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Francesco Domenico Moccia

Il Piano Casa è introdotto in Campania con legge regionale n. 19 del 28 dicembre 2009 nel cui titolo si indica chiaramente la vo- lontà di rilancio dell’industria edilizia, mo- tivo per cui l’aveva concepito l’allora quarto governo Berlusconi. In Regione Campania c’era la seconda Giunta Bassolino non alli- neata politicamente al governo, ma conver- gente in un accordo che coinvolgeva tutto il paese. Pertanto la legge fu accolta con mol- te cautele segnando i distinguo su due temi fondamentali: 1) le aree escluse dal provve- dimento e 2) il ruolo della pianificazione. La prima decisione fu demandata ai Consi- gli Comunali, oltre alle esclusioni per leg- ge, quali le zone di pregio paesaggistico o a rischio naturale ed antropico; la seconda si concentrò sull’art. 7, riqualificazione delle aree urbane degradate, per le quali si richie- deva un piano attuativo anche in variante al piano generale.

L’efficacia delle esclusioni ha avuto come tallone d’Achille la vetustà di molti piani regolatori quando difficilmente si introdu- cevano zone A nei centri minori che non presentassero elevata qualità architetto- nica dell’edilizia antica. I villaggi rurali, i casali dei comuni periurbani non erano ritenuti, a differenza di quanto accade poi negli anni ’90, centri storici. In questi am- bienti urbani l’inserimento di aumenti volumetrici e carichi urbanistici dovuti all’aumento del numero degli appartamen- ti si è rivelato critico, oltre che per l’estra- neità stilistica, per la rete stradale di sezio- ne molto modesta, l’assenza di spazi liberi e la preesistente carenza di standard. Il più ampio respiro ed impegno delle operazioni immobiliari sotteso al secondo tema, del- la riqualificazione delle aree degradate ha costituito un freno notevole, tanto che su questo punto si interverrà in maniera mas- siccia come si vedrà in seguito.

Altro cavallo di Troia si è rivelata (effetto non desiderato) la politica per l’edilizia so- ciale dove le particolari facilitazioni sono state colte in maniera molto favorevole dall’industria edilizia e talvolta assecon-

date e facilitate dalle amministrazioni comunali. In questo caso, l’istanza sociale (di fornire abitazioni a costi accessibili) si è tramutata nell’unico tipo di intervento con effetti di consumo di suolo, ragione per cui è risultato tanto desiderabile in alcune zone. Per giunta, in comuni con aree ex L. 167 esaurite ha anche comportato l’utiliz- zazione di zone agricole proposte dai co- struttori, al di fuori della pianificazione. Per il resto, la legge ha indirizzato l’in- tervento edilizio sul costruito. O ha as- secondato una tendenza già in atto alla riqualificazione del patrimonio edilizio? Certamente ci sono fattori diversi che con- corrono verso questa tendenza alla produ- zione di nuove abitazioni: il rallentamento della dinamica demografica, la riduzione dell’attrattività dei centri maggiori, la ri- dotta convenienza dell’investimento im- mobiliare, i timori di inasprimenti fiscali, la rigidità del mercato degli affitti. In ag- giunta alle sfavorevoli condizioni econo- miche, la Campania si presenta con uno stato della pianificazione molto arretrato, con scarsissimo residuo di piano. In uno studio pubblicato nel 2018 risultavano solamente 71 (corrispondenti al 13% del totale) i comuni che avevano approvato il nuovo piano urbanistico comunale istitu- ito con la Lr 16/2004 ed un numero quasi pari l’aveva solo adottato. Il che comporta che tutti gli altri 479 avevano strumenti urbanistici più vecchi di almeno 14 anni. Dei 92 comuni della città metropolitana dove si concentra il 54% della popolazione regionale, i Puc approvati erano quelli di 7 piccoli comuni.

Anche questa carenza di aree zonizzate per l’espansione indirizza gli interventi verso demolizioni e ricostruzioni o per gli am- pliamenti dei fabbricati esistenti.

In realtà, nei primi due anni, il Piano Casa appare del tutto deludente rispetto alla sua finalità di rilancio dell’edilizia, al punto che si passa ad una un’ampia revisione con la legge regionale n. 1 del 5 gennaio 2011. La novità più evidente è l’introduzione di un nuovo articolo, il 6 bis, interventi edilizi in zona agricola. Quest’articolo consente di trasformare in abitazione gli annessi agri- coli delle case rurali. La norma è richiesta con forza da un vasto e variegato eletto- rato a cui la subentrata amministrazione Caldoro tiene molto. Anche questa norma “minimalista” muove una considerevole at- tività edilizia di microimprese per lavori di adeguamento, impianti e rifiniture. Il be- neficio si rivolge prioritariamente a piccoli proprietari di case unifamiliari o comun- que di piccoli fabbricati realizzati in zone agricole, prevalentemente su lotti ereditati o donati da genitori agricoltori, utilizzando gli indici di fabbricabilità minimi disposti con la legge regionale n. 14 del 29 marzo 1982. Questa limitava le abitazioni ad un massimo di 0,05 mc/mq ma consentiva stalle, silos, magazzini, locali per la produ- zione dei prodotti agricoli per un ulteriore 0,10 mc/mq. Laddove si era verificata un’at- tenuazione delle attività agricole o le stesse non avevano mai avuto una vera centralità per la famiglia residente, la disponibilità di questi prevalenti volumi era provvidenzia- le per realizzare un ampliamento dell’abi- tazione. Ci sono zone nella regione in cui

questa modalità di costruzione e, succes- sivamente, di applicazione del piano casa è stato utilizzata in maniera pervasiva ed ha condotto a quei fenomeni denominati “campagna urbanizzata”. Per altri versi, ha attratto nelle aree interne, in controtenden- za con processi di spopolamento, residenti temporanei e stagionali, la cui presenza non è mal vista per il sostegno alle mise- re economie locali e giudicata addirittura preziosa e virtuosa quando si è risolta nel restauro di ruderi e nella cura di fondi ab- bandonati con il rinnovo dell’agricoltura tradizionale e del paesaggio storico.

Altra novità consiste nella possibilità di trasferimento, con premialità del 35% del volume, dei diritti edificatori dalle zone a rischio eruzione o idrogeologico molto elevato ad aree sicure, nel tentativo di dare seguito al difficile obiettivo di redistribu- zione dei carichi insediativi enunciato dal Piano Territoriale Regionale e proposto dal mai istruito Piano strategico ed Operativo per la Prevenzione del Rischio Vesuvio. Le modifiche dell’art. 7 fanno chiaramente intendere che quegli ambiziosi programmi di riconversione di zone urbane non hanno trovato riscontro negli interessi e nelle ca- pacità degli operatori la cui portata si mi- sura piuttosto con il singolo capannone o la proprietà unica. Con questa mossa si con- ferma con maggior decisione che il provve- dimento regionale ha un carattere edilizio prevalente se non assoluto e manca di ogni slancio per proiettarsi nella dimensione urbanistica. Questo carattere è conferma- to anche se lo consideriamo in condizione prospettica dove vediamo sviluppati, in vario modo, sempre alcuni filoni a carat- tere di miglioramento dell’edilizia in esso esistenti, quali l’istituzione del fascicolo del fabbricato, l’obbligo dell’adeguamento sismico e la richiesta di corrispondenza al protocollo ITACA.

Paradossalmente quello che in questa disa- nima incomincia ad emergere come un suo limite, si rivela anche come il pregio prin- cipale. Assistiamo progressivamente al riconoscimento dell’opera di miglioramen- to della qualità edilizia in termini di sicu- rezza e sostenibilità ambientale non solo nelle politiche pubbliche come il sismabo- nus ed ecobonus, ora rafforzati, ma anche nelle pratiche urbanistiche dove vediamo diffondersi norme che consentono amplia-

menti del 20% delle abitazioni esistenti e incrementi del 35% nei casi di demolizio- ne e ricostruzioni nelle aree urbanizzate (Zone B). Spesso, nelle stesse norme tecni- che di attuazione o nei regolamenti urbani- stici edilizi, troviamo incentivi volumetri- ci per prestazioni di risparmio energetico, sicurezza strutturale, uso e generazione di energia da rinnovabili. Pressioni per modi- fiche a norme del Dm 1444/68, quali distan- ze, altezze dei fabbricati e limiti volumetri- ci o al Dpr 380/2001 come semplificazioni sui titoli abilitativi, modifiche delle catego- rie d’intervento, sconti sugli oneri vengono sempre dalla medesima corrente del rinno- vo edilizio e dalla sua esigenza di rimuove- re gli ostacoli che incontra.

Al comma 62 dell’art. 1 della Lr 27/2019 si dispone la proroga della validità del Piano Casa fino al 31 dicembre del 2020 mentre si ha la netta sensazione che alcune delle sue disposizioni tendono a diventare perma- nenti nonostante la confusione dell’intrec- cio tra regime derogatorio ed ordinario (chi ha ottenuto un incremento del 20% col pia- no casa ne può avere ancora un altro con le NTdA del PUC?) o la confusione che porta- no nel dimensionamento (le abitazioni rea- lizzate col piano case dopo l’approvazione del PUC non si contano ma si contano quel- le prima?). Altre contese riguardano il peso urbanistico: è determinato dal numero di appartamenti/famiglie reale o da quello convenzionale calcolato in base al volume teorico degli incrementi rilasciati col Piano Casa (120 mc per appartamento)?

La Giunta regionale ha approvato il DdL di governo del territorio, ora in Commissione Consiliare, dove le disposizioni del Piano Casa compaiono nelle norme transitorie (continueranno ad essere applicabili fino all’approvazione dei nuovi piani struttura- li entro due anni dall’entrata in vigore del regolamento attuativo della legge). È una posizione che misura la discussione in cui INU Campania è stata vivamente coinvol- ta e che parte da un documento di ANCE e AIES Salerno che proponeva puntuali mo- difiche alla Lr 16/2004 e alla Lr 19/2009 nel- la prospettiva derogatoria e facilitatrice del rinnovo nella stretta dimensione edilizia. Il DdL, pur riconoscendo l’esigenza di pro- cedere secondo quel filone edilizio di riqua- lificazione, l’ha inquadrato in un sistema di pianificazione esteso alla rigenerazione

urbana affermando la centralità del piano alle diverse scale e con diversi compiti che, assieme concorrono a attuare una politica territoriale di sviluppo sostenibile e resi- liente.

Non c’è qui lo spazio per trattare i conte- nuti del DdL, tranne che per sottolineare come, a differenza di quanto ci ha abituato il legislatore, cioè che appena individua un obiettivo di politica, escogita un provve- dimento normativo apposito e dispone la deroga agli strumenti urbanistici vigenti quale modo per una rapida attuazione, nel caso in oggetto si è proceduto con la rifor- ma degli strumenti urbanistici ordinari come mezzo per attuare le medesime po- litiche (riduzione del consumo di suolo e transizione alla città ecologica). L’attesa è la sconfessione delle lungaggini delle decisio- ni urbanistiche per ottenere il vantaggio dell’organicità degli interventi di trasfor- mazione con una rinnovata attenzione alla dimenticata città pubblica senza il cambia- mento della quale tutte le incentivazioni e miglioramenti dell’edilizia privata non otterranno i meglio dei benefici attesi per l’elevazione della qualità abitativa.

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