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all’arte più grande di tutte: quella di vivere

3.6 La forza creatrice del gioco

Perché mai la rivoluzione doveva essere ludica? E come mai il gioco è al centro delle teorie situazioniste?

Uwe Lausen, membro della sezione tedesca, nell’articolo «Répétition et nouveauté dans la situation construite» («Ripetizione e novità nella situazione costruita») ci spiega che «per rispondere alla vita» esistono varie possibilità: «il suicidio, l’abbrutimento, la sperimentazione e il gioco» (I.S., n°8, gennaio 1963, p. 57). Le prime due sono condizioni fornite dalla società, mentre le ultime due si ricollegano direttamente alla rivoluzione ludica (ivi, p. 57).

La sperimentazione è, naturalmente, esperienza. Questa diventa consapevole con «la prima ripetizione», nel momento in cui può essere rappresentata e studiata. Il gioco è un atto ripetibile, ma soprattutto è un «atto libero» (Huizinga 2002, p. 10) e rientra nella sfera dei piaceri. Ma, come scrisse Johan Huizinga, il gioco può essere anche serio e il contrasto «gioco-serietà» non lo preclude, anzi «il gioco si converte in serietà, la serietà in gioco» (ivi, p. 12). Però questa serietà non deve mai superare il gioco: i due elementi devono restare in equilibrio poiché la serietà

tende a escludere il gioco, mentre «il gioco può includere benissimo la serietà» (ivi, p. 54). Huizinga, inoltre, parla di gioco come una forma di cultura, aggiungendo che attraverso i giochi «la collettività esprime la sua interpretazione della vita e del mondo», ciò non vuol dire che il gioco muti in cultura, ma «che la cultura, nelle sue fasi originarie, porta il carattere di un gioco, viene rappresentata in forme e stati d’animo ludici» (ivi, p. 55).

Il movimento, già dall’inizio, si era espresso «contro tutte le forme regressive del gioco, che sono i suoi ritorni a stadi infantili (sempre legati alle politiche di reazione)», favorendo invece «le forme sperimentali di un gioco rivoluzionario» (I.S., n°1, [giugno 1958], 1994, p. 13).

I situazionisti volevano agire, ribadisco, nella vita e nella cultura:

L’I.S. è un movimento molto particolare, di carattere differente dalle avanguardie artistiche precedenti. […] Noi siamo sostenitori di un certo avvenire della cultura, della vita. L’attività situazionista è un mestiere definito che non esercitiamo ancora. (I.S., n°3, [dicembre 1959], 1994, p. 10) Come esercitare questo mestiere? Attraverso il gioco. Il vero rivoluzionario sarà colui che gioca e i situazionisti saranno «i primitivi di una nuova cultura»207. Questa

definizione si trova scritta sulle note inedite di Homo ludens, dove Debord trascrisse la prima parte del terzo paragrafo

Il gioco e la gara come funzioni creatrici di cultura:

La vita sociale si manifesta in forme soprabiologiche che le conferiscono una dignità superiore attraverso i giochi. In questi giochi la collettività esprime la sua interpretazione della vita e del mondo. Dunque questo non significa che il gioco muta o si converte in cultura, ma piuttosto che la cultura, nelle sue fasi originarie, porta i caratteri di un gioco, e si sviluppa sotto le forme e nell’ambiente del gioco. (Huizinga 1951, p. 84)

207 Debord, Guy. Johan Huizinga.

Homo ludens (s.d.). FGD, Fonds Guy

Debord, Naf 28603, fiches de lecture “Philosophie, sociologie”, cote 42. Paris: BnF.

Accanto a questo paragrafo si trova un’annotazione di Debord: «applicazione a una nuova cultura: noi siamo i primitivi di una nuova cultura». I situazionisti dovevano quindi servirsi del gioco per realizzare una nuova cultura.

La parola gioco deriva dal latino iŏcus, cioè «scherzo, burla». Per questa parola esistono sono molteplici definizioni. La prima descrizione che troviamo sul dizionario è: «qualsiasi attività liberamente scelta a cui si dedichino, singolarmente o in gruppo, bambini o adulti senza altri fini immediati che la ricreazione e lo svago, sviluppando ed esercitando nello stesso tempo capacità fisiche, manuali e intellettive». Andando avanti nella lettura troviamo la parola gioco riferita alla gara e alla competizione, ai giochi di parole (dal francese jeu de mots), al complesso delle norme che regolano il gioco, ecc.; di seguito si passa «all’antichità greco-romana», come «manifestazione ginnica», e ancora come «rappresentazione, spettacolo»; dopodiché troviamo l’accostamento alla «finzione», cioè all’atto di fingere e a quella scenica nella fattispecie della tecnica di recitazione e del «componimento drammatico o teatrale»; infine il vocabolo gioco può essere impiegato con valore di agire e del «mettere in opera»208.

Comparando le definizioni del termine con il lessico francese troviamo una corrispondenza nelle due lingue. Tuttavia in francese, a differenza dell’italiano, l’atto di recitare, di suonare uno strumento musicale oppure di proiettare un film, sono determinati tramite il verbo jouer (giocare), lo stesso che si utilizza per designare la mera attività di gioco209.

Johan Huizinga stilò una trattazione molto ampia e accurata della nozione di gioco, della sua funzione e della sua interazione con varie discipline. Il libro in questione è Homo ludens pubblicato ad Amsterdam nel 1938. È ormai assodato che la nozione di gioco nelle teorie situazioniste è stata ispirata da questo trattato. Il legame tra il gioco e la pratica situazionista è molto forte, se non un pilastro

208 http://www.treccani.it/ vocabolario/gioco/ (25-07-2019).

209 Robert, Le Petit Robert, pp. 1394-1395.

fondamentale per una rivoluzione nella cultura attraverso una forma superiore di gioco. Si pensi, per esempio, alla pratica del détournement e della deriva.

Dunque il gioco è un mezzo, ma contemporaneamente è un elemento creatore e concerne direttamente l’essenza dell’IS. Vediamo, allora, come il gioco si inserisce all’interno del movimento.

Secondo Huizinga il gioco è un atto libero che contiene delle regole, senza le quali non avrebbe luogo. Le regole creano un «ordine», un’«armonia» e un «ritmo» (Huizinga 2002, pp. 14-15). Questo vale anche per il movimento. Diventare situazionisti era un atto libero ma bisognava seguire delle regole e un obiettivo comune – quello della rivoluzione –, e a loro volta contribuivano ad apportare al movimento una partecipazione, un equilibrio e una regolarità. Nel momento in cui queste regole e l’obiettivo venivano a mancare arrivava puntualmente l’esclusione poiché «non appena si trasgredisco le regole, il mondo del gioco crolla» (ivi, p. 15). Le stesse pratiche sono sottoposte a delle norme. Il movimento ha cercato di definire il funzionamento e l’applicazione – come abbiamo già visto – della deriva, del détournement e della ricerca psicogeografica.

Il gioco è un atto che si svolge all’interno di uno spazio e di un tempo definiti portando i giocatori in una dimensione alternativa alla vita vera e ordinaria (ivi, pp. 13-14). In questo caso, i limiti spazio-temporali sono dati dalla durata del gruppo e dal loro campo d’azione (1957-1972). A differenza delle posizioni di Huizinga, il gioco in sé doveva «invadere l’intera vita» per i situazionisti (I.S., n°1, [giugno 1958], 1994, p. 10). Il gioco, invece di creare un’esistenza alternativa in un tempo e in uno spazio limitato, come un elemento separato e occasionale, doveva entrare a far parte della vita quotidiana e interagire con essa e con gli esseri.

Il gioco è un generatore di rapporti sociali e della collettività. Il gruppo che si forma attraverso il gioco tende

a durare anche quando questo sarà finito (Huizinga 2002, p. 16). La nascita dell’IS è stata scaturita da una determinata situazione, dal sentirsi partecipe di un evento importante, da un cambiamento in corso, dalla possibilità di avviare una rivoluzione. Secondo Huizing «proprio l’outlaw (il fuori legge), il rivoluzionario, il carbonaro, l’eretico hanno una fortissima tendenza a formare gruppo, e quasi sempre hanno contemporaneamente un carattere profondamente ludico» (ivi, p. 16). Questo è un punto importante, ma lo tratteremo in dettaglio sul prossimo capitolo.

Il gioco presuppone, in alcuni casi, la competizione ed è proprio questo elemento a dover svanire a vantaggio della comunità e della «creazione comune degli ambienti ludici» (I.S., n°1, [giugno 1958], 1994, p. 10). L’unica competizione ad essere accettata è quella all’interno della cerimonia arcaica delle tribù indiane della Colombia britannica, denominata potlatch. La stessa pratica da cui l’IL prese il nome per il loro bollettino di informazione (Potlatch). Sull’articolo «Le role de Potlatch, autrefois et maintenant» («Il ruolo di Potlatch, allora e adesso») troviamo scritto:

È noto che il nome Potlatch deriva dal nome, tra gli Indiani del Nord America, di una forma pre-commerciale di circolazione delle merci, basata sulla reciprocità dei doni sontuosi. I beni non vendibili che un tale bollettino gratuito può distribuire, sono i desideri e i problemi inediti; e solo il loro approfondimento da parte di altri può costituire un regalo di ritorno. (Debord 2006, p. 499)

L’ambito ludico appartiene a una sfera di «mistero» e di «diversità» data dall’utilizzo della maschera e del travestimento poiché, in quel momento, l’uomo diventa «un altro essere» (Huizinga 2002, p. 17). E ancora Huizinga scrive:

Considerato per la forma si può dunque, riassumendo, chiamare il gioco in un’azione libera: conscia di non essere presa ‘sul serio’ e situata al difuori della vita consueta, che

nondimeno può impossessarsi totalmente del giocatore; azione a cui in sé non è congiunto un interesse materiale, da cui non proviene vantaggio, che si compie entro un tempo e uno spazio definiti di proposito, che si svolge con ordine secondo date regole, e suscita rapporti sociali che facilmente si circondano di mistero o accentuano mediante travestimento la loro diversità dal mondo solito. (ibid.)

In questo passaggio Huizinga si contraddice in riguardo alla questione della non serietà del gioco. Però questa immagine dell’azione del gioco che egli ci offre, in alcuni punti, rispecchia anche la condotta dei membri del movimento.

Il gioco e il teatro hanno un forte legame dato dall’azione e dal travestimento. Il gioco, infatti, appare costantemente sia nella tragedia sia nella commedia. La maschera ci conduce fuori dalla vita reale e fa cadere il ruolo sociale. Il teatro crea, secondo Bertolt Brecht, «quelle immagini praticabili della società che sono in grado di influenzarla, e le produce come vero e proprio ‘gioco’» (Brecht 2001, p. 123). Questa rappresentazione del gioco la troviamo, ad esempio, nella manifestazione Destruktion af RSG-6.

L’attività di giocare, infatti, include un fattore fondamentale: il «senso» poiché «è una lotta per qualche cosa» oppure «può rappresentare una lotta per qualche cosa» (Huizinga, p. 18). Il tal senso, il gioco all’interno del movimento è «lotta e rappresentazione: lotta per una vita a misura di desiderio, rappresentazione concreta di una simile vita» (I.S., n°1, [giugno 1958], 1994, p. 10). Così l’atto di costruire delle situazioni ha un doppio valore: quello di gesto sociale e quello ludico, comunica e agisce.

Qual è il denominatore comune tra gioco e teatro nel movimento situazionista? Rappresentare è in un certo senso realizzare un qualcosa. Nel terzo paragrafo ho iniziato a delineare l’IS come l’immagine di una Commedia all’interno della quale sono stati rappresentati i drammi

dell’umanità, cercando al tempo stesso di fornire degli espedienti per sfuggire all’alienazione della vita – e aggiungo – attraverso il gioco, non come mera sfera dei piaceri ma in opposizione al divertimento della società dello spettacolo, ritenuto passivo e ostile alla libertà dell’essere umano. Così nel movimento si manifesta il doppio gioco della commedia e del dramma.

A questa immagine, però, si aggiunge un’altra peculiarità del gioco: esso interpreta la vita e il mondo, ne diviene un mezzo di comunicazione e di azione.

Possiamo dunque affermare che lo spazio ludico è il luogo di creazione della nuova cultura. Così il gioco, insito nel movimento stesso, possiede una doppia funzione creatrice: la prima è quella che si trova alla base della genesi e della costruzione di situazioni che a una prima analisi sembrano derivare dal teatro, l’altra è destinata a forgiare uno spazio per la realizzazione e la diffusione di nuovi valori.

Tuttavia, rimane una problematica da risolvere: come portare tutto questo nella vita di tutti gli esseri umani? E ancora, dove diffondere questa idea di nuova cultura per essere più efficace?

Raoul Vaneigem scrisse in «Banalità di base» che «un momento rivoluzionario, è quando ‘tutto ciò che la realtà presenta’ trova la sua rappresentazione immediata» (I.S., n°8, [gennaio 1963], 1994, p. 39). Dunque per i situazionisti è arrivato il momento che il gioco venga rappresentato nella realtà: l’atto finale.