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La “problematica costitutiva” della formazione

Il significato che qui diamo alla nozione di problematica si ispira (al-meno inizialmente) all’accezione luhmanniana di Problemstellung, a sua volta derivata dalle ricerche semantiche di Koselleck (2009) e di Ricoeur (1995), e impiegata dal sociologo tedesco per analizzare il rap-porto tra teoria sociologica e “ordine sociale”. Tale utilizzazione non è gratuita, ma muove dalla considerazione dei possibili vantaggi che la nozione può portare alla produzione del discorso pedagogico.

Seguiamo dunque l’argomentazione di Luhmann. Secondo il no-stro sociologo, «il punto di riferimento semantico più generale di cui la disciplina dispone non è dato tanto dalla denominazione della disci-plina stessa, né dall’orizzonte tematico di essa, ma dalla problematica costitutiva della disciplina» (Luhmann, 1985, p. 3). Le «problemati-che costitutive» concernono per definizione problemi già risolti, altri-menti esse non sarebbero possibili. La forma della loro domanda è del tipo: come è possibile x? (nel nostro caso: come sono possibili l’educa-zione, l’istruzione e la formal’educa-zione, non se è possibile x?). Esse presup-pongono una tradizione molto lunga di ricerca, lo sviluppo diacronico e sincronico di teorie in competizione tra loro, e la presenza, nel campo disciplinare indagato, di stili plurali e molteplici di riflessione che ri-feriscono retroattivamente la problematica a sé stessa. La storiografia

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pedagogica presenta tutte queste caratteristiche, e dunque ci autorizza a indagarne la problematica costitutiva.

Ora, le problematiche si costruiscono in maniera autoreferenziale, non fondativa. La loro unità e i loro confini non sono dati prescrit-tivamente da un oggetto di partenza, ma si presentano storicamente come artefatti della differenziazione interna dell’ambito scientifico, e del lavoro euristico delle diverse teorie in competizione tra loro. Nel rapporto reciproco con le teorie, le problematiche costitutive che ne provengono possono svolgere una duplice funzione: di stimolazione, quando si ritiene migliorabile la situazione teorica di un determinato ambito o segmento disciplinare, o di registrazione, quando si ritiene di dover far riferimento a diverse teorie convergenti o dissonanti tra loro, per esplicitarne la caratteristica distintiva. In ogni caso esse pon-gono in luce anche l’insolubilità del problema di base: esso è sì dato come “risolto” (l’educazione è un fatto, un evento, un fenomeno), ma nel contempo resta “insolubile” (cioè l’educazione non va da sé, non è un fenomeno scontato), dando luogo alla ricerca di soluzioni teoriche più plausibili. In questo senso le problematiche possono “evocare” o “istruire” nuove teorie. Lo stesso Luhmann tiene a sottolineare come la connessione tra posizione di una problematica e formazione di teorie implica, per il ricercatore, la necessità di procedere ricorsivamente a una scomposizione della problematica stessa. Ciò dà luogo alla pro-duzione di “schemi di composizione”, ovvero a rispecificazioni conti-nue della domanda costituiva sull’oggetto o sull’identità della teorie; il che, come i cerchi concentrici sulla superficie di uno stagno, anima l’evoluzione delle diverse teorie e concorre sia alla loro storia interna, sia alla loro storia esterna1.

Riepilogando: la nozione di Problemstellung vale da criterio di differenziazione e di demarcazione, ovvero come operazione discri-minante di un sottosistema del sistema “scienza” (la pedagogia), a sua volta inteso come sistema parziale del sistema sociale complessivo. Essa 1. Luhmann fa qui proprio l’esempio del dibattito degli inizi dell’Ottocento in Germania, a partire dalla domanda di tipo kantiano “come è possibile l’educazione?”. Quella domanda viene appunto rispecificata, verso l’allievo e verso l’insegnante, dan-do luogo a un’“antropologia dello sviluppo” e a una teoria dell’insegnamento (cfr. Herbart, 1894). Questa scomposizione, osserva Luhmann (1984, p. 20), si serviva di una disgiunzione «per guadagnare la prospettiva di uno dei ruoli, a partire dal quale essa voleva considerare tutto il resto».

sorge al termine provvisorio di un multiverso di itinerari diversi di ri-flessione e in competizione tra loro; non ha una fondazione, cioè un suo ambito “topologico” unico, in quanto si struttura come “combina-toria di oggetti” che l’apertura radicale e multilaterale della domanda consente. In questo senso la problematica è meta-disciplinare.

Sul piano epistemologico, un incipit siffatto consente immediata-mente di osservare che l’abbandono, da parte della ricerca pedagogica, di una considerazione topologica dell’oggetto di teorizzazione, con-sente di superare molte difficoltà insorte nella circoscrizione dell’og-getto educazione, istruzione o formazione. Nella ricostruzione della ricognizione, appare più plausibile un’individuazione di “ordini emer-genti” successivi che “rispecificano” continuamente lo stesso orizzonte problematico iniziale (come è possibile la formazione?). La domanda ha conosciuto una scomposizione nel tempo; ciò giustifica sia le inter-sezioni con più prospettive disciplinari, sia la parzialità di ogni punto oggettuale che pretenda di fondare la propria formalizzazione su iso-morfismi. Ciò è ancor più evidente se si pensa che le stesse Problemstel-lungen si intersecano tra loro, dislocandosi reciprocamente.

Appare poi particolarmente istruttiva la tensione introdotta tra so-lubilità e insoso-lubilità della domanda di base. Infatti, a meno di non postulare dei piani ontologici o assiologici (un certo ideale di persona o di valore, o la “natura umana”), ciò che chiamiamo esperienza di for-mazione mostra una struttura intrinsecamente dilemmatica che non ne permette una facile stabilizzazione. Non che questi piani non pos-sano essere postulati o che sia doveroso, o inevitabile (secondo molti), farlo. Quello che qui si vuol più semplicemente affermare è che tale postulazione non elimina la problematicità della formazione. La ri-flessione pedagogica, infatti, ha talora creduto di andar oltre la ricerca delle scienze umane, trasformando i termini della domanda sul “come funziona la formazione”, in “ciò che essa è”. Di qui gli sforzi nello stabi-lire un criterio di demarcazione del “formativo”.

Dobbiamo invece ricordare che ciò che è demarcato come escluso (ad esempio il professionale rispetto al personale) continua ad avan-zare diritti (più o meno legittimi). Questo ha conseguenze notevo-li nelle pratiche formative, in quanto restringe molto la quanotevo-lifica di formativo a eventi rari, a esperienze “forti” (come ciò che comunque non è mai raggiunto), o la istituzionalizza (riportandola a certe situa-zioni strutturate di apprendimento/cambiamento). Se in luogo di operazioni di “bonifica” (demarcatorie) si sostituiscono i rinvii a una

problematica costitutiva dove il come non è mai risolto una volta per tutte, ma si articola in sempre nuove possibilità, si possono meglio evitare a nostro avviso atteggiamenti di distacco verso il campo delle pratiche formative, in cui la combinatoria e la selezione di possibilità si intrecciano continuamente con le pratiche educative e con quelle didattiche; dove ad esempio anche una pratica spuria come quella dell’agire professionale può essere formativa, e senza risposte pregiu-diziali; proprio perché – ci permettiamo di suggerire – esse “stanno di fronte ai soggetti” nel vivo della loro esperienza di vita e di lavoro. In termini più generali possiamo allora osservare che la nozione di problematica costitutiva sposta i modi dell’interrogazione peda-gogica sulla formazione. Ciò non è senza conseguenza sull’intero discorso pedagogico, il quale, al riguardo, tiene in serbo un’altra do-manda decisiva: perché la formazione, perché formare? La dodo-manda è stata tradizionalmente posta dalla parte del formatore e indica la questione dei fini della formazione; essa è stata replicata più recen-temente dalla parte del formando (perché formarsi?). Può essere “ri-specificata”, tale domanda? È un’altra domanda o suppone già certe risposte?

Noi riteniamo produttiva l’interrogazione se non si pretende di chiudere il cerchio del rapporto tra razionalità, condotta e azione, ma (kantianamente) lo si indichi come orizzonte aperto, e perciò superabile solo con una decisione; insomma, se essa mantiene la pragmatica come referenziale nel fare formazione e nell’assegnazio-ne di valore al formarsi. Ciò significa, secondo noi, superare, da un lato, lo strumentalismo e il funzionalismo di molta formazione, la sua deriva a “servizio” o ad “animazione sociale”; dall’altro, impedire la riduzione della formazione a pratica iniziatica, in cui un ordine, una regola, una verità siano già dati. Indicare dei fini è indispensabi-le, ma sapendo che essi sono anche sempre propri fini o fini sociali: o alludono a un modello di uomo, o a uno di società. Il discorso pedagogico non può sostituire l’immediatezza della vita, la presenza continua delle scelte: deve, piuttosto, mantenere la differenza (e il “rischio” a essa sotteso). Perché è la differenza a generare valore; ed è, infine, l’apprezzamento del valore a consentire la predicabilità di-stintiva, dunque la conoscenza generativa di educazione, istruzione e formazione nel multiverso del discorso pedagogico.

Ma non si cade, con questo – potrebbero obiettare alcuni –, in un inevitabile relativismo? Invero relativismo sarebbe se aggirassimo

“di lato” la dilemmaticità dell’esperienza dentro cui sta la formazio-ne. Si esplicita in questo modo il carattere assiale del principio di formatività: in quanto si sottolinea il carattere dialogico originario dell’esperienza formativa, a partire dalla necessità di assicurare sem-pre la categoria della sem-presenza, dello “star di fronte”. La formazione deve infatti farsi carico innanzitutto della presenza. Proprio questo star di fronte, che oggi tende a essere mediato totalmente nel simbo-lico (nei linguaggi, nei saperi) o espulso (dal tecnologico), può essere invece integralmente recuperato da una pedagogia praticata come teoria della formazione. Qui sta secondo noi il nodo odierno della formazione, la sua reale Problemstellung, che si controlla e si sviluppa solo progettando, decidendo, ascoltando, cioè assumendosi respon-sabilità.

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