sostanzialmente la sua direttrice fino al 1771, nonostante i numerosi tentativi di deviazione e sbarramento339. A questo si devono riferire i

numerosi conoidi di esondazione su ambedue le sponde, la cui attestazione si ritrova anche a livello documentario, soprattutto nell’ultima fase della sua attività. L’assetto fluviale attuale è invece frutto di successive operazioni, attuate tra il 1774 e il 1824, volte a contrastare gli effetti dannosi delle frequenti rotte340.

Durante l’alto medioevo i fiumi costituiscono sicuramente i principali assi di collegamento sul piano economico e strategico, tuttavia lo scarso controllo attuato sul loro corso determina, come è stato sopra accennato, una preferenza insediativa sulle aree più rilevate, come i dossi fluviali.

E’ solo con l’età comunale che il controllo sulle vie d’acqua diviene capillare e sistematico attraverso la costruzione di canali artificiali che, insieme ai fiumi stessi, vanno a costituire una rete idroviaria ben strutturata. Oltre al mutevole corso dei fiumi è necessario perciò valutare la presenza di canali naturali e artificiali che insieme andarono a costituire una fitta rete idrografica, sfruttata principalmente come mezzo per i trasporti e le comunicazioni, parallelamente alla quale si riscontrano spesso anche vie di terra funzionali all’alaggio, le cosiddette ‘vie restare’341.

Il territorio qui considerato era interessato in particolare dalla presenza del Canale Palustre, una delle due vie d’acqua che consentivano il collegamento tra Ferrara e Bologna nel basso medioevo. L’altra direttrice era costituita dal Canale della Fossa, che si diramava dal Po di Primaro a valle rispetto a Ferrara. Il canale Palustre, invece, si dipartiva a monte della città, a destra del Po di Volano all’altezza di Porrotto; si formò probabilmente in seguito ad una rotta del Po nel XIII secolo e prese a scorrere attraverso le terre di confine tra Ferrara e Bologna proseguendo fino a Galliera.

La rilevanza di questa direttrice è confermata dalla presenza lungo il suo corso di una serie di torri: torre di Porotto nel punto di diramazione dal Po, la torre del Fondo, la torre Verga, la torre del Cocenno e la torre di Galliera, tutte attestate durante il XIII secolo. Questo sistema, per il quale si riscontra un apparato analogo lungo il Canale della Fossa, serviva

339 L’alveo, localizzabile a meno di 1 km a ovest di Cento e di Penzale, procedeva “per Corporeno, dirigendosi

poi (sec. XI-XII) verso Galliera sud-S. Alberto...finché non fu costretto a proseguire verso nord e al Finale con la costruzione di un imbancamento (“Le Banche”) tra Corporeno e Dosso”, in CAVICCHI 1972, pp. 16-17. Cfr. anche

MENEGATTI 1978, p. 20, in cui si indica un diverso tracciato: dopo essere stato rivolto verso le valli di Crevalcore,

si sarebbe indirizzato, in seguito, verso Corporeno, Dosso fino ad arrivare tra Buonacompra e Casumaro. Cfr. anche VILLANI 1989, pp. 108-111.

340 VILLANI 1987, pp. 222-227; BONDESAN, FERRI, GRAZIANI 1992, pp. 28-40; UGGERI 1987, pp. 37-92.

essenzialmente a garantire la sicurezza della navigazione e a sfruttare la possibilità di esigere dazi frazionandone la percorribilità in più tronconi e conferma la centralità di questa area come luogo di intermediazione nei rapporti commerciali tra Ferrara e Bologna342.

Da questo sintetico quadro sull’instabile assetto idrogeologico medievale risulta chiaro come l’insediamento si sia dovuto assiduamente confrontare con tali mutamenti, che per quanto difficili da contrastare non hanno impedito la permanenza di strutture abitative di un certo rilievo. Può essere ravvisato, come elemento di continuità dello sviluppo insediativo, proprio il costante intreccio tra attività agricola, pastorizia e pesca, le attività economiche basilari per l’intero medioevo, e il controllo dei traffici fluviali sul Reno prima e sul canale Palustre poi.

Tra i corsi d’acqua citati più frequentemente nelle fonti si incontra il Po di Primaro che, anteriormente alla rotta di Ficarolo (datata ipoteticamente alla metà del XII secolo), costituiva il ramo principale del Po entro cui confluiva il Reno, passando a sud di Ferrara e incanalandosi nell’attuale corso del fiume Reno, e contribuiva in modo massiccio alla formazione e al mantenimento di vaste aree paludose con piene e spagliamenti.

Tra i numerosi corsi d’acqua minori si ricordano, invece, il flumen Galerie (Galliera), il Rosalese (corso d’acqua in cui sboccava il fiume Zena), il Luxulino (Poggio Renatico), il Gallego (San Matteo Della Decima), il Cocenno (Poggio Renatico), lo Scorsuro (Poggio Renatico). Il flumen Galerie prendeva evidentemente il nome dall’abitato presso cui scorreva e corrispondeva nella sua parte verso il Bolognese con il Riolo. Proseguendo verso nord si univa al Cocenno, che proveniva invece dal Centese, formando così il Lavino, che sfociava nel Po di Ferrara nei pressi di Porotto. Lo Scorsuro, invece, scorreva da Poggio Renatico, passando a est di Galliera343.

Questa rete idrografica originava un paesaggio dominato da zone paludose, insieme a foreste e incolto, ricordato chiaramente anche da alcuni toponimi, come è il caso emblematico della pieve di S. Martino in Gorgo, sotto cui erano riunite le valli presso il Po di Primaro a sud di Ferrara344.

Sembra, tuttavia, che il pericolo delle piene fluviali sia divenuto preponderante dal XII secolo in poi, allorché si iniziarono a costruire argini massicci, che determinavano però danni più gravi in caso di spagliamento. Nei secoli precedenti, invece, la presenza di insediamenti anche nella bassa pianura attraversata e talvolta invasa dalle acque, suggerisce un rapporto più

342 B

ENATI 1989, pp. 29-49; PATITUCCI UGGERI 1989; BENATI 1991, pp. 337-355; PATITUCCI UGGERI 1993, pp. 57-85.

343 Secondo il tracciato delineato da TIRABOSCHI 1785, nella carta annessa al primo volume.

344 Cfr. supra Cap. III i numerosi toponimi attestati dalle fonti con riferimento alle caratteristiche dell’ambiente

pacifico tra uomo e ambiente. Perciò le comunità qui insediate, circondate da corsi d’acqua naturali e artificiali, sfruttavano per quanto possibile questa risorsa senza interventi radicali di regimentazione345.

La questione legata al dissesto idrografico è ricordata, per esempio, anche nella descrizione del territorio bolognese del cardinale Anglico, che raccomandò al suo successore di provvedere ai fiumi troppo trascurati, al fine di evitare un progressivo e irrecuperabile danno alle campagne. Il problema più stringente appare quello degli argini e dei ponti posti sulle strade principali346.

La regolamentazione delle acque costituiva una delle tematiche al centro della contesa tra le differenti comunità presenti sul territorio. Particolarmente significativo è nel 1203, in seguito a prolungate discordie, la definizione dei confini tra Cento e Galliera, con cui si stabilì anche l’uso comune di chiuse e acque347. Sono di rilevante importanza anche le bonifiche

bolognesi tra Quattrocento e Cinquecento operate nella zona della “Traversia” (S. Venanzio, S. Prospero, Poggio) per volontà di alcune tra le famiglie bolognesi di maggior spicco che qui avevano vaste proprietà terriere: i Piatesi, i Lambertini, i Marescotti, i Guastavillani348.

Se si considera la problematica legata alle tracce archeologiche oggi visibili sul territorio è bene ricordare che uno dei problemi maggiori è costituito sicuramente dai processi geopedologici recenti; infatti, l’alternarsi di azioni di erosione e di alluvione ha comportato la progressiva distruzione e l’occultamento delle antiche superfici, con un conseguente mutamento progressivo e ciclico del record archeologico349.

Per comprendere nella sua pienezza un territorio occorrerebbero anni di rilevamenti con risultati immediati parziali e talvolta contrastanti, ma non deve risultare inutile o controproducente tentare indagini territoriali di superficie in aree alluvionate. Certamente le aree ad alto alluvionamento non consentono un esame soddisfacente, ma quelle a medio alluvionamento possono costituire un primo campo di prova, dove tener conto della forte influenza della casualità nel rinvenimento di tracce archeologiche350.

345 FUMAGALLI 1985c, pp. 97-131. La preponderante presenza delle acque è ben attestata per esempio nel falso

diploma che sarebbe stato concesso dal re Astolfo al monastero di Nonantola nel 752, che potrebbe suggerire le condizioni ambientali di XIII secolo, allorché il documento fu scritto. BRÜHL 1973, III,1, n. 26, pp. 124-173, in

particolare pp. 138-142.

346 CINTI 1990. Si notino anche in questa fonte i toni catastrofici usati dall’autore.

347 Seguirono poi ulteriori definizioni dei confini in particolare fu sottoscritta una nuova convenzione in seguito

alla compravendita del 1282 con cui il comune centopievese estese i suoi diritti su una vasta estensione di incolti a sud-est di Casumaro, compresi prima entro la curia di Galliera. I confini seguivano perciò i corsi dei canali Cocenno e Canoli.

348 GIACOMELLI 1987, pp. 143-144; RINALDI 2005, pp. 89-117. 349 VITA FINZI 1969; BARKER, HODGES 1981.