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La funzione critica della rappresentazione: l’influenza di Bertolt Brecht e di Luigi Pirandello

all’arte più grande di tutte: quella di vivere

3.2 La funzione critica della rappresentazione: l’influenza di Bertolt Brecht e di Luigi Pirandello

I situazionisti non erano contrari all’uso delle immagini – anzi conoscevano molto bene il loro potere – ma ne contestavano l’utilizzo da parte del capitalismo.

L’immagine è importante nel teatro epico poiché quest’ultimo aveva il compito di «impegnarsi nella realtà per essere in grado e in diritto di produrre immagini efficaci della realtà» (Brecht 2001, p. 122), cioè delle rappresentazioni in grado di ispirare la società.

In «Problemes prélimenaires à la construction d’une situation» («Problemi preliminari per la costruzione di una situazione»), i situazionisti scrissero:

Queste prospettive o il loro vocabolario provvisorio, non devono far credere che si tratti di un proseguimento del teatro. Pirandello e Brecht hanno mostrato la distruzione dello spettacolo teatrale e alcune rivendicazioni che sono al di là di essa. Si può dire che la costruzione delle situazioni sostituirà il teatro soltanto nel senso in cui la costruzione reale della vita ha sostituito sempre più la religione. All’evidenza, il principale ambito che sostituiremo e realizzeremo è la poesia, che si è bruciata da sola all’avanguardia della nostra epoca e che è completamente scomparsa. (I.S., n°1, [giugno 1958], 1994, p. 12)

Sebbene sul testo sia stato messo per iscritto la negazione di «un proseguimento del teatro» da parte del movimento, è questo ambito che dobbiamo analizzare – almeno in parte – in funzione al concetto di rappresentazione.

Bertolt Brecht e Luigi Pirandello, dunque, avevano distrutto la concezione classica di teatro e si erano

avvicinati al pubblico, grazie alle loro innovazioni. In entrambi gli autori troviamo una tipologia di teatro rivolta alla critica sociale e non alla rappresentazione di un mondo illusorio. I situazionisti volevano andare oltre alla mera figurazione teatrale e per fare questo dovevano costruire delle situazioni: quella pratica che permetteva di mettere in scena un’azione efficace e poetica, e di cambiare il rapporto tra l’uomo e il mondo che lo circonda, trasformando finalmente l’essere umano in viveur e farlo uscire dal suo stato di passività.

Se leggiamo l’articolo, poc’anzi citato, possiamo capire come la costruzione di situazioni sia un gioco, all’interno del quale deve esserci una direzione paragonabile a quella del direttore o del regista teatrale:

La situazione costruita è giocoforza collettiva, per la sua preparazione e il suo svolgimento. Sembra però, almeno per il periodo delle esperienze primitive, che un individuo debba esercitare una certa preminenza per una situazione data, esserne il regista. A partire da un progetto di situazione (studiato da un gruppo di ricercatori) che organizzi, ad esempio, una riunione commovente di alcune persone per una serata, bisognerebbe distinguere tra un direttore – o un regista – incaricato di coordinare gli elementi preliminari di costruzione dell’ambientazione e anche di prevedere certi interventi negli avvenimenti (quest’ultimo processo può essere suddiviso tra vari responsabili che ignorino in diversa misura i piani di intervento altrui) –, degli agenti diretti che vivono la situazione – che abbiano partecipato alla realizzazione del progetto collettivo, che abbiano lavorato alla composizione pratica dell’ambiente –, e qualche spettatore passivo – estraneo al lavoro di costruzione – che bisognerà ridurre all’azione171. (I.S., n°1, [giugno 1958], 1994, p. 12)

Tentiamo dunque di individuare le analogie tra il teatro epico e la teoria – unita alla pratica – dell’IS. Bertolt Brecht, in «È possibile esprimere il mondo d’oggi per mezzo del teatro?», formulò l’idea che «l’espressione del 171 Trad.it. variata dall’autore.

mondo mediante il teatro» doveva cessare di «essere semplicemente un fatto sperimentale», ma doveva passare da «esperimento» in «esperienza», cioè «aderire a ciò che esprime» (Brecht 2001, p. 19). Secondo Brecht era necessario cambiare il «mondo odierno», ma in attesa di una mutazione il teatro poteva raffigurare il «mondo d’oggi», a condizione che questo fosse percepito «come un mondo trasformabile» (ivi, p. 21).

Da parte dei membri dell’IS, l’attenzione della vita quotidiana era nata dalla centralità di questa nell’esistenza di ogni essere umano e con la volontà di trasformarla. Le loro sperimentazioni erano rivolte all’esperienza, nodo centrale per riprendere in mano la vita reale, e renderla accessibili a tutti. Com’era possibile mutare una sperimentazione in un’esperienza collettiva? Soltanto costruendo delle situazioni.

Il teatro epico non doveva «sviluppare azioni quanto rappresentare situazioni» (Benjamin 2012, p. 288), quelle stesse situazioni che si realizzano nella quotidiana convivenza degli uomini. Il teatro doveva «vincere tutte le enormi difficoltà» in opposizione «a qualsiasi energia vitale, così nel campo della politica come in quelli della filosofia, della scienza e delle arti» (Brecht 2001, p. 71). Il valore del teatro epico è, come scrisse Walter Benjamin, «costruire, a partire dagli elementi minimi del comportamento, ciò che nella drammaturgia aristotelica viene detto ‘l’agire’» (Benjamin 2012, p. 297). In effetti, la «situazione costruita» è «momento della vita concretamente e deliberatamente costruito» (I.S., n°1, [giugno 1958], 1994, p. 13), ciò vuol dire che l’uomo deve agire attivamente nel suo mondo per cambiarlo e per prenderne parte.

Una delle caratteristiche del teatro epico è stata quella di «rendere citabili i gesti»: «è per definizione un teatro gestuale» (Benjamin 2012, p. 289). Il gesto dell’attore all’interno della rappresentazione, per Brecht, deve essere sempre un «gesto sociale», poiché il «gesto» è «un

linguaggio che dimostra determinati atteggiamenti che colui che lo tiene assume di fronte ad altre persone» (Brecht 2001, p. 212) e, diventando «gesto sociale», permette di prendere coscienza sulle condizioni della comunità (ivi, p. 2013). Lo choc e la tecnica dello «straniamento» sono stati fondamentali per eliminare la distanza tra pubblico e attori. Oltre ai «gesti», anche lo «straniamento» serviva a togliere gli spettatori da uno stato passivo per trasportarli in un ruolo attivo. Le azioni e le tecniche dell’IS rappresentavano dei gesti sociali: non servivano solamente da scandalo, o come effetto estraniante, ma avevano il compito di comunicare e di rendere i gesti citabili per la società, non in una forma d’identificazione e di emulazione ma in maniera consapevole.

Il teatro epico, inoltre, aveva una funzione didattica, non volta a creare una morale ma una riflessione sulle condizioni degli esseri umani attraverso il divertimento: «il tetro rimane teatro, anche se è teatro d’insegnamento; e, nella misura in cui è buon teatro, è anche divertente» (Brecht 2001, p. 66).

Il gioco predispone al rilassamento, lo stesso rilassamento che Brecht ricercava nel pubblico. La sfera ludica è fondamentale nella pratica situazionista poiché il gioco, «rompendo radicalmente con un tempo e uno spazio ludico delimitato», doveva «invadere l’intera vita» con l’obiettivo di «provocare delle condizioni favorevoli» per viverla pienamente (I.S., n°1, giugno 1958, p. 10). In questo modo nel gioco si manifesta la lotta e la rappresentazione: «lotta per una vita a misura del desiderio, rappresentazione concreta di questa vita» (ivi, p. 10).

Infine, Brecht rompe con la dialettica aristotelica e così facendo è stata eliminata «l’empatia nei confronti del commovente destino dell’eroe»; come scrisse Benjamin «l’arte del teatro epico consiste nel suscitare stupore piuttosto che empatia» (Benjamin 2012, p. 288).

Qui entra in scena un altro autore. La rottura con la

dialettica aristotelica la troviamo anche nell’opera di Luigi Pirandello. Secondo Antonio Gramsci, Pirandello «ha cercato di introdurre nella cultura popolare la ‘dialettica’ della filosofia moderna, in opposizione al mondo aristotelico-cattolico di concepire l’‘oggettività del reale’» (Gramsci, Tilgher 2015, pp. 47-48). Sempre per Gramsci, l’importanza del teatro di Pirandello è di carattere culturale (ivi, pp. 47), mentre Adriano Tilgher pone l’accento sulla dialettica vita/forma, cioè la «necessità per la Vita di darsi forma e impossibilità di esaurirsi in essa, donde un tragico contrasto» rappresentato nelle opere di Pirandello (ivi, p. 101).

Nei capitoli precedenti abbiamo visto il carattere dell’azione all’interno della sfera culturale che il movimento si era prefissato di attuare. La costruzione di situazione è la sua forma, seppur temporanea: essa è «la ricerca di un’organizzazione dialettica di realtà parziali passeggere», e che André Frankin aveva definito «‘una pianificazione dell’esistenza’» (I.S., n°3, [dicembre 1959], 1994, p. 6), poiché senza una forma e un linguaggio della vita reale essa non poteva essere realizzata.

I situazionisti ritenevano che il linguaggio, «in quanto realtà vivente», fosse assoggettato alla dialettica dell’autorità per mantenere l’ordine stabilito (I.S., n°10, [marzo 1966], 1994, p. 50). In un certo senso il linguaggio lavorava per il potere dominante. L’unica soluzione era di liberare il linguaggio – liberare le parole – attraverso il détournement e trasformarlo continuamente in un altro linguaggio (ivi, pp. 50-51). In un certo senso, la costruzione di situazione dona alla vita una forma ma che apparentemente non porta a un contrasto. Infatti, la situazione costruita è al tempo stesso la sua negazione, anche se dipende da un atto cosciente oppure da una regia:

Ogni situazione, per quanto possa essere consapevolmente costruita, contiene la sua negazione e tende inevitabilmente verso il proprio rovesciamento. (I.S., n°3, [dicembre 1959],

1994, p. 6)

In questo senso, la forma non rimane fissa e immobile ma si trasforma creando sempre qualcosa di dinamico e d’innovativo come in un gioco.

La costruzione di situazioni non è una continuazione del teatro, è il suo superamento: raffigura l’utilizzo della rappresentazione nella vita reale per diffondere un messaggio, per costruire dei momenti di vita, per prendere coscienza del mondo e di sé stessi perché, come disse Pirandello, «quando uno vive, vive e non si vede» (Gramsci; Tilgher 2015, p. 79).