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Gender Diversity e Corporate Governance nel contesto europeo 53

Capitolo  1   “Gender Diversity” 5

1.2.   Gender Diversity e Corporate Governance nel contesto europeo 53

La strategia "Europe 2020" propone lo scopo di far crescere l’Europa sulla base di conoscenza, competenza e innovazione. La Commissione Europea si è resa conto che, per far crescere la competitività, sia necessario consentire una rappresentazione più bilanciata di donne e uomini nel processo decisorio, in quanto la loro presenza può

contribuire a una maggiore produttività, un ambiente lavorativo innovativo e, di conseguenza, performance aziendali migliori.

La discussione è nata durante un dibattito politico nel 2010 in cui la Commissione decise di adottare una nuova strategia per l’uguaglianza tra donne e uomini (2010-2015) considerando una serie d’iniziative che puntavano a inserire le donne nei livelli aziendali più alti. Il primo passo in questa direzione fu preso nel marzo 2011 dall’allora vicepresidente dell’Unione Europea e Ministro europeo della Giustizia, Viviane Reding, che lanciò “Women on the Board Pledge for Europe”, ovvero un impegno volontario per le imprese pubbliche europee a incrementare la presenza delle donne nel consiglio di amministrazione. Ciò prevedeva l’assunzione di donne qualificate per almeno una quota del 30% nel 2015 e del 40% entro il 2020 in successione a uomini uscenti dall’azienda. I ministri di alcuni paesi appoggiarono questa iniziativa e nel corso del 2011, inoltre, promulgarono misure legislative per raggiungere l’obiettivo. La Commissione annunciò nello stesso anno che, nel caso in cui non si fossero ottenuti risultati soddisfacenti attraverso la regolamentazione volontaria, avrebbe preso in considerazione misure politiche per accrescere la partecipazione femminile a partire dal 2012.

Secondo la Commissione, l’aumento della presenza femminile in posizioni di rilievo stimola la crescita e la competitività del mercato interno. La diversità di genere può contribuire, inoltre, al miglioramento sia da un punto di vista microeconomico, ovvero delle aziende individuali, sia macroeconomico in termini di una più alta e sostenibile crescita economica.

Come hanno dimostrato gli studi pubblicati dalla stessa Commissione Europea, le aziende hanno compreso che la diversità di genere può contribuire a:

Rispecchiare il mercato in quanto le donne possiedono una visione più ampia del comportamento economico e delle scelte dei consumatori. Esse ne rappresentano, infatti, la percentuale più alta. Grazie alla quota di genere, quindi, l’azienda sarebbe in grado di cogliere meglio le esigenze del mercato.

Migliorare la qualità del momento in cui sono prese le decisioni: la diversità di genere all’interno di un gruppo, infatti, promuove la creatività e l’innovazione grazie alle diverse conoscenze, esperienze e capacità di ciascun membro. Le decisioni, quindi, sarebbero prese valutando più alternative rispetto a quelle che si possono ottenere in un gruppo omogeneo.

Migliorare la corporate governance.

Una maggiore etica all’interno delle aziende perché quando sono presenti le donne vi è posta maggiore attenzione.

Migliorare l'impiego di talenti visto che una quota elevata di laureati è donna, escluderle dalle posizioni decisorie potrebbe significare non utilizzare dei talenti. La qualità stessa degli eletti potrebbe, quindi, essere compromessa.

Da un punto di vista macroeconomico, lo studio della Commissione Europea ritiene che se non s’incoraggiano le donne a occupare posizione di rilievo, esse non saranno mai in grado di utilizzare le loro potenzialità ma continueranno a preferire lavori non coerenti alla loro educazione e di conseguenza meno remunerativi. Il gap di genere all’interno delle aziende perciò continuerà ad aumentare. Inoltre, l’Europa ritiene che sia necessario fornire alle donne i giusti incentivi per permanere nella forza lavoro, come percorsi di carriera credibili o l’accesso a posizioni elevate all’interno delle aziende. Tutto ciò permetterebbe la crescita economica necessaria.

Il panorama europeo offre inoltre un corpus di regole sulle quota di genere diversificato per cui è auspicabile raggiungere un insieme di norme certe e non in conflitto tra loro

alle quote di genere. Alcuni paesi hanno optato infatti per una vera e propria legislazione in merito mentre altri hanno preferito autoregolamentarsi con azioni volontarie.

La figura 7 mostra lo stato della regolamentazione sulle quote di genere a livello mondiale nell’anno 2012. Come si evince immediatamente essa è cambiata, perciò si rimanda ai paragrafi seguenti per tracciarne lo sviluppo.

La Norvegia è stata la prima a introdurre la legge sulla parità di genere nelle commissioni di enti pubblici, nei comitati aziendali e nei consigli di amministrazione delle società. Inizialmente le aziende potevano aderire su base volontaria ma, visti gli scarsi risultati, il governo norvegese decise poi di far diventare obbligatoria tale legge. Essa dispone che la rappresentanza femminile sia assicurata nei seguenti modi:

• se la commissione è formata da 2 o 3 membri, ciascuno dei due sessi deve essere rappresentato;

• se la commissione è formata da 4 o 5 membri, ciascuno dei due sessi deve avere almeno 2 rappresentanti;

• se la commissione è formata da 6 a 8 membri, ciascuno dei due sessi deve avere almeno 3 rappresentanti;

• se la commissione è formata da 9 membri, ciascuno dei due sessi deve avere almeno 4 rappresentanti;

• se la commissione è formata da un numero di membri superiore a 9, ciascuno dei due sessi deve essere rappresentato da almeno il 40% dei membri.

La legge di riferimento è quella del 13 giugno 1997, n. 45 “Lov om allmennaksjeselskaper – allmennaksjeloven”, modificata nel 2003 e dal 2006 diventata obbligatoria. Essa è diretta alle società quotate in borsa e alle società controllate dallo Stato, nonché alle cooperative. La legge prevede altresì lo scioglimento dell'azienda in caso di non adempimento.

In Belgio, è entrata in vigore nel 2011 una legge che impone, a tutte le società quotate, la presenza nel board del 33% del genere meno rappresentato. Tale legge modifica il “Company Code” che riguarda, appunto, le società quotate e le leggi che regolano le aziende controllate dallo Stato. La modifica perciò è diretta a queste tipologie di aziende ed è valida dal 2012. Inoltre, tale legge è applicabile alle compagnie quotate dopo un

lungo periodo di attuazione che oscilla tra i sei e gli otto anni a seconda della dimensione dell’azienda misurata con diversi criteri quali il numero di impiegati, il tasso annuale di turnover e il totale annuo dello stato patrimoniale. In sostanza, la legge sarà adottata completamente solo nel 2019. Fino a che la quota non sarà raggiunta una persona del genere meno rappresentato dovrà comunque occupare qualsiasi posto libero o carica. Le sanzioni per il mancato rispetto riguardano la sospensione di qualsiasi vantaggio a favore degli amministratori fino a che la quota non sarà rispettata.

Con la “Loi relative à l’égalité salariale entre les femmes et les hommes (Loin. 2006- 340)”, la Francia introdusse alcune disposizioni sulle quote di genere negli organi direttivi delle società pubbliche e private. La nuova legge del gennaio 2011, “Loi n. 2011-103 du 27 janvier 2011 relative à la représentation équilibrée des femmes et des hommes au sein des conseils d'administration et de surveillance et à l'égalité professionnelle”, promuove l’uguaglianza professionale tra uomini e donne in seno all’impresa e impone la ricerca di una “rappresentanza equilibrata tra uomini e donne” negli organi di amministrazione e di controllo delle società quotate in Borsa e di quelle non quotate che però rispettano i seguenti requisiti: un numero di lavoratori non inferiore a 500 e un fatturato di almeno 50milioni di euro negli ultimi tre esercizi consecutivi. Vale, allo stesso modo, anche per le imprese del settore pubblico e degli enti pubblici a carattere industriale e commerciale soggetti al diritto privato. La legge prevede che la proporzione degli amministratori di ciascun sesso non possa essere inferiore al 40% da raggiungere nell'arco di 6 anni; entro 3 anni dalla promulgazione della legge, le aziende devono comunque giungere al 20% di tale proporzione. Negli organi di amministrazione con un massimo di 8 membri, lo scarto tra i rappresentanti dei due sessi non può essere superiore a 2. In base al nuovo provvedimento il mancato rispetto delle quote fissate comporterà la nullità delle nomine del consiglio di

amministrazione, avvenute in violazione a tali percentuali - ad eccezione delle nomine di amministratori appartenenti al sesso sotto-rappresentato nel cda - e implicherà l’obbligo di convocare una nuova assemblea generale per regolarizzare la composizione del consiglio di amministrazione.

Inoltre, per quanto riguarda i membri degli organi di amministrazione o controllo scelti da una lista di candidati, quest’ultima dovrà essere composta da candidati uomini e donne in

egual numero, alternati.

Nei Paesi Bassi, dal 2011, sia per i consigli di amministrazione che per quelli di gestione è richiesta una composizione equilibrata nella misura del 30% per ogni sesso. La norma si applica sia alle grandi compagnie private sia a quelle pubbliche quotate in Borsa mentre non si applica alle piccole e medie imprese che non rispettano i tre criteri scelti:

• il valore netto degli asset non superiore a 17, 5 milioni di €, • il fatturato netto non superiore a 35 milioni di €,

• il numero medio di dipendenti inferiore a 250.

L’inosservanza della legge comunque non dà luogo ad alcuna sanzione e basterà la motivazione nel rapporto di gestione annuale della società. Questa legge ha carattere temporaneo per cui ha validità fino a Gennaio 2016.

In Spagna, la legge per la parità effettiva tra uomini e donne, del 22 marzo 2007, n. 3 disciplina la partecipazione delle donne nei cda aziendali. L’articolo 75 dichiara che le società che hanno l’obbligo di presentare un conto perdite e profitti non abbreviato dovranno includere nel proprio consiglio di amministrazione un numero di donne che consenta una presenza equilibrata di entrambi i sessi in un periodo di otto anni a partire dall’entrata in vigore della legge. Tale diposizione dovrà essere presa in considerazione

per le nomine da realizzare man mano che scadono i mandati dei consiglieri designati prima dell’entrata in vigore della legge.

In Germania, anche se non si trova una vera e propria legge in merito, esistono delle misure legislative che riguardano l’equilibrio di genere nel board. Tra queste ritroviamo quella che regola la rappresentanza dei lavoratori che raccomanda una rappresentazione proporzionale di donne e uomini nell’organico. Tutt’oggi è presente un forte dibattito sul tema in quanto la legge sulla quota di genere avrebbe previsto la possibilità per determinate categorie di aziende di scegliere su base volontaria la quota per la rappresentazione delle donne nel consiglio di sorveglianza e in quello esecutivo. Questa ipotesi sarebbe entrata in vigore solo se per l’anno 2013 le compagnie davano prova che avrebbero triplicato la percentuale media di donne nei due consigli. La quota doveva essere raggiunta in un periodo specifico e se le aziende non avessero raggiunto il loro target, potevano essere applicate le sanzioni del diritto dell’impresa. L’obbligazione sarebbe smessa nel momento in cui l’azienda avesse raggiunto il 30% di donne nei due consigli. Al riguardo va segnalato l'esempio della Deutsche Telekom che ha introdotto volontariamente una quota rosa nello statuto, prevedendo che, entro il 2015, il 30% delle posizioni manageriali e di controllo debba essere ricoperto da donne.

Alcuni paesi hanno stabilito un ordinamento solo per le aziende a controllo pubblico. Essi sono la Danimarca, la Finlandia, la Grecia, l’Austria e la Slovenia.

In Danimarca, il “Gender Equality Act” richiede che i consigli di amministrazione e i comitati endoconsiliari delle società della pubblica amministrazione e, in generale, delle società a partecipazione statale garantiscano un equo bilanciamento tra i generi. Non è prevista alcuna sanzione in caso non sia applicata, ma è richiesta, comunque, una motivazione.

In Finlandia, alla stessa maniera, è richiesta la presenza equilibrata di entrambi i generi nelle società a controllo pubblico.

A differenza di questi paesi, altri hanno adottato azioni volontarie o buone pratiche per avvicinare le aziende al tema della parità di genere al loro interno.

Nel Regno Unito, ad esempio, non è presente alcuna materia specifica ma il rapporto “Women on Boards” del 24 febbraio 2011, curato dal “Department for Business, Innovation and Skills” (Ministero per le imprese, l’innovazione e le competenze), ha evidenziato come nell’arco di sei anni la presenza femminile all’interno dei consigli di amministrazione delle cento maggiori società quotate in borsa sia salita di poco più del 3%, passando dal 9,4% del 2004 al 12,5% del 2010. Le raccomandazioni contenute nel rapporto sono dieci. Tra queste si segnalano, anzitutto, il raggiungimento dell’obiettivo di almeno il 25% di rappresentanza femminile nei cda di queste società entro il 2015 e, in secondo luogo, l’obbligo di rendere noti ogni anno i dati relativi alle percentuali femminili nei consigli di amministrazione e nell’intera struttura societaria. Inoltre, esiste, nel Regno Unito, un’organizzazione non commerciale che ha lo scopo di promuovere la rappresentazione delle donne all’interno del board.

In Svezia, pur in assenza di norme, la rappresentanza femminile nelle società è comunque fra le più alte in Europa. Per le aziende interamente partecipate dallo Stato è prevista, comunque, una disciplina specifica nel Codice di Autodisciplina. Inoltre, anche qui, è presente un’organizzazione dello Stato che ha lo scopo di far accrescere la quota femminile nel consiglio grazie a un programma specifico di formazione. Organizzazioni dello stesso tipo si trovano anche in Austria e Lussemburgo. Inoltre, l’Austria, il Belgio e la Danimarca, come molti altri paesi, hanno costruito un database di candidate donne qualificate ad assumere il ruolo di amministratore per migliorarne la

visibilità. La tabella successiva mostra lo sviluppo della normativa sulla “gender equality” a livello europeo.

Tabella  2  Leggi  sulle  quota  di  genere  anno  2013   Nazione Anno in cui è passata la Legge Quota richiesta Anno in cui deve essere rispettata Anno in cui dovrebbe essere raggiuta l’uguaglian- za di genere Media delle donne ammini- stratrici nell’anno 2013 Auto Regolamenta- zione Norvegia 2003 40% 2008 2009 42% Spagna 2007 40% 2015 2006 15% Islanda 2010 40% 2013 48%

Finlandia 2010 “only to state-owned companies” “Equitable proportion of women and men' (covers executive and non- executive members)” 30% Francia 2011 40% 2017 2011 30% Belgio 2011 33% 2019 2009 17% Olanda 2011 30% 2016 25% Italia 2011 30% 2015 15% Svezia 26% 2004 Germania 21% 2001 Regno Unito 21% 2011

Danimarca Boards in state-owned companies should 'as far

as possible' have an equal gender balance; a man and a woman nominated for every vacancy

(executives and non-executives). Lussemburgo 11% 2009 Austria state-owned companies; 35% 13% Polonia 12% 2010

Portogallo 2012 gender balance in management and

executive positions. state-owned companies.

I grafici seguenti elaborati dalla Commissione Europea evidenziano lo sviluppo della “gender equality strategy”. La figura seguente, ad esempio, mostra la percentuale media europea delle donne presenti nel consiglio di amministrazione. Nel grafico, sono indicate, inoltre, le varie fasi di attuazione della strategia 2010-

2015.

Le figure seguenti mostrano, inoltre, l’incremento della percentuale della presenza di donne e uomini all’interno del consiglio di amministrazione delle compagnie quotate per ciascun paese membro.

La prima figura si riferisce a Gennaio 2012, la seconda ad Aprile 2013 e l’ultima a Ottobre 2013. Si nota subito che la percentuale aumenta gradualmente: dal 13,7% nel 2012 al 17,8% nel 2013.

MEMO/13/882 EUROPEAN COMMISSION

MEMO

Brussels, 14 October 2013

Report on women and men in leadership positions and

Gender equality strategy mid-term review

1. New Report on Women in Decision-Making:

What is the report on women in leadership positions?

The Report on women and men in leadership positions in the European Union 2013 looks at the current situation and recent progress for gender balance across a range of decision- making positions in the public and private sectors, including business, financial institutions, politics, civil service and the judiciary.

The report is, as far as possible, based on quantitative analysis of the situation with the majority of data being drawn from the European Commission database on women and men in decision-making, which can be consulted online. The database includes comparable data for EU Member States from 2003 onwards. Where relevant, 2003 is therefore used as the starting point for analysis of developments through time.

What are the main conclusions on women on boards?

The most recent figures show that women account for 16.6%, or one in six, of board

members of the largest publicly listed companies in the EU-27. The highest levels of

female representation on boards occurs in Finland (29.1%) and Latvia (29%), closely followed by France (26.8%) and Sweden (26.5%).

Figure 1: Representation of women and men on the boards of large listed companies, April 2013

Dando uno sguardo oltreoceano, negli Stati Uniti non esistono quote di genere ma le donne sono comunque riuscite a raggiungere posizioni di rilievo. È diffusa, infatti, la prassi del “diversity management”, ossia una posizione di supporto alla direzione generale che ha il compito di elaborare strategie e obiettivi in tema di diversità. Anche negli USA si è avviato, comunque, un dibattito sulle quote di genere.