Le ricerche archeologiche condotte in questo territorio, estemporanee e per lo più volte al reperimento di materiale di età romana, hanno sofferto di una esiziale asistematicità. Un’eccezione rilevante, per quanto circoscritta, è costituita dalle riflessioni scaturite da una ricerca combinata tra ricognizioni di superficie e analisi di specifiche fonti documentarie condotta tra gli anni Ottanta e Novanta del secolo scorso370.
Le strette analogie nella metodologia, negli strumenti e negli obiettivi perseguiti hanno fatto sì che la ricerca presentata in questa sede si configuri come un vero e proprio proseguimento di quell’indagine. Il comprensorio archeologicamente investigato tramite raccolta di superficie è stato ampliato, in quanto è stato possibile svolgere una survey mirata sul territorio di Galliera, spostandosi quindi verso nord rispetto alle ricerche svolte sul campo da Mauro Librenti e concentrate sul comprensorio orientale di S. Pietro in Casale.
Su un totale complessivo di ca. 10 kmq percorsi, concentrati nel territorio comunale di Galliera con significativi sconfinamenti nel Comune di San Pietro in Casale, è stato possibile individuare numerose tracce archeologiche riferibili a ipotetici siti sepolti.
Un primo elemento rilevato durante la ricerca di superficie è stata sicuramente la prevalenza di materiale archeologico in dispersione, derivata con ogni probabilità dall’uso agrario del terreno e in particolare dalla presenza preponderante di risaie fino al recente passato. Si trattava nella maggior parte dei casi di materiale di età moderna.
Per quanto riguarda l’età altomedievale sicuramente due concentrazioni risultano avere grande rilevanza, a cui se ne aggiunge una terza, anche se quantitativamente meno significativa. L’indicatore cronologico determinante è stato la pietra ollare associata a frammenti di ceramica grezza. Qui di seguito si riporta nello specifico la descrizione sintetica di queste emergenze.
UTR 52: nei pressi dell’azienda agricola, denominata La Codrona, affioramento di materiale tardo medievale e moderno, soprattutto ceramica graffita, e di alcuni significativi indicatori altomedievali: un frammento di pietra ollare, 2 frammenti di ceramica depurata di cui uno non leggibile, mentre l’altro costituisce un frammento di parete di contenitore anforico globulare, in ceramica depurata a pasta chiara, tipologia diffusa in contesti scavati di recente a Comacchio, con decorazioni incise a linee ondulate371; inoltre, una decina di
370 Si veda la raccolta di interventi in Romanità della Pianura 1991, in particolare gli interventi di Benati,
Zanarini, Librenti, Gelichi, Ghinato, in ordine di successione degli interventi stessi, tra le pp. 337-410.
frammenti di ceramica grezza di cui solo pochi riferibili a tipologie sicure, di cui almeno quattro a catini-coperchio. L’area in cui sono stati raccolti i materiali è ristretta a poche centinaia di metri quadrati. E’ importante precisare che nel campo in cui sono stati raccolti questi materiali la visibilità era molto difficoltosa, in quanto era presente della vegetazione spontanea. Durante il 2007 è stata ripercorsa la stessa Unità Topografica, tuttavia era ancora densamente presente il granoturco, solo parzialmente asportato, perciò non è stato possibile raccogliere ulteriori elementi legati alla distribuzione del materiale in superficie e all’individuazione di ulteriori anomalie. Il terreno, infatti, non era arato, quindi era impossibile avere una sufficiente visibilità globale e puntuale dello spargimento di materiale sul terreno. Questa importante attestazione necessita, perciò, di un ulteriore controllo con condizioni di visibilità favorevoli.
UTR 139: a Maccaretolo, tra la via Setti e lo Scolo Valle, presso il Podere Bene Amato, area antropizzata di circa 6000 mq caratterizzata da evidenti macchie di terreno scuro con spargimento di materiale per lo più altomedievale molto frammentato: numerosi frammenti di pietra ollare, ceramica da fuoco, due frammenti scarsamente leggibili di depurata, alcuni frammenti di ingobbiata. Questo sito è noto da quasi vent’anni ed è stato sottoposto a ripetute analisi e a raccolte di superficie sistematiche scandite durante l’ultimo decennio. Sfortunatamente non è stato possibile esaminare il materiale archeologico raccolto in passato, ma è significativo il confronto tra i dati raccolti nel 2006 e quelli sinteticamente editi da Bottazzi nel 2003372.
A livello generale si è assistito ad una progressiva diminuzione e frammentazione del materiale affiorante. Sostanzialmente si conferma la compresenza di ceramica depurata e grezza di età tardo-antica (di cui è molto difficile stabilire una cronologia più precisa), pietra ollare e ceramica da fuoco riferibile al X-XI secolo e rari frammenti di ingobbiata che fanno ipotizzare una continuità di frequentazione fino al basso medioevo, tuttavia il materiale da costruzione segnalato nei precedenti studi (laterizi romani) è stato rintracciato in maniera molto più sporadica.
In ogni caso si è osservata un’ottima visibilità delle tracce scure sul terreno che sono ben definibili in numero di cinque.
UTR 170: a est rispetto alla Motta Renana e a sud rispetto al toponimo Il Borgo. Piccola concentrazione di materiale eterogeneo: rari frammenti di età romana, un frammento
di pietra ollare, ceramica da fuoco e ceramica tardo medievale, soprattutto invetriata e ingobbiata.
Considerando questi risultati in concomitanza con quelli di una ventina di anni fa di S. Pietro in Casale, si può desumere il quadro delle evidenze archeologiche altomedievali emergenti entro un comprensorio abbastanza ampio.
Nell’area presa in esame le ceramiche da fuoco identificabili che consentano di individuare frequentazioni dei secoli centrali del medioevo, sono scarse, tuttavia grazie all’associazione di materiali come la pietra ollare ed alcuni frammenti leggibili di ceramica grezza, riferibili per lo più a catini-coperchio, olle e pentole ad occhielli, il numero di siti databili ai secoli X-XI è rilevante e rappresentativo.
Per comprendere articolatamente i dati esposti è necessario inserirli in un quadro comparativo che trova importanti punti di riferimento su scala regionale e nazionale.
Fondamentale, da questo punto di vista, è la sintesi effettuata recentemente per lo sviluppo insediativo tra VI-IX secolo nelle aree di pianura della Regio VIII, in cui sono compendiati i risultati di ricerche per certi aspetti differenziate a livello metodologico e dilazionate nel tempo, ma che convergono nel restituire linee interpretative molto significative e a gettare nuove basi per risolvere alcune questioni. In quella sede, poiché è stato trattato specificatamente il periodo successivo alla fine delle ville, si pongono in risalto le fluttuazioni in termini quantitativi e qualitativi dell’insediamento tardoantico in rapporto a quello precedente di età imperiale e con indizi che prospettano lo sviluppo successivo durante i secoli altomedievali373.
La prima età medievale, per quanto priva di un numero di siti realmente rappresentativo per l’intera regione, risulta inquadrabile in due linee di tendenza tracciate da casi emblematici (Nonantola e Calderara di Reno da un parte e Imola e il Cesenate dall’altra). La situazione, invece, che pone maggiori problematiche è quella relativa alla fase antecedente l’incastellamento, cioè i secoli VIII-IX. Le differenti ricerche condotte sull’insediamento dei primi secoli medievali suggeriscono, infatti, un momento di decisiva rottura alla fine dell’epoca carolingia, allorché si assiste ad un vero e proprio svincolamento dagli assetti che, dall’età imperiale fino al VII secolo, avevano mantenuto una sostanziale validità come punti di riferimento per la distribuzione insediativa. Rottura che permane anche rispetto al periodo successivo, riferibile per lo più alla fase di incastellamento. Quest’ultima fase, infatti,
inquadrabile dal X secolo, si inserisce in un quadro totalmente nuovo, privo di connessioni significative con i quadri insediativi di età carolingia; questo è quanto si deduce sulla base di alcune indagini specifiche svolte su alcuni siti e dai dati complessivi delle raccolte di superficie374.
Ai secoli VIII-IX corrisponde una convergenza di problemi legati da una parte all’esiguità dei fossili guida (limite già riscontrabile per i secoli tardo-antichi), dall’altra a un’effettiva e sempre più urgente carenza di strategie e metodi efficaci volti ad indagare aspetti insediativi completamente differenti rispetto alle dinamiche riscontrate fino al VII secolo. Questa critica acquisisce maggiore spessore in considerazione di alcune ricerche pregresse che non si sono neanche poste la questione di una revisione o almeno di una cautela a livello metodologico, tanto da giungere, talvolta, ad un’acritica affermazione di un’ulteriore contrazione insediativa durante l’VIII-IX secolo, priva di una valida argomentazione e di dati che potessero anche solo essere confrontati, non solo a livello quantitativo, ma soprattutto qualitativo, con l’insediamento rurale delle fasi precedenti; altre volte si è tornati a far ricorso ai modelli storiografici senza che questi fossero supportati da adeguati dati materiali.
Il problema è stato finalmente posto in piena luce e sono stati chiariti alcuni punti nodali da cui partire per ulteriori sviluppi di ricerca. Gli autori del contributo già in questa sintesi accennano al caso del Bolognese settentrionale, la zona del Saltus Planus, come esemplare per la sua complessità, desunta sulla base delle ricerche degli anni Novanta. Tale complessità risulta solo suggerita dallo studio compiuto nel territorio di San Pietro in Casale, ma trova ulteriore conferma nel comprensorio tra Bologna e Imola375.
Si verifica, infatti, un mutamento radicale di impianto, con la presenza di siti di modeste, talvolta minime dimensioni, e soprattutto una rottura decisiva con l’insediamento di età romana. Non più, quindi, un confronto dialettico tra le persistenze e le nuove fondazioni, ma un’assenza sostanziale di rapporti di coincidenza con l’insediamento precedente.
La penuria di dati di riferimento consistenti comporta la necessità di inquadrare delle ipotesi; sicuramente in questa fase un carattere ben riconoscibile della distribuzione insediativa è la tendenza spiccata all’accentramento, che tuttavia alla luce dei dati a disposizione appare ben lontano da un’ipotesi di continuità con i futuri insediamenti incastellati, in quanto finora non si possiedono esempi concreti che foniscano una conferma in tal senso. Anzi, le poche attestazioni a disposizione sembrano esplicitamente indicare che i
374 GELICHI, LIBRENTI, NEGRELLI 2005, nota 48 a p. 74: si fa riferimento a ritrovamenti inediti nei siti di S. Maria in
Duno, Granarolo, Castagnolo Maggiore del “Montirone” presso S. Agata.
contesti di materiali pertinenti all’età carolingia, non trovino poi alcuna continuità o analogia con la fase di incastellamento di X secolo376.
Le ricerche svolte nel territorio di Galliera contribuiscono nella definizione di questo quadro, infatti dei tre siti individuati solo il caso del sito 139 sembra avere rapporti di continuità con l’insediamento tardoantico o almeno una persistenza di frequentazione. Tuttavia, alla luce delle riflessioni compiute, sarebbe meglio parlare di una fase di sicuro insediamento su un’area insediata già in età tardoantica anche durante il X-XI secolo; la maggior parte dei reperti, infatti, è riferibile a questo periodo, ma sono assetni indizi che possano attestare un’effettiva continuità di vita per questo abitato anche tra il VI e il IX secolo. Il sito 139 sorge tra l’altro molto vicino al “pagus romano” individuato da Bottazzi e quasi in coincidenza con il toponimo Soresano, che richiama direttamente il vicus Surixano attestato nelle fonti di X secolo377.
Situazione differente, invece, per il sito 52, dove la penuria nel numero di reperti non impedisce di valutarne i caratteri di grande significatività. In particolare il rinvenimento di un frammento di anfora databile entro un orizzonte cronologico di IX-X secolo, associato a pochi altri reperti difficilmente inquadrabili in un ambito cronologico preciso, suggerisce la possibilità che si tratti di uno di quegli abitati di dimensioni estremamente ridotte riferibili alla fase precedente l’incastellamento, tanto più che tale sito si colloca in un’area priva di attestazioni per l’insediamento romano o tardoantico, nelle immediate vicinanze però dell’attuale abitato di Massumatico, toponimo riferito a uno dei castra di X secolo attestato dalle fonti. Il terzo sito, per quanto significativamente posto nei pressi del luogo in cui doveva sorgere la pieve di San Vincenzo, non offre molte indicazioni, al di là dei pochi reperti riferibili a fasi molto differenziate, comprese tra l’età romana e l’età moderna. Tuttavia è bene precisare che le ceramiche rivestite, di età post-medievale sono probabilmente frutto della dispersione di materiale riferibile ad un abitato ben localizzato nel campo limitrofo, quindi rimangono significativamente svincolati dai reperti sporadici di età imperiale (vernice nera e sigillata) e di età altomedievale (pietra ollare) ancora in attesa di essere inseriti in una lettura interpretativa più approfondita, poiché troppo esigui nel numero e privi di associazione con materiale edile o tracce anomale sul terreno.
376 Si ribadisce che tali considerazioni si attagliano alla pianura, ben diverso è il discorso per le aree costiere o
appenniniche.
377 BOTTAZZI 2003. Il primo documento che attesta un vico Surixano è quello del 997, in CENCETTI 1936, n. XIX,
Fig. 11 – Alcuni materiali dal sito altomedievale (UTR 52): un frammento di anfora globulare in ceramica
depurata a pasta chiara e un frammento di contenitore da fuoco in pietra ollare.
Fig. 12 – Un esemplare di conteniitore anforico proveniente dallo scavo in Via Mazzini a Comacchio della
Fig. 13 – Distribuzione dei siti intercettati durante le ultime camapagne di ricognizione insieme a quelli