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3. eventuale confezionamento e stoccaggio refrigerato.

3.1.2 Formazione della sfoglia

Una volta formato l’impasto, che presenta un’umidità del 32-35%, si passa alla formazione della sfoglia.

La sfogliatrice svolge un ruolo molto delicato, che può compromettere in modo significativo il prodotto nel colore e nella texture. Essa è dotata di alcune coppie di rulli che lavorano e laminano l’impasto fino ad ottenere una sfoglia dello spessore di 7 mm. La riduzione dello spessore è fondamentale per evitare stress meccanici a carico della sfoglia e formare una rete di glutine resistente ed allineata, mantenendo una bassa temperatura del prodotto.

Ottenuta la sfoglia continua si può passare alla fase di formatura. Per la pasta piana si ha una fase di laminazione che riduce gradualmente lo spessore fino ad 1 mm o meno, a seconda del tipo di prodotto richiesto. Nel caso delle lasagne, una serie di coltelli rotanti incidono la sfoglia prima del trattamento termico, in modo da favorirne la successiva separazione per il confezionamento.

Per la pasta ripiena si utilizzano macchine diverse a seconda dei formati e delle quantità richieste; ad esempio, nel caso specifico dei tortellini si ha un meccanismo molto delicato, che taglia la sfoglia, depone il ripieno, ripiega la sfoglia, chiude i lati ed alla fine chiude l’anello. Nel caso delle paste fresche estruse, invece, si utilizzano presse e trafile in modo analogo a quanto avviene per la pasta secca. In questi casi, l’impasto, invece di essere laminato per ottenere una sfoglia, viene estruso attraverso una trafila assumendo diversi formati, sia di pasta lunga (spaghetti) che di pasta corta (fusilli, maccheroni, ecc.).

Ovviamente è anche possibile ottenere la sfoglia stessa per estrusione. I vantaggi e gli svantaggi di questo metodo sono da tempo argomenti di discussione tra gli addetti del settore. Appare comunque evidente che la scelta tra laminazione ed estrusione viene principalmente dettata dall’atteggiamento del mercato e dalle preferenze dei consumatori.

La pasta estrusa ha un contenuto di acqua del 28,5-29% ed una temperatura di circa 50°C. Il prodotto formato nel suo aspetto finale è quello che si vende nelle botteghe artigianali, generalmente mantenuto refrigerato e con un tempo di conservazione di un paio di giorni. Per

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la grande distribuzione è, invece, necessario sottoporre il prodotto ad un trattamento in grado di ridurre la carica batterica, eliminare muffe e lieviti ed evitare la proliferazione dei microrganismi per tempi lunghi senza alterare le caratteristiche del prodotto appena formato. Tale trattamento è, per lo più, di tipo termico.

3.1.3 Pastorizzazione

La deperibilità di un alimento può avvenire più o meno velocemente, a seconda delle tante variabili intrinseche ed estrinseche all’alimento stesso, quali, ad esempio, lo stato fisico e la composizione chimica, gli effetti prodotti da agenti interni (enzimi presenti nell’alimento) ed esterni (calore, luce, ossigeno atmosferico, contaminazioni di varia natura ed origine).

Le paste alimentari ovviamente non fanno eccezione a questo principio generale: la tecnica dell’essiccazione consente di ottenere il risultato migliore per la loro stabilità nel tempo, però con una modifica sostanziale delle caratteristiche organolettiche originarie.

Per le paste fresche le tecniche di conservazione sono necessariamente diverse, subordinate all’esigenza di non modificare in modo significativo, o di non modificarla affatto, l’umidità originaria dell’impasto e degli eventuali ripieni.

La disponibilità di acqua nelle paste fresche favorisce in particolare l’attività microbica e, dunque, il verificarsi di quei fenomeni biochimici che provocano instabilità, progressiva alterazione del prodotto, fino alla perdita completa della sua commestibilità. Le tecniche di conservazione delle paste fresche sono, pertanto, mirate all’eliminazione, riduzione e/o inattivazione dei microrganismi presenti nel prodotto protagonisti dei fenomeni biochimici citati e, conseguentemente, della deperibilità del prodotto stesso.

Nel caso delle paste fresche, il principale elemento di rischio è rappresentato dai microrganismi patogeni che possono trovarsi già nelle materie prime e negli ingredienti utilizzati, oppure contaminare il prodotto durante le varie fasi della lavorazione.

In generale, nella pasta fresca il pH ha un valore compreso tra 5,6 e 6,2, mentre l’attività dell’acqua è compresa tra 0,92 e 0,95. Con questi valori e considerando che la temperatura di confezionamento e distribuzione è inferiore ai 6°C, il trattamento deve essere concentrato prevalentemente su lieviti e muffe; altri microrganismi patogeni sono quelli riconducibili agli ingredienti della pasta ed, eventualmente, del ripieno, quali Staphilococcus aureus, Salmonella spp, Clostridi, Bacillus cereus, Listeria monocytogenes.

Lo Staphilococcus aureus e la Salmonella spp sono i due soli agenti microbici fino ad oggi coinvolti in episodi di intossicazione o di infezione alimentare legati al consumo di paste (Zardetto et al., 1999).

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Attualmente, in tutti i Paesi che hanno una legislazione specifica in materia di prodotti freschi, è vietato o severamente regolamentato l’uso di sostanze antimicrobiche o batteriostatiche; ciò vale, ovviamente, anche per le paste fresche.

La normativa italiana sulla pasta stabilisce che il prodotto fresco, posto in vendita in imballaggi preconfezionati, deve essere stato sottoposto “ad un trattamento termico equivalente almeno alla pastorizzazione”. La norma, contenuta nell’articolo 9, comma 5/c del DPR 9 febbraio 2001 n.187, impone, dunque, a tutti i produttori di pasta fresca confezionata in atmosfera protettiva o sotto vuoto, come pure in atmosfera normale, di pastorizzare il prodotto. La norma citata non indica alcuna tecnica specifica di trattamento termico, lasciando al produttore libertà di scelta, purché il trattamento applicato “sia equivalente almeno alla pastorizzazione”.

L’obiettivo primario della pastorizzazione è quello di distruggere le forme patogene e la maggior parte di quelle vegetative dei microrganismi presenti nell’alimento e disattivare gli enzimi, garantendo la sicurezza igienica alla pasta confezionata e determinando il tempo di conservabilità del prodotto.

Per pastorizzazione si intende, come noto, il procedimento basato sull’applicazione di calore, idoneo a distruggere o a ridurre a livelli compatibili con la sicurezza igienica ed alimentare, i microrganismi termolabili eventualmente presenti nel prodotto prima del trattamento stesso. La pastorizzazione è, dunque, fondamentalmente mirata alla sicurezza alimentare e, quindi, alla distruzione dei batteri che possono provocare patologie anche gravi consumando un prodotto fresco, ma è chiaro che essa agisce anche sui microrganismi che, pur non essendo pericolosi per la salute, possono renderlo particolarmente deperibile. In parole semplici, con la pastorizzazione si sanifica la pasta ed, al tempo stesso, se ne prolunga la conservabilità (Mondelli, 2008).

La pastorizzazione non è una pratica semplice, dato che, a seconda di come la si conduce, può avere conseguenze diverse sulle caratteristiche organolettiche, nutrizionali e commerciali del prodotto. Le modalità di applicazione del trattamento termico non possono essere generalizzate, dal momento che la categoria merceologica delle paste fresche comprende una gamma molto ampia di prodotti, differenziati non solo per forma e dimensione, ma anche e soprattutto per composizione e formulazione. Si deve tener conto che tutto ciò comporta, dal punto di vista della pastorizzazione, un insieme altrettanto ampio e differenziato di variabili intrinseche (stato fisico, composizione chimica, ecc.), alle quali vanno aggiunte anche quelle estrinseche (modalità di preparazione, ambiente di lavoro, ecc.) (Mondelli, 2003).

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I vantaggi introdotti dalla pastorizzazione, abbinata al confezionamento in assenza di ossigeno ed alla commercializzazione con catena del freddo positivo, hanno consentito alla pasta fresca, deperibile per natura e per definizione, di conservarsi più o meno a lungo e di acquisire un contenuto di servizio specifico molto gradito al consumatore, assecondando così le esigenze della distribuzione commerciale che ne ha promosso e decretato il successo. Tutto ciò ha favorito enormemente la sua diffusione in aree di mercato molto più vaste rispetto ai limiti territoriali tradizionalmente legati alla localizzazione del pastificio.

La pasta fresca confezionata ha imparato a viaggiare anche su percorsi internazionali, ampliando i propri orizzonti ed i proprio mercati.

Gli effetti positivi della pastorizzazione sono controbilanciati da quelli negativi che, ovviamente esistono, anche se la prevalenza dei primi è certamente cospicua, non solo nell’ottica generale della produzione e della distribuzione commerciale, ma anche in quella della sicurezza alimentare.

Si è via via affermato il criterio di una conservabilità della pasta fresca collegata al mantenimento il più possibile a lungo delle sue caratteristiche organolettiche originarie anche nella fase commerciale, piuttosto che ad una loro radicale alterazione già nella fase produttiva iniziale. Se il fresco non lo si può conservare, si può comunque rallentarne il decadimento. Per garantire anche al prodotto pastorizzato le caratteristiche di qualità organolettica specifiche del prodotto fresco non trattato, si sono affinate le tecniche di trattamento termico e, soprattutto, si è accorciata la conservabilità media richiesta dal mercato per la pasta fresca confezionata. La stessa normativa italiana, d’altronde, ha fatto chiarezza distinguendo con confini ben definiti il prodotto confezionato fresco da quello confezionato stabilizzato (Mondelli, 2008).

Nella filiera della pasta è possibile fare ricorso a due tipi di pastorizzazione:  prima pastorizzazione, effettuata sul prodotto sfuso;

 pastorizzazione finale, eseguita dopo il confezionamento, a cui segue il raffreddamento.

La prima pastorizzazione è stata inserita nella filiera della pasta con una funzione estetico- funzionale o di tipo tecnologico ed è, di norma, un “trattamento flash”. Il calore sulla pasta provoca un incartamento superficiale e questo fa sì che, nelle operazioni successive alla formatura, si eviti che i pezzi del prodotto si incollino gli uni agli altri; inoltre, il calore determina una gelatinizzazione superficiale degli amidi con un effetto di lucidatura del prodotto. Questo processo termico, se raggiunge temperature letali per i microrganismi, svolge anche una sanificazione microbica.

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La pastorizzazione finale, invece, è un vero e proprio trattamento termico con durata maggiore, che permette di inattivare tutte le forme vegetative (Tebaldi, 2001).

Da un punto di vista tecnologico ed in riferimento alla conservabilità si distinguono, dunque, due diverse linee di prodotto:

 paste con un singolo trattamento termico, realizzato solo sul prodotto “nudo”;

 paste con doppio trattamento termico del prodotto, effettuato sia sul prodotto “nudo” che sul prodotto confezionato.

La tecnologia del doppio trattamento termico della pasta, prima sul prodotto sfuso e poi sul prodotto confezionato, è stata istituzionalizzata principalmente per incrementare la shelf life del prodotto.

Questa tecnologia ha contraddistinto l’avvio della produzione industriale e semi-industriale della pasta fresca confezionata ed ha certamente consentito di superare l’ostacolo iniziale della conservabilità del prodotto, fornendo un contributo determinante per la sua affermazione commerciale in ambiti di mercato sempre più vasti; ma è altrettanto vero che ha determinato molto spesso distorsioni anche macroscopiche sia nella natura intrinseca del prodotto che nella sua legittimità commerciale. La conservabilità della pasta fresca è stata, infatti, considerata generalmente prerogativa vincente da parte della maggioranza dei produttori, anche a scapito della natura reale del prodotto, troppo spesso e con troppa disinvoltura trasformato da “fresco” a “precotto umido”.

L’elemento comune a tutte le formulazioni della pasta fresca è certamente l’impasto di semola e/o farina con acqua, con o senza uovo liquido aggiunto, impasto sia laminato che estruso o lavorato con altri criteri. Ed è proprio l’impasto, cioè la struttura fondamentale della pasta fresca, il componente più esposto e sensibile agli effetti della pastorizzazione.

Nella pastorizzazione della pasta fresca sono fondamentali due condizioni fisiche, sia nell’ambiente di trattamento che nel prodotto: temperatura ed umidità. Il calore umido è, infatti, molto più efficace del calore secco nella distruzione delle cellule microbiche. L’effetto congiunto calore-umidità determina la coagulazione delle componenti proteiche all’interno delle cellule microbiche, distruggendole. Più rapida è la penetrazione del calore nella pasta, migliore è il rapporto tra il danno termico inflitto ai microrganismi e l’effetto termico a carico del prodotto e non solo per quanto riguarda la sua componente proteica.

Diversi, invece, gli effetti della combinazione calore-umidità per quanto riguarda la componente glucidica dell’impasto, cioè gli amidi. In questo caso, l’applicazione del calore e la contemporanea disponibilità di acqua libera provocano un progressivo rigonfiamento dei granuli di amido, fino a determinarne un loro cambiamento di stato.

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La struttura originaria dell’amido si modifica da cristallina a geliforme, con acquisizione di nuove proprietà di aggregazione e perdita di birifrangenza.

Questo fenomeno di cambiamento di stato dell’amido è definito “gelatinizzazione” e la sua stabilità non è assoluta (Mondelli, 2008).

Il tempo di trattamento di pastorizzazione è calcolato in funzione del tempo di riduzione decimale dei microrganismi che si vuole distruggere, oltre che, ovviamente, delle caratteristiche specifiche del prodotto trattato.

Rispetto alla pasta secca, la pasta fresca presenta il limite della deperibilità, dovuto alla presenza nel prodotto di acqua in quantità tale da favorire tutte le attività biochimiche e microbiologiche che ne determinano alterazioni progressive, compromettendo le sue proprietà organolettiche iniziali, fino al limite estremo della perdita di commestibilità.