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La pasta rappresenta un prodotto alimentare che entra, ampiamente e frequentemente, nella nostra dieta e che incontra il favore del consumatore per facilità e semplicità d’uso, relativamente alle operazioni di manipolazione, trasporto, conservazione nonché per le caratteristiche nutrizionali e sensoriali.

Per i suddetti motivi, la pasta è un prodotto alimentare che si presta perfettamente ad essere utilizzato per incorporare materie prime non convenzionali. Secondo la legislazione italiana (DPR n.187 del 2001) il termine “pasta di semola” è riferito al prodotto ottenuto dalla trafilazione, laminazione e conseguente essiccamento di impasti preparati esclusivamente con semola di grano duro.

La semola di grano duro è infatti considerata la materia prima di elezione per la produzione di pasta, soprattutto per le peculiari proprietà delle sue proteine (glutine) e per l’alto contenuto di pigmenti carotenoidi. La pasta ottenuta con materie prime diverse dalla semola può prevedere la sostituzione parziale o totale della semola con altri prodotti cerealicoli, prodotti non cerealicoli e miscele di cereali e prodotti non cerealicoli.

La preparazione di pasta con ingredienti non convenzionali privi di glutine è di difficile ottenimento a causa dell’assenza/ridotta formazione del reticolo proteico che riveste la fondamentale funzione di impedire la disgregazione della pasta durante la cottura. La quantità di ingrediente non convenzionale che può essere aggiunto o sostituito alla semola rappresenta un compromesso tra la necessità/scopo dell’impiego della materia prima non convenzionale e il mantenimento di adeguate caratteristiche sensoriali e di cottura del prodotto finito.

Le principali motivazioni per l’utilizzo di materie prime non convenzionali sono essenzialmente riassunte in tabella 3.1.

Materie prime tipiche di particolari aree geografiche e non diffuse in tutto il mondo possono essere usate laddove la semola non è disponibile o se il costo di quest’ultima diventa un fattore limitante, come può succedere in Paesi in via di sviluppo.

Nel 1964, la FAO (Food and Agriculture Organization) lanciò il programma “Composite Flour” allo scopo di favorire l’uso di materie prime locali per la produzione di prodotti alimentari caratterizzati da elevati standard nutrizionali. Lo scopo principale del programma

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“Composite Flour” è stato senza dubbio quello di ampliare l’uso di materie prime diverse dal frumento nella produzione di pane, pasta, biscotti e altri prodotti a base di farina.

Tabella 3.1. Motivazioni per l’utilizzo di materie prima non convenzionali

Miglioramento delle proprietà nutrizionali - Contenuto in proteine (dal 10-12% al 20%)

- Qualità proteica (lisina = A.A. limitante) (indice chimico da 35 a > 70)

Utilizzo di materie prime locali - Disponibilità limitata e costo elevato della semola - Farine composite (Composite Flours)

Produzione di pasta aproteica (priva di glutine)

- Morbo celiaco (pazienti affetti da) - Diete prive di glutine

- Intolleranza alle proteine

Valorizzazione dei sottoprodotti - Sottoprodotti di lavorazione dei cereali macinazione (germe, aleurone, crusca) perlatura (aleurone, germe, crusca)

produzione di malto/fabbricazione della birra (trebbie, radichette, colture di lieviti ecc.) - Altri sottoprodotti (di origine animale)

produzione del formaggio (proteine del siero) lavorazione del pesce (farina di pesce)

lavorazione della carne (farina animale e farina d’ossa)

Utilizzo/recupero valorizzazione di specie nuove, obsolete e poco utilizzate e pseudocereali

- Farro (monococco, dicocco, spelta) - Triticale

- Kamut

- Grano saraceno - Quinoa

- Amaranto

Produzione di pasta funzionale - Ingredienti funzionali β-glucani

tococromanoli (tocoferoli e tocotrienoli) acidi grassi Ω 3 (DHA, EPA)

fitosteroli

- Ingredienti prebiotici inulina

fruttooligosaccaridi (FOS)

Materie prime non convenzionali possono derivare dai sottoprodotti della lavorazione dei cereali (germe, aleurone, crusca, trebbie, radichette, colture di lieviti) o come sottoprodotti di altre lavorazioni alimentari (proteine del siero, farina di pesce, farina animale, farina d’ossa). In particolare, sottoprodotti quali germe, strato aleuronico e crusca, derivanti dalla lavorazione dei cereali (macinazione, perlatura) possono essere impiegati nella produzione di

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prodotti cerealicoli per aumentare il contenuto/qualità delle proteine, vitamine, fibra alimentare e composti con attività biologica.

L’impiego di ingredienti non convenzionali tuttavia, modifica in misura significativa le caratteristiche reologiche dell’impasto, con uno scadimento dell’attitudine alla trasformazione che deve essere ripristinata attraverso l’adozione di bilanciate formulazioni e adeguate tecnologie di trasformazione per ottenere prodotti con buone caratteristiche nutrizionali e sensoriali anche a partire da materie prime con scarsa attitudine alla trasformazione.

In merito al processo produttivo, il settore dell’industria di pastificazione, considerato in un contesto internazionale, si prefigge la produzione di pasta di svariati tipi e formati, attraverso un processo in cui una o più tipologie di sfarinati ed acqua sono impastati in presenza o meno di altri ingredienti. Di seguito l’impasto è estruso, trafilato e/o laminato e il prodotto formato è, infine, essiccato sino ad un’umidità tale da consentirne la conservazione.

L’idoneità a produrre una pasta con definiti attributi qualitativi non è uguale per tutte le semole. Le semole più pregiate sono quelle di colore giallo-ambrato, con tenore in ceneri e cellulosa inferiore al limite di legge (rispettivamente 0,90 e 0,20% su sostanza secca) e con elevata quantità di proteine di buona qualità.

La pasta fresca, alimento di primaria importanza per il consumatore italiano, è oggi sempre meno preparata in casa, ma, in compenso, è disponibile sul mercato in una miriade di diverse forme e presentazioni, dal prodotto sfuso casalingo-artigianale al confezionato sia artigianale che industriale.

Il processo di pastificazione prevede una serie abbastanza limitata di operazioni, la prima delle quali consiste nella miscelazione e nell’impastamento di semola ed acqua, con conseguente ottenimento di un impasto visco-elastico. Successivamente a tale impasto viene conferita la forma desiderata, mediante un ulteriore passaggio di estrusione o di laminazione. Il prodotto così ottenuto, caratterizzato da una propria forma, può, quindi, essere stabilizzato con un trattamento di pastorizzazione e venduto come “pasta fresca”, oppure può essere essiccato per ottenere “pasta secca” (Carini et al., 2009).

Il processo di pastificazione può essere considerato una “tecnologia matura”, data non solo la sua diffusione a livello mondiale, ma anche la scarsa innovazione applicata a questo processo negli ultimi cinquanta anni. La letteratura inerente l’effetto del processo di lavorazione della pasta sulla qualità del prodotto è piuttosto scarsa e si concentra prevalentemente sul ruolo delle materie prime (D’Egidio et al, 1990; Del Nobile et al., 2005; Vignaux et al., 2005), del procedimento di essiccazione (Sannino et al., 2005; Berteli & Marsaioli, 2005) e delle condizioni di estrusione (Pagani et al., 1989; Sarghini et al., 2005; Zardetto et al., 2005).

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Ad uno stadio avanzato si trovano sicuramente le tecnologie per la produzione di paste fresche, mirate essenzialmente alla salvaguardia della freschezza e della genuinità.

Nel processo produttivo delle paste fresche, farcite e non, è possibile distinguere tre fasi fondamentali:

1. stoccaggio ed utilizzo di materie prime, ingredienti, ecc., per la formazione