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CAPITOLO 5 - La frattografia: analisi delle superfici di frattura

5.7 Frattografia presso i Laboratori Nazionali di Legnaro

Presso i Laboratori Nazionali di Legnaro è stato condotto uno studio statistico sui test eseguiti nel laboratorio di Alta Temperatura. Tali test hanno coinvolto circa 30 provini in Carburo di Silicio SA ed altrettanti in Carburo di Silicio SP. Gli esperimenti prevedevano di portare a rottura i provini sottoponendoli ad intensi gradienti termici radiali apportando una grande quantità di calore per irraggiamento al centro dei dischi. Si è svolta un’analisi statistica per avere una stima della massima tensione sopportabile da tali provini ad una voluta probabilità di sopravvivenza di essi.

Ovviamente per condurre un’analisi statistica è prima necessario conoscere le cause della rottura e non solo le modalità ed i carichi applicati. Infatti, da un’attenta analisi frattografica è possibile notare come le origini della frattura siano molteplici, difetti sia interni al volume sia di superficie.

Una caratteristica che accomuna i test eseguiti, che è possibile cogliere su ogni provino rotto, un esempio viene riportato in figura 5.39, è l’andamento della frattura con la classica forma a “fontana” ed una direzione iniziale di propagazione della cricca perpendicolare alla prima tensione principale, ovvero la trazione che agisce nella periferia dei dischi.

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Figura 5.39: Disco in SiC SP (Φ=40mm, t=1mm) rotto per forte gradiente termico. Tipico modello di frattura a “fontana” con propagazione iniziale della cricca a 90° rispetto alla σ1

I provini in materiale ceramico studiati presso i Laboratori Nazionali di Legnaro sono dei dischi in Carburo di Silicio di diametro 30 e 40 mm e spessore variabile da 0,5 a 1,4 mm. Per simulare le sollecitazioni a cui verranno sottoposti nel target del progetto SPES, essi vengono riscaldati al centro con un riscaldatore ohmico in grafite, tramite l’apposito apparato sperimentale installato nel laboratorio di Alta Temperatura, figura 5.40, presentando temperature elevate centrali e zone periferiche a temperature inferiori. Si generano così delle differenti deformazioni che portano ad uno stato tensionale di compressione nel centro del disco e di trazione in periferia.

Figura 5.40: Modalità di riscaldamento dei dischi. Apparato sperimentale presente nel laboratorio di Alta Temperatura

La rottura viene “comandata” dalla prima tensione principale di trazione presente sulla periferia del disco. Infatti la cricca si genera in prossimità del bordo o sul bordo stesso, inizialmente propaga radialmente, ovvero perpendicolarmente allo stato tensionale di trazione, per poi variare la sua direzione con un andamento ondulato che si intensifica avvicinandosi al centro del disco che si trova in compressione.

La ramificazione della frattura dipende dalla quantità di energia che riesce ad accumulare il provino, in questo caso dipende dall’intensità del gradiente termico che si riesce a generare prima della rottura. Infatti i dischi in SiC SA, che hanno densità maggiore dei dischi in SiC SP, riescono ad immagazzinare più energia, sopportare gradienti termici maggiori e quindi alla rottura presenteranno una situazione più frammentaria rispetto ai dischi in SiC SP. Questi, appunto per la ridotta quantità di energia che riescono ad immagazzinare, presentano anche una superficie di frattura completamente piatta lontano dall’origine ed essenzialmente povera di segni caratteristici. In figura 5.39 viene mostrato un confronto delle rotture per i due materiali studiati:

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Figura 5.39: Confronto sulla frammentarietà della rottura tra un disco in SiC SP (a sinistra) ed uno in SiC SA (a destra)

Come già esposto, le modalità di rottura di questi provini si conoscono, lo sviluppo di forti gradienti termici generano intense tensioni di trazione nella periferia dei dischi. Il cedimento del provino si ha allo scattare della propagazione della cricca a partire dal difetto di dimensioni più critiche. Si deve dunque cercare tale difetto, analizzare la superficie di frattura dei frammenti del disco, individuando anche ad occhio nudo le Hackle Lines e la zona di Mirror da cui esse irradiano. Si deve poi individuare il difetto e la sua natura e per fare ciò è necessario l’utilizzo di un microscopio ottico o del SEM. Entrambi questi strumenti sono disponibili presso i Laboratori Nazionali di Legnaro. Tutte le superfici di frattura di tutti i provini sono state analizzate al microscopio ottico, figura 5.40.

Tale microscopio, dell’azienda Optika, presenta un ingrandimento base di 10X ed una serie di lenti (5X, 10X, 20X, 50X e 100X) che consentono ingrandimenti delle superfici da analizzare fino a 1000X. Le immagini vengono trasmesse ad un tablet, ad esso collegato, tramite il software Optika Vision Lite.

Figura 5.40: Microscopio ottico presente presso i LNL

I frammenti vengono posti sotto la lente di ingrandimento e sostenuti tramite due piastrine in metallo che presentano una sorta di meccanismo a “morsa” regolato tramite due viti a passo corto come raffigurato in figura 5.41:

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Figura 5.41: Strumento di sostegno dei frammenti di SiC da analizzare al microscopio ottico Una volta posizionato il frammento sotto la lente di ingrandimento, si mette a fuoco la vista e in alcuni casi già con ingrandimenti del 50X è possibile distinguere la zona di Mirror da quella di Hackle. Per valutare visivamente il confine tra le due è necessario portarsi almeno a 100X.

Il software, dopo un’adeguata calibrazione da parte dell’utilizzatore, consente di prendere delle misure lineari dalle foto scattate. Ciò consente dunque di avere una stima della dimensione delle regioni caratteristiche della superficie di frattura, dimensione da relazionare alle costanti proprie che si trovano qui sotto tabulate, figura 5.42, per varie configurazioni di geometria del componente e sollecitazioni agenti.

Figura 5.42: Tabella con i valori delle costanti di Mirror-Mist e Mist-Hackle per diversi SiC [16] Utilizzando dunque le dimensioni delle regioni caratteristiche della superficie di frattura e le proprie costanti sarà possibile avere una stima della tensione locale che ha portato alla rottura del provino e confrontarla col valore che si ricava dalle analisi FEM. La relazione da utilizzare è l’equazione 5.1, descritta in precedenza e che riportiamo qui sotto:

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In alternativa si possono relazionare le tensioni di rottura alle rispettive dimensioni delle regioni caratteristiche della superficie di frattura per ricavare la costante A e confrontarla con i valori presenti in letteratura.