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I signori nessuno: il silenzio della Società delle Nazioni e l’impossibile statuto giuridico degli oppositori italiani all’estero

Capitolo II – L’asilo politico italiano in Francia tra anni Venti e Trenta secondo una prospettiva internazionale

II. 3. I signori nessuno: il silenzio della Società delle Nazioni e l’impossibile statuto giuridico degli oppositori italiani all’estero

Le due sezioni ebbero un intenso dibattito sul tema dei cinquantaquattro italiani “imprigionati” alla frontiera lussemburghese. Punto di partenza della discussione fra tecnici e funzionari delle due strutture era l’accordo che, a priori, le associazioni sbagliavano a concepire la natura giuridica della società delle Nazioni. Essa non era un’organizzazione sopranazionale, ma la somma di tutti i governi in essa rappresentati nel suo consiglio e nella sua assemblea. Per questo erano i governi che dovevano ricevere le richieste delle associazioni, esaminarle e decidere infine se andavano coinvolti o meno gli organi della SdN. Secondo il segretario generale gli enti privati potevano provare ad esercitare una qualche influenza non sulla Società delle Nazioni in quanto organismo sopranazionale, ma solo sui governi che la componevano72.

Il consiglio decise quindi – attraverso una risoluzione – di confermare i principi esposti in una risoluzione del 1923, con cui era stato stabilito che il segretario generale non dovesse inviare al Consiglio documenti provenienti da associazioni non ufficiali. All’inizio di ogni sessione del consiglio il segretario generale avrebbe semmai stilato e                                                                                                                

71 Ivi, lettera della federazione sindacale internazionale indirizzata al Segretario Generale della Società

delle Nazioni, 9 febbraio 1929.

72 Ivi, nota interna del Segretariato, «Communications émanant d’associations non officielles», 19

sottoposto ai rappresentanti dei diversi governi una lista delle comunicazioni ricevute dalle associazioni non ufficiali completa delle indicazioni degli argomenti che esse avevano portato avanti73.

Alla fine di questo dibattito interno il segretariato generale rispose ai sindacati internazionali seguendo il consiglio della sezione transito. Quest’ultima aveva suggerito di ricordare ai mittenti della petizione che la SdN non era dotata di alcun ufficio che rilasciasse documenti e che si era occupata unicamente delle condizioni di rilascio di alcuni titoli di identità e di viaggio, questione che rimaneva comunque di esclusiva competenza delle autorità del paese di residenza dei singoli. Circa le misure prese in favore dei rifugiati russi e armeni il segretario ricordava che le condizioni per beneficiarne erano state stabilite con le risoluzioni del 1922, del 1924, del 1926 e del 1928 da cui, ricordiamo, gli oppositori italiani erano stati esclusi poiché non era la guerra il fattore determinante la loro particolare situazione.

Infine, aggiungeva il segretario, era competenza dei governi degli Stati membri portare avanti questioni e argomenti alla Società delle Nazioni74.

Questa lettera della segreteria era del tutto in linea con quanto nei due anni precedenti l’autorità multilaterale aveva deciso rispetto alle diverse petizioni inviate dagli oppositori italiani. Alla ricezione dell’appello firmato da Francesco Ciccotti, Alceste De Ambris, Ettore Cuzzani, Adelmo Pedrini e Mario Pistocchi il segretario generale aveva infatti risposto che «la nture de ce documents ne le classe pas pami ceux qu’il à qualité pour porter à l’attention du Conseil»75.

                                                                                                               

73 Ivi, annexe alla nota del segretariato, extrait des procès verbaux du Conseil, 25ème session, 7 luglio

1923. Interessante rilevare che nello stesso allegato il Consiglio accettava la proposta della delegazione britannica di escludere dal testo della risoluzione le petizioni relative alle petizione inviate per i diritti delle minoranze. Secondo questa prospettiva appare chiaro che gli oppositori italiani non venissero considerati come tali.

74 Ivi, lettera indirizzata alla Federazione sindacale internazionale dal segretario generale della SdN,

12 marzo 1929. Da rilevare che la serrata risposta del segretario che, di fatto, non lasciava alcuno spazio di replica da parte delle associazioni mobilitate in difesa dei cinquantaquattro operai italiani era conforme al desiderio espresso da Paulucci de Calboli nella discussione interna alla segreteria sulla questione. Il delegato italiano scriveva infatti che non voleva che alcuna questione rimanesse aperta. Cfr. ivi, nota di Paulucci a Sugimura, 8 marzo 1929.

75 LONA, FN (1919-1947), lettera indirizzata a Francesco Ciccotti, presso la Ligue Internationale des

La lettera di Ubaldo Triaca, firmata a nome dell’Unione Democratica Italiana, aveva innescato un dibattito interno alla segreteria della Società delle Nazioni. I funzionari della segreteria affermavano che la prassi prevedeva che venisse inviata una ricevuta di ritorno al mittente della lettera, «provided that the sender is not obviously “mentally irresponsible”». In questo caso, poiché l’autore della lettera non chiedeva alcuna azione particolare, la segreteria si diceva propensa a inviare, eventualmente, la sola accusa di ricezione, pur nutrendo alcuni dubbi anche rispetto a questa opzione:

I know nothing of the writer of the letter, but he appears to have means of publishing his material in a newspaper, however insignificant, and I not see that it can lead to any useful purpose his being able to state in such a paper that the League of Nations has informed him that it has received his communication, this especially in view of the nature of the document described above76.

Per questo si concludeva che di fondo «il serait tendancieux de répondre à une telle lettre. Donc, pas de réponse»77. Quando Francesco Ciccotti scrisse sollecitando un intervento per il figlio incarcerato a Lampedusa il segretario generale rispose affermando, ancora una volta che la questione «n’entre pas dans le cadre de ses fonctions»78.

Il regime era riuscito a far valere la propria capacità rappresentativa nel consesso multilaterale. Gli oppositori all’estero continuavano di fatto a scontrarsi con un muro di silenzio da parte delle autorità riunite a Ginevra. Ancora all’inizio del 1932 il consigliere giuridico del segretariato scriveva che «la question de la protection des émigrants politiques de Pologne, de Yougoslavie, d’Italie, de Roumanie et de Bulgarie, n’a jamais été envisagée et que, par conséquent, il n’existe à ce sujet aucun projet de règlementation similaire à celle établie en faveur des réfugiés russes, arméniens assyriens, assyro-chaldéens et turcs79».

Nel 1933 la firma della convenzione di Ginevra segnò l’acme della collaborazione internazionale in materia di riconoscimento dei rifugiati e costituì un nuovo momento di speranza per gli oppositori italiani, ormai ufficialmente rinchiusi in un limbo giuridico                                                                                                                

76 LONA, FN (1919-1947), nota interna, «Commentaires. Minutes 11/57950/25043», 15 marzo 1927. 77 Ibid.

78 Ivi, risposta della Segreteria generale a Francesco ciccotti, 16 febbraio 1927.

79 LONA, FN (1919-1947), Commission files, Nansen Office for refugees, C1546/20°/28423 Nansen

Office – Miscellaneous (1931-1933), lettera del consigliere giuridico della segreteria all’avv. Littna, 19 gennaio 1932. Libera traduzione a cura di chi scrive.

che sembrava divenire duraturo quanto il loro esilio. Attraverso la firma della convenzione sullo statuto dei rifugiati gli Stati, per la prima volta, assumevano degli obblighi nei confronti di quanti rientravano nella categoria. La convenzione creava nuove misure amministrative, inerenti il rilascio e la garanzia dei “documenti Nansen”, il refoulement, le questioni legali, le condizioni di lavoro, il benessere, il soccorso, l’educazione il regime fiscale dei rifugiati e prevedeva infine la creazione di comitati di soccorso80.

Negli anni seguenti l’ascesa del nazismo e poi la guerra di Spagna determinarono l’insorgere di nuove categorie di rifugiati, il cui legame con la prima guerra mondiale era ormai del tutto inesistente. Per rispondere alle nuove necessità il Nansen International Office for Refugees, nato nel 1931, venne affiancato allora – a partire dal 1933 - da un nuovo ufficio che avrebbe preso in carico i soli rifugiati provenienti dalla Germania81. Gli italiani tuttavia non potevano beneficiare di alcuna di queste misure e dovevano fare esclusivo affidamento sulla politica interna al loro Stato di accoglienza, nel caso specifico di molti: la Francia. Essa continuava ad essere una delle mete predilette dai nuovi rifugiati e, come già trattato, fu negli anni Trenta il teatro di una nuova spinta alla regolamentazione delle questioni inerenti l’asilo politico all’interno dei propri confini nazionali e della propria normativa interna. In questo contesto, il 20 e 21 giugno del 1936 si tenne a Parigi un congresso che però si caratterizzò per la propria spinta multilaterale, la Conferenza internazionale sul diritto d’asilo, durante i lavori della quale venne redatto un nuovo progetto sullo statuto giuridico dei rifugiati politici82.

Esito della conferenza fu la nascita di una nuova istituzione internazionale e non governativa, il Bureau International pour le respect du droit d’asile et l’aide aux réfugiés politiques, di cui era segretario Paul Perrin83. Ad un anno dalla sua nascita il Bureau                                                                                                                

80 Cfr. G. Jaeger, On the history of the international protection of refugees, «International Review of

the Red Cross», 83, 2001, n. 843, pp. 729-730.

81 Ivi, pp. 735.

82 Da rilevare che collaborò alla redazione del progetto il Moutet che, due anni prima, aveva

sottoposto all’approvazione dell’Assemblée Nationale un progetto di legge che stabilisse a livello nazionale dei criteri identificativi dei rifugiati. Secondo il progetto di legge Moutet sarebbero stati considerati come rifugiati «les étrangers qui ont du quitter leur pays pour se soustraire à des menaces sérieuses contre leur vie ou leur liberté ou de leurs attitudes politiques ou religieuses ou de leur race». Cfr. J.-J. Bonnet, Les pouvoirs publics, cit.

83 Deputato all’Assemblée Nationale con la SFIO, Paul Perrin era anche membro della Lega dei Diritti

International si rivolse alla Società delle Nazioni richiedendo ache fosse assicurata ai rifugiati politici «une protection juridique véritable» attraverso l’adozione di una convenzione internazionale da applicare ai rifugiati ai quali non era ancora stata estesa la protezione della Società delle Nazioni: in particolare agli italiani.

C’est pourquoi le Bureau International formule le désir de voir inscrire cette question à l’ordre du jour de la prochaine session de la Haute Assemblée, afin quel es réfugiés italiens – qui constituent l’une des plus importantes des émigrations politiques – se voient accorder les garanties nécessaires et soient, à l’avenir, préservés contre des mesures comme celles que nous déplorons ici84.

Come nel caso delle missive precedenti, il segretariato della Società delle Nazioni iniziò un dibattito interno sulla risposta da dare. Ancora una volta prevalse l’opinione per cui sarebbe stato meglio non rispondere affatto. A giustificare questa opzione venne nuovamente invocata la natura privata della fonte da cui proveniva la lettera, cui questa volta si univa la predominanza di un elemento nazionale, quello francese, nella composizione dell’organigramma del Bureau International 85 . Dopo una fitta corrispondenza interna, il segretario generale rispondeva a Paul Perrin affermando che

Cette communication n’a pu faire l’objet de dispositions de la part des services de la société des nations, l’oeuvre d’assistance internationale aux réfugiés s’exerçant dans le cadre fixé par les décisions de l’Assemblée de la Société des Nations86.

Si ricordava inoltre che la SdN poteva essere interpellata su proposte quali quelle avanzate solo da un governo membro del Consiglio. L’anno successivo, la conferenza internazionale di Evian, costituì l’ultima occasione per i rifugiati italiani di ottenere qualche riconoscimento giuridico della loro situazione. Tuttavia, come già analizzato, anche in quel caso essi si scontrarono con il rifiuto delle autorità. Alla fine degli anni Trenta le uniche nuove convenzioni che vennero firmate nell’ambito della Società delle Nazioni furono quelle inerenti lo statuto dei rifugiati provenienti dalla Germania e poi dall’Austria. L’inizio della seconda guerra mondiale intervenne a mutare bruscamente i compiti dei diversi uffici coinvolti nella gestione della questione dei rifugiati.                                                                                                                

84 LONA, FN (1919-1947), R5631/20A, Lettera del Bureau International pour le respect du droit

d’asile et l’aide aux réfugiés politiques al Presidente del Consiglio della SdN, 30 gennaio 1937.

85 Ivi, cfr. comunicazioni interne alla segreteria, in particolare nota della sezione centrale del 20 aprile

1937.

86 Ivi, Lettera del Segretario generale della SdN al Bureau International pour le respect du droit

Conclusioni alla prima parte della tesi

Esito del percorso che abbiamo analizzato prima dal punto di vista bilaterale e poi da quello internazionale fu il nascere e stabilizzarsi di una prassi per cui gli oppositori italiani in Francia, seppur abitualmente e comunemente chiamati rifugiati da tutte le autorità e le amministrazioni che con essi entrarono in contatto, di fatto non ottennero mai il riconoscimento di questo particolare statuto. Riprendendo un’espressione di Burgess i dissidenti italiani che vissero oltralpe negli anni Venti e Trenta rimasero di fatto una sorta di “anomalia legale”1 all’interno del complesso sistema politico, giuridico e amministrativo che si andava strutturando all’interno di ogni paese ed anche nell’ambito della cooperazione interstatale.

Dal punto di vista bilaterale, come analizzato nel primo capitolo, la Francia e l’Italia diedero un peso e una rilevanza diverse al fenomeno migratorio a seconda del contesto politico interno e internazionale. Il gioco di interdipendenze reciproche che secondo Elias caratterizza qualunque configurazione si verificò nel continuo oscillare dei due Stati tra necessità di politica interna e opportunità politiche di ordine internazionale, tra discussioni prettamente bilaterali e dibattiti internazionali.

Dal punto di vista interno ai due Stati, il controllo dell’emigrazione/immigrazione degli oppositori venne gestito in un continuo gioco di rimandi di competenze tra uffici tecnici e politici. La frammentazione e dispersione delle responsabilità nella gestione delle miriadi di pratiche individuali sembra in questo senso l’emblema della fluidità che caratterizzò l’azione delle amministrazioni, degli uffici ed anche delle autorità politiche. Tale permeabilità si rifletté tanto nei rapporti interni a ciascuno Stato – laddove le comunicazioni tra differenti Organi e Ministeri coinvolti troppo spesso risultavano lacunose –, quanto nei rapporti tra i due Stati – laddove gli interessi precipui (e quasi mai apertamente dichiarati) conducevano ad una sostanziale impossibilità di avanzamento delle pratiche, con un conseguente apparente immobilismo. La vita di un

dossier dipese principalmente dall’interesse specifico che il Regime Fascista o lo Stato

francese nutrirono nei confronti del soggetto in fase di potenziale estradizione o                                                                                                                

privazione della cittadinanza, oppure nei confronti del messaggio politico che poteva emergere dal singolo procedimento. Il catalizzatore che velocizzò l’istruzione del caso fu quindi in più casi l’attenzione che l’opinione pubblica e i mezzi di informazione avevano per il soggetto. Questo fatto è di particolare rilievo poiché illumina l’osservatore sui particolari legami esistenti tra l’azione della società civile, quella degli Stati e la vita degli oppositori oltrefrontiera, verosimilmente agenti in una dinamica di continua interconnessione, in cui l’azione di uno generò e influì sull’azione dell’altro.

Secondo questa prospettiva, gli alterni momenti di tensione e di silenzio sulla questione del “fuoriuscitismo” furono il contraltare, nelle relazioni diplomatiche, della situazione interna che si venne a creare nello Stato di accoglienza e/o in quello di origine degli emigrati. Date le catene di interdipendenza ricostruite, le relazioni diplomatiche risentirono degli alterni interessi perseguiti dalle differenti istanze degli Stati. I rapporti tra nazioni si mossero in questo modo su due differenti piani: quello ufficiale – rappresentato dagli accordi bilaterali siglati e dal corpus normativo in vigore a livello bilaterale – e quello più quotidiano e fattuale, in cui le singole istanze periferiche perseguivano i propri interessi e agivano in base alle proprie impellenti necessità.

Per motivi di congiuntura politica europea, tale fenomeno assunse maggiore rilevanza negli anni Venti ed all’inizio degli anni Trenta; successivamente, la Guerra di Spagna, la Conferenza di Monaco e l’avvicinarsi della Seconda Guerra Mondiale determinarono il parziale oscuramento sulla scena politica del fenomeno del fuoriuscitismo.

In un contesto in continua evoluzione quale quello del diritto d’asilo e dei rifugiati, che fra le due guerre conobbe un momento di grande propulsione e fermento, le due amministrazioni ebbero buon gioco della mobilità che ancora caratterizzava la normativa internazionale sin nelle stesse parole da usare per individuare nuove categorie sociali cui garantire diritti, garanzie e tutele. Gli oppositori italiani in Francia non furono né emigrati, né rifugiati, né apolidi. Essi furono, infine, “fuoriusciti”: oppositori oltrefrontiera. L’espatrio stesso stette a significare la loro volontà politica di combattere la forma di Stato e di governo del loro paese di origine: l’uscita fisica dai confini

nazionali costituì di per sé una modalità di protesta e il punto di partenza del meccanismo che speriamo di aver messo in luce.