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praepositio institoria

In questa sede, ritengo opportuno riprendere la trattazione analizzando le testimonianze giuridiche relative alla gestione di un ambiente adibito alla ricezione alberghiera tramite la preposizione di un institor150; un celebre

brano di Ulpiano aiuta in tal senso:

Ulp. 14 ad ed. D.4.9.1.5: Caupones autem et stabularios aeque eos accipiemus, qui cauponam vel stabulum exercent, institoresve eorum. Ceterum si qui opera mediastini fungitur, non continetur, ut puta atriarii et focarii et his similes.

Dal passo promana fulgida luce sull’organizzazione della caupona e dello stabulum; emerge innanzitutto, senza equivoci, come i termini caupones e stabularii venissero impiegati, nelle attività di ricezione alberghiera, per indicare sia i proprietari o conduttori dell’edificio, titolari, quindi, a tutti gli effetti, della negotiatio, sia le persone da loro preposte in qualità di

150Termine che, come confermato da un prezioso frammento ulpianeo (Ulp. 28 ad ed. D.14.3.5.1-10) elencante le varie tipologie di negotiationes suscettibili di

praepositio institoria, venne progressivamente utilizzato per indicare il dipendente preposto all’esercizio di una qualsiasi impresa anche non commerciale; sul punto, J. J. Aubert, Business Managers, cit., p. 201 e ss.; M. Miceli, Institor e procurator nelle fonti romane dell’età preclassica e classica, in IURA, 53, (2002) 2005, p. 69 e ss.; F. Serrao, Impresa, mercato, diritto. Riflessioni minime, in Mercati permanenti e mercati periodici nel mondo romano, Bari, 2000, p. 35 e ss.

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institores151, lasciando, a buon diritto, la facoltà di ipotizzare che codesta

ambivalenza terminologica potesse esser ravvisata anche per quanto riguarda un deversorium ed il soggetto del deversitor, circostanza già riscontrata, peraltro, riflettendo sui passi petroniani del Sat. 95-96152. Da una lettura più approfondita del frammento affiora, inoltre, un ulteriore momento di riflessione inerente le possibili modalità mediante le quali si perpetrava l’esercizio dell’attività alberghiera: la praepositio di un institore153 o la conduzione diretta della negotiatio da parte del titolare154.

In base a questa scelta, il deversitor sarà l’institore, nel primo caso, ed il titolare, nel secondo155. Ma chi poteva essere l’institor? Certo la soluzione più frequente e originaria, che sfruttava appieno il vincolo

151Cfr A. Petrucci, Per una storia, cit., p. 124-125 e A. Földi, Caupones e stabularii, cit., p. 134 e ss.

152Cui rimandiamo supra, Cap. 1 § 1. Sull’utilizzo promiscuo dei termini caupona, stabulum, deversorium, si veda P. Cerami, Tabernae deversoriae, cit., p. 455 nt. 11; inoltre, l’ascrivibilità del deversorium alla tematica presa in esame risulta di lapalissiana evidenza anche dal menzionato passo ulpianeo, in tema di lenocinio, D.23.2.43 pr., per il quale si veda Cap. 1, § 2 sub d), e limpida appare anche dalla sostanziale assimilazione dei termini deversores, caupones e

stabularii rinvenibile, in proposito alla legittimazione passiva all’actio furti, in P. S. 2.31.16 (Quaecumque in caupona vel in meritorio stabulo diversoriove perierint, in exercitores eorum furti actio competit), in contrasto con quanto affermato, sul brano delle Pauli Sententiae, da F. Serrao, Impresa e responsabilità, cit., p. 149, il quale riteneva da non scartare l’ipotesi «che meritorio ... diversoriove siano due aggettivi qualificativi di stabulo».

153Si vedano M. A. Ligios, Nomen negotiationis, cit., p. 2-3 e 10 e A. M.

Giomaro, Dall’instruere all’instrumentum, cit., p. 159-160.

154Cfr. P. Cerami, Tabernae deversoriae, cit., p. 465.

155A. Földi, Caupones e stabularii, cit., p. 135, asserisce che, tra il II ed il III

secolo d.C., i termini caupo, stabularius e deversitor venissero utilizzati esclusivamente al fine di indicare gli institori, e fosse stato accantonato il loro utilizzo per definire i titolari di queste imprese, per i quali era stato adottato l’appellativo di exercitores cauponae ed exercitores stabuli.

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potestativo, era di preporre un servo o un figlio in potestà (Gai. Inst. 4.71: Institoria vero formula tum locum habet, cum quis tabernae aut cuilibet negotiationi filium servumve aut quemlibet extraneum sive servum sive liberum praeposuerit...), tuttavia, da epoca imperiale andò incrinandosi il consolidato legame tra famiglia e organizzazione d’impresa ed emerse la pratica di nominare institori non più soggetti a potestà, ma liberti e, seppur in casi più rari, uomini liberi156. In questa situazione nulla era comunque cambiato: l’imprenditore restava responsabile per le obbligazioni che il preposto aveva contratto e, a causa della preposizione, i contraenti lo potevano chiamare a rispondere in giudizio per gli atti compiuti dal liberto157; dal lato attivo, il preponente avrebbe potuto rivalersi direttamente nei confronti del liberto o dell’uomo libero158 con l’azione di mandato o con quella di gestione di affari altrui159, tranne quando quest’ultimo fosse retribuito, nel qual caso l’imprenditore avrebbe dovuto agire contro di lui con l’actio ex locato160.

156Cfr. A. Petrucci, Lezioni, cit., p. 143 e ID., Per una storia, cit., p. 49 e ss. 157F. Serrao, Impresa e Responsabilità, cit., p. 42-43 e A. Petrucci, Per una storia, cit., p. 16-17 e 51 e ss.: i contraenti hanno la facoltà di agire, anche nei confronti del liberto, con l’actio negotiorum gestorum, con la possibilità di agire anche per gli affari e le attività compiute quando questi era ancora schiavo, purché collegate ed affini a quelle che ha continuato a svolgere dopo la manomissione (come si deduce da Pap. 11 quaest. D.26.7.37.1).

158Il contraente doveva invece agire contro il padrone dello schiavo altrui

quando il negotiator avesse preposto un servo estraneo.

159Cfr. Ulp 28 ad ed. D.14.3.1 ...ipsum tamen institorem vel dominum eius convenire poterit vel mandati vel negotiorum gestorum...

160A. Petrucci, Per una storia, cit., p. 18 e nt. 20, in via analogica desume ciò da

Paul. 29 ad ed. D.14.1.5: ...cum libero, si quidem conduxisses, experieris: quod si gratuitae operae fuerint, mandati ages... e da Ulp. 28 ad ed. D.14.1.1.8: ...aut ex locato cum magistro, si mercede operam ei exhibet, aut si gratuitam, mandati agere potest, in tema di exercitio navis. Anche in questo caso, se ad

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Nulla impedisce di ritenere che questa articolazione organizzativa, che qui appare su due livelli, potesse risultare anche più complessa. Mi pare opportuno rilevare, in questa sede, come nelle tabernae deversoriae di cui trattava Varrone161, site fuori dal perimetro cittadino lungo importanti snodi di comunicazione stradale, il negotiator, spesso anche imprenditore agricolo, potesse assegnare sovente un ruolo direttivo ad un soggetto, nella maggior parte dei casi suo servo o suo liberto, super-preposto162, la praepositio del quale contemplava non soltanto le attività economiche e gestionali poste in essere fructus quaerendi, cogendi, conservandi causa163 ed exportandi causa164, come quelle che invece erano affidate al

vilicus sui frutti dell’agricoltura, ma anche quelle volte alla realizzazione di determinati scopi imprenditoriali e speculativi di complemento alle attività agricole: pecuniis faenerandis, mercaturis redempturisque

faciendis165.

essere preposto fosse stato il servo estraneo, l’azione si sarebbe dovuta rivolgere contro il rispettivo dominus.

161Cfr. Varr., De re rust., 1.2.23, supra, Cap 1 § 1.

162Si veda, in proposito, A. Di Porto, L’impresa agricola, cit., p. 337 e ss. 163Sul tema, cfr. supra, Cap. 1 § 3, Ulp. 20 ad Sab. D.33.7.8 pr.

164In proposito, si veda Ulp. 20 ad Sab. D.33.7.12.1: Conservandi fructus causa, veluti granaria, quia in his fructus custodiuntur, urceos capsellas, in quibus fructus componuntur: sed et ea, quae exportandorum fructuum causa parantur, instrumenti esse constat, veluti iumenta et vehicula et naves et cuppae et culei.

165Si vedano, sull’argomento, questi due passi: Ulp. 28 ad ed. D.14.3.5.2: Labeo quoque scripsit, si quis pecuniis faenerandis, agris colendis, mercaturis redempturisque faciendis praeposuerit, in solidum eum teneri; P. S. 2.8.2: Si quis pecuniae fenerandae agroque colendo, condendis vendendisque frugibus praepositus est, ex eo nomine quod cum illo contractum est in solidum fundi dominus obligatur: nec interest, servus an liber sit. In ambedue i brani si parla di un soggetto genericamente preposto, ma soltanto nel brano tratto dalle Pauli

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La figura manageriale ipotizzata da Di Porto, supervisore di tutte le attività commerciali gravitanti nei pressi della villa rustica, dallo sfruttamento delle cave di pietra, di sabbia e di creta, a quelle più specificamente agrarie ed alla vendita dei prodotti del fondo, era coadiuvata da singoli preposti di grado inferiore assegnati ai rispettivi specifici sotto-settori d’impresa. Sul super-preposto gravava una generale responsabilità inerente all’esito proficuo della negotiatio, l’attuazione dei precisi compiti gestionali impartiti dal dominus circa l’esercizio dell’attività commerciale, nonché la supervisione sugli altri institores166.

In questa direzione mi pare utile mettere in luce la totale libertà di cui godeva l’esercente nel “giocare” con lo schema delle facoltà che concedeva all’institore o, a maggior ragione, ai più institori:

Ulp. 28 ad ed. D.14.3.11.5: Condicio autem praepositionis servanda est: quid enim si certa lege vel interventu cuiusdam personae vel sub pignore voluit cum eo contrahi vel ad certam rem? Aequissimum erit id servari, in quo praepositus est. Item si plures habuit institores, vel cum omnibus simul contrahi voluit vel cum uno solo. Sed et si denuntiavit cui, ne cum eo contraheret, non debet institoria teneri: nam et certam personam possumus prohibere contrahere vel certum genus hominum vel

Sententiae viene indicato esplicitamente come incaricato della vendita dei frutti del fondo, accentrando, quindi, su di sé, la responsabilità delle fasi della produzione e della commercializzazione dei prodotti. Per tutti, in relazione ai passi sopra menzionati, A. Di Porto, Impresa collettiva, cit., p. 74 e ss. Fondamentale, per quanto affermato sul punto, anche il contributo di P. Cerami,

Tabernae deversoriae, cit., p. 465-466.

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negotiatorum, vel certis hominibus permittere. Sed si alias cum alio contrahi vetuit continua varatione, danda est omnibus adversus eum actio: neque enim decipi debent contrahentes.

L’incipit del passo ci ricorda come siano da osservarsi le condizioni della praepositio: in primo luogo, infatti, se il preponente avesse voluto che si contraesse con l’institore inserendo una certa clausola, solo per oggetti determinati, con l’intervento di determinati garanti personali o associando alla conclusione del negozio un pegno, risulterà giustissimo che si abbia riguardo a ciò per il quale l’institore è stato preposto; allo stesso modo, se qualche preponente si sarà dotato di una pluralità di preposti e sia stata sua intenzione che si contraesse con ognuno di essi, o solamente con uno, sarà da osservarsi quanto stabilito dal titolare della negotiatio; parimenti, infine, è vero che, qualora avesse diffidato taluno dal contrarre con l’institor, il preponente non sarà da ritenersi vincolato con l’actio institoria, per il fatto che è lecito impedire di contrarre ad una determinata persona o ad una specifica tipologia di uomini o di imprenditori, ed ugualmente è legittimo permettere di farlo a certe altre persone. Tuttavia, se con repentine variazioni, l’esercente arriverà a vietare di concludere un contratto, talvolta con un institore, talaltra con un altro, si dovrà concedere a tutti i contraenti la facoltà di esperire l’azione contro di lui: i contraenti, infatti, non devono essere tratti in inganno sfruttando inopinatamente le proprie legittime facoltà

prepositive.

Qui troviamo lo snodo del passo di maggiore interesse per la nostra argomentazione: se si voglia ripartire la gestione della negotiatio tra più preposti e anche si vogliano collocare gli stessi in rapporto gerarchico tra loro, a tutto ciò si potrà lecitamente provvedere mediante la redazione

di un documento che delinei con esattezza i poteri e le mansioni di ciascuno, ma, tuttavia, si dovrà prestare grande attenzione a non

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aver generato nei terzi contraenti abituali dell’impresa. Infatti, come da tempo è stato chiarito da un miliare studio in materia167, qualora tali clausole e condizioni apposte alla praepositio fossero state portate con opportuna pubblicità a conoscenza dei contraenti, questi, nel caso in cui non vi avessero prestato debita osservanza, perdevano la possibilità di avere tutela tramite l’actio institoria contro il preponente, ma la libertà di quest’ultimo nel delineare e modificare le condizioni contrattuali e l’organizzazione gestionale dell’impresa, come si evince dall’ultimo periodo del frammento, incontrava un insormontabile limite a tutela dei terzi contraenti nell’impossibilità di apportare alla praepositio continue modifiche circa la facoltà di contrarre con un certo institore. Questo in quanto si deve ipotizzare che anche il diritto romano, nel suo ruolo di precursore dei moderni ordinamenti giuridici, nella fattispecie avesse riconosciuto la rilevanza, meritevole di tutela, della peculiare posizione di affidamento del terzo contraente in buona fede.

L’imprenditore, in quest’opera di conferimento dei poteri negoziali ai propri sottoposti, di ripartire tra loro gli oneri di gestione dell’attività e di circoscrizione delle loro facoltà, in maniera indiretta, attraverso la predisposizione di condizioni generali di contrattazione, e/o direttamente, attraverso la ripartizione mansionale o mediante un’esplicita apposizione di divieti negoziali168, come si accennava, aveva come specifico onere quello di doversi attenere alle forme di pubblicità previste per la proscriptio:

167Si veda A. Petrucci, Per una storia, cit., p. 22-24.

168A. Petrucci, Per una storia, cit., p. 22 e ss.; M. A. Ligios, Nomen negotiationis,

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Ulp. 28 ad ed. D.14.3.11.3: Proscribere palam sic accipimus claris litteris, unde de plano recte legi possit, ante tabernam scilicet vel ante eum locum in quo negotiatio exercetur, non in loco remoto, sed in evidenti. Litteris utrum Graecis an Latinis? Puto secundum loci condicionem, ne quis causari possit ignorantiam litterarum. Certe si quis dicat ignorasse se litteras vel non observasse quod propositum erat, cum multi legerent cumque palam esset propositum, non audietur.

Nel frammento viene evidenziato come sia da intendersi l’affissione in pubblico delle prerogative dei dipendenti con funzioni manageriali, che deve essere fatta a chiare lettere, in modo che dell’argomento si possa avere una percezione corretta e immediata, davanti al locale commerciale oppure nel luogo in cui si eserciti la negotiatio, in un posto che non rimanga nascosto, ma ben visibile. Poi, il giurista si domanda se sia da scriversi in lingua greca o latina, arrivando alla conclusione che sia bene scegliere in base alla condizione del luogo, valutando cioè se in esso sia utilizzato maggiormente il primo o il secondo idioma, affinché nessuno possa prendere a pretesto l’ignoranza della lingua. Inoltre, sicuramente, non andrà preso in considerazione chi asserirà di non saper leggere o di non aver potuto osservare ciò che era stato affisso, quando molte persone l’avranno letto e questa scrittura sia stata affissa in pubblico. Dunque, questa iscrizione, chiara e facilmente leggibile, da affiggersi di fronte alla sede dell’impresa o più genericamente nei pressi del luogo di svolgimento dell’attività commerciale, posta in un punto evidente e scritta in una lingua comprensibile per i locali, recante il pieno rispetto dei requisiti appena elencati, depauperava a monte le eventuali lamentele dei contraenti con l’institore che dicessero di non conoscere, per motivi altri,

il contenuto della praepositio institoria.

Dal successivo paragrafo dello stesso giurista si colgono ulteriori elementi qualificanti la proscriptio:

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Ulp. 28 ad ed. D.14.3.11.4: Proscriptum autem perpetuo esse oportet: ceterum si per id temporis, quo propositum non erat, vel obscurata proscriptione contractum sit, institoria locum habebit. Proinde si dominus quidem mercis proscripsisset, alius autem sustulit aut vetustate vel pluvia vel quo simili contingit, ne proscriptum esset vel non pareret, dicendum eum qui praeposuit teneri. Sed si ipse institor decipiendi mei causa detraxit, dolus ipsius praeponenti nocere debet, nisi particeps doli fuerit qui contraxit.

Ulpiano ricorda, da subito, che quanto è stato pubblicamente affisso deve restarvi permanentemente, perché, se il contratto verrà concluso nel periodo in cui la scrittura non era affissa, oppure era oscurata, si incorrerà nell’actio institoria, come se la preposizione conferita all’institor fosse stata generale. Quindi, qualora il dominus avesse compiuto l’iscrizione, ma questa fosse stata rimossa da qualcuno, o accadesse che, per vetustà o per gli accidenti del tempo o per qualcosa del genere, quanto era stato scritto non risultasse più o non fosse leggibile, il preponente dovrà per tutto ritenersi tenuto; inoltre, se a sottrarre quanto scritto o a renderlo incomprensibile per trarre in inganno il contraente fosse stato l’institore, anche la sua posizione dolosa dovrà nuocere al preponente, a meno che il contraente non abbia partecipato egli stesso, con dolo, a rimuovere o a rendere illeggibile quanto affisso. La lettura congiunta dei summenzionati frammenti permette di avere un quadro completo della disciplina generale di tutela della posizione del contraente debole nel diritto romano di età

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commerciale169; vedremo meglio, tuttavia, nel corso del terzo capitolo170, come ulteriori guarentigie venissero riservate, in particolare, ai soli utenti delle imprese dedite alla prestazione di servizi, come quella

condotta dal caupo, in effetti, era171. Ma torniamo un momento al citato passo di Ulpiano rinvenuto in

D.4.9.1.5: nel suo secondo periodo si distingue chiaramente il ruolo imprenditoriale del negotiator e quello dell’institor, esercenti, diretti o in qualità di intermediari, l’attività commerciale, da quello dei servitori di umili mansioni connessi all’esercizio dell’attività di ricezione alberghiera,

169Con l’aggiunta, a dire il vero, di un ulteriore frammento ulpianeo, Ulp. 60 ad ed. D.5.1.19.3: Apud Labeonem quaeritur, si homo provincialis servum institorem vendendarum mercium gratia Romae habeat: quod cum eo servo contractum est, ita habendum atque si cum domino contractum sit: quare ibi se debebit defendere. Nel frammento si tratta della questione, che si venne a porre per Labeone, di un uomo della provincia che aveva a Roma un suo schiavo, preposto in qualità di institore, al fine di vendere delle merci: i contratti conclusi con quello schiavo sono da intendersi come conclusi col suo padrone e quest’ultimo dovrà giungere a Roma per difendersi dall’azione intentata nei suoi confronti. Ulpiano condivide la soluzione del più risalente giurista, sancendo la regola che l’azione fosse da intentarsi nel luogo di svolgimento dell’impresa, salvo si riscontrasse una diversa pattuizione. La ratio di tale soluzione sta nell’equiparazione di schiavo institore e padrone, riconoscendo allo schiavo institore la qualità di rappresentante diretto del padrone. Il frammento mostra, inoltre, la spiccata sensibilità dei giuristi nel conferire tutela alla parte debole del contratto, per il fatto che non spettava al contraente soggetto attivo del processo spostarsi nel luogo ove l’azienda aveva la propria sede principale, ma era il padrone della stessa che, per difendersi, doveva sopportare l’onere, le spese e i rischi, e mettersi in viaggio verso il luogo dove il contratto era stato stipulato.

170Cfr. Cap. 3 § 2-3-4.

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di cui nel testo si fa menzione (atriarii et focarii et his similes)172,

impiegati certamente allo scopo di fornire una quanto più variegata gamma di servizi173 ai clientes, ma sprovvisti del potere di vincolare il dominus per le obbligazioni da loro contratte quanto di quello di ricevere in custodia le cose dei clienti, vincolando per questa, ex recepto, l’esercente174. E per essere ancor più dettagliati sul punto, mi pare in via analogica non possa che richiamarsi la parte antecedente il citato scorcio giurisprudenziale:

Ulp. 14 ad ed. D. 4.9.1.3: Et sunt quidam in navibus, qui custodiae gratia navibus praeponuntur, ut “naufúlakes” et diaetarii. Si quis igitur ex his receperit, puto in exercitorem dandam actionem, quia is, qui eos huiusmodi officio praeponit, committi eis permittit, quamquam ipse navicularius vel magister id faciat, quod “cheirémbolon” appellant. Sed et si hoc non exercet, tamen de recepto navicularius tenebitur.

Nelle imprese di navigazione, che è bene ricordarlo sono esercizi che, come nel caso degli alberghi, forniscono servizi al pubblico, ci sono taluni dipendenti che vengono preposti specificamente per ragioni di custodia, come i guardiani delle navi stesse e delle cabine: se qualcuno tra questi abbia ricevuto delle cose dei clienti, il giurista reputa che debba darsi l'azione ex recepto contro l'armatore, poiché egli, avendoli preposti in particolare per quell’ufficio, assume la responsabilità anche per tutto ciò che essi ricevano in custodia, sebbene solo con l'armatore stesso, o con

172Per un quadro generale del personale presente nelle aziende alberghiere, si

veda T. Kleberg, Hôtels, restaurantset cabarets, cit., p. 87 e ss.

173Compreso, come diffusamente supra Cap. 1 § 2 sub d), lo sfruttamento della

prostituzione.

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il magister, potesse stipularsi il contratto di locazione della nave. C’è, a mio modestissimo parere, un problema comune da fronteggiare, tema su cui ci soffermeremo anche più oltre175, per il caupo così come

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