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Fossano - Chiesa Cattedrale Sabato, 2 dicembre 2017

Nel documento DIOCESI DI CUNEO DIOCESI DI FOSSANO (pagine 38-41)

La prima lettura si concludeva con “Tu sei nostro Padre. Noi siamo argilla nelle tue mani e tu colui che ci plasma. Tutti noi siamo opera delle tue mani”. Sono parole del profeta Isaia dette in un particolare contesto. Nel 539 a.c. Ciro, im-peratore persiano, restituisce la libertà agli israeliti deportati a Babilonia. È il secondo esilio della storia del popolo d’Israele; un tempo di grazia durante il quale, seppur nella schiavitù hanno il tempo per riflettere sulla storia degli in-terventi di Dio a loro favore. Dopo circa 50 anni, poco alla volta ritornano nelle terre dei padri. Le trovano occupate da altri. Erano poveri in canna ma ricchi di sogni. Trovano il loro tempio distrutto ma mancavano i mezzi. Non bastava la libertà ritrovata; l’avevano tanto sospirata. Non potevano stare tranquilli. Qui il profeta interviene per confortare ed esortare a non lasciarsi perdere d’animo e, nello stesso tempo, per invocare l’aiuto di Dio. Sa che Dio è fedele e che non aveva mai abbandonato il popolo, anche se era stato immerso in mezzo a prove.

Hanno un suono particolare per voi quattro che state per ricevere il primo grado dell’Ordine, il Diaconato. Essere diaconi vuol dire essere servitori. Attra-verso strade diverse, siete giunti qui; avete abbracciato l’ideale di San France-sco, un ideale povero e umile che guarda all’essenzialità del Vangelo di Gesù.

Un modello di autenticità che continua ad avere grande presa nella Chiesa, specie nei giovani. Ora la Chiesa vi chiama a farvi Servi ad immagine di Cristo servo. Lui ci ha dato l’esempio: si è chinato su chi viveva di stenti, ha incorag-giato chi stava intraprendendo la strada del ritorno senza giudicare, ha conso-lato chi era nel pianto, ha formato i suoi 12 con amore e fermezza. Ha usato parole e le ha sostenute col suo esempio. Ricordiamoci dell’unico paramento sacro che ha voluto indossare prima dell’ultima cena: il grembiule. Si è chinato

e ha lavato i piedi a tutti. Non toccava a lui, ma lo ha fatto ammonendoci di ripetere quel gesto.

Tocca a voi servire la Parola, senza annacquarla. Tocca a voi servire la Chiesa in tutte le sue componenti. Tocca a voi farvi strumenti di carità, dando non solo cose, ma donando il vostro cuore con semplicità e profondità. E, come dice il Vangelo, alla fine dite: “Siamo servi inutili, abbiamo fatto ciò che dovevamo fare!”. Questo è il compito di chi serve nella Chiesa, la vocazione del diacono, del servitore che non attende alcuna ricompensa.

Forse, in questo momento, le gambe tremano e il cuore batte forte. Non do-vete stupirvi: qui rasentiamo la grandezza di Dio che vi ha scelti. Lo ha fatto proprio in mezzo alle vicende delle vostre storie. Pian piano si è fatto sentire.

Percepire che siete indegni è normale. Eppure Lui vi ha voluti, vi ha chiamati, vuole che stiate con Lui, ora da Diaconi, domani, forse, da sacerdoti. Chi si im-pegna siete voi, ma soprattutto è Lui che vuole sostenervi facendovi stare par-ticolarmente vicini a Lui. Non dovete temere. Quando Dio chiede qualcosa, ci da anche le forze per poter percorrere la strada che vi indica. La Chiesa è e rimane sempre nelle sue mani. Noi ci mettiamo a sua disposizione perché il suo Regno venga. In essa siamo stati generati, da essa siamo chiamati, la vogliamo servire con quel poco o tanto che siamo. Se è così, dal vostro cuore deve sca-turire una sola parola: Grazie! Grazie perché ci vuoi bene. Grazie perché ci hai scelti. Grazie perché ci accompagni. Grazie perché sei sempre con noi. Grazie perché siamo nelle tue mani e tu ci modelli come fa il vasaio con l’argilla.

Quale dev’essere la nostra parte? Ci viene incontro la parola del Vangelo odierno. Gli apostoli forse cominciavano a percepire che il Signore, prima o poi, li avrebbe lasciati. Sapevano molto bene che nelle loro mani e nel loro cuore passavano molti gesti e insegnamenti del Maestro. Come la storia di quel pa-drone che, dovendo fare un lungo viaggio, affida compiti diversi ai suoi servi. A ciascuno il suo compito. Questa è la storia dell’umanità; è la nostra storia. A noi è stato affidato il mondo; non è nostro. Un giorno, forse all’improvviso, Dio ci chiamerà a sé e tirerà le somme circa le nostre responsabilità. Non sappiamo, infatti, come o quando si compirà la vicenda umana nell’universo. Neppure sappiamo quando si compirà la nostra storia personale. Qui abbiamo l’invito a vigilare, a non sonnecchiare, a non aspettare e rimandare sempre la nostra piena adesione a Lui.

Il tempo dell’Avvento che si apre proprio questa sera, non è solo questione di guardare alla celebrazione del Natale ormai prossima. È il tempo che ci ri-chiama alle nostre responsabilità. Dio ci ha donato il tempo che noi viviamo.

Non dobbiamo ‘tirare a campare’ né preoccuparci solo dei beni materiali, molti, che sono nelle nostre mani. Dobbiamo piuttosto elevare il nostro

sguardo verso i valori dello Spirito. Dobbiamo riflettere sul senso della vita, su cosa vogliamo, su chi stiamo veramente cercando.

Il nostro augurio è che il Signore, quando verrà, non ci trovi addormentati, ma consapevoli ed attenti. Sull’esempio del gallo, un proverbio curioso e simpatico dice: “Il gallo sveglia sé stesso prima di svegliare altri”.

Tempo di attesa, sì, ma tempo di vigilanza. Dio ci ha dato la cognizione del tempo perché ci apriamo all’eternità. Come cristiani dobbiamo darci da fare, qui, adesso. Forse siamo inquieti per i problemi odierni che ci sovrastano. Pro-prio nella nostra inquietudine troviamo la tranquillità del cuore. Con il lavoro delle nostre mani riempiamo la nostra vita, cioè questo tempo di attesa che viene.

Nel documento DIOCESI DI CUNEO DIOCESI DI FOSSANO (pagine 38-41)