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1 7 Il frammento: dal contesto originario all’identità storicizzata

Si è presa in esame sino a questo punto una parte significativa dei codici prodotti in area occidentale attraverso la disamina di eventi, fenomeni culturali e tempi di produzione rappresentativi. Si è comunque data notizia, in ognuno dei casi citati, di esemplari strutturati, in forma di codice, in un caso di rotolo, con una unitarietà di contenuti e di forma tangibili. Vi è tuttavia la possibilità che un codice non sia giunto a noi per intero e che per ragioni le più diverse ci si offra come frammento riferibile a un contesto d’origine più complesso di quanto oggi non appaia. Un foglio può essere stato estrapolato dall’insieme in seguito a un furto, a causa di un accidente occorso al manoscritto conservato in un luogo poco sicuro, o

200 Ivi, p. 177. Anche le strutture interne alle chiese sono connotate, per tutto il medioevo, da zone

riservate all’officiante, al coro e alla globalità dei laici ai quali, pur con alcune deroghe, non era consentito l’ingresso al “cuore” dello spazio liturgico. Cfr. P. PIVA, Lo ‘spazio liturgico’:

architettura, arredo, iconografia (secoli IV–XII), in L’arte medievale nel contesto (300–1300), funzioni, iconografia, tecniche, a cura di P. PIVA, Milano 2006 (Di fronte e attraverso, 635) pp. 141–

180.

201 Solo dopo il Concilio di Trento gli arredi riservati al coro, posti in file parallele dinanzi

all’altare (cfr. PIVA, ‘Lo spazio liturgico’ cit. p. 154), verranno spostati nell’abside, dietro lo spazio del celebrante. Fino a quel momento la scelta del luogo occupato dai cantori era anch’essa funzionale a ribadire il ruolo fondamentale svolto da questi ultimi nella creazione di un tramite di connessione tra i fedeli e Dio (BERGAMASCHI–MENEGHINI, La musica nello spazio cit., p. 179).

perché prescelto per ragioni di contenuto grafico, per le immagini veicolate, per ragioni ideologiche che lo rendevano peculiare rispetto agli altri e per altre motivazioni ancora.

Una parte significativa dei frammenti presenti oggi a vario titolo nelle biblioteche, e nei musei, di tutto il mondo è rappresentata da fogli o parti di fogli di codici liturgici prodotti soprattutto nei secc. XI-XV.

Gli esemplari di contenuto e d’uso liturgico costituiscono la parte preponderante dell’intera produzione manoscritta d’età medievale. Ragioni d’uso così come la desuetudine a cui i contenuti andavano incontro in tempi relativamente brevi, spingevano alla realizzazione di numerosissimi Messali, Breviari e “libri di canto” che fossero sufficienti a supportare l’attività di monaci e secolari quotidianamente impegnati nei propri uffici.

Quanto ci è pervenuto costituisce solo una porzione rappresentativa dell’insieme originario. I codici sopravvissuti testimoniano tuttavia dell’immensa produzione manoscritta giustificata, oltre che da ragioni d’uso, anche dalla consuetudine eminentemente pratica di riutilizzare per usi diversi i fogli degli esemplari non più necessari.

La ragione preminente del riuso si lega al materiale utilizzato per il confezionamento dei codici manoscritti, la pergamena: supporto resistente, frutto di processi preparatori lunghi e complessi, con un costo finale significativo. I fascicoli, unità di base del codice, erano assemblati gli uni agli altri attraverso i processi di cucitura, ed eventuale connessione a una coperta, per garantire unità e una buona protezione d’insieme al codice. Motivi d’uso connessi ai singoli esemplari e la durabilità della pergamena, facevano sì che in molte occasioni i codici rimanessero sprovvisti di una coperta, e si mostrassero come fascicoli tra loro cuciti, con i fogli di guardia posti a preservare l’integrità del corpo del manoscritto o, al più, si collocassero a copertura dell’insieme alcuni fogli di riuso in pergamena. “Riciclare” fogli membranacei provenienti da codici il cui contenuto appariva superato da nuovi usi liturgici202 era giustificato da ragioni economiche e costituiva una prassi

frequente di cui oggi esistono ampie testimonianze.

202 In alcuni casi si provvedeva ad abradere i fogli per eliminare i contenuti, che tuttavia venivano

il più delle volte ignorati.

Diverse sono le tipologie di riuso a seconda degli ambiti culturali, delle motivazioni pratiche e dei contenuti dei fogli da “rilegare”. Si dà il caso appena citato di esemplari concepiti senza coperta ai quali per ragioni diverse si sceglieva di dare una protezione, ma anche l’eventualità che fogli inizialmente concepiti come unità indipendenti fossero in seguito destinati a costituire un corpo unico per contenuti, datazione, ambito di produzione. È questo il caso soprattutto di documenti notarili che venivano raccolti in cartelle cucite, al fine di formare un insieme unitario: cartelle frequentemente rappresentate da grandi fogli di codici liturgici non più in uso.

In altre occasioni si può verificare l’eventualità che un codice sia ricoperto con un foglio proveniente da un altro manoscritto mai portato a compimento rispetto al progetto iniziale. Nei primi anni in cui la stampa si poneva in alternativa alla redazione manoscritta di un codice alcune delle pratiche in uso nella nuova tecnica migravano dando vita a tecniche di produzione mista, grazie alle quali anche il lavoro di un copista assumeva contorni più marcatamente “standardizzati”. La tecnica dell’imposizione, che provvedeva a imprimere su un foglio aperto le porzioni di testo orientate e disposte in funzione della piegatura e del taglio203, poteva essere utilizzata anche dall’amanuense, soprattutto nel confezionamento di codici di formato ridotto che trovavano grande spazio sul mercato librario. L’aspetto del foglio così redatto se contribuisce a fornire notizie sulle tecniche utilizzate suggerisce anche una differente percezione del libro maturata dai fruitori dell’epoca. Era allora divenuto più facile realizzare e possedere un esemplare manoscritto anche grazie all’abbattimento dei costi di produzione conseguente all’utilizzo delle nuove metodologie di copiatura che facevano risparmiare tempo e garantivano guadagni più rapidi, assicurando una circolazione maggiore di copie. Contestualmente si inizia a riconoscere un valore differente al foglio in quanto unità fondamentale nella realizzazione globale dell’esemplare. Completamente svincolato dal codice in essere, il foglio poteva essere realizzato in più esemplari e sarebbe andato a

203 Si fornisce la definizione di imposizione riportata da Carla Bozzolo ed Ezio Ornato (C.

BOZZOLO – E. ORNATO, Pour une histoire du livre manuscrit au moyen âge. Trois essais de

codicologie quantitative, Paris 1980) che nel saggio La constitution des cahiers dans les manuscrits en papier d’origine française et le problème de l’imposition, a p. 156, esplicitano come sia «préférable de renoncer à appliquer aux manuscrits médiévaux une définition conçue en fonction du livre imprimé et de redéfinir à partir d’un simple constat le phénomène étudié: est imposé tout manuscrit où la transcription du text a précedé le découpage des diplômes».

costituire, insieme ad altri, i fascicoli base del libro. Ma questo poteva anche non avvenire e il foglio, ormai privo d’utilizzazione, veniva riciclato sotto forma di coperta per altri codici204.

La questione connessa ai “frammenti” mostra aspetti di ordine pratico in relazione al loro riconoscimento e a una loro “identità”, alla catalogazione e all’eventuale divulgazione (con conseguente messa in mostra o pubblicazione), ed evidenzia dubbi inerenti i contenuti da essi veicolati, nonché il grado di pertinenza all’originale. Le “origini”, le fruizioni, le vicende, in una parola la storia, rendono il frammento un’entità peculiare ormai assolutamente distinta rispetto al codice d’appartenenza.

In alcuni dei casi sopraccitati le questioni si intrecciano poi con l’identità assunta dal frammento al momento della nuova funzione assegnatagli, quando questo sia cioè divenuto coperta di un codice, o di una raccolta di documenti, costituendo con l’insieme una nuova unità codicologica.

Le relazioni stabilite dal frammento con nuovi esemplari (è il caso del riuso) o la storicizzazione della propria indipendenza (quando scisso dall’intero in un momento indefinibile e da allora rimasto tale) lo rendono assolutamente scevro da connessioni tangibili con l’unità di partenza, limitando l’azione dello storico alla ricostituzione virtuale dell’insieme originario. Il frammento non è, o non è più, parte di un codice, perché è giunto col passare del tempo a possedere una propria autonomia concettuale che principia e termina con i limiti fisici che lo definiscono. La ricostituzione con l’insieme di partenza rischierebbe di cancellare una fase fondamentale della storia del pezzo in nome di una labile teoria favorevole al ripristino di un insieme noto oggi solo grazie all’impiego di supplementi d’indagine di natura codicologica, paleografica e contenutistica (intendendo con questa definizione ogni elemento connesso al testo, alla decorazione e alle parti musicate).

Quando nel 1997 prese l’avvio una campagna di individuazione del patrimonio dei frammenti di riuso presenti negli archivi italiani, i primi dati emersi

204 Cfr. a proposito il caso citato da M.M. SMITH, Imposition in Manuscripts: Evidence for the

Use of Sense–Sequence Copying in a New Fragment, in Making the Medieval Book: Techniques of Production, Proceedings of the 4th Conference of the Seminar in the History of the Book to 1500 (Oxford, July 1992), ed. by L.L. BROWNRIGG, Haltos Hill–London 1995, pp. 145–156 in merito al

codice ora a Cambridge, University Library Oates 2998, ricoperto con un frammento proveniente da un non finito eseguito con la tecnica dell’imposizione.

provocarono reazioni e riflessioni di diversa natura. Dapprima si raccolsero i dati emersi dallo studio dei contenuti testuali, si riconobbe nei frammenti una significativa percentuale di testimoni in grado di contribuire alla definizione di interessanti linee di studio e si presero quindi in considerazione le possibili strade d’indagine offerte dalla novità dei documenti. Si trattava nella quasi totalità dei casi di fogli di codici di formato medio - grande, di contenuto liturgico, molti notati, estrapolati nei secc. XV-XVII per provvedere a conservare documenti prodotti dalle comunità cittadine di riferimento. Si formularono progetti concreti finalizzati al recupero catalografico dei frammenti (si provvide pertanto alla formulazione di un modello di scheda, alla formazione di catalogatori specificamente impiegati nel riconoscimento di documenti con connotazioni, caratteristiche fisiche e grafiche definite) sì da poter gestire un insieme diversificato di esemplari. Emerse anche, da parte di alcuni, l’ipotesi di poter “gestire” i frammenti individuati al fine di ricostituire gli esemplari di origine. Più ragioni evitarono che questo accadesse. In

primis l’interruzione del progetto di catalogazione su larga scala e con gestione

informatizzata (che prevedeva la creazione di database ad hoc per rendere i dati disponibili e integrabili per tutti i responsabili della campagna), ma soprattutto l’aspetto assunto dai frammenti ormai, e da tempo, assolutamente integrati con l’insieme di riferimento acquistato in seguito al riuso, che convinse a non procedere con alcun tipo di azione di ripristino.

In definitiva la lettura del frammento (foglio o porzione di foglio) in funzione di una forma collettiva di fruizione, in mostra o internamente a un museo, se pone questioni d’allestimento più facilmente gestibili in virtù della bidimensionalità dell’esemplare vincola tuttavia a scelte d’insieme che tutelino l’identità acquisita cui si è poc’anzi fatto cenno205. Il frammento inteso come unità assume a tutti gli effetti le caratteristiche assegnabili a qualsivoglia opera d’arte musealizzata, offendo la propria peculiare struttura fisica, veicolando contenuti attraverso i media grafici e pittorici che mostra e suggerendo eventualmente un legame primigenio con un insieme più o meno noto. Ad esso possono essere riferite schede d’approfondimento che contribuiscano a una migliore comprensione del foglio e ne suggeriscano la più coerente lettura, salvaguardandone la peculiarità.

205 Cfr. a questo proposito quanto si dirà dell’esperienza del Musée de Cluny, infra, p. 83.

Cap. 2

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