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e soggetti coinvolti

Come è possibile constatare immediatamente, non c’era appiglio che nello ius civile consentisse di tenere in conto le esigenze dei viaggiatori, che nei loro spostamenti si vedevano costretti a spostare un consistente fardello di bagagli, trasportando effetti personali e merci, talvolta, abbastanza preziose. Nonostante l’albergatore con la stipula del contratto di locazione mettesse al servizio dei clienti i suoi inservienti e, dunque, come più su si è chiarito203, anche il personale deputato alla sorveglianza dell’edificio e delle stanze, di norma non avrebbe assunto nessun obbligo inerente la conservazione delle cose degli utenti portate nella locanda. Al più sarebbe potuto essere chiamato a rispondere in giudizio per una sua colpa, per esempio, legata all’inidoneità dell’ambiente, come se il furto fosse stato favorito da una porta difettosa, oppure per un vizio nella sua attività di instruere di quanto necessario per la conduzione dell’impresa, come nel caso in cui i servi custodi si fossero addormentati durante la notte. Questo comportava evidentemente che, con intollerabile frequenza, i clienti si vedessero depredati durante i loro soggiorni in strutture

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ricettive aperte al pubblico; ciò spinse il pretore, nel corso del II secolo a.C.204, ad intervenire sul punto con uno specifico editto:

Ulp. 14 ad ed. D.4.9.1 pr.: Ait praetor: "Nautae caupones stabularii quod cuiusque salvum fore receperint nisi restituent, in eos iudicium dabo". Il breve frammento appena trascritto riporta le testuali parole del pretore, il quale, appunto, asserisce che concederà l’azione contro gli armatori, gli albergatori e i titolari di una stazione di cambio dei cavalli con annessa locanda, se questi soggetti non daranno indietro ogni cosa che dai clienti abbiano ricevuto affinché fosse custodita. Ma le profonde ragioni giuridiche ed anche di convenienza sociale che ispirarono questa normazione processuale (trattandosi, come detto, nello specifico, dell’introduzione di una puntuale tutela pretoria), sono spiegate meglio nel successivo frammento del Digesto giustinianeo:

Ulp. 14 ad ed. D.4.9.1.1205: maxima utilitas est huius edicti, quia necesse est plerumque eorum fidem sequi et res custodiae eorum committere ... et nisi hoc esset statutum, materia daretur cum furibus adversus eos quos recipiunt coeundi, cum ne nunc quidem abstineant huiusmodi fraudibus.

Il sillogismo è semplice: infatti, chi viaggia deve portare con sé vario genere di cose e, necessariamente, al momento di appoggiarsi ad una struttura ricettiva, deve fare affidamento sulla sicurezza delle stanze o dei depositi dove lascia i propri beni durante il soggiorno. Costui, inoltre,

204A. Petrucci, Per una storia, cit., p. 120, ipotizza che inizialmente l’editto

doveva aver preso in considerazione gli armatori di navi, poi, anche le altre due categorie di esercenti.

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non avrebbe un peso contrattuale tale da poter chiedere all’albergatore di assumere volontariamente l’obbligazione di conservare a suo rischio le cose indotte dai clienti, e, d’altronde, non vi sarebbe neppure stato uno schema negoziale idoneo: infatti, la stipula, simultanea alla locazione, di un contratto di deposito, essendo la responsabilità del depositario limitata al dolo, non avrebbe molto giovato al cliente. Non essendo pertanto responsabile per il perimento o il furto di questi beni, il caupo avrebbe avuto gioco facile nell’accordarsi con bande di ladri per dividere con esse i bottini sottratti ai viatores. Ad onor del vero, comunque, almeno fino al II secolo d.C.206, anche dopo l’introduzione del receptum era possibile per il caupo rifiutare di ricevere talune cose, oppure rifiutare in toto la garanzia (ed il cliente). È quanto sembra rendere esplicito D. 4.9.1.1207: ..neque quisquam putet graviter hoc adversus eos constitutum: nam est in ipsorum arbitrio, ne quem recipiant; si può anche ipotizzare che questa decisione potesse scaturire sia dalla circostanza di fatto che le cose fossero troppo preziose sia dal fatto che provenissero da un soggetto non gradito nella struttura. Che comunque una simile tutela fosse rivolta a riequilibrare uno squilibrio contrattuale che si era posto sul piano delle circostanze di fatto, in cui l’albergatore era venuto a contatto con il cliente, è testimoniato da un ulteriore testo:

Paul. 13 ad ed. D.4.9.4.1: Si nauta nautae, stabularius stabularii, caupo cauponis res receperit, aeque tenebitur.

206M. Talamanca, Istituzioni, cit., p. 609, puntualizza come, da questa epoca

in poi, l’assunzione di questa peculiare responsabilità per custodia diverrà elemento naturale nella stipula dei contratti di locazione con questi imprenditori.

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Paolo puntualizza il fatto che sarà ugualmente tenuto l’armatore che avrà ricevuto delle cose di un altro armatore, affinché queste fossero salvaguardate, così come il gestore di una stazione di cambio ricevente le cose di un altro gestore e l’albergatore per le cose ricevute in custodia da un altro albergatore. Ciò, in altri termini, significa che la posizione di debolezza economica è determinata proprio dalla situazione contingente del viaggio, indipendentemente dal fatto che il soggetto che si affida all’albergatore sia un suo collega, e, quindi, esperto di qualsiasi genere di furto o lesione che possa investire le cose ricevute in questi ospizi208. Perciò tutti i contraenti di tali strutture, perfino se imprenditori operanti nello stesso settore commerciale, in base a questa disciplina, avrebbero potuto chiedere ai gestori di tali esercizi di assumere siffatta responsabilità per la restituzione delle cose ricevute nei locali d’impresa. Bisogna chiedersi, a questo punto, chi doveva ricevere le cose dei clienti, perché l’imprenditore risultasse vincolato e potesse essere chiamato a rispondere con l’azione di cui ora si tratta.

L’esatta lettera del Digesto e la voce di Ulpiano che da esso promana, ancora una volta chiarisce il punto. Il passo, già in più luoghi utilizzato e citato in questa ricerca209, deve qui essere riportato in considerazione della sua pregnanza per i risultati della nostra indagine:

Ulp. 14 ad ed. D.4.9.1.2-3: Qui sunt igitur, qui teneantur, videndum est. Ait praetor "nautae". Nautam accipere debemus eum qui navem exercet: quamvis nautae appellantur omnes, qui navis navigandae causa in nave sint: sed de exercitore solummodo praetor sentit. Nec enim debet, inquit

208A. Petrucci, Per una storia, cit., p. 147. 209Cfr. supra, Cap. 2 § 2.

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Pomponius, per remigem aut mesonautam obligari, sed per se vel per navis magistrum: quamquam si ipse alicui e nautis committi iussit, sine dubio debeat obligari. 3. Et sunt quidam in navibus, qui custodiae gratia navibus praeponuntur, ut naufulakes et diaetarii. Si quis igitur ex his receperit, puto in exercitorem dandam actionem, quia is, qui eos huiusmodi officio praeponit, committi eis permittit...

Ulp. 14 ad ed. D.4.9.1.5210: Caupones autem et stabularios aeque eos

accipiemus, qui cauponam vel stabulum exercent, institoresve eorum. Ceterum si qui opera mediastini fungitur, non continetur, ut puta atriarii et focarii et his similes.

Nel § 2 di D.4.9.1 si riporta anzitutto la parola del pretore, il quale afferma che, dovendosi stabilire chi siano quelli da considerarsi tenuti, si deve rispondere che siano i nautae. Sorgendo un problema di polisemia circa quest’ultimo termine, il giurista si chiede se con la generica accezione di marinaio debba intendersi colui il quale esercita un’impresa di navigazione oppure chi materialmente agisce sulla nave per permetterle di navigare. Il pretore si riferiva sicuramente all’armatore e

questo soggetto, secondo Pomponio, non è da ritenersi tenuto per la ricezione compiuta da un rematore o da un marinaio di grado inferiore,

ma soltanto per quanto messo in atto da lui stesso o dal comandante della nave (c.d. magister navis); l’armatore sarà però, senza dubbio alcuno, vincolato, qualora avesse ordinato lui stesso che qualche cosa venisse data in affidamento ad un marinaio di umili mansioni. Nel terzo paragrafo si viene a conoscenza del fatto che vi fossero sulla nave alcuni soggetti preposti specificamente alla custodia, come, ad

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esempio, i guardiani della nave e delle cabine. Se taluno di questi avesse ricevuto delle cose in custodia, Ulpiano ritiene che debba concedersi l’azione avverso l’armatore, per la ratio che quest’ultimo, avendo preposto quel soggetto alla custodia, consentiva volontariamente che a

lui venissero affidate le cose dei clienti.

Nell’ultima porzione di D.4.9.1, di cui in questa sede non ripropongo la nota esegesi, ma che mi accingo di seguito a commentare, si fa strada l’idea che la stessa gerarchica ripartizione mansionale sia riscontrabile nell’impresa gestita dal caupo. Sicuramente, questa osservazione vale per il soggetto titolare e così per gli institori, che possono ricevere le cose dei clienti vincolando il primo, e vale anche per i servi di umili mansioni, che, invece, non lo possono obbligare per la conservazione delle cose dei clienti211; meno sicuro, ma plausibile, che anche in simili contesti vi fossero soggetti specificamente deputati alla custodia delle stanze. Ricapitolando, dunque, i soggetti che possono assumere l’obbligazione ex recepto nel contesto della gestione di un ostello, mi pare siano il titolare della negotiatio, i suoi institori e, se esistente, il personale addetto alla sorveglianza dei caenacula212.

211A. Földi, Caupones e stabularii, cit., p. 124 e ss. e A. Petrucci, Per una storia,

cit., p. 123 e ss.

212R. Zimmermann, The Law of Obligations. Roman Foundations of the Civilian Tradition, Cape Town, 1990, p. 517 e nt. 54.

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