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Formazione degli insegnanti e lifelong learning

Gli investimenti nella formazione e nel perfezionamento continuo del corpo docente sono molto limitati in tutta l’Unione europea.

Se da un lato, a livello di politiche europee si parla di formazione continua come processo unitario di crescita professionale lungo tutto l’arco della carriera di un insegnante, di fatto la realizzazione di simili contesti formativi non sembra essere ancora una realtà diffusa. Come riporta il documento Communication From The Commission To The Council and the European Parliament. Improving the Quality of Teacher Education (Commissione delle Comunità Europee, 2007b), la formazione continua per gli insegnanti è obbligatoria soltanto in undici Stati membri, senza che peraltro gli insegnanti siano esplicitamente tenuti a seguire questo tipo di formazione in tutti questi Paesi. Laddove esiste la possibilità di seguire una formazione, in genere questa non supera le 20 ore all’anno. In nessuno Stato membro la formazione minima obbligatoria supera i cinque giorni all’anno e nella maggior parte dei Paesi sono obbligatori soltanto tre giorni di formazione all’anno. Peraltro, il fatto che la formazione continua possa essere obbligatoria non indica assolutamente quale sia il reale tasso di partecipazione. Per quanto riguarda i nuovi insegnanti, soltanto la metà dei Paesi europei offre loro un qualche tipo di sostegno a livello sistematico nel corso del primo anno d’insegnamento. Soltanto in un terzo dei Paesi esistono contesti specifici per aiutare gli insegnanti che hanno difficoltà nello svolgimento del loro lavoro.

Rispetto a quanto si verifica in altre professioni, l’insegnamento ha un’elevata percentuale di lavoratori più anziani. Il 40% di insegnanti risulta di età compresa tra i 45 e i 64 anni in molti Paesi, mentre in altri Paesi fino al 30% degli insegnanti ha un’età compresa tra i 50 e i 64 anni. Gli aspetti sinteticamente evidenziati implicano ripercussioni anche a livello delle esigenze di formazione professionale, che il più delle volte fanno riferimento a modelli formativi tradizionali, accanto a poche esperienze più innovative.

L'articolata professionalità docente va ben oltre la sola competenza disciplinare: occorre trasformare i “saperi sapienti” (Chevallard, 1985) o accademici in “saperi da insegnare”, senza banalizzarli, solo semplificandoli o riducendoli, saperi che abbiano senso per la scuola nelle sue diverse articolazioni, mutando di significato e di funzione nel momento in cui diventano strumentali a un processo educativo e formativo. Si tratta di un compito che università e scuola devono fare insieme, in uno sforzo comune a partire dal quale gli insegnanti potranno poi compiere una ulteriore trasposizione didattica che esprime la loro specifica professionalità, trasformandoli ancora in “saperi insegnati” in quel contesto, in quella classe.

Saper fare questo richiede una professionalità che si manifesta anche attraverso una conoscenza pratica o “tacita” (Polanyi, 1979) che supera il concetto di pratica come semplice applicazione della teoria. Occorre, quindi, far emergere expertise, intuizioni o “abilità artistiche”, espressione della fusione di teoria e pratica, che i professionisti sanno agire nelle situazioni di incertezza, unicità e conflitti di valore che possono incontrare nel quotidiano. Abilità che si manifestano in un costante adattamento della pratica attraverso l’anticipazione, il riconoscimento e la correzione dell’errore in azione (Chevallard, op. cit., 2007) e che consentono di co-costruire, insieme al discente, una nuova conoscenza contestualizzata.

Sviluppare e valorizzare questa competenza negli insegnanti, trasformandola in un habitus professionale indispensabile per fronteggiare la dinamicità dei saperi e dei contesti, significa superare la sola esperienza per rielaborare una riflessione su di essa. In questo modo la conoscenza della pratica si trasforma in pensiero e professionalità consapevole; occorre arrivare all’esplicitazione del significato di un’esperienza, alla sua reinterpretazione, per trasformarla in apprendimento intenzionale (Mezirow, 2003). La formazione dovrà basarsi su dispositivi formativi centrati su pratiche e laboratori riflessivi dove tra le due dimensioni vi sia sinergia e integrazione attraverso la riflessione comune delle situazioni osservate, delle esperienze svolte e delle conoscenze teoriche affrontate, trasformando l’insegnante in insegnante-ricercatore didattico (Colombo, M.,Varani, A.,2008).

La formazione iniziale ed in servizio degli insegnanti viene spesso richiamata dalle politiche europee con riferimento all'armonizzazione dei percorsi accademici e professionali, quale punto critico rispetto al perseguimento degli obiettivi di mobilità,

trasparenza, competitività e inclusività.

Per quanto le pratiche e le politiche in campo educativo e formativo siano sempre più internazionalizzate, la formazione iniziale rimane piuttosto ancorata a visioni culturalmente situate, cariche di connotazioni valoriali, rispetto al ruolo e alle caratteristiche dell’insegnante e dell’istruzione. A rendere ancor più articolato l'ambito della formazione degli insegnanti vi sono poi gli influssi istituzionali e statali di controllo che risultano particolarmente forti in rapporto all’efficacia di politiche educative nazionali.

Tuttavia, in tempi di rapidi cambiamenti ideologici, politici ed economici, equivalenti ad una “tripla rivoluzione”, nuovi concetti di educazione potrebbero emergere e condurre a riforme educative epocali – con la creazione di un nuovo concetto del cittadino ideale e dell’insegnante ideale (Tatto, 2006,pp. 231-241). Il nuovo concetto dell’insegnante ideale risulterebbe quindi dalla mediazione tra risposte a questioni fondamentali sulla formazione degli insegnanti: chi dovrebbe essere preparato, su che cosa, e come impara; come organizzare la formazione, qual è l’istituzione formativa ideale e quali opportunità offre per l’apprendimento degli insegnanti (Cochran-Smith, Feiman-Nemser & McIntyre, 2008).

Per quanto attiene alle strutture organizzative della formazione degli insegnanti, il Libro Verde sulla Formazione degli Insegnanti in Europa, contemporaneo alla dichiarazione di Lisbona, prospetta la necessità di un sistema aperto e dinamico, che coinvolga sfere e attori diversi, superando un modello formativo statico e generiche affermazioni di accordo sui cambiamenti necessari negli Stati-Membri (Buchberger et al., 2000). Formazione iniziale e formazione in servizio sono concepite come un continuum e, soprattutto, vanno progettate congiuntamente dalle varie sfere che se ne occupano, poiché mirano a obiettivi comuni e progressivi di competenza professionale.

Le istituzioni universitarie vengono individuate come responsabili di fornire programmi formativi di qualità ai tre livelli del Processo di Bologna, fondati su solide basi di ricerca, buone pratiche didattiche e collaborazioni inter-istituzionali efficaci, coinvolgendo formatori con esperienze dirette e competenze avanzate d’insegnamento scolastico. Il rapporto, nelle conclusioni, collega le proposte formulate all’obiettivo di assicurare una formazione coerente, di qualità, nella continuità metodologica, per insegnanti che possiedano conoscenze, competenze e disposizioni adeguate,

promuovendo una cultura di pratiche riflessive e ricerca, una cultura di formazione permanente e il riconoscimento professionale, in termini di crediti formativi e certificazione delle competenze.

Si possono prendere in esame otto questioni critiche inerenti alle pratiche della formazione degli insegnanti, che riflettono aspetti ricorrenti del dibattito scientifico internazionale, con specifico riferimento agli ambiti del lifelong learning (Cochran-Smith, 2006; Cochran-(Cochran-Smith, Feiman- Nemser & McIntyre, 2008):

 Conoscenze

 Apprendimento in formazione

 tirocinio e pratiche didattiche

 Esiti formativi

 Coerenza

 Reclutamento e selezione

 Diversità

 Giustizia sociale

L’apprendimento in formazione e il tirocinio come pratica didattica, sono strettamente intrecciate e legate alle conoscenze. La seconda questione considera le possibili prospettive per definire l’apprendimento dei futuri insegnanti, in particolare durante il tirocinio: come addestramento a specifici comportamenti in classe, come sviluppo di schemi interpretativi di pratiche didattiche partecipando a comunità di ricerca, oppure come apprendimento esperienziale, sul campo. Nella terza questione, ci si interroga su come tener conto, durante il tirocinio, di competenze e abilità ritenute necessarie per un insegnamento efficace (Cochran-Smith, 2006, p. 46). Ciò include i modi in cui le pratiche didattiche riflettono il ruolo degli insegnanti nelle comunità scolastiche e sociali, e le attività riflessive, di teorizzazione sulle pratiche, in rapporto alle esperienze sul campo. La coerenza del percorso formativo va perseguita attraverso la progettazione comune di linee-guida, con altrettanta attenzione comune – a tutti i livelli - per gli esiti formativi.

Il quadro di riferimento di Cochran-Smith individua, inoltre, le premesse fondamentali per una comprensione efficace delle pratiche formative. Tra queste, le questioni seguenti

appaiono di particolare rilevanza, per l’attenzione ricevuta nel dibattito internazionale: - Il presupposto della complessità di questioni e fenomeni, contro il

pericolo di semplificazioni e dicotomie

- L’importanza di collegarsi alle radici storiche di questioni ricorrenti, considerando le implicazioni di ri-contestualizzazioni in orditi politici, sociali, economici diversi

- Le politiche sottese ad orientamenti, pratiche o riforme, in relazione a particolari costellazioni di attori, con influssi e sistemi di valori differenti. (Cochran-Smith, 2006, p. 47)

Una parte importante dell’azione pedagogica si fonda su una “improvvisazione regolata” con automatismi, che fa appello ad un habitus personale e professionale, piuttosto che a più generici saperi. L’habitus interviene nella microregolazione di azioni, orientamenti quotidiani e routines solo parzialmente controllati dalla coscienza – particolarmente in contesti di gestione delle urgenze, dove l’improvvisazione viene regolata da schemi percettivi e decisionali che coinvolgono debolmente pensiero razionale e saperi espliciti. Sembra possibile e opportuno formare l’habitus come disposizione ad attivare strumenti di analisi, autoregolazione, presa di coscienza, messa in questione, per modificare l’habitus stesso, con un “lavoro su di sé” (Perrenoud, 2006, p. 199-200).

Anche nel caso di un’attivazione deliberata di saperi e regole, identificare situazione e momento opportuni può rivelare l’habitus. La mobilitazione di tali risorse cognitive, diverse dai saperi, può chiamare in causa intuizioni e sensazioni, in parte inconsapevoli, come anche conciliare l’azione razionale con aspetti relazionali ed emozionali in una situazione (Perrenoud, 2006, p.178).

L’orientamento coerente di un programma formativo degli insegnanti, con idee guida chiare, condivise e diffuse nel lifelong learning ha dimostrato di esercitare un maggior impatto formativo rispetto ad aspetti strutturali e organizzativi (Tatto, 1996; Darling-Hammond, 2000).

Per l’efficacia formativa, occorrerà la revisione di quattro aspetti critici e sostanziali, da esaminare in base al principio della coerenza complessiva, alle modalità delle relazioni

tra componenti e attori nel programma, e i collegamenti concettuali tra le componenti stesse: aspetti sociali e politici del contesto istituzionale; organizzazione e obiettivi dei curricoli formativi; caratteristiche di candidati e formatori; curricoli formativi in termini di corsi, tirocinio, metodologie formative, e impatto di sistemi di valutazione dei programmi (Kennedy, 1998; Darling- Hammond, 2000, 2006; Zeichner & Conklin, 2008).