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L’incertezza delle definizion

2. Francia, Italia e trattamento dell’esilio politico italiano.

Come accennato in introduzione, in questo contesto la Francia esercitò un indiscutibile fascino e costituì un polo di attrazione per l’emigrazione politica italiana del primo Ottocento33. Nel tracciare la storia dei rapporti franco-italiani in materia di gestione e controllo dell’emigrazione politica, un momento di fondamentale importanza è costituito allora dal 12 maggio del 1870 quando la Francia e l’Italia firmarono la convenzione di estradizione bilaterale, rimasta poi in vigore per tutto il secolo successivo, sino al 1986. Come per molte delle convenzioni firmate a fine Ottocento il dominio di applicazione della convenzione venne limitato dagli Stati attraverso l’enumerazione delle singole infrazioni che avrebbero dato luogo a estradizione34.

L’articolo 3 del trattato italo-francese statuiva che «les crimes et delits politiques sont exceptés de la presente convention»35. Attraverso questa clausola la Francia e l’Italia integrarono il percorso fatto dalla codificazione dell’asilo e dai suoi principi cardine nel corso del secolo precedente, e posero le basi dei loro rapporti in materia per il secolo successivo. Chi si fosse reso colpevole di crimini politici e fosse fuggito da uno dei due paesi all’altro sarebbe stato escluso dall’estradizione, grazie alla protezione che lo Stato di accoglienza avrebbe deciso di concedergli.

                                                                                                               

32 Il testo delle due risoluzioni può essere scaricato dal sito web dell’Institut de Droit International,

http://www.idi-iil.org/idiF/navig_res_them.html#e, data ultima consultazione 7/7/2013. Sul dibattito in seno all’IDI su diritto d’asilo, estradizione e delitto politico cfr. P. Rygiel, Une impossible, cit., pp. 125- 166.

33 Cfr. D. Gabaccia, Emigranti, le diaspore degli italiani dal Medio Evo ad oggi, Torino, Einaudi,

2003, p. 47 e pp. 53-55.

34 Y. Chauvy, L’extradition, cit., p. 19.

35 E. Puccioni, Le Convenzioni d’estradizione del Regno d’Italia, Roma, Ippolito Sciolla, 1882, pp.

Alla luce di quanto detto sin qui, è bene sottolineare che l’asilo venne quindi concepito, costruito e codificato come «il diritto di uno Stato di accordare tale protezione: diritto pertanto facente capo non all’individuo ma allo Stato, in virtù dell’esercizio della propria sovranità e con l’unica riserva di eventuali limiti derivanti da convenzioni alle quali sia parte»36. In questo senso si faccia attenzione al solo fatto che si parla di diritto d’asilo e non di diritto all’asilo37.

Come già analizzato da Faustin Hélie a metà Ottocento infatti:

il est évident que la seule volonté du réfugié ne saurait lui donner un droit absolu d’être reçu sur le territoire étranger. Son établissement sur ce territoire est toujours subordonnée à la volonté du souverain; il se forme un véritable contrat, soit exprès, soit tacite entre l’expatrié et la nation qui lui sert de refuge; le concours des deux parties est donc indispensable. Tout homme est libre de se choisir une patrie, mail il faut que le pays qu’il adopte consente à l’adopter38.

Questa caratteristica dell’asilo politico rimase immutata tra Ottocento e Novecento e ebbe molte conseguenze sulla vita all’estero della comunità italiana. Le parole dedicate da alcuni immigrati italiani alla nazione che loro concesse protezione costituiscono un ponte che ci permette di penetrare e decostruire il particolare rapporto che si venne a creare tra le due parti contraenti questo patto. Secondo questa prospettiva la storia di molti oppositori italiani, che fecero della Francia la terra del loro esilio nell’Ottocento, e poi anche nel secolo successivo, è stata emblematica della condizione di mutua condivisione di ideali fra “vinti”, “rifugiati”, “ospiti” e paese di accoglienza. Anche in questo caso, attraverso la storia di un singolo, è possibile cogliere il lavoro di un’intera società su se stessa39.

                                                                                                               

36 “Diritto d’asilo” in Dizionario di politica, Utet, 2004.

37 Cfr. E. Bomboy, H. Gilbrin, Traité pratique de l’extradition, cit., p. 5. Secondo i due autori «en

demandant l’hospitalité à un pays, les réfugiés ont invoqués quelques fois “le droit à l’asile”. Si chaque Etat, en vertu de son indépendance, peut accorder la faculté de séjourner sur son territoire, il ne s’ensuit pas que les étrangers puisent dans cette tolérance le moindre droit à faire valoir. Comment le droit d’asile se concilierait-il avec l’idée de souveraineté territoriale? Comment le pouvoir exécutif se trouverait-il lié vis-à-vis d’individus venant s’établir sur son sol?».

38 Cfr. F. Helie, Traité de l’instruction criminelle, Paris, Ingray, 1860, T. 5, p. 658. 39 L. Boltanski, E. Clavérie, N. Offenstadt, S. Van Damme, Affaires, cit. p. 8.

Negli anni della rivoluzione francese Filippo Buonarroti, «il primo emigrato politico del Risorgimento»40, così descrisse la nazione in cui aveva trovato ospitalità:

L’uomo onesto, lo scrittore illuminato fugga l’abitazione del fanatismo e dell’oppressione. Costretto ad adulare, ritarda l’apparizione della luce: in tale dolorosa alternativa la ragione gli somministra nella fuga il mezzo di restare intatto da ogni cospirazione. I principi sacrosanti della umana felicità presso qualche popolo, i suoi sforzi, il suo coraggio, e la sua costituzione sono i precursori della generale redenzione. Correte uomini virtuosi: là si salva la vostra patria; di là si prepara lo sviluppo della ragione.41

Qualche anno più tardi, Antonio Galotti dedicò le sue memorie «à cette belle France qui nous accorde une si généreuse hospitalité. Puisse-t-elle, en étudiant les circonstances et les causes de nos désastres, apprendre à les éviter!»42. Queste parole costituiscono la testimonianza tanto del patto che, nello specifico caso di studio, molti esuli italiani strinsero con la propria seconda patria quanto della precarietà della condizione da essi vissuta all’estero.

Infatti, sebbene nel corso del secolo lungo lo Stato francese avesse, di pari passo con gli altri paesi europei, codificato l’asilo politico, la questione dello status giuridico di coloro che richiedevano questo tipo di protezione rimaneva intrisa di una forte ambiguità. La condizione del rifugiato si trova infatti, anche dal punto di vista analitico, all’intersezione fra due ambiti politici, sociali e giuridici. Nel trattarla va considerato tanto il modo in cui ogni Stato, all’interno dei propri confini, ha deciso di identificare e trattare i propri rifugiati, quanto il modo in cui questa categoria viene intesa nei rapporti tra le nazioni. Secondo questa prospettiva di analisi, gli esuli politici italiani in Francia vennero toccati dalla definizione che lo Stato francese diede della categoria di rifugiati, ed anche dal modo in cui la Francia e l’Italia si rapportarono rispetto alla definizione internazionale di questa categoria.

Secondo questa prospettiva il caso francese è particolarmente interessante poiché, come ha notato Antonio Casali, essa costituì in quegli anni «un particolare laboratorio di quello stretto rapporto tra estensione del movimento operaio internazionale e […]                                                                                                                

40A. Galante Garrone, L’emigrazione politica italiana del Risorgimento, «Rassegna storica del

Risorgimento italiano», 1954, pp. 223-241.

41 Ivi, p. 223

42 A. Galotti, Mémoires de Antonio Galotti, officier napolitain condamné trois fois à mort, écrites par

movimento migratorio di massa»43. Lì «soggiornano i maggiori agitatori anarchici e socialisti, […] nasce il mito dell’operaio italiano immigrato propagatore di idee sovversive, […] si costituiscono, si sedimentano, itinerari e tracce di immigrazione così profonde e precise da riverberarsi sui flussi italiani degli anni Venti e Trenta»44.

La condizione in cui gli immigrati economici e politici italiani si trovarono a vivere in questo periodo fu quindi una condizione liminale, di confine, all’incrocio fra diversi ambiti politici e sociali. Dal punto di vista dell’amministrazione, a partire dagli anni Trenta dell’Ottocento, il controllo dei rifugiati passò dalla competenza del Ministero della Guerra a quella del Ministero dell’Interno, a testimonianza della stabilità che la presenza dei rifugiati politici aveva ormai per l’amministrazione centrale francese45. Ciò nonostante, seppur in costruzione, la categoria sociale, giuridica e politica identificante i rifugiati era ancora caratterizzata da contorni del tutto porosi e indefiniti.

Alla fine del secolo la minaccia anarchica impose ai rifugiati politici una sorveglianza più stretta da parte delle autorità: all’ingresso in Francia essi dovevano presentarsi al municipio più vicino, fornire spiegazioni utili al rilascio di un lasciapassare da presentare in seguito alla prefettura. Questa avrebbe aperto un dossier a loro carico e allertato il Ministero dell’Interno. Solo se l’inchiesta della prefettura fosse risultata favorevole il rifugiato si sarebbe potuto stabilire in Francia, comunque sempre sotto una sorveglianza molto severa46.

A questo tentativo di controllo costante della popolazione non corrispondeva, tuttavia, l’esistenza di una macchina amministrativa tale da garantire l’effettiva capillare vigilanza desiderata dalle autorità. L’introduzione dell’obbligo di registrazione per gli stranieri nel 1888, unitamente all’introduzione di un metodo di misura antropometrica, come il bertillonage, da applicare agli allogeni sospetti, erano infatti le punte di diamante di un apparato burocratico ancora in via di completa definizione47. Le leggi sulla nazionalità e sull’ingresso degli stranieri emanate nel corso della Terza Repubblica

                                                                                                               

43 A. Casali, Emigrazione politica ed economica in Italia nell’età della seconda internazionale, in

L’esilio nella storia, cit. p. 155.

44 Ibid.

45 G. Noiriel, Etat, nation, immigration, une histoire du pouvoir, Paris, Belin, 2001, cap. XI. 46 P. Guillen, L’évolution, cit., p. 37.

47 G. Noiriel, Le creuset français, histoire de l’immigration, XIXe-XXe siècles, Paris, Seuil, 1988, pp.

furono, in tal senso, indice dell’evolversi di questo percorso di perfezionamento della macchina burocratica.

Come accennato, gli emigrati politici italiani non erano coinvolti solo da questa sfera della politica, prettamente nazionale e interna allo Stato francese. Le evoluzioni che, a livello bilaterale e internazionale, stavano contrassegnando il dibattitto e la codificazione dell’asilo, e la definizione di questa dottrina, avevano infatti un impatto altrettanto determinante sulla loro vita all’estero.

Sebbene nella seconda metà dell’Ottocento la concessione dell’asilo politico fosse ormai divenuta una regola di carattere consuetudinario unanimemente riconosciuta e applicata tra gli Stati dell’Europa occidentale48, quegli stessi Stati diedero allora il via ad un processo che ne limitò ampiamente la portata. Come accennato, il fondamento giuridico dell’asilo era stato individuato e costruito sull’esclusione dalle convenzioni di estradizione dei delitti e crimini politici. Il dibattito in sede europea si era concentrato su diversi elementi: sul diritto rivoluzionario di resistere all’oppressione e sull’eventualità che l’esercizio di tale diritto potesse avvenire anche attraverso mezzi illegali; sulla variabilità delle forme di governo, per cui non solo un crimine poteva non sussistere in due ordinamenti, ma lo stesso individuo, migrando in un paese diverso dal proprio, avrebbe potuto perdere la spinta a delinquere; infine era stata presa in considerazione anche la particolare natura e la peculiarità dei moventi che animavano tali delitti.

Sulla base di questa ultima concezione, tra la fine del XIX secolo e l’inizio del XX secolo, si diffuse la tendenza a ridurre alcuni tipi di reato, inclusi fra i crimini politici, a crimini comuni. Questa prassi trovava la propria ragion d’essere nel fatto che il crimine politico, dal punto di vista concettuale, «ha carattere relativo, sia nello spazio che nel tempo, e gli elementi che lo determinano sono quindi suscettibili di essere profondamente modificati sulla base delle diverse percezioni sociali che sono prevalenti nelle diverse aree socio-geografiche e nei vari periodi storici»49. Gli anarchici furono il

                                                                                                               

48 E. Reale, Le droit, cit., p. 551; S.P. Sinha, Asylum and international law, The Hague, Nijhoff, 1971,

p. 20.

49 F. Lenzerini, Asilo e diritti umani, l’evoluzione del diritto d’asilo nel diritto internazionale, Milano,

primo bersaglio di questo tipo di procedimento, in particolare dopo l’attentato di Sante Caserio ai danni del Presidente francese Sadi Carnot50.

Tutti questi elementi – l’universalizzazione dell’asilo, la depoliticizzazione di alcuni crimini, la definizione delle categorie dei “rifugiati” e degli “immigrati” – disegnarono la cornice all’interno della quale la Francia e l’Italia si sarebbero trovate a muoversi all’indomani della prima guerra mondiale, all’inizio cioè della particolare configurazione oggetto di questa tesi. Come accennato, l’analisi del modo in cui i due Stati si relazionarono all’emergere di una forte emigrazione di tipo politico dall’Italia alla Francia verrà condotta dapprima secondo la prospettiva bilaterale (cap. I), quindi

secondo quella multilaterale (cap. II).

                                                                                                               

50 Nello specifico del caso italiano è da tenere presente che proprio in quello stesso periodo, nel 1889

in particolare, entrò in vigore il nuovo codice penale, Zanardelli. Cfr. M. Sbriccoli, Caratteri originari e tratti permanenti del sistema penale italiano, in L. Minervini L. Violante (a cura di), Storia d’Italia, Annali, 14, Legge, diritto, giustizia, Torino, Einaudi, 1998, in particolare pp. 499-512; ID, Dissenso politico e diritto penale in Italia tra Otto e Novecento, «Quaderni fiorentini per la storia del pensiero giuridico moderno», 2, 1973, pp. 607-702; L. Violante, La repressione del dissenso politico nell’Italia liberale: stato d’assedio e giustizia militare, «Rivista di storia contemporanea», 5, 1976, pp. 481-524; F. Colao, Il delitto politico tra Otto e Novecento: da delitto fittizio a nemico dello Stato, Milano, Giuffré, 1986, in particolare sul rapporto tra estradizione e definizione del delitto politico nel codice Zanardelli pp. 37-42; ID, Il diritto penale politico nel codice Zanardelli, in I codici preunitari e il codice Zanardelli, S. Vinciguerra (a cura di), Padova, Cedam, 1993, pp. 652-672; U. Allegretti, Dissenso, opposizione politica, disordine sociale: le risposte dello Stato liberale in L. Violante (a cura di), Storia d’Italia, Annali, 12, La criminalità, pp. 719-758.

Capitolo I – L’asilo politico nelle relazioni franco-italiane tra anni Venti e Trenta

«Les années vingt constituent une période stratégique pour l’historiographie des migrations, en marquant une brusque prise de conscience du caractère planétaire de la mobilité»1. Come si vedrà in questo capitolo e nel seguente, nel corso degli anni Venti e Trenta gli Stati italiano e francese si misurarono con un nuovo imponente flusso migratorio. A differenza di quanto accaduto nel secolo precedente, le amministrazioni che si confrontarono con tale fenomeno dovettero operare tra due diversi ambiti operazionali, quello bilaterale e quello multilaterale. In questo capitolo verrà analizzato il primo di questi due ambiti; l’analisi verrà condotta dapprima ricostruendo il flusso migratorio nel suo complesso, quindi definendo il posto ed il ruolo che esso ebbe nelle relazioni diplomatiche bilaterali, infine osservando l’emigrazione attraverso gli strumenti adottati e previsti dagli Stati coinvolti in questo fenomeno.

I.1. Nuovi flussi migratori all’indomani della Grande guerra. Lo Stato italiano e il