Il periodo dell'asciutta rappresenta uno dei momenti di maggiore criticità per la successiva lattazione. In questa fase la bovina tenta di recuperare pienamente quell'equilibrio metabolico e fisiologico che viene fortemente compromesso nella fase di lattazione vera e propria. Durante le fasi di maggior produzione, allo stesso tempo la mammella ricostituisce appieno la propria funzionalità riproduttiva, eliminando eventuali infezioni. Questi processi vengono regolati dalla gestione nutrizionale, igienica e sanitaria dell’animale. In quest’ultimo caso, l'importanza della terapia in asciutta per eliminare l'infezione esistenti e prevenire quelle nuove ha lo scopo importante di evitare nuove infezioni che possono essere presenti in maniera elevata alla messa in asciutta e nella fase del periparto. È stato stimato da Green et al., che nella prima settimana dopo il parto almeno il 20% dei quarti può avere un contenuto cellulare >500.000/ml, come conseguenza delle infezioni insorte nella fase di transizione (Zecconi, 2010). Queste infezioni possono sfociare successivamente con una maggiore frequenza di mastiti clinici e/o difformità cronica caratterizzate da un persistente innalzamento del contenuto cellulare del latte. Durante la messa in asciutta avvengono notevoli cambiamenti per quanto riguarda il sistema immunitario della ghiandola mammaria. Aumentano in modo notevole i leucociti polimorfonucleati neutrofili (PMN), che hanno la funzione di inglobare e distruggere i batteri eventualmente presenti in mammella. Il ruolo della terapia antibiotica in questa fase è importante, visto che la sua attività deve ridurre la carica batterica in mammella, al fine di favorire l'azione dei PMN. Dopo circa due settimane, intervengono i macrofagi, che hanno lo scopo di eliminare i detriti cellulari, facilitando così il successivo rinnovamento dell'epitelio mammario. Se il turn over cellulare non avvenisse nella maniera corretta si ridurrebbero, di conseguenza, le potenzialità produttive della lattazione successiva. La
messa in asciutta degli animali deve necessariamente avvenire con il metodo “drastico”. L'uso ancora in vigore in alcuni allevamenti di saltare una o più mungiture prima di “asciugare” l’animale, causa problemi rilevanti ai normali processi fisiologici della mammella, in particolar modo, aumenta notevolmente la carica microbica presente in mammella, rendendo la terapia in asciutta meno efficace. La classica infusione intramammaria di un antibiotico per l’asciutta, a cui i principali patogeni presenti in allevamento siano sensibili, è tuttora il sistema più efficace per curare le infezioni esistenti e prevenire quelli che possono insorgere subito dopo la messa in asciutta. Diverso e più complicato, risulta prevenire l'insorgenza di infezioni nella fase del periparto. Durante il periparto o nella fase di transizione, eventuali problemi possono essere gravi. I soggetti più a rischio sono in particolare le manze che per la prima volta vengono munte e che spesso vengono mescolate alle pluripare nella fase di pre-parto (Zecconi, 2010).
Come procedere per la messa in asciutta (Zecconi, 2010): - calcolare un periodo di asciutta di almeno 7 settimane
- negli animali con una produzione >25litri/die, mungendo comunque regolarmente l’animale, ridurre la produzione attraverso un cambiamento di dieta
- al momento della messa in asciutta: a. mungere completamente l’animale; b. disinfettare attentamente il capezzolo;
c. inoculare l’antibiotico per asciutta in ciascun quarto;
d. massaggiare il quarto per favorire la distribuzione dell’antibiotico; e. disinfettare attentamente il capezzolo;
f. mettere l’animale nel box delle asciutte.
I rischi che ne possono derivare una volta inserita la vacca nel box delle asciutte sono:
- riduzione della disponibilità di acqua, cibo e nutrienti; - problemi legati al ristabilirsi dell’ordine gerarchico;
- problemi legati all’accesso e disponibilità della zona di riposo;
- problemi mammari legati alla congestione, incontinenza lattea, infiammazioni e mastiti cliniche e subcliniche (Rumi, 2015).
Da uno studio effettuato dal CRENBA (Centro di Referenza Nazionale per il Benessere Animale), su circa 1.200 stalle, è risultato che circa la metà degli allevatori riservano alle proprie vacche in asciutta più di 7 mq/capo (ideale sarebbero 10 mq/capo), con una gestione della lettiera ottimale (valutazione effettuata in base alle condizioni igieniche della lettiera e sul Clenear Score degli animali). Numerosi sono i lavori scientifici che affermano che la maggior parte delle mastiti, derivano da infezioni prese durante il periodo delle asciutte e si manifestano entro i primi mesi dopo il parto (Fontini, 2016). Secondo i dati Aral effettuati nell’ultimo anno, si deduce che il 25% delle secondipare e il 35% delle terzipare hanno più di 200.000 SCC al primo controllo funzionale (indice di uno o più quarti infetti). In base ad alcuni studi statunitensi gli animali che arrivano all’asciutta con produzioni di latte inferiori a 13-15 litri, sono in grado di contenere la conta somatica cellulare entro i 200.000, diversamente nel 25% dei casi superano tale soglia, al momento dell’asciutta, con più di 21 litri. Un altro studio ha evidenziato come per ogni 5 litri in più oltre i 12,5 litri al momento della messa in asciutta c’è un aumento del 77% del rischio di infezione mammaria ambientale al parto (Rumi, 2015).
Dal punto di vista fisiologico la mammella è caratterizzata da continui cicli di involuzione ed evoluzione del tessuto ghiandolare. Poco dopo il picco di lattazione la mammella va in contro ad un involuzione così detta “graduale”, nel senso che aumentano progressivamente le cellule che vanno in apoptosi, cioè vanno in apoptosi. Il motivo è dovuto principalmente al calo degli estrogeni, dovuto a sua volta alla concomitante gravidanza in atto. Una involuzione così detta immediata si innesca durante le prime fasi dell’asciutta (2-3 settimane), dove a causa della stasi del latte all’interno dei condotti e la distensione tissutale che ne consegue, si innescano dei fattori che inibiscono la sintesi e la secrezione del latte.
In questo periodo non è presente alcuna rigenerazione cellulare e la ghiandola mammaria va in quiescenza. A partire dal 21°-45° giorno la mammella entra in un meccanismo di evoluzione costante, soggetta ad una forte proliferazione cellulare senza fenomeni di apoptosi. Solo con l’avvicinarsi del parto, ovvero dal 45°-60° giorno comincia la lattogenesi, cioè il progressivo accumulo di sostanze nutritive e acqua, che andranno a costituire prima il colostro e poi il latte. In sostanza, la fase più importante per una più elevata produzione di latte per la lattazione successiva è il turnover delle cellule epiteliali che devono essere bilanciate tra apoptosi e proliferazione. Una condizione che pochi considerano è che in realtà
l’attività secernente continua anche durante l’asciutta, dove, durante le prime fasi, calano l’accumulo di lattosio, caseina, grassi e acqua e inizia la secrezione di sostanze provenienti dal siero ematico come l’immunoglobuline, il cloro e il sodio tipicamente presenti nel colostro. Secondo la dottoressa Sordillo, del Michigan State University, USA, risulta che l’asciutta ideale deve durare almeno 45-60 giorni e che rappresenta una fase indispensabile per la regolazione della ghiandola mammaria (atti del convegno SIVAR, 2015). Dal punto di vista immunitario il primo fattore è rappresentato dalla barriera fisica della parte terminale del capezzolo, che subisce un forte stress all’inizio dell’asciutta da parte del latte residuo e alla fine dell’asciutta a causa del colostro in produzione e allo stesso tempo dall’accorciamento del canale del capezzolo. Durante questa fase, se un batterio entra in mammella c’è una seconda linea di difesa di tipo cellulare, data dai leucociti, linfociti, neutrofili e macrofagi. Nel caso in cui non venisse rispettato il processo di involuzione della mammella, si avrebbe la proliferazione anomale di queste cellule protettive, associato ad un calo della loro capacità di difesa durante l’asciutta e nelle prime fasi di lattazione. Possono essere inibiti soprattutto i linfociti T e B, che danno una protezione specifica, in quanto in grado di riconoscere batteri patogeni e di produrre alcune sostanze come lattoferrine, interleuchine, interferone e immunoglobuline capaci di inibire la proliferazione dei batteri (Rumi, 2015).
Avere una corretta messa in asciutta, non è importante solo per la lattazione successiva ma anche per la così detta “incontinenza lattea”. Viene definita come la perdita di latte dal capezzolo, sotto forma di gocce o getti intermittenti in momenti diversi dalla mungitura, in assenza di stimoli meccanici. La fase di maggior rischio è l’inizio dell’asciutta dove il latte non è più munto e c’è un aumento della pressione endomammaria. Questo fenomeno, secondo Ana L. De Prado (di Ceva Santé Animale, Francia), si manifesta in particolare su bovine che arrivano a fine lattazione con elevate produzioni, superiori ai 15 litri e con un cattivo stato di salute del capezzolo. Le bovine presentano un orifizio del capezzolo generalmente rovinato, estroflesso con problemi di chiusura. Il motivo è dovuto soprattutto alle fasi di mungitura, dove possono essere applicati dei livelli di vuoto errati ed episodi di sovramungitura aggiungendoci anche l’uso di prodotti chimici che irritano il capezzolo e possono portare alla formazione
di una placca cheratinica, che impedisce la chiusura del canale del capezzolo (maggiore nelle prluripare rispetto alla primipare e colpisce soprattutto i quarti posteriori). Sempre secondo la dottoressa De Prado, risulta che l’incidenza di problemi alla messa in asciutta negli allevamenti Europei, sia del 24%, mentre in Italia del 15,6%. Risulta chiaro comprendere che sia un problema sottostimato, sulla quale bisogna creare consapevolezza e informazione negli allevatori. L’incontinenza lattea favorisce la penetrazione di patogeni lungo il canale del capezzolo, aumentando l’incidenza di mastiti cliniche dopo il post-parto (Rumi, 2015). Cosa fare per ridurre l’incontinenza lattea:
- durante la lattazione impiegare una corretta routine di mungitura e adeguati parametri dell’impianto di mungitura;
- alla messa in asciutta adottare delle pratiche gestionali che portino alla riduzione della produzione di latte con degli accorgimenti sia nutrizionali (diminuire il valore nutritivo) che di mungitura (in caso di bovine con alte produzioni, alternare portandola ad una al giorno per 7 giorni);
- in casi estremi fare un trattamento farmacologico a base di cabergolina che è un inibitore della prolattina e permette di calare repentinamente la produzione lattea.
Riferendomi al 50% delle mastiti che si manifestano nelle prime fasi di lattazione, dovuto ad infezioni contratte durante l’asciutta, solitamente nella messa in asciutta viene eseguita una profilassi antibiotica. Nel futuro in Europa sarà sempre più limitato l’uso di antibiotici nell’allevamento, con una quasi eliminazione dell’uso di cefalosporine ed un aumento dell’uso di penicillina. La terapia dovrà essere accompagnata da un antibiogramma, evitando la cura su bovine sane. L’uso di una profilassi antibiotica alla messa in asciutta, porta ad una riduzione del 40% delle mastiti nel periodo di inizio lattazione, sul quale possiamo ipotizzare un aumento dei casi se, in futuro, ci fosse un interruzione del trattamento. Gli animali che non vengono trattati hanno il doppio del rischio di contrarre un infezione e di avere una conta delle SCC elevata (Rumi, 2015).
In primo luogo andranno limitati fattori di rischio, come ad esempio (Rumi, 2015):
- esposizione ai batteri ambientali, mantenendo lettiere pulite ed evitando il sovraffollamento;
- corretta messa in asciutta per fare calare la quantità di latte ed evitare l’incontinenza lattea con eventuale uso di inibitori della prolattina;
- corrette pratiche di mungitura per mantenere un orifizio del capezzolo sano;
- evitare il bilancio energetico negativo che compromette la risposta immunitaria generale dell’animale;
- usare il sigillante, considerando che il 50% dei capezzolo sono ancora aperti a 6 settimane dalla messa in asciutta.
In sostituzione agli antibiotici dovranno essere usate sostanze in grado di aumentare la funzione immunitaria (Rumi, 2015):
- sostanze non specifiche come la lattoferrina che si lega con il ferro libero necessario alla proliferazione batterica, nel caso in cui venisse usata alla messa in asciutta può aiutare le difese della mammella dando una minore crescita batterica;
- usare alti livelli di vitamina E e selenio in quanto modulatori della risposta immunitaria a riduzione del rischio di nuove infezioni;
- stimolare l’immunità immediata innata somministrando citochine proinfiammatorie alla fine della gestazione come il Fattore di stimolo delle Colonie Granulocitarie Bovine (CSF) che stimolano il midollo osseo alla produzione di cellule immunitarie, in particolare neutrofili; - impiegare vaccini che in generale portano ad una riduzione della