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3. La Formazione riflessiva

3.5 Pratiche di comunità di pratica

Ogni schema d’intervento di supporto, perché abbia efficacia, deve essere supportato dalla cooperazione interpretativa dei soggetti, che negoziano costantemente il significato di ciò che fanno, esprimendosi secondo modalità del tutto imprevedibili. Il passaggio preliminare del “riconoscimento” delle dinamiche dell’apprendimento situato tende ad essere messo in secondo piano (o addirittura ignorato) nella convinzione che sarebbe sufficiente sollecitare – mediante l’introduzione e l’uso di tecnologie appropriate – le naturali tendenze degli attori a liberare quelle energie creative e collaborative che l’organizzazione tradizionale scoraggia e disincentiva. In questa direzione, con l'approccio considerato viene evitato ogni intervento standardizzato a favore di pratiche di sostegno che intendono sollecitare, tra i membri del gruppo, la capacità di “individuazione e di analisi dei problemi”. Questi ultimi sono originati dalle pratiche e dinamiche relazionali interne, dalla capacità dei partecipanti di scambiare, rinnovare e far circolare le conoscenze personali, così come dalle influenze provenienti dall’esterno e che, se non affrontati adeguatamente, nel tempo possono ledere la stessa comunità. L’approccio proposto da Wenger e colleghi (Wenger, Dermott, Snyder, 2002, op. cit.), dal punto di vista metodologico, suggerisce tre elementi costitutivi di una comunità di pratica:

1. il “campo tematico” (domain): definisce l’identità, i valori e gli obiettivi dei suoi membri;

2. la “comunità”: quale contesto sociale dell’apprendimento e “luogo” di costruzione relazionale della fiducia, del rispetto, dell’ascolto reciproco, della condivisione delle idee (ivi, p. 28);

3. la “pratica”: inteso come “set di cornici interpretative, d’idee, strumenti, informazioni […], storie e documenti condivisi dai membri della comunità”, racchiude in sé “… la specifica conoscenza che la comunità sviluppa, mantiene e condivide” (ibidem, p.29).

Agendo in modo parallelo e simultaneo su questi tre elementi costitutivi, si sviluppa il lavoro di “coltivazione” della comunità. Sul tema del “campo tematico” (domain), occorre individuare l'ambito o gli ambiti che definiscono l’oggetto d’interesse strategico e attorno ai quali gli attori si associano, costruendo la loro identità; la “nascita” della “comunità” va favorita incoraggiando la fiducia reciproca tra i partecipanti, evidenziando e valorizzando la “produttività” della comunità, ossia le nuove conoscenze di volta in volta conseguite dal gruppo. A partire da questi pre-requisiti, la pratica della coltivazione si basa su alcuni “principi” (Wenger, Dermott, Snyder, 2002, op.cit., p. 51-63) intesi come punti di riferimento, flessibili e modificabili secondo la situazione del campo dell’intervento:

- “progettare per l’evoluzione”: l’idea progettuale di riferimento è quella di rispettare la naturale tendenza della comunità a seguire il suo processo di sviluppo evitando di proporre o imporre visioni strutturali predefinite. - “creare un dialogo tra prospettive interne ed esterne”: diviene

fondamentale che i membri della comunità acquisiscano e scambino informazioni, esperienze, visioni e prospettive su ciò che avviene fuori dalla comunità: ciò evita l’illusione dell’autosufficienza e la chiusura del gruppo in logiche “difensive”, favorisce la riflessione, il confronto, il rafforzamento delle potenzialità di apprendimento e di crescita;

- “promuovere diversi livelli di partecipazione”: significa favorire forme di partecipazione che evitino la cristallizzazione di ruoli fissi; da qui l’importanza che tutti i membri della comunità (a prescindere dalla loro posizione di attori centrali o periferici rispetto alle pratiche) siano stimolati a coinvolgersi valorizzando le specifiche motivazioni di ciascuno;

- “sviluppare simultaneamente spazi pubblici e spazi privati”: dal punto di vista progettuale, creare “luoghi” (siti web, forum in rete, eventi speciali, ecc.) quali occasioni pubbliche d’incontro tra tutti i membri della comunità, e incoraggiare interazioni dirette tra i partecipanti, rappresentano elementi decisivi per il successo della comunità. In tal modo, sviluppando pratiche relazionali pubbliche e private (costituite da

scambi, approfondimenti, conoscenza reciproca, ecc.), si rafforzano i tratti identitari e le capacità riflessive della comunità;

- “focalizzarsi sul valore”: concentrarsi sul valore che la comunità riesce a generare è importante perché alimenta l’energia, la vitalità e le ragioni della partecipazione, favorisce la visibilità e il riconoscimento dell’importanza della comunità nell’organizzazione; è poi necessario sollecitare iniziative in grado di far emergere e rafforzare nei partecipanti la consapevolezza della rilevanza del valore implicito;

- “combinare la familiarità con l’eccitazione” (excitement): significa articolare insieme routine e innovazione, ossia far in modo che per ciascuno dei membri della comunità, partecipare ad essa sia un’esperienza “familiare e confortevole”; in tal modo, se da un lato il dialogo con gli altri può avvenire in modo tranquillo e produttivo, dall'altro è utile introdurre elementi di novità, nuove idee, al fine di stimolare l’”eccitazione” e l’interesse del gruppo;

- “creare un ritmo”: ossia comprendere e stimolare la riflessione sul modo in cui la comunità svolge le sue pratiche e sui relativi accordi stipulati dai membri del gruppo. La corretta combinazione tra tempi e modi di svolgimento delle attività da parte della comunità ne definisce il “ritmo” che “è il più importante indicatore della sua vitalità” (Wenger, Dermott, Snyder, 2002, op.cit, p. 63).

Rispetto alle prospettive classiche della progettazione, in questa visione l'intervento non è “pre-ordinato” secondo un criterio rigido; i sette “principi” proposti non rappresentano uno schema procedurale di operazioni disposte secondo una concatenazione di “passaggi” ma sono, piuttosto, un insieme di “accorgimenti” che possono orientare il lavoro di “sviluppo” e di sostegno di una comunità. Tali principi rimandano ad azioni che non rispettano un ordine sequenziale ma spesso sono interrelate tra loro: ciò richiede alcune capacità come la creatività, la flessibilità e l'improvvisazione.

La prospettiva della comunità di apprendimento si può configurare come una prospettiva d’intervento, di facilitazione e di consulenza orientata a sviluppare nei

membri della comunità capacità riflessive sulle loro pratiche. Si tratta cioè di un metodo riflessivo che prevede il supporto di specialisti esterni il cui ruolo si configura prevalentemente quale “facilitatore” dei processi autonomi di elaborazione e di (auto) costruzione del gruppo, proponendo soluzioni mirate, individuate nel confronto tra i partecipanti e tra questi e le loro pratiche. Il compito del “facilitatore” è quello, quindi, di “coltivare” la comunità, nel senso di seguirla e accompagnarla, supportandone i processi e le dinamiche, con la consapevolezza che la a stessa, come ogni altro organismo vivente, segue il suo “naturale ciclo di nascita, crescita e morte” (Wenger, Dermott, Snyder, 2002, op.cit. p.68).

In questa direzione, il metodo della comunità di apprendimento trova importanti elementi di contatto con approcci che evocano la ricerca-azione (Lewin, 1972, op. cit.) e l’action-learning (Revans, 1983, op. cit). In entrambi gli indirizzi i partecipanti attivano processi riflessivi che riguardano anche il “come” si apprende. Indagine, riflessione ed intervento consentono agli attori, impegnati a scoprire e risolvere i problemi, di riflettere sulle modalità di apprendimento in azione e d’integrazione delle conoscenze (su valori, assunti e tecniche). L’azione formativa si rinnova sia dal punto di vista delle sue logiche e delle sue pratiche sia da quello delle culture professionali dei suoi operatori.