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Le premesse teoriche del tirocinio ADA

4. Il percorso formativo nel tirocinio delle Attività Didattiche Aggiuntive (ADA) nel Corso di Laurea in Scienze della Formazione Primaria

4.2 Le premesse teoriche del tirocinio ADA

Il percorso di tirocinio ha come base l'idea di un docente professionista riflessivo (Schön, 1993) che interpreta le variegate funzioni connesse al suo ruolo, talvolta non esplicito o non condiviso (Damiano, 2006); un docente che, mentre valorizza risorse e conoscenze dei vari attori, richiede a ogni alunno di gestire propri saperi, imparando a riconoscere la co-costruzione di nuovi altri saperi. L'idea del docente, sottesa al percorso formativo, è quella di un professionista che ha l’intenzione di attivare processi complessi che supportano la progettualità di azioni autoregolate di ogni studente-attore (Le Boterf, 2000; Perrenoud, 2002) e che riflette sulla reciprocità del rapporto dialogico tra docente-discente-discenti, giocato in un contesto di apprendimento ove ciascuno possa dare una personale idea. Ancora, si tratta di un docente che sceglie domande, situazioni e materiali che predispongano alla realizzazione concreta delle idee accolte in quel contesto, ognuno secondo il proprio personale orientamento. (Mercadante, 2010). In riferimento al contesto, esso è pensato dall'insegnante che legge, nelle azioni agite dagli attori, i processi e le intenzioni ad essa sottesi e che raccoglie dati per monitorare progress e orientamenti: dati sui quali riflettere tutti insieme per poi decidere come meglio supportare e potenziare ogni persona-alunno. (Mercadante, 2010).

Come sottolinea Ianes (2005), l'insegnante di sostegno (ma anche quello curriculare) deve possedere un forte corpus di conoscenze teoriche sui processi coinvolti negli apprendimenti, nel pensiero, nelle emozioni, nelle relazioni e nei gruppi. Conoscenze che devono essere rielaborate e rese significative in un modello personale, adattato dal singolo insegnante: una specie di mappa teorica attraverso la quale tentare di leggere ciò che succede, di usare metodi e tecniche e di interrogarsi grazie alla messa in atto di progetti di ricerca. Conoscenza empirica e studio dovranno accompagnare la formazione iniziale per continuare in tutto l'arco della vita professionale di ogni insegnante diventando parte integrante del proprio habitus. (Ianes, 2005)

siano messe a confronto con le teorie, implicite alle pratiche, e confrontate con altre teorie connesse ad altre pratiche. Il fine è quello di formalizzare, a posteriori e collettivamente, nuove conoscenze e quindi nuove pratiche e nuove concezioni (Mercadante, 2010). Il tirocinio vuole essere una possibilità per lo studente, futuro insegnante, di pensarsi e sperimentarsi come “ricercatore”, per cui il fare ricerca non è un lusso, deve essere sentito come una necessità: il bisogno di fare in modo sistematico, condiviso e partecipato, un piccolo passo avanti nella conoscenza di come funzionano i saperi e le cose nell'apprendimento, nelle relazioni, nei gruppi, nella psicologia dell'alunno. Una ricerca significativa dovrebbe poggiare su ciò che si sa, o si crede di sapere, per evolverlo, correggerlo, arricchirlo, anche smentendo convinzioni provvisorie.(Ianes, 2005)

Nel percorso di tirocinio, l'insegnante in formazione ha la possibilità di sperimentare le sue intenzioni comunicative, le sue concezioni anche quelle sul bambino diversamente abile nonché sulle sue teorie ingenue rispetto ai saperi disciplinari, nel confronto dialogico con altri colleghi. La formazione proposta va, quindi, nella direzione di far riflettere ogni partecipante sulla scelta delle strategie individualizzate più funzionali a permettere a ogni alunno di mostrare e incrementare le sue potenzialità, facendo esercitare l'autonomia della scelta, secondo il suo personale processo educativo e di apprendimento.

Si realizza un momento formativo che non intende dare nuove conoscenze se non quelle dedotte dalle riflessioni sulle proprie credenze presenti nella prassi quotidiana in classe. I riferimenti sono quelli del paradigma progettuale, dei modelli e teorie dell’apprendimento e dei modelli disciplinari, richiamando in questo il mandato professionale dell’insegnante: insegnare l’imparare ad apprendere (Albanese, Mercadante, 2010).

Una formazione che chiama in causa le credenze relative al sapere disciplinare, all’educazione e all’apprendimento, cercando di incrinare la prospettiva innatista ove si è perso il gusto della continua sfida data dal sapere e dal fare insieme, per mettere in discussione questo “nocciolo duro” di cui difficilmente ci si libera e che a fatica si modifica (Fiorilli, 2009). Trasformare le credenze è un processo possibile solo se si avviano riflessioni metacognitive personali e collettive, in modo da mettere in luce la natura delle credenze e le loro differenze con le conoscenze riscontrate nei dati di realtà.

Per raggiungere tale obiettivo, i tirocinanti seguono una precisa raccomandazione: nella pratica del tirocinio diretto nella scuola, non devono richiedere informazioni sulla diagnosi funzionale del soggetto con certificazione, come invece è di solito in uso e, tantomeno, comunicare la patologia nei documenti e nei dialoghi con i colleghi del gruppo. In questo modo, i tirocinanti sono invitati a leggere solo le potenzialità del soggetto osservato, potenzialità da prendere in considerazione per formulare un’ipotesi di lavoro disciplinare che includa tutti i soggetti di quella classe. L'insegnante in formazione deve, quindi, rinunciare alla tentazione di condurre i propri alunni verso quello che pensa sia utile per loro, demandando agli stessi la possibilità di scelta del proprio percorso di formazione.

“Un docente che deve fare i conti con l’ansia del non sapere cosa succederà domani, che non si agita nella continua proposta di cose da fare ma che, grazie all’individuazione di una ipotesi, basata su solidi riferimenti teorico-disciplinari, è fermo, un pilastro, un faro a cui far ricorso in quanto più lui è fermo più permette agli alunni di potersi muovere, esplorare, agire, sperimentare, sperimentarsi. Un’ipotesi che, secondo la cultura progettuale, affonda le radici nell’epistemologia disciplinare e dell’apprendimento catturandone la struttura, espressa dai nodi portanti e dalle teorie di riferimento che suggeriscono indicatori utili alla regolazione della prassi scolastica”(Mercadante, op. cit.).

L'ipotesi di lavoro disciplinare, gli indicatori suggeriti dalle teorie e il nodo disciplinare, quale oggetto di indagine, vengono condivisi a monte con l’alunno-attore e col gruppo-classe permettendo così:

- la rilevazione e il successivo monitoraggio dei processi messi in atto in quella situazione;

- il potenziamento dei processi perché riconosciuti dal soggetto stesso, dai coetanei e dall’insegnante;

- la riprogettazione condivisa tra alunno, docente di sostegno e docente di classe di attività che mostrano le svariate sfaccettature di quell’ipotesi, favorendo così la previsione del cosa succederà domani;

riuscita dell’attività stessa attraverso la regolazione e il controllo dei processi di apprendimento e delle competenze secondo il personale orientamento;

- l’approfondimento dell’ipotesi, perché persistente e ricorsiva nel tempo, la scelta di strategie messe in atto dal docente per interpellare le variegate sfaccettature del sapere posseduto da ciascun soggetto attorno a quell’ipotesi. Secondo il principio dell’individualizzazione, ogni alunno si sente pensato “capace” e, pertanto, in grado di decidere e di scegliere ciò che è più consono a lui, realizzando al contempo il principio di un apprendimento personalizzato.

La natura organizzativa del percorso così ideato propone uno spostamento di prospettiva nella lettura dei processi di inclusione: non solo l'inclusione di ogni alunno ma l'inclusione di “un docente che, nei diversi contesti e rapporti, mette in atto una relazione pari tra persone, insegnante bambino e sapere, nel pieno rispetto dei ruoli assunti da ambo le parti” (Mercadante, op. cit, p.172).

La disponibilità alla relazione ed alla comunicazione è, quindi, uno degli elementi distintivi di questo percorso formativo. Nell'incontro con l’altro si costruiscono e condividono significati d’integrazione sperimentati sul campo, nel lavoro e nell'ascolto in rete. Si mette così in discussione la visione statica e classificatoria delle comuni etichette diagnostiche allo scopo di riconoscere ed eliminare gli stereotipi che culturalmente fanno riferimento alla disabilità.

Nel tirocinio l'insegnante in formazione trova la consapevolezza del ruolo “di sostegno” che andrà ad assumere, in cui si declinano indispensabili competenze di flessibilità e di autoanalisi del proprio operato professionale.