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come formazione dei talenti nell’esercizio di libertà e di responsabilità dell’uomo

3.5.1. la “pedagogia implicita” di martha nussbaum Si diceva del significativo framework di riferimento che il capability ap-proach, specie nella declinazione da esso prospettato ai temi della qua-lificazione dello sviluppo umano, offre alla razionalità educativa11. Sen aveva sviluppato, negli anni Ottanta e Novanta, l’approccio delle capa-citazioni12 nello stretto rispetto di due regole di base: 1. identificare il well-being o la qualità della vita in termini esclusivamente individuali; 2. esprimersi, nelle definizioni e nei concetti, in forma assolutamente generale. Questo approccio ha avuto certo il vantaggio di evitare molte critiche ma, allo stesso tempo, risultava astratto e difficilmente applica-bile alla realtà. Le due regole sono state tuttavia discusse e reimpostate da Martha Nussbaum, che ha sviluppato una versione dell’approccio delle capacitazioni che essa stessa definisce “aristotelico”.

La prima modifica è consistita nel cambiare il significato della rela-zione tra funzionamenti e capacitazioni. Queste non sono più costitu-ite da insiemi di funzionamenti che si ha la capacità di ottenere, come

11. Si confronti al riguardo il volume, curato da Giuditta Alessandrini, dal titolo

La «pedagogia» di Martha Nussbaum, che raccoglie saggi quanto mai convergenti

con le considerazioni che qui si prospettano (Alessandrini, 2014).

12. Sen (1999, p. 79) le spiega in questo modo: «Le capabilities di una persona

sono l’insieme delle combinazioni alternative di functionings che essa è in grado di

realizzare. È dunque una sorta di libertà: la libertà sostanziale di realizzare più com-binazioni alternative di functionings (o, detto in modo meno formale, di mettere in

atto più stili di vita alternativi). Un benestante che digiuni, per esempio, può anche funzionare, sul piano dell’alimentazione, allo stesso modo di un indigente costretto a fare la fame, ma il primo ha un “insieme di capabilities” diverso dal secondo (l’uno

diceva Sen. Per la Nussbaum, ogni funzionamento che può essere otte-nuto è esso stesso una capacitazione, cosicché la caratterizzazione del well-being è fatta per mezzo di un insieme di k capacitazioni, ognuna delle quali è un funzionamento disponibile e ottenibile. Coerentemen-te con la sua posizione aristoCoerentemen-telica, la Nussbaum specifica dieci funzio-namenti/capacitazioni, corrispondenti a dieci aree della vita umana, che dovrebbero essere prese in considerazione nella definizione del well-being. Queste capacitazioni furono elencate per la prima volta nel 1990, e poi rielaborate nel 1993 e nel 1995. L’ultima modifica fu fatta dalla Nussbaum nel 2000, con l’elenco che riportiamo di seguito in originale e che ella definisce formato dalle «capacitazioni umane fun-zionali di base»: «a. currently life, b. bodily health, c. bodily integrity, d. senses-imagination-thought, e. emotions, f. practical reason, g. affiliation (sociability and dignity), h. other species, i. play, j. control over one’s envi-ronment (political and material)» (Nussbaum, 2000, p. 134).

Va ricordato che, a questo proposto, Sen non rifiuta la possibilità di specificare una lista di funzionamenti/capacitazioni. Egli semplice-mente afferma che da un lato questa lista non è in contrasto con l’ap-proccio delle capacitazioni, ma che dall’altro lato esso non la richiede. La seconda modifica che la Nussbaum ha proposto dell’approccio di Sen riguarda il carattere soggettivo delle capacitazioni. A suo giudizio è dovere dello Stato assicurare le capacitazioni agli individui, e ogni indi-viduo deve poter contare sulla libertà di definire il suo proprio well-being e, dunque, sulla possibilità reale di scegliere gli obiettivi da perseguire. Al fine di permettere ai propri cittadini di vivere una vita da essi stessi de-terminata, lo Stato deve assicurare loro le capacitazioni necessarie, non i funzionamenti, perché da un punto di vista politico sono le capacitazio-ni, e non i funzionamenti, che lo Stato ha il dovere di fornire. E l’essere umano deve avere la libertà di scegliere le capacitazioni di cui necessita nella realtà, una volta che lo Stato gliele abbia assicurate.

L’approccio di ispirazione aristotelica della Nussbaum (2005, 2009a, 2012b) trova il suo presupposto nella volontà di individuare gli aspetti della vita umana che possono essere riconosciuti come fondamentali per la realizzazione personale in qualsiasi tipo di cultura, e di descrivere le condizioni materiali e istituzionali che consentano a ciascun individuo di vivere pienamente quegli aspetti, affidando alla politica il compito di soddisfarle. Per questo ella procede da una critica serrata della prospetti-va liberale di Rawls (1971), il quale vede nella neutralità l’unica garanzia possibile per il rispetto del pluralismo.

Secondo Rawls, infatti, l’applicazione della concezione “sostanzia-le” del bene di derivazione aristotelica coinciderebbe necessariamente con una negazione dell’autonomia morale del singolo; il pluralismo e la libertà di scelta sarebbero invece garantiti solo se si adottasse una concezione “sottile” del bene, cioè se ci si limitasse a individuare i beni primari di cui ciascuno vorrebbe poter disporre in quantità il più pos-sibile elevata, perché giudicati necessari per la realizzazione del proprio progetto di vita, qualunque esso sia. La politica, in questo caso, avrebbe il compito di assicurarsi che tutti possiedano la quantità minima neces-saria di tali beni.

La linea argomentativa costante di tutti gli scritti della Nussbaum si carica della necessità di evidenziare i limiti di questa posizione cosiddetta liberale. Relativamente alla teoria “sottile” del bene, la filosofa richiama l’attenzione sull’impossibilità di attribuire un va-lore intrinseco a risorse che di per sé stesse sono strumentali (quali il reddito, la ricchezza, la proprietà ecc.), e sottolinea la necessità, per qualsiasi governo, di domandarsi «quali sono le sfere della vita uma-na in relazione alle quali le risorse vanno distribuite» (Nussbaum, 2008, p. 119) (il che equivale a fare i conti con una concezione del bene che non è “sottile”). Inoltre, viene fatto notare come la libertà di scelta sia in definitiva solo prospettata, ma non garantita, da un approccio che non fornisce al legislatore indicazioni su come svilup-pare la capacità di scelta degli individui, e che non riserva alla politica un ruolo decisivo nell’offerta delle opzioni disponibili (in assenza delle quali tale capacità – e la libertà a essa collegata – non potrebbe essere esercitata).

Questo aspetto è invece cruciale nella proposta teorica di Nuss-baum. L’adozione di un approccio aristotelico, lungi dal condurre all’elaborazione di una concezione particolare del bene da imporre con atteggiamento paternalistico ai cittadini, finisce per valorizzare al massimo grado proprio il ragionamento pratico, un potere distintivo dell’uomo la cui riconosciuta peculiarità di intervenire in ogni attività fondamentale della vita umana fornisce un motivo sufficiente per chie-dere alla politica di porsi come obiettivi principali la promozione del suo sviluppo e la creazione/preservazione delle condizioni che consen-tono il suo pieno esercizio (il quale può legittimamente concretizzarsi anche nella scelta di non fare uso delle proprie capacità o delle oppor-tunità che ci sono offerte). Si tratta di richieste cariche di significato: rimandano infatti a una concezione istituzionale del welfare che non

ammette l’intervento dello Stato a posteriori, vale a dire solo quando ci si accorge che un determinato cittadino “non ce la fa” (ottica, questa, di chi concepisce lo Stato sociale soprattutto come rete di sicurezza). La politica fallisce al suo scopo, avverte la Nussbaum, se non vigila costan-temente affinché non si instaurino condizioni sfavorevoli alla piena re-alizzazione dei consociati, perché è solo garantendo a ciascuno di loro la possibilità di vivere una vita autenticamente umana che essa realizza una società di eguali.

Che cosa impedisce al liberalismo di riconoscere la ragionevolezza dell’approccio aristotelico? La pensatrice americana coglie il motivo di tale riluttanza nella consuetudine di porre l’accento sull’autonomia mo-rale dell’individuo, trascurando il rapporto di profonda interdipendenza che esiste fra quest’ultimo e il mondo naturale. Prima ancora di essere un soggetto che ha bisogno di risorse per realizzare il proprio progetto di vita, l’essere umano è infatti «una creatura che vive nel mondo provvista tanto di determinati poteri essenziali quanto di non irrilevanti necessi-tà» (ivi, p. 175): il suo bene, pertanto, non può prescindere dal comples-so sistema di relazioni che si instaurano fra lui e gli elementi variabili che sono nel mondo (Nussbaum porta come esempi il cibo, l’acqua, l’allog-gio, ma anche gli amici, le persone amate, la propria comunità di appar-tenenza, valorizzando così l’altro elemento distintivo dell’essere umano: il senso di affiliazione verso i propri simili)13.

Va da sé che una concezione della redistribuzione politica come quella proposta da Nussbaum attribuisce un’importanza cruciale al sistema pubblico dell’educazione e della formazione, ed è significativo il fatto che la pensatrice americana escluda a priori una logica di tipo meritocratico in tale ambito: se l’obiettivo è distribuire a tutti i conso-ciati le capacità funzionali a una piena realizzazione personale, allora il legislatore ha l’obbligo di preoccuparsi maggiormente per coloro che 13. Busilacchi (2011, p. 57) descrive così questo passaggio concettuale: «La libertà di agire è qualcosa di più di avere accesso a delle alternative di azione, perché rimanda all’effetto esercitato sulle opportunità di azione», siano esse doti o valori degli indi-vidui. La libertà di conseguire diventa, così, la risultante della possibilità di intrapren-dere un corso di azione nel pieno delle proprie capacità, entro cui definire la propria scelta di funzionamento. L’azione perde pertanto la caratteristica di essere finalizzata al soddisfacimento di uno stato mentale (utilità/reddito), per diventare espressione della capacità di conversione delle proprie preferenze (espressione della libertà di agi-re) in conseguimenti scelti sulla base dei propri funzionamenti.

non sono ancora in grado di realizzarsi compiutamente, «piuttosto che quello di migliorare la situazione di chi è già in condizioni prossi-me all’eccellenza, qualora questi due obiettivi entrino in competizio-ne tra loro» (ivi, p. 172). Quest’ultima consideraziocompetizio-ne non è che uno dei tanti indizi della volontà di suggerire alla politica un nuovo modo, possibilmente più “ragionevole” e più condivisibile rispetto ad altri, per guardare ai problemi della giustizia e dell’uguaglianza. A questo riguardo Vittoria Azzarita (2012, p. 3) scrive:

Restituire una misura della qualità della vita, riscontrabile all’interno di una nazione, è un’operazione che presenta molteplici insidie a causa della com-plessità dei fattori che entrano in gioco nella predisposizione di quegli stru-menti definiti “modelli di sviluppo”. Attraverso la Human Development and Capability Association (hdca), Martha C. Nussbaum intende richiamare l’attenzione sull’esistenza di un nuovo paradigma teorico per il mondo della politica e dello sviluppo.

La Nussbaum descrive questo paradigma soprattutto in Creare capa-cità (2013). La teoria qui illustrata considera gli individui come fini, e si interroga su quali possano essere le opportunità disponibili per ogni singolo individuo all’interno di una nazione. La Nussbaum definisce le capacità come «un insieme di opportunità di scegliere e agire» (ivi, p. 21) e invita a riflettere sul fatto che scelte efficaci di politica pubbli-ca possono influire su tutti gli aspetti della vita di un individuo. Uno Stato che presenta un elevato valore del pil pro-capite medio, ma che non riesce ad assicurare l’accesso all’istruzione a tutte le fasce della po-polazione o discrimina i propri cittadini in base alla religione, al sesso, alla provenienza geografica, è uno Stato dove la qualità della vita non è garantita. In quest’ottica, non dovrebbe essere possibile immaginare una società che produca capacità combinate senza creare capacità in-terne, ma nella realtà gli esempi abbondano. Ripensare l’approccio alla giustizia sociale di base è una delle priorità che l’autrice pone all’atten-zione della società internazionale, in quanto «il nostro mondo esige un pensiero più critico e una discussione più rispettosa» (ivi, p. 23), capaci di liberarci dalla dittatura del pil.

Del resto la relazione tra le prospettive del capability approach e l’e-ducazione è stata riconosciuta dall’unesco nel report Education for all (2002, pp. 32-3), in cui si dichiara che le politiche devono essere giudicate

to be successful if they have enhanced people’s capabilities […]. From this capability perspective, then, education is important for a number of reasons. […] The human capability approach to education […] recognizes that edu-cation is intrinsically valuable as an end in itself. […] Compared to other ap-proaches the capability approach goes further, clarifying the diverse reasons for education’s importance. Although many of the traditional instrumental arguments for education […] are accepted, the distinctive feature of the hu-man capability approach is its assessment of policies not on the basis of their impact on incomes, but on whether or not they expand the real freedoms that people value. Education is central to this process.

Peraltro, la nozione di capability prospettata dalla Nussbaum si com-bina con l’opportunità di libertà (opportunity freedom) (Sen, 1999). La capability è la libertà di una persona «to enjoy valuable functionings» (Sen, 1999).

3.5.2. capacitare l’innovazione:

oltre le competenze, gli apprendimenti esperti

Mentre i lavori sul capitale umano pongono l’accento sul ruolo attivo degli individui nell’espansione delle possibilitàproduttive, il punto di vista della capacitazione umana pone in risalto la capacità del singolo, nel senso della sua libertà sostanziale, di fare delle scelte e di realizzare ciò a cui egli dà valore. In genere, il punto di vista centrato sul capitale umano viene definito in termini di valore indiretto, ossia di qualità umane che possono essere utilizzate come “capitale” nella produzione. Sen (2001) sostiene che l’approccio basato sul capitale umano sia più ristretto di quello basato sulla capacitazione umana e che, pertanto, il primo possa rientrare nel secondo. Egli fa un esempio molto esplica-tivo: se l’istruzione rende un individuo più efficace come produttore di merci facendo aumentare il suo reddito, ci troviamo davanti a una crescita del capitale umano. Se dall’istruzione questo individuo rica-va anche altri benefici, ad esempio, nel comunicare con gli altri, nel leggere ecc., tali benefici vanno al di là della produzione economica e comprendono la persona nel suo insieme.

L’autore suggerisce dunque di andare oltre la nozione di capitale umano, includendola in quella più vasta di capacitazione umana. Sen sostiene sia essenziale porre l’accento sulla possibilità di vivere quei tipi di vita a cui diamo valore, e lo sviluppo, in questa prospettiva, viene inteso come espansione della capacitazione goduta dal singolo

indi-sarebbe meglio tradurre questa citazione

viduo. Pur essendo vero che la prosperità economica aiuta a realizzare meglio la vita che uomini e donne desiderano, bisogna considerare che anche una maggiore istruzione, un’assistenza sanitaria migliore, e simi-li, avendo un’influenza causale sulle libertà godute dagli esseri umani, permettono lo stesso risultato. Sen sottolinea infatti come queste for-me di sviluppo sociale debbano essere considerate sviluppo a tutti gli effetti. Bisogna sempre considerare che gli individui non sono soltanto dei mezzi di produzione, bensì il fine di tutto il processo economi-co. Inoltre, è importante non dimenticare che l’espansione delle capa-citazioni ha un ruolo strumentale per la realizzazione di cambiamenti sociali che vanno al di là dell’ambito economico. Sen porta come esem-pio il fatto che l’espansione dell’istruzione femminile può temperare la disuguaglianza tra i sessi, e contribuire a ridurre sia il tasso di mortalità infantile, sia quello di fertilità.

L’autore evidenzia come tra la concezione del capitale umano e quella della capacitazione umana sussista una differenza fondamen-tale. Il riconoscere che le qualità umane hanno un ruolo importante nel sostenere e promuovere la crescita economica, infatti, non ci dice niente sul perché tale crescita sia importante. Se, invece, consideriamo essenziale la libertà di vivere quei tipi di vita a cui diamo valore, allo-ra il ruolo che svolge la crescita economica in tale processo espansivo va inserito in una concezione più fondamentale dello sviluppo inteso come espansione della capacitazione a vivere vita più degne e libere. Per cercare di capire a fondo il ruolo delle capacitazioni si deve tener conto di tre fattori:

1. del loro rapporto diretto con il benessere e la libertà degli esseri umani;

2. del loro ruolo indiretto in quanto fattori che influiscono sul cam-biamento sociale;

3. del loro ruolo indiretto in quanto fattori che influiscono sulla pro-duzione economica.

Mentre il concetto di capitale umano considera solo il terzo di questi punti, la concezione di capacitazione li abbraccia tutti e tre. Intendere lo sviluppo come libertà implica una prospettiva più ampia in cui accanto all’ambito economico sussistono quello sociale, politico ed etico14.

14. Nella strategia “Europa 2020” si dà evidenza, nella priorità “Crescita in-clusiva”, a politiche tese a fronteggiare la disoccupazione: l’idea di fondo è che sia

Se si decide, cioè, di utilizzare il framework di riferimento elabora-to dalla “pedagogia implicita” della Nussbaum, occorre liberare il di-battito sulle competenze dalla sua cornice funzionalistica e ricondurlo piuttosto a un valore meramente tecnico-strumentale e procedurale. Insomma, alla logica della metis, che ancora domina i temi della forma-zione continua e dell’educaforma-zione permanente, bisogna aggiungere, per poi gradualmente sostituirla, la logica della phronesis.

La crisi del modello della razionalità utilitaristico-funzionalista sol-lecita, infatti, alla formazione una riformulazione più umanizzante del concetto di sviluppo, che non a caso viene definito come «un processo di espansione delle libertà reali che la gente può godere» (Sen, 1999, p. 9). Questo accostamento tra l’idea di sviluppo e quella di libertà sostan-ziale degli individui, dipende, oltre che dagli asset economico-finan-ziari, anche da quelli sociali (ad esempio lo sviluppo del welfare, di un sistema educativo) e politici (i diritti civili e la partecipazione politica). In questa prospettiva le libertà politiche, sociali e di mercato sono viste come parte integrante di uno sviluppo autenticamente umano; si deli-nea dunque un’interconnessione stretta tra aspetti economici, sociali e formativi per espandere le capabilities15 (Sen, 2000) degli individui. Le politiche formative a tutti i livelli e in ogni fase della vita assumono così una rilevanza determinante (Ruffino, 2006): ciascuno per la sua parte contribuisce a garantire l’acquisizione di capacità e competenze necessarie per leggere le trasformazioni in atto, comprendere il conte-sto in cui si vive, saperne cogliere le opportunità: siano opportunità di (re)inserimento lavorativo, di mobilità, di (ri)qualificazione, di rispo-sta ai propri bisogni, di partecipazione attiva e responsabile. Il sinolo formazione e capacitazione rappresenta pertanto il fulcro di leva con

necessario agire sulle competenze, sulle capacità e sulle motivazioni individuali dei disoccupati, attraverso il loro reinserimento nella vita attiva. E le politiche propo-ste risultano tutte centrate sullo sviluppo di azioni diapprendimento permanente: esso è considerato la leva per favorire quei funzionamenti che promuovono il cam-biamento individuale e collettivo intesi come espansione reciproca delle possibilità e delle libertà, a partire dal valore della capacitazione come condizione effettiva di esercizio della cittadinanza in cui coniugare lo sviluppo personale, sociale e la crescita economica.

15. Sen definisce capacitazioni (capabilities) l’insieme delle risorse relazionali di

cui una persona dispone, congiunto con le sue capacità di fruirne e quindi di impie-garlo operativamente.

cui il nuovo modello di learnfare16 qualificherà la cittadinanza attiva del domani sulla base del valore delle capacitazioni e dei diritti di funziona-mento (Margiotta, 2012a; Lodigiani, 2008).

Secondo un’interessante proposta di rivisitazione del dibattito sul-le competenze (Costa, 2013, p. 213):

La scelta alla base delle competenze pertanto non è più solo vincolata alla ragione dell’azione performativa ma anche, e soprattutto in tempi di inno-vazione, a quella dell’interconnessione significativa, creativa, generativa. Il

problem solving si arricchisce o meglio si integra anche del problem setting

collegato alla scelta di quali risorse e a quali network si crede opportuno

affi-darci per aumentare la nostra capacità di analisi e azione generativa. Il conte-sto lavorativo ci impone, così, di prendere sempre più decisioni, aprendoci a una possibilità sempre maggiore di opzioni che la società dell’informazione e della virtualità ci offre; per altro verso, dall’altra parte, aumenta il rischio di fallire e questa maggior esposizione al rischio appare come conseguenza,