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Noi non vogliamo lavorare allo spettacolo della fine del mondo,

4.4 Liberare le passioni: la rivoluzione come festa

Il ’68 parigino non fu solo una contestazione studentesca, anzi fu soprattutto una protesta operaia con uno sciopero selvaggio che paralizzò il sistema produttivo francese. Gli studenti furono il detonatore e spalla della protesta: aiutarono i movimenti operai allo sviluppo delle manifestazioni e delle loro rivendicazioni.

I situazionisti erano indifferenti «alle forme o alle riforme dell’istituzione universitaria», così come lo erano gli operai che, però, erano interessati «alla critica della cultura, del paesaggio e della vita quotidiana del capitalismo

avanzato, critica che si estese rapidamente a partire dalla prima lacerazione di questo velo universitario» (I.S., n°12, [settembre 1969], 1994, p.4).

In questa parte non tratterò in maniera dettagliata la storia del ’68: prenderò in considerazione le azioni maggiori intraprese dall’IS e dalle organizzazioni con le quali hanno collaborato in rapporto alla rivolta operaia240.

Dopo lo Scandalo di Strasburgo, numerosi studenti si avvicinarono alle teorie situazioniste, alcuni dei quali formarono dei gruppi tra cui gli Enragés (Arrabbiati) di Nanterre che a loro volta parteciparono con l’IS al maggio francese.

Il movimento degli Enragés era stato fondato da René Riesel, Patrick Cheval e Gérard Birgogne nel gennaio 1968 a Nanterre. I primi due entrarono a far parte della sezione francese dell’IS. In quel momento il movimento era a corto di membri e di sezioni, dopo l’ennesima esclusione nel dicembre 1967 in cui sono stati espulsi tutti i membri della sezione inglese: Timothy Clark, Christopher Gray e Donald Nicholson.

Nei mesi precedenti al maggio del ‘68 si assisteva già a sporadiche rivolte da parte sia di studenti sia di lavoratori, ma la prima grande manifestazione, organizzata dal PCF (Parti Communiste Français) e il CGT (Confédération

générale du travail), si tenne a Parigi il 1° maggio del 1968.

Dopodiché gli operai continuarono a protestare e gli studenti si unirono a loro nei giorni seguenti. Iniziarono anche le prime occupazioni da parte dei lavoratori: il 14 maggio fu occupata la prima fabbrica, la Sud-Aviation a Nantes, il giorno seguente fu il turno della Renault a Cléon e il 16 maggio fu la volta della Renault a Billancourt241.

Alcuni giorni prima molti studenti e insegnati si mobilitarono per far riaprire la Sorbona e per chiedere il rilascio degli arrestati. La manifestazione sfociò nell’occupazione del Quartiere Latino, la notte tra il 10 e l’11 maggio, conosciuta come la Nuit des Barricades (Notte delle

240 Per un approfondimento delle azioni intraprese dall’IS si veda

Enrangés et situationnistes dans le mouvement des occupations di

René Viénet e L’amara vittoria del

situazionismo di Gianfranco Marelli.

241 Per maggiore informazione sui movimenti operai e le occupazioni vedi Vigna, L’insubordination

ouvrière dans les années 68. Essai d’histoire politique des usines.

barricate). Dopo pochi giorni i situazionisti e gli Enrangés

scesero in campo: i due movimenti si unirono creando, il 14 maggio, il comitato Enragés-Internationale situationniste e occuparono l’Università Sorbona.

Da questo momento, iniziò la diffusione delle loro idee tramite l’affissione di volantini sui muri dell’università: prima di tutto contro le organizzazioni burocratiche, come i maoisti o il «Movimento del 22 marzo», organizzazione studentesca con a capo Daniel Cohn-Bendit, oppure in opposizione ai sindacati dei lavoratori, anch’essi burocratizzati. Secondo la coalizione l’unico avvenire per il movimento era «di stare con i lavoratori, non al loro servizio ma al loro fianco» (Viénet 1968, p. 79).

Il comitato Enragés-Internationale situationniste il 17 maggio lasciò la Sorbona. Sempre lo stesso giorno, seguendo la scia delle occupazioni, una quarantina di persone, tra cui i situazionisti e i «partigiani del primo Comitato d’occupazione della Sorbona», crearono il

Conseil pour le maintien des occupations (Debord 2006, p.

895).

Il Comitato per il mantenimento delle occupazioni (d’ora in poi C.M.D.O.) aveva l’obiettivo di sostenere le occupazioni delle fabbriche e gli scioperi, anche quelli selvaggi, di sviluppare il sistema dell’autogestione, di portare la democrazia diretta e globale nella vita quotidiana. Il Comitato terminò la sua attività il 15 giugno 1968.

Durante l’attività del C.M.D.O. sono stati affissi sui muri numerosi manifesti in bianco e nero, le cui frasi diventeranno dei motti durante le occupazioni: «Fin de l’université» («Fine dell’università»); «Le pouvoir aux conseils de travailleurs» («Il potere ai consigli dei lavoratori»); «Occupation des usines» («Occupazione delle fabbriche); «A bas la société spectaculaire-marchande» («Abbasso la società spettacolare-mercantile»); e tanti altri242.

Il C.M.D.O. realizzò, altresì, canzoni e fumetti détourné.

242 I manifesti citati sono tutti riprodotti in Debord, Œuvres, p. 897.

Il volantino Mots d’ordre à diffuser maintenant par tous les

moyens (Parole d’ordine da trasmettere ora con qualsiasi mezzo), datato 16 maggio 1968 e firmato dal Comité d’Occupation de l’Université autonome et populaire de la Sorbonne, annunciava parte di questo lavoro (Debord

2006, p. 889).

Così iniziarono ad essere stampati e diffusi numerosi

comics détourné: Adresse à tous les travailleurs, Les travailleurs en grêve, Test 3bis de l’institut pédagogique réformé, Camarades, la radio lance des appels à la reprise du travail!243.

Questi sono solo alcuni dei fumetti détourné poiché la loro diffusione è stata considerevole e vari gruppi, sparsi sul territorio francese, cominciarono a utilizzare questa tecnica. Nell’archivio Debord ci sono soltanto tre «comics situazionisti» del maggio ’68244, anche questi potrebbero

essere stati realizzati dal C.M.D.O.

I gesti spontanei che, come recita una delle vignette dell’archivio Debord, si sono manifestati contro «il potere e il suo spettacolo» dovevano trovare una strategia per superare gli ostacoli e la forza dell’avversario, nonché «i mezzi di recupero» utilizzati dal potere. In questo contesto il détournement, che ha avuto la sua origine nella letteratura e nell’arte, «è diventato l’arte di maneggiare tutte le armi».

I fumetti détourné dal C.M.D.O. provenivano soprattutto da Opera Mundi, un’agenzia di stampa, fondata da Paul Winkler a Parigi nel 1928. Opera Mundi, dopo alcuni anni di attività, iniziò a rappresentare la King Features Syndicate, un’azienda statunitense di distribuzione di fumetti, occupandosi della divulgazione dei comics d’oltre oceano in Francia245. La scelta di utilizzare questi strip era,

in primis, una connotazione della volontà di andare contro il potere e la società spettacolare tramite i loro stessi mezzi. I fumetti rappresentavano le loro idee, sintetizzate nei motti, attraverso delle immagini: così i nemici della

243 La maggior parte dei fumetti non aveva titoli. Questi riportati in testo sono stati tratti dalla prima frase o espressione di ogni fumetto.

244 Trois comics situationnistes (1968). FGD, Fonds Guy Debord, Naf 28603, Des tracts de mai 68 (avec des traductions) + du scandale de Strasbourg, Tracts situationnistes. Paris: BnF.

245 Le informazioni su Opera Mundi e sul suo creatore si trovano in Gaumer, Dictionaire mondial de

la BD, p. 919. Vedi Atlas per alcuni

fumetti détourné dal C.M.D.O.

rivoluzione, i comunisti, gli imprenditori e i sindacati per la maggior parte, presero vita e i loro dialoghi, come un boomerang, si ritorsero contro la loro stessa ideologia.

Il ’68 è stato per un momento la realizzazione dell’utopia, riassumibile nel celeberrimo slogan Soyez réalistes, demandez l’impossible (Siate realisti, domandate l’impossibile). Le masse si ritrovarono unite in una grande festa rivoluzionaria, fatta di gesti e di azioni collettive: scioperi selvaggi, contestazioni, rifiuto dei ruoli prestabiliti, lotta all’ideologia, rifiuto dei segni identitari – e di memoria collettiva – provenienti dall’autorità dominante, cambiamento delle condizioni di vita e di lavoro, libertà sessuale, realizzazione dei desideri.

La città vibrava di energia vitale, i muri presero la parola. Le giornate erano caratterizzate dalla tensione e dalla violenza che, in questo caso, possedeva una forza costruttrice, volta a cambiare la vita e non a fare delle vittime. La violenza era rivolta contro i nemici: «alle forze di oppressione e di repressione che mantenevano il sistema e organizzavano la violenza dell’ingiustizia» (Dufrenne 1974, p. 205).

Questo sogno utopico è durato un breve istante: la rivoluzione finì, la vita si stabilizzò e ripiombò tutto nell’ordine. In parte, questo fu il fallimento del ’68. Ma si può veramente chiamare fallimento oppure è stato il suo corso naturale?

I situazionisti affermarono che non si poteva parlare di «riuscita» o di «fallimento» – «riferimento banale dei giornalisti e dei governi» – poiché «nessuna rivoluzione è mai riuscita» (I.S., n°12, [settembre 1969], 1994, p. 13). In effetti, da secoli esistono due grandi categorie: chi ha potere e chi lo subisce. Certo, le condizioni sono migliorate – per alcuni popoli –, le forme, i ruoli e i metodi sono cambiati ma la sostanza rimane la stessa. Il potere si è sempre posto la domanda di come sfruttare le masse. Nonostante ciò il «processo pratico» messo in atto dal proletariato durante

il ‘68 è stato «di estrema importanza storica» (ivi, pp. 13- 14): è stato un’ostruzione del sistema sociale ed economico vigente all’epoca, tentando di formare un nuovo pensiero di vita e nuove strutture.

La rivoluzione ha dei punti in comune con la festa e, di conseguenza, con il gioco. Le feste sono un punto di rottura: la vita reale si ferma per entrare in una dimensione altra, il tempo e i doveri quotidiani sono sospesi. I partecipanti condividono dei valori in un tempo e in uno spazio limitati. La festa è una distrazione temporanea ed è un momento di libertà; è un gesto unico anche se ripetibile. La rivoluzione possiede la sua aura, la sua atmosfera è unica in un determinato luogo e momento (hic et nunc), pur essendo riproducibile poiché nessuna rivoluzione sarà mai uguale a un’altra. La festa, inoltre, è un superamento del teatro: non c’è distinzione tra attore e pubblico; la rappresentazione diventa un momento della realtà, diventa totale, ed esprime il senso della vita.

In riferimento al Rinascimento, Jacob Burckhardt scrisse che «le feste italiane nella loro forma più perfetta marcarono la transizione della vita reale a quella dell’arte» (Burckhardt 1958, p. 218). Debord segnò questo passaggio sulle sue note di lettura, aggiungendo che «questa transizione è stata interamente uno spettacolo» e che è stata straordinaria la fusione tra la vita quotidiana e la festa246.

In origine questi appunti dovevano servire per il libro La Società dello Spettacolo, però si potrebbe ipotizzare che siano serviti anche per accostare il concetto di festa a quello della rivoluzione: considerare il momento rivoluzionario come una grande celebrazione dell’uomo libero e del gioco, e come punto di rottura con la realtà. In questo gioco collettivo la massa alza la sua voce, mette in campo i propri desideri. La rivoluzione è la festa della comunità nella vita quotidiana.

246 Debord, Guy. Jacob Burckhardt.

La Civilitation de la Renaissance en Italie (s.d.). FGD, Fonds Guy

Debord, Naf 28603, fiches de lecture “Philosophie, sociologie”, cote 42, 1. Paris: BnF. L’ultima parte delle note di Debord è «extraordinaire : la fusion vie q [quotidienne]/fête».