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'Loci in quos ad tempus commorandi devertimus'. Il paradigma della ricezione alberghiera nel diritto romano

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Academic year: 2021

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Sommario

INTRODUZIONE

NASCITA, FIORITURA ED INQUADRAMENTO

GIURIDICO DELL’IMPRENDITORIA ALBERGHIERA

1. Premesse sistematiche dello studio, oggetto e finalità ... 3

2. La concezione del viaggio e le sue ragioni: una stretta

connessione col proliferare delle strutture alberghiere.

Breve

excursus

storico ... 7

3. Osservazioni preliminari: distinzioni terminologiche

e definizione perimetrale del settore

della ricezione alberghiera ... 14

CAPITOLO I

LE STRUTTURE DI RICEZIONE ALBERGHIERA:

FORME DI MANIFESTAZIONE ECONOMICA

E COMPONENTE AZIENDALE

1. Incidenza della collocazione geografica

sulle

negotiationes

dedite alla ricezione alberghiera ... 20

2. Le tipologie di tabernae deversoriae ... 28

3. La ricezione alberghiera

sotto il profilo dell’

instrumentum

aziendale ... 41

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2

CAPITOLO II

L’ORGANIZZAZIONE MANAGERIALE DELLE

TABERNAE DEVERSORIAE

1. L’impresa gestita tramite preposti

e la

negotiatio peculiaris

... 62

2. La gestione di un’impresa alberghiera

mediante la

praepositio institoria

... 65

3. La

negotiatio peculiaris

nel contesto della ricezione alberghiera... 79

CAPITOLO III

LA TUTELA

EX RECEPTO

NEI CONFRONTI

DEGLI ALBERGATORI

1.

Locatio rei

e ricezione alberghiera,

considerazioni preliminari ... 86

2. L’introduzione dell’

actio de recepto

contro i gestori delle strutture alberghiere:

logica socio-economica e soggetti coinvolti ... 90

3. Oggetto della tutela ... 96

4. Fondamento e limiti della responsabilità

ex recepto

... 100

(3)

3

INTRODUZIONE

NASCITA, FIORITURA ED INQUADRAMENTO

GIURIDICO DELL’IMPRENDITORIA ALBERGHIERA

1. Premesse sistematiche dello studio,

oggetto e finalità

La trattazione che mi accingo ad esporre è nata con la precipua finalità di descrivere, succintamente, un’area ben delimitata dell’imprenditoria romana la quale, tuttavia, in molte sue parti appare ancora un ginepraio dal quale difficilmente potrà districarsi uno studente, e che, però, proprio per questa sua fertilità, mi ha attratto, nella convinzione, non troppo erronea, spero, di cimentarmi al meglio in riflessioni talvolta originali e mere proposte di ricostruzione giuridica, quando non, mio malgrado, in suggestive congetture sugli istituti miliari dell’universo commerciale romano, piuttosto che su una ricostruzione dogmatica e compilativa di un istituto. Inoltre, mi sono interessato ad uno specifico settore economico per ragioni personali, per la centralità che ancora oggi riveste nell’economia del nostro Paese e per la sua contiguità con studi toccati durante il mio percorso universitario: la ricezione alberghiera, con la curiosità di indagarne le sue antiche origini da un punto di vista soprattutto giuridico, ma anche sociale e storico.

L’orizzonte verso il quale si prefigge di approdare codesto studio trapela, senza troppi ripensamenti, finanche dal titolo, che non si nasconde ed è plasmato, con licenza, declinando la definizione del lemma deversorium

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data dal Forcellini1; mi pare che già questo titolo possa conchiudere e molto ben sintetizzare lo schema della presente riflessione in materia: ogni sforzo sarà rivolto a delineare sotto il profilo economico, organizzativo e negoziale, le attività di coloro che pongono l’ospitalità

come oggetto principale delle proprie imprese. Nel capitolo di apertura mi sono speso, dunque, per dare della tematica,

sul piano socio-economico, una lettura analitica; questa si è risolta, nelle pagine iniziali, in una sorta di catalogazione delle principali tipologie di strutture ricettive alberghiere, che fonti giuridiche e più spesso letterarie ci testimoniano esser state, all’epoca, molto diffuse: con ciò si è tentato di mettere in luce come esista la possibilità di enucleare una nutrita gamma di esercizi ricettivi sulla base della loro collocazione geografica e della tipologia di servizi e di comodità da questi offerti ai viaggiatori, con ripercussioni, proprio in ragione di dette peculiarità, sul tipo di clientela ospitata. Infatti, oltre a diramare, su base testuale, un quadro il più possibile esauriente delle tipologie materiali di edifici e di spazi ascrivibili al settore alberghiero, tenendo anche conto delle riflessioni di alcuni eminenti studiosi2, si è ritenuto di svolgere la trattazione incentrandola sulla ricostruzione e sull’analisi delle cose strumentali presenti pressoché in tutti i locali predisposti a rifocillare ed ospitare viandanti e clienti stabili; in questo modo si è voluta offrire un’immagine ad ampio spettro della componente aziendale, sia degli strumenti inanimati, che di quelli animati della stessa, per arrivare a scoprire che,

1Cfr. E. Forcellini, Totius Latinitatis Lexicon, Padova, 1827-1831, sub voce Deversorium.

2Cfr., per tutti, P. Cerami, Tabernae deversoriae, Settore economico e regime giuridico nel periodo imprenditoriale, in Studi in onore di Antonino Metro, 1, Milano, 2009, p. 451 e ss.

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come ai moderni, anche ai giuristi antichi parve, dopo lungo dibattito, che anima dell’impresa, dell’esercizio commerciale, non potesse che essere l’essere umano, magari anche incarnato in uno schiavo, ma strumento però di un’attività dinamica e mai di un immobile. Si avrà modo di vedere, infatti, tramite tutta una serie di brani3, riportati e puntualmente analizzati, come la componente umana costituisse elemento imprescindibile, e poi pregnante marcatore, della qualità, del livello e delle funzionalità che un determinato immobile adibito a scopo ricettivo poteva esprimere, e di più della stessa esistenza di un esercizio imprenditoriale. Tale componente, così importante, sarà, poi, al centro della riflessione che si incontrerà addentrandosi nella parte centrale del

mio studio, volta a scandagliare la gestione di dette imprese. La negotiatio, termine che corrisponde, nella sostanza, al moderno

“impresa”4, poteva, infatti, essere condotta articolandosi sulla base di tre differenti modelli di riferimento: direttamente dal dominus, tramite la preposizione di un institore o mediante un servo (o un figlio) dotato di un patrimonio separato fornitogli dal padrone (o dal padre). Mi soffermerò, inoltre, sul regime di responsabilità, illimitata o ristretta entro i margini peculiari, che il dominus sopportava in virtù della modalità prescelta per esercitare la propria azienda alberghiera. Accennerò, inoltre, alle mansioni, le quali anche se non immediatamente, almeno di riflesso, potevano avere una certa rilevanza giuridica, intrattenute da dipendenti del titolare non aventi funzioni manageriali o comunque propriamente

negoziali.

3Tratti, per la maggiore, dal Liber XXXIII Titulus VII de instructo vel instrumentum legato del Digesto.

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Il terzo ed ultimo capitolo, lasciando sullo sfondo la tematica negoziale, troppo generale, dello studio del contratto di locazione, verterà, invece, sull’esame della speciale protezione di cui potevano beneficiare i clienti nei confronti dell’albergatore, per evitare che quest’ultimo rimanesse economicamente illeso a fronte del perimento o del danneggiamento delle cose ricevute da lui stesso in custodia. Ivi, esaurito lo spoglio dei soggetti attivi e passivi coinvolti dalla guarentigia pretoria, e dopo averne esplicato la ratio di fondo, trovando conforto in alcuni passi dei giuristi dell’epoca, procederò ad una breve analisi nel merito del suo oggetto, per

arrivare a delinearne lo spettro di applicabilità ed i suoi limiti. Il receptum5, nato sulla scorta dell’esigenza contingente, sapientemente

avvertita dal pretore, di concedere una primordiale forma di tutela ai consumatori, è istituto di grande interesse come forma efficace, seppure embrionale, di tutela dell’affidamento in buona fede del contraente debole o in momentanea situazione di inferiorità per l’essere costretto a rivolgersi ad un certo prestatore di servizi.

5Sul tema si veda, per tutti, A. Petrucci, Per una storia della protezione dei contraenti con gli imprenditori, I, Torino, 2007, p. 119 e ss.

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2. La concezione del viaggio e le sue ragioni:

una stretta connessione col proliferare delle strutture

alberghiere. Breve

excursus

storico

La ricerca, che mi appresto ad effettuare, è collocabile in circa

cinquecento anni della storia di Roma6 a cavallo dell’avvento di Cristo. La porzione temporale che ho preso in considerazione per affrontare lo

studio della nascita e della fioritura delle attività di ricezione alberghiera, prende le mosse dall’istituzione, nel 242 a.C., del praetor peregrinus (con la conseguente nascita del processo formulare) e arriva fino all’anarchia militare, che darà vita al modello costituzionale del dominato7, dopo la morte dell’ultimo esponente della dinastia dei Severi, Alessandro, e l’ascesa al potere del generale Massimino, detto il Trace, nel 235 d.C. A partire, infatti, dalla seconda metà del III secolo d.C., Roma si impose, dopo più di vent’anni di estenuanti battaglie, navali e terrestri, su Cartagine8: il dieci Marzo del 241 a.C. la flotta romana, agli ordini del

6La collocazione degli eventi storici è stata possibile grazie alla consultazione di

C. Giachi - A. Baroni, Cronologia della storia romana dall’età protostorica al 476 d.C., in A. Giardina – A. Schiavone, Storia di Roma, Torino, 1999, p. 897 e ss.

7Per una puntuale focalizzazione sugli avvenimenti e sui rilievi pubblicistici di

detto periodo, A. Petrucci, Corso di Diritto Pubblico Romano, Torino, 2012, p. 155.

8Per la precisione, il periodo storico interessato va dalla battaglia di Messina del

264 a.C. a quella, decisiva, combattuta lungo le coste del Monte Erice (Trapani) nel 241.

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console Gaio Lutazio Catulo9, stanziata in Sicilia nei pressi delle isole Egadi, sbaragliò quella africana segnando, di fatto, la fine del suo dominio su quello che, da allora, verrà ribattezzato mare nostrum, strappando alla compagine appena sconfitta quel ruolo assoluto di protagonista dei traffici marittimi commerciali che fino ad allora aveva incarnato10. La conquista della Sicilia11, che divenne la prima provincia romana, significò per Roma, oltre ad un notevole prestigio internazionale, un cambiamento a dir poco totalizzante delle impalcature che fino ad allora ne avevano sorretto il sistema economico12: il controllo incontrastato del mare, unito a tutta una serie di successi bellici che nell’arco di due secoli porteranno Roma alla conquista di nevralgiche città portuali e all’apertura di fiorenti rotte commerciali, determineranno la nascita di un nuovo, e fino ad allora sconosciuto, sistema mercantile, il quale andò col tempo a

9Il quale fece erigere a Roma, in memoria della straordinaria vittoria, un tempio

in onore di Giuturna. Tutt’altra sorte toccò al comandante della fazione avversaria, Annone, condannato a morte per la gravissima sconfitta; questa si ripercuoterà negli anni successivi su Cartagine, che aveva perso, inesorabilmente, la forza militare ed il dominio sul Mediterraneo, e verrà definitivamente distrutta, quasi cento anni dopo, nel 146 a.C.

10Cfr. P. Bonfante, Storia del commercio. Lezioni tenute all’Università commerciale Bocconi, I, Torino, 1946, p. 116 e ss.; E. Gabba, Allora i romani conobbero per la prima volta la ricchezza, in Del buon uso della ricchezza. Saggi di storia economica e sociale del mondo antico, Milano, 1988, p. 20; F. De

Martino, Storia economica di Roma antica, I, Firenze, 1979, p. 126 e ss.; J. Andreau, L’économie du monde romain, Paris, 2010, p. 181 e ss.

11Conquista che si stabilizzò nella sua interezza solo nel 202 a.C. con la vittoria

di Scipione, che, dopo l’esito favorevole dello scontro con Annibale Barca a Zama, si guadagnò l’appellativo di “Africano”; tale battaglia sancì la fine della seconda guerra punica. Per un preciso richiamo agli eventi si rimanda a C. Giachi – A. Baroni, Cronologia della storia romana, cit., p. 903-905.

12L. Capogrossi Colognesi, Storia di Roma tra diritto e potere, Bologna, 2009,

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prendere il posto del primordiale, seppur prosperoso, sistema agricolo13. Questo cambiamento, che divenne sempre più evidente allorché Roma s’impose una seconda volta su Cartagine, conquistando, poi, di seguito, le coste anche in Dalmazia14, si ripercosse inoltre sulla eterogeneità di materie prime15 e di generi alimentari che si vennero pian piano ad insinuare nella quotidianità dell’Urbe dalle nuove rotte commerciali, di cui era divenuta indiscutibilmente padrona. L’espansione territoriale e la nuova curiosità per tutto ciò che provenisse dall’esterno mutò la prospettiva politica e commerciale della classe dirigente romana,

favorendone la propensione all’iniziativa economica e speculativa. Il copioso afflusso di merci e capitali che occorse alle città romane portò

con sé il proliferare delle imprese di navigazione16 e di botteghe aventi i più svariati oggetti commerciali17 (si tratta delle tabernae di cui parla

13Sul punto, si vedano F. De Martino, Storia economica di Roma antica, cit.,

p. 87 e ss.; L. Capogrossi Colognesi, La città e la sua terra, in A. Schiavone,

Storia di Roma. Roma in Italia, I, Torino, 1988, p. 263 e ss.; F. Serrao, Diritto privato economia e società nella storia di Roma. Dalla società gentilizia alle origini dell’economia schiavistica, I, Napoli, 2006, p. 109 e ss.; J. Andreau,

L’économie, cit., p. 51 e ss.; E. Lo Cascio, Crescita e Declino. Studi di Storia dell’economia romana, Roma, 2009, p. 19 e ss.; E. Gabba, Ricchezza e classe dirigente romana fra III e I sec. a.C., in Del buon uso della ricchezza, cit., p. 27 e ss.

14C. Giachi – A. Baroni, Cronologia della storia romana, cit., p. 903.

15Sull’argomento, J. Carcopino, La vita quotidiana a Roma all’apogeo dell’Impero,

trd. it. Roma-Bari, 1941, ed. 2007, p. 204; P. Bonfante, Storia del commercio,

cit., p. 116 e ss.; F. De Martino, Storia economica di Roma antica, cit., p. 125 e ss.

16F. De Martino, Storia economica di Roma, cit., p. 133-134.

17Sulla nozione e sul significato di taberna instructa si rimanda a M. A. Ligios, “Taberna”, “negotiatio”, “taberna cum instrumento” e “taberna instructa” nella riflessione giurisprudenziale classica, in <<Antecessori oblata>>. Cinque studi

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Ulpiano18, predisposte ed attrezzate per l’esercizio di attività economica a scopo di lucro). Le negotiationes, che per mezzo di esse erano condotte, spaziavano dalla vendita al dettaglio di generi alimentari alla mescita di vini, dalle officine metallurgiche alle falegnamerie, dal commercio di beni di lusso e preziosi a quello di libri19, profumi, vestiti e quant’altro. In tale fertile fermento, non poterono i costumi, le usanze e la mentalità dei romani non aprirsi alla ricerca di appagamento delle mutate e mutevoli esigenze sociali, nonché dei nuovi appetiti personali. Roma era divenuta un luogo di incontro per uomini d’affari, una proficua sede di imprese bancarie, il centro di una politica avente rilevanza internazionale e certo un luogo di affanni per tutti coloro che in tale reticolo urbano dovevano districarsi. L’Urbe e le città romane più importanti si prepararono, quindi, ad alloggiare un numero sempre crescente di abitanti e viatores: di ciò risultano essere chiari indicatori la fervente attività edilizia che andò intensificandosi a partire dal terzo secolo a.C., fino a raggiungere i suoi massimi livelli agli albori dell’Impero20, e, soprattutto, la significativa diffusione dell’esercizio

dedicati ad Aldo Dell’Oro, Padova, 2001, p. 23 e ss. ed a P. Cerami – A. Petrucci, Diritto Commerciale Romano. Profilo storico, Torino, ed. III, 2010,

p. 51 e ss.

18Ulp. 28 ad ed. D.50.16.185, si veda Cap. 2 § 2.

19Per questa specifica categoria di negotiatio, importantissimo il recente studio

di P. Cerami, Tabernae librariae. Profili terminologici, economici e giuridici del commercio librario e dell’attività editoriale del mondo romano, in AUPA 58, 2015, p. 11 e ss.

20Si veda, sull’argomento, E. Gabba, Riflessioni antiche e moderne sulle attività commerciali a Roma nei secoli II e I a.C., in Del buon uso della ricchezza, cit., p. 98-99.

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professionale dell’attività alberghiera21, che vide, soprattutto nella prima parte dell’età imperiale, una fioritura, nelle città e province romane, di edifici, di differenti varietà22, atti ad offrire, sotto pagamento di una mercede, vitto e alloggio alla clientela ospitata. Questo insieme di circostanze favorevoli da un punto di vista economico, unite alla incrementata fruibilità della rete di comunicazione stradale, continuamente migliorata per favorire e snellire i traffici commerciali, alimentò altri moventi, rispetto a quello militare, capaci di stimolare a viaggiare, come osservato da una famosa archeologa e scrittrice: <<L’uomo romano viaggia: in primo luogo nell’esercito, poi per lavoro, spesso per necessità, talvolta per sete di conoscenza e per puro piacere>>23. I luoghi più belli d’Italia24 furono letteralmente presi d’assalto, con una conseguente folle impennata della produzione edilizia25, contro cui si scagliò duramente, tra gli altri, pure Seneca26, dato che rischiava di cambiare i connotati di veri e propri paradisi terrestri. I romani, in special modo quelli delle classi più abbienti, quando

21P. Cerami, Tabernae deversoriae, cit., p. 451 e ss. 22Cfr. Cap. I § 1-2.

23F. Guidi, Vacanze romane. Il tempo libero e la vita quotidiana nell’antica Roma,

Milano, 2015, p. 221.

24Orazio, ad esempio, vi annovera lo splendente ed impareggiabile golfo di Baia;

cfr. Hor., Epist. 1.1.83.

25Fonte di ricchezza la quale, a partire dal I secolo a.C., andò ad affiancarsi a

quella agricola; l’interesse per essa si era manifestato da principio in età repubblicana e negli anni dell’Impero andò rafforzandosi per l’opulenza catalizzata dai mercati delle più importanti città peninsulari: E. Gabba, Ricchezza e classe dirigente romana, cit., p. 27 e ss.; P. Bonfante, Storia del commercio,

cit., p. 116 e ss.; F. De Martino, Storia economica di Roma antica, cit., p. 59 e ss.

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l’itinerario non era determinato da ragioni di affari, preferivano, al fine di riposarsi dagli affanni della politica e più in generale della vita cittadina, le mete che si affacciavano sulle coste del Mediterraneo, in particolare quelle dell’Italia meridionale, come il golfo di Napoli, la penisola sorrentina, Baia, le meravigliose spiagge pugliesi e calabresi, e alcuni di loro, come Cicerone, possedevano una o più ville fuori città27, site in paesaggi da sogno dove potersi ristorare dai travagli della vita quotidiana e magari godere delle pietanze locali sapientemente cucinate dalla servitù. Non tutti però, anzi, solamente pochi eletti, potevano permettersi il lusso di compiere un così ingente investimento, o godere semplicemente dell’ospitalità di un amico benestante; alle persone “normali” non restava, si fa per dire, che cercare una sistemazione in base alle proprie esigenze e, soprattutto, possibilità economiche, cercando di accaparrarsi, come sovente facciamo anche oggi nel terzo millennio, un’offerta imperdibile o una vacanza a buon prezzo, magari in una delle tante tabernae deversoriae allocate nei pressi delle località summenzionate28, che nella bella stagione si affollavano e pullulavano di rappresentanti dei più vari ceti sociali, intenti soltanto a divertirsi, svagarsi, passare intere giornate al mare o alle terme, pescare, ben bere e mangiare, niente di meno, insomma, di tutto quello che cerca di fare, in

27Cic., ad Att. 2.8.2; ma si pensi, ad esempio, anche alla meravigliosa villa Jovis,

sita a Capri, dell’imperatore Tiberio, rimasta tristemente famosa per la pratica attribuita all’imperatore stesso e tramandataci da Svetonio, Tiberius, 62, del “salto di Tiberio”.

28F. Guidi, Vacanze romane, cit., p. 214 e ss., con particolare riguardo a p. 215,

ove l’Autrice offre un piccante scorcio asserendo che <<Di tutte le località della costa, Baiae, Baia, è senz’altro la più famosa, quasi una Porto Cervo ante litteram>>.

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vacanza, il moderno consumatore. Chi non era in vacanza, mi si conceda la celia, invece, era il praetor peregrinus, che, dall’anno della sua istituzione nel 242 a.C., aveva puntualmente vegliato sulle esigenze dei nuovi mercati, concedendo, nel corso del II secolo a.C., tutta una serie di azioni utilizzabili contro l’imprenditore, non soltanto commerciale, ma pure operante nel settore della prestazione dei servizi, come, nel caso di specie l’albergatore, solitamente indicate dai moderni, con termine onnicomprensivo, adiecticiae qualitatis: l’actio exercitoria, institoria e tributoria, ed anche quelle contemplate dal triplex edictum, ovverosia l’actio de peculio, de in rem verso e quod iussu29.

29D.15.1.1 pr.: Ordinarium praetor arbitratus est prius eos contractus exponere eorum qui alienae potestati subiecti sunt, qui in solidum tribuunt actionem, sic deinde ad hunc pervenire, ubi de peculio datur actio. Est autem triplex hoc edictum: aut enim de peculio aut de in rem verso aut quod iussu hinc oritur actio. Per la sistematica ubicazione delle sopraccitate azioni nell’editto pretorio si rimanda a: M. Miceli, Sulla struttura formulare delle ‘actiones adiecticiae qualitatis’, Torino, 2001, p. 7 e ss.; ID., Studi sulla “Rappresentanza” nel diritto romano, vol. 1, Torino, 2008, p. 31 e ss.; J. J. Aubert, Business Managers in Ancient Rome: a Social and Economic Study of Institores, 200 B.C.-A.D. 250, Köln-Leiden-New York,1994, p. 52 e ss.

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3. Osservazioni preliminari:

distinzioni terminologiche e definizione perimetrale del

settore della ricezione alberghiera

La piccola porzione di imprenditoria romana, che ci si è prefissi di prendere ad esame, trasse, come si è appena avuto modo di vedere nelle pagine precedenti, enorme vigore dalla progressiva espansione dei commerci30, dal fiorire nei contesti urbani di una copiosa serie di attività commerciali (tabernae instructae31), di scambio (anche ambulante, come

nel caso dei lupinarii, fructuarii, peponarii, venaliciarii)32, ma anche

industriali e produttive (come le officinae e le figlinae33). Il mio studio

non può prescindere da un’indagine circa la terminologia giuridica e non, indicante gli elementi portanti di questa forma d’impiego del patrimonio immobiliare. Le negotiationes alberghiere prosperavano proprio grazie a

30P. Cerami, Tabernae deversoriae, cit., p. 451 e ss. e M. Bianchini, Attività commerciali fra privato e pubblico in età imperiale, in Fides Humanitas Ius.

Studii in onore di Luigi Labruna, Napoli, 2007, I, p. 428.

31Su codesta locuzione, si vedano M. A. Ligios, “Taberna”, cit., p. 23 e ss.; A. Di

Porto, Il diritto commerciale romano. Una “zona d’ombra” nella storiografia romanistica e nelle riflessioni storico-comparative dei commercialisti, in

Nozione formazione e interpretazione del diritto dall’età romana alle esperienze moderne. Ricerche dedicate al Professor Filippo Gallo, III, Napoli, 1997, p. 413 e ss.; P. Cerami – A. Petrucci, Diritto Commerciale Romano, cit., p. 51 e ss.; P. Cerami, Impresa e societas nei primi due secoli dell’impero, in AUPA 52, 2007-2008, p. 93, 97, 99 e ss.

32J. Carcopino, La vita quotidiana a Roma, cit., p. 205 e ss.

33A. Di Porto, Filius, servus e libertus. Strumenti dell’imprenditore romano, in M.

Marrone, Imprenditorialità e diritto nell’esperienza storica (Erice 22-25 novembre 1988), Palermo, 1992, p. 231 e ss.

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questa pulsante economia e si vennero ad articolare, come meglio vedremo in seguito, sulla base di modelli organizzativi cui la totalità delle imprese romane34, sulla scorta delle azioni adiettizie35, si erano adeguate. Per mia opinione si rende necessario, a questo punto, e prima di cimentarsi nell’analisi sistematica di dette negotiationes, andare a scandagliare il vasto bagaglio terminologico con cui i giuristi, e più in generale la società, erano soliti indicare l’edificio, l’albergatore, le stanze

ed i clienti.

Il deversorium36, locus in quem non habitandi, sed ad tempus commorandi

devertimus37, o la taberna deversoria38, indica, nel suo significato

giuridico, un luogo che a tale ricezione temporanea è rivolto in maniera stabile, in cui è svolta un’attività professionale finalizzata all’erogazione

di servizi alla clientela allo scopo di ottenere un lucro39; al termine taberna, che significa letteralmente “locale”, è ascrivibile, da

un punto di vista giuridico, un generale significato di luogo ove si esercita una attività commerciale40, un negozietto, una bottega, ma,

34Cfr. P. Cerami – A. Petrucci, Diritto Commerciale Romano, cit., p. 46. 35Di cui supra, Intr. § 2.

36Termine che ricorre in Pet. Sat. 81; 82; 95; Cic. Ad. fam. 6.19.1; 7.23.2; Hor., Epist. 1.15.10; Liv. Ab. urb. cond. 45.22.2; Apul., Met. VIII, 29.

37E. Forcellini, Lexicon, cit., sub voce Deversorium.

38Espressione rinvenibile in Plauto, Men. 436 e Truc. 696; Varr., De re rust.

1.2.23; Svet., Nero, 27.3; in Pet., Sat. 79, Encolpio, uno dei protagonisti dell’opera, si riferisce al deversorium con il termine taberna.

39P. Cerami, Tabernae deversoriae, cit., p. 453-454; ID., Tabernae librariae,

cit., p.18.

40M. A. Ligios, “Taberna”, cit., p. 23 e ss.; A. Di Porto, Filius, servus e libertus,

cit., p. 253 e ss.; ID., Il diritto commerciale romano, cit., p. 413 e ss.; P. Cerami,

Impresa e societas, cit., p. 99 e ss.; ID., Tabernae librariae, cit., p. 18; P. Cerami – A. Petrucci, Diritto Commerciale Romano, cit., p. 51 e ss.

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a partire dal II secolo a.C., sovente ricorre, nelle fonti letterarie, associato al termine meritoria41 (taberna meritoria), per indicare un

ostello per viaggiatori42, molto spesso destinato ad una clientela di basso livello sociale43. Dunque, mi pare si possa arguire che taberna deversoria e taberna meritoria siano delle tipologie peculiari di taberna instructa, dedite a servizi di ricezione di ospiti di passaggio. Il termine hospitium, anch’esso rinvenibile nel Satyricon44, viene tradotto,

nella maggior parte dei casi, in relazione a tale opera, come rifugio d’amore, ma indica, in un’accezione architettonica, una singola stanza, che potrebbe anche essere denominata cella45, e non l’intero edificio,

anche se in Apuleio46 e in Plinio il Giovane47 col termine si indica

41Che indica, comunque, come parola a sé stante, un utilizzo speculativo

differente da quello della permanente locazione dei cenacoli, ovverosia la gestione di una pensione ubicata all’interno di una domus con giardino in Ulp. 18

ad Sab. D.7.1.13.8, per l’analisi del quale si veda Cap 1 § 2 sub c), e l’affitto di stanze d’albergo in Ulp. 31 ad ed. D.17.2.52.15: Si quis ex sociis propter societatem profectus sit, veluti ad merces emendas, eos dumtaxat sumptuum societati imputabit qui in eam rem impensi sunt: viatica igitur et meritoriorum et stabulorum, iumentorum carrulorum vecturas vel sui vel sarcinarum suarum gratia vel mercium recte imputabit.

42Val. Max. I, 7 ext. 10.

43I viaggiatori di classe sociale elevata, si tornerà sul punto in seguito,

preferivano fare la spola da un amico all’altro, essere ospitati da conoscenti e alleati politici o commerciali. Cfr. Hor., Carm. 1.4.13; comunque, mi pare significativo che col termine taberna si intenda anche la bottega del commerciate situata al piano terra dell’insula, ed anche il piccolo e modesto alloggio prossimo a questa dove dormiva lo stesso bottegaio; J. Carcopino, La vita quotidiana a Roma, cit., p. 35-36.

44Pet., Sat. 91. 45Pet., Sat. 94-95. 46Apul., Met. I, 7.

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l’albergo, mentre per Giovenale48 designa un unico miserabile alloggio. E qui, inoltre, il termine hospitium diverge da deversorium per il fatto che, mentre quest’ultimo era predisposto per ottenere un profitto, il primo era uno spazio concesso a titolo gratuito49. È facile notare, quindi, che, da un lato, mentre nelle fonti letterarie, superata la promiscuità del lemma, come detto usato per indicare talvolta l’intera pensione, altre volte la singola stanza, il termine hospitium indica anche un’attività di ricezione alberghiera rivolta ad una clientela umile, dall’altro, per il diritto, è utilizzato solamente per designare un alloggio concesso

gratuitamente50.

L’editto pretorio aveva sancito che alberghi e pensioni fossero indicati con il termine cauponae51, ma anche il giurista Paolo equipara a questo il segno meritoria e quelli di stabula e deversoria52, in quanto accomunati dalla spettanza ai loro clienti dell’actio furti in factum contro gli

esercenti.

48Iuv., Sat. III, 166: ... magno hospitium miserabile...; Sat. VII, 70: ... nam si Vergilio puer et tolerabile desset hospitium ...

49Cfr. Ulp. 6 ad ed. D.3.2.4.2, Cap. 1 § 2 sub d); Ulp. 18 ad Sab. D.7.1.13.8,

Cap. 1 § 2 sub c); Ulp. 31 ad ed. D.17.2.52.15, su cui si veda supra, nt. 41. Inoltre, fondamentale per questa specifica argomentazione è il brano di Val. Max. I, 7 ext. 10, dove si mette in risalto la differente sorte occorsa a due compagni di viaggio i quali, giunti a Megara, trovano alloggio, l’uno in una casa come ospite (alter se ad hospitem contulit), l’altro in un albergo (alter in tabernam meritoriam devertit).

50P. Cerami, Tabernae deversoriae, cit., p. 453.

51Il termine era nato per indicare gli alloggi, ubicati fuori città sugli snodi

stradali maggiormente trafficati, di cui potevano fruire i viaggiatori; sul punto, M. Bianchini, Attività commerciali fra privato e pubblico, cit., p. 435.

52P. S. 2.31.61: Quaecumque in caupona vel in meritorio stabulo diversoriove perierint, in exercitores eorum furti actio competit.

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I clienti dell’albergo erano detti hospites53, deversitores54 e deversores55;

inoltre, un celebre passo di Ulpiano, in D.47.5.1.656, mette in luce come sovente si distinguessero due tipologie di ospiti57: i viatores, clienti di passaggio, e gli inhabitatores perpetui, clienti che abitualmente

risiedono nell’albergo.

Affiora, quindi, alla luce di quanto detto, osservando la questione sotto il profilo socio-economico, che, per quanto concerne le strutture ricettive site fuori dalle mura delle città, il deversorium è un albergo destinato ai soli viatores, così come anche il meritorium58,

mentre la caupona può dare alloggio anche ad una clientela intenzionata a prolungare il proprio soggiorno59. Per quanto riguarda l’ambito

cittadino, invece, l’albergo viene per lo più indicato dalle fonti come deversorium o taberna deversoria60, e con la terminologia

differente, in voga nel linguaggio comune, si indicavano, promiscuamente, pensioni ospitanti clienti di passaggio e fissi, certamente rappresentanti

di ceti sociali modesti.

Comunque, per quanto strettamente attiene al profilo giuridico, si può affermare che con ognuno di questi termini diffusi socialmente possa

53Pet., Sat. 95. 54Pet., Sat. 79.

55Cic., De inv. 2.4.14-15, su cui, diffusamente, supra, Cap. 1 § 2 sub a). 56Su cui, ampiamente, Cap. 1 § 2 sub e).

57Analizzando da Paul. 22 ad ed. D.4.9.6.3, A. Földi, Caupones e stabularii nelle fonti del diritto romano in Mélanges Fritz Sturm offerts par ses collègues et ses amis à l’occasion de son soixante-dixième anniversaire, Université de Liège, 1999, p. 125, anche questo Autore giunge alla medesima conclusione, asserendo che i viatores non si servissero della caupona solamente per mangiare e bere.

58Cfr. Ulp. 2 de omn. trib. D.50.16.198, su cui, lautamente, Cap I § 2 sub e). 59P. Cerami, Tabernae deversoriae, cit., p. 458.

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indicarsi la categoria della ricezione alberghiera e che a queste tipologie di esercizi, indifferentemente, si associ ogni specifica disciplina giuridica di settore.

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CAPITOLO I

LE STRUTTURE DI RICEZIONE ALBERGHIERA:

FORME DI MANIFESTAZIONE ECONOMICA E

COMPONENTE AZIENDALE

1. Incidenza della collocazione geografica sulle

negotiationes

dedite alla ricezione alberghiera

I primi due capitoli di questa trattazione sono, come detto61, dedicati a delineare dal punto di vista socio-economico e tecnico-giuridico la struttura imprenditoriale62 degli esercizi di ricezione alberghiera e studiano un arco temporale compreso tra la tarda repubblica e il terzo secolo dell’impero; il paragrafo che segue, in particolare, è rivolto ad individuare un quadro completo delle forme di manifestazione socio-economica delle negotiationes alberghiere, mettendone in luce le peculiarità e gli elementi di comunione che le contraddistinguono. Da principio, per districarmi nella sterminata tavolozza delle fonti e dare un’organizzazione sistematica al mio studio, ritengo necessario individuare due macro-categorie di dette negotiationes: le urbane e le extraurbane; come vedremo, infatti, la collocazione geografica delle

61Si rimanda, in proposito, supra, Intr. § 1.

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stesse assume una pregnante rilevanza rispetto al bacino di utenza di riferimento, nonché in rapporto alle peculiarità delle rispettive componenti aziendali. È opportuno rilevare che le imprese alberghiere costituiscono un particolare genus negotiationis e sono tutte accomunate da un tratto caratterizzante, come ben si evince da Paolo:

Paul. 22 ad ed. D.4.9.6.3: In factum actione caupo tenetur his, qui habitandi causa in caupona sunt: hoc autem non pertinet ad eum qui hospitio repentino recipitur, velut viator.

In questo brano si affronta la tematica della responsabilità dell’albergatore in caso di furti o danneggiamenti delle cose dei clienti: con un’azione modellata sul fatto questi potrà essere chiamato a rispondere del pregiudizio da costoro patito. Il frammento paolino, anzitutto, distingue due categorie di persone che potevano trovarsi nella struttura alberghiera: coloro i quali ne fruivano per un soggiorno fugace (hospitio repentino) e coloro i quali erano ospiti abituali dell’albergo (habitandi causa). L’albergatore era legittimato passivo dell’actio in factum furti e damni per il fatto dei clienti abituali, ma non per quello dei clienti di passaggio (viator63). Mettendo da parte per un momento il

parere espresso dal giurista riguardo alla responsabilità dell’albergatore, pare evidente che le strutture alberghiere siano funzionalmente strutturate, gestite ed adibite alla ricezione per periodi di tempo più o meno prolungati ed alla momentanea ospitalità. Sono numerose le fonti giuridiche, ma più ancora letterarie, che ci consentono di individuare la vasta gamma di tabernae deversoriae diffusesi a Roma già in epoca tardo repubblicana; è quindi necessario

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dare di queste una quantomeno succinta elencazione, cercare di descriverne i tratti peculiari, estrinsecandone i momenti di comunione e

di differenziazione.

È preliminarmente interessante rilevare come i vari generi di tabernae deversoriae si siano sviluppati con caratteristiche specifiche determinate dalla loro collocazione territoriale e dalla tipologia di servizi offerti al pubblico64. Un edificante brano di Marco Terenzio Varrone sarà di aiuto sul punto:

Varr., De re rust. 1.2.23: Sed ut neque lapidicinae neque harenariae ad agri culturam pertinent, sic figlinae. Neque ideo non in quo agro idoneae possunt esse non exercendae, atque ex iis capiendi fructus: ut etiam, si ager secundum viam et opportunus viatoribus locus, aedificandae tabernae deversoriae, quae tamen, quamvis sint fructuosae, nihilo magis sunt agri culturae partes. Non enim, si quid propter agrum aut etiam in agro profectus domino, agri culturae acceptum referre debet, sed id modo quod ex satione terra sit natum ad fruendum.

Il Reatino ben spiega, nella prima parte del passo, come, sebbene le cave di pietra, di arena e di argilla non abbiano niente a che fare con l’agricoltura, anche queste debbano essere messe a profitto nel fondo dove sono situate. L’Autore esplicita succintamente questo concetto per affermare che, in tal modo, si debba guardare anche ad un fondo sito lungo una via di comunicazione ed in un punto strategico per i viaggiatori: da questa collocazione, infatti, deriva che sullo stesso possano essere costruiti locali di ristoro con alloggi per persone in viaggio, che sono in grado, se opportunamente messi a frutto, di produrre profitto proprio in

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ragione della loro peculiare localizzazione geografica, sebbene il profitto in questione non abbia alcuna attinenza con l’agricoltura. In altri termini, così come allo sfruttamento del fondo afferisce lo sfruttamento delle cave e delle miniere, allo stesso modo vi è connessa l’attività ricettiva65. Tuttavia, Varrone spiega che il proprietario del fondo non deve attribuire all’agricoltura il profitto che gli proviene da tutte le attività che sono svolte sul suo podere, ma soltanto i frutti della terra, di cui potrà godere

a seguito della semina.

All’interno di questo passo, l’Autore evidenzia come, qualora un fondo fosse ubicato lungo vie di comunicazione e costituisse un luogo idoneo a soddisfare i bisogni dei viaggiatori, ciò favorisse sovente la nascita, nelle sue vicinanze, di apposite tabernae deversoriae; queste, costituite per

65Qui rivelatore è l’utilizzo del termine tecnico tabernae deversoriae (su cui, già

si è detto, si espresse magistralmente E. Forcellini, Lexicon, cit., sub voce

Deversorium), il cui significato doveva essere ben presente anche ad un Autore non giurista, ma di notevole cultura come Varrone. La circostanza è tuttavia ignorata ancora oggi da molte pubblicazioni non giuridiche, cfr., tra gli altri, A. Tchernia, The Romans and Trade, Oxford, 2016, p. 141, che ipotizza si trattasse, in buona sostanza, di mere mescite di vino e spacci di prodotti agricoli e E. Salza Prima Ricotti, Amori e amanti a Roma tra repubblica e impero, Roma, 1992, p. 68 nt. 178, che, addirittura, contrappone le strutture menzionate da Varrone a quelle alberghiere, parlando di una rete di alloggi gratuiti sulle vie di transito riservate ad ospiti di limpida provenienza sociale. In senso conforme alla mia ipotesi già si esprimeva A. Di Porto, L’impresa agricola nel periodo imprenditoriale, in Cerami - Di Porto - Petrucci, Diritto Commerciale Romano. Profilo storico, Torino, ed. II, 2004, p. 329 nt. 72, contestando la precedente ricostruzione di L. Capogrossi Colognesi, Proprietà agraria e lavoro subordinato nei giuristi e negli agronomi latini tra Repubblica e Principato, in Società romana e produzione schiavistica (Atti del seminario su

<<Forma di produzione schiavistica e tendenza della società romana: II d.C. – II d.C. Un caso di sviluppo precapitalistico>>. Pisa, Gennaio 1979), II, Roma-Bari, 1981, p. 447.

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sfruttare al meglio la situazione geograficamente vantaggiosa in cui il fondo si veniva a trovare e pur facendo capo al dominus fundi, svolgevano un’attività economica svincolata dalla coltivazione dei campi della villa alla quale afferivano. Il brano sopra citato ci consente, inoltre, di rilevare come l’ubicazione delle tabernae deversoriae ne influenzasse la funzione socio-economica, nonché il novero dei servizi accessori connessi alla ricezione alberghiera66. Se, dunque, non mi pare emerga una indissolubile correlazione tra questo tipo di esercizi ricettivi extraurbani e l’attività agricola esercitata intensivamente nelle piantagioni ed allevamenti afferenti alla villa, è pure tuttavia evidente che essa non ne era completamente indipendente: poteva, per esempio, sfruttare i prodotti del fondo per rifocillare i clienti e ricavare nella stessa domus padronale uno spazio per dar loro la possibilità di pernottarvi, fornendo inoltre un ricovero sicuro per il seguito e per gli animali ed offrendo un servizio di cambusa (spaccio di prodotti alimentari per la prosecuzione del viaggio)67. In ogni caso, il fondo rustico offriva spesso acque termali, orti e giardini ameni dove ristorarsi dagli affanni della vita cittadina. Del resto, i deversoria extraurbani dovevano distinguersi tra loro proprio per l’essere o tappa intermedia di un viaggio oppure luogo di quiete e di ritiro per persone di un certo livello sociale: in tale accezione, dunque, qualcosa di simile ad un moderno

66A. Di Porto, L’impresa agricola,cit., p. 329-330.

67F. Guidi, Vacanze romane, cit., p. 219 e A. Di Porto, L’impresa agricola, cit.,

p. 329 e nt. 72, il quale, per esempio, circa la possibilità per gli ospiti di degustare durante il soggiorno i prodotti del fondo magistralmente sintetizza: «a me sommessamente pare che.. naturalmente.. per la vicinanza e il collegamento con il fondo, si servissero i viaggiatori, che volessero mangiare, cibi preparati con i prodotti del fondo».

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agriturismo68.

Così come il passo varroniano, tratto dal De re rustica, ci è stato utilissimo per comprendere, da un punto di vista economico, la funzione dei luoghi di ricezione alberghiera collocati al di fuori delle città, ugualmente illuminante sarà, per quanto concerne gli alloggi ubicati in ambito urbano, questo brano che mi accingo a proporre, tratto dal Satyricon di Petronio:

[XCV] Dum haec fabula inter amantes luditur, deversitor cum parte cenulae intervenit, contemplatusque foedissimam volutationem iacentium: "Rogo, inquit, ebrii estis, an fugitivi, an utrumque? Quis autem grabatum illum erexit, aut quid sibi vult tam furtiva molitio? Vos mehercules ne mercedem cellae daretis, fugere nocte in publicum voluistis. Sed non impune. Iam enim faxo sciatis non viduae hanc insulam esse sed Marci Mannicii"(...) Fit concursus familiae hospitumque ebriorum frequentia(...) Interim coctores insulariique mulcant exclusum...

In questo frammento, la godibilità del passo e la simpatia della scena fanno da ricamo alle importanti conoscenze sul settore degli alberghi urbani che l’Autore via via elargisce: Petronio racconta di un intreccio amoroso accaduto nella stanza dell’albergo di Marco Mannicio il quale, entrando nella stanza con una portata della cena e vedendosi di fronte uno scandaloso avvitamento di corpi intenti a trarre un lussurioso piacere l’uno dall’altro, rimane prima stupefatto di cotanto scempio e domanda ai libidinosi se fossero ubriachi, poi arriva alla conclusione che questi volessero fuggire dalla sua locanda senza pagargli il conto, e si scaglia quindi con veemenza verso di loro per impartirgli una lezione; accorrono

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poi sulla scena anche i servitori e i clienti ubriachi, mentre Eumolpo, rimasto chiuso fuori dalla stanza, deve vedersela coi cuochi e i pensionanti, che tentano di infierire su di lui con gli strumenti della locanda, in un momento teatrale divertente e tragicomico. Senza dimenticare che stiamo parlando di un testo letterario e che sono quindi da adoperarsi le necessarie cautele prima di poter da esso estrapolare un qualsivoglia concetto giuridico. Ai fini del mio studio rileva, chiarissimo, il fatto che con il termine taberna deversoria si intenda un locale adibito e strutturato per offrire ai clienti servizi di ricezione alberghiera. Ciò lo si può evincere dal fatto che Petronio, parlando di Marco Mannicio, utilizza il termine deversitor69; alcune traduzioni, che io prediligo70, ritengono

69Sommessamente sento di potermi distaccare dall’esegesi del testo proposta in

P. Cerami, Tabernae deversoriae, cit., p. 465 nt. 36: «Alla gestione di una taberna deversoria da parte di un conduttore ritengo che possa essere riferito un brano di Petron., Satyr. 95, in cui viene precisato che il deversitor Bargate, dopo avere accusato Eumolpo ed i suoi amici di aver voluto tentare la fuga per non pagare mercedem cellae (prezzo della stanza), ebbe cura di sottolineare esplicitamente che l’azienda alberghiera era gestita non già da una vedova indifesa (verosimilmente la proprietaria), bensì da Marco Mannicio (conduttore della taberna), del quale egli si proclama procurator». Seguendo invece alla lettera il passo di Petronio, sorgono pochi dubbi nel ritenere Mannicio effettivo proprietario dell’insula, qualità e appartenenza che si evincono, a tutti gli effetti, dall’uso del verbo essere e dal genitivo seguente (Iam enim faxo sciatis non viduae hanc insulam esse sed Marci Mannicii); mi pare, inoltre, che il richiamo alla vedova gridato dall’incandescente Mannicio ai peccaminosi clienti, oltre ad introdurre un trepidante cambio di scena caratteristico di questa opera, voglia segnare con ironia il netto contrasto fra un’ipotetica docile ed indifesa signora ed il sanguigno Mannicio, suggellando veementemente che quest’ultimo, proprio in quanto proprietario del luogo e dunque diretto interessato al pagamento della mercede, si sarebbe difeso strenuamente dal tentativo di fuga e, quindi, di frode dei tre protagonisti del racconto. Per queste ragioni, Marco Mannicio e il

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che tale figura sia il titolare dell’albergo, altre un pensionante, dipendente di Marco Mannicio, cui sono affidate funzioni gestorie della taberna, il Carcopino lo equipara ad un bettoliere, ad un oste che esercita al pianterreno dell’insula71. Il passo è, per altro, anche di estremo interesse, nella misura in cui offre uno spaccato dei servizi “accessori” che un albergo urbano offre ai suoi ospiti: una parte dei clienti di questa taberna, infatti, stava cenando, ed anche i protagonisti del racconto erano intenti a trascorrere la notte in quel luogo; ivi, in ogni caso, lavoravano cuochi e servitori di vario genere: ciò dimostra inequivocabilmente, ma sul punto torneremo più diffusamente in seguito72, che la ricezione e la ristorazione erano molto spesso attività congiunte esercitate dai pensionanti73.

affrettato attribuire questa qualifica a Bargate, dal momento che, all’evidenza, Petronio lo introduce nel passo successivo (Sat. 96), portandolo in scena in veste di procurator insulae (..cum procurator insulae Bargates a cena excitatus a duobus lecticariis mediam rixam perfertur; nam erat etiam pedibus aeger...). Egli giunge sul posto per gli schiamazzi fastidiosi che provenivano dalla locanda per sedare la rissa con l’ausilio di un non ben precisato seguito, ma tutt’altro che affannato e preoccupato tantoché si fa trasportare in lettiga come un sultano; potrebbe, forse, trattarsi di un personaggio pubblico con funzioni di vigilanza sul quartiere, oppure, visto che anche i benestanti privati potevano andare in lettiga, di un gestore privato con alti compiti manageriali.

70M. Longobardi, Satyricon. Testo latino a fronte, Siena, 2008, p. 159. 71J. Carcopino, La vita quotidiana a Roma, cit., p. 56.

72Si veda infra, Cap. I § 2.

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2. Le tipologie di tabernae deversoriae

Fatte queste dovute premesse è il momento di esporre, in modo sistematico ed esemplificativo, quella che era l’offerta di ricezione

alberghiera in uno dei periodi più fiorenti del mondo romano. Sotto il profilo economico, e tenendo sempre a mente le due macro-categorie sopra esposte, si traggono le seguenti tipologie di tabernae deversoriae74:

a) tabernae deversoriae adibite al pernottamento per più giorni con annesso servizio di ristorazione, come quella struttura a cui si

riferisce Cicerone nel suo De inventione75 (cum in eadem tabernam devertissent, simul cenare et in eodem loco somnum capere voluerunt): in questo brano i clienti di una taberna caupona, i quali prendono il nome di deversores, volevano fermarsi nel suddetto luogo per cenare e pernottare; analoghe attività ricettive sono presenti in Petronio nel suo Satyricon, precisamente in Satyricon 81 (veritus ne Meleanus.. solum

me in deversorio invenieret), 82 (retro ad deversorium tendo) e 95 (supra, § 1).

74Si vuole qui tornare sull’argomento già trattato e secondo lo schema già

proposto da P. Cerami, Tabernae deversoriae, cit., p. 460-462, al fine di arricchire quella già proficua classificazione con dati provenienti dal contesto extraurbano che in quella sede non veniva preso in considerazione.

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b) tabernae deversoriae attrezzate per consentire ai viaggiatori di consumere tota tempora diurna, delle quali si viene edotti da Marco Tullio Cicerone per tramite di una lettera scritta al fraterno amico Pomponio Attico:

Cic., ad Att. 11.5.2: Quod scribis placere ut propius accedam iterque per oppida noctu faciam, non sane video quem ad modum id fieri possit. Neque enim ita apta habeo deversoria ut tota tempora diurna in iis possim consumere, neque ad id quod quaeris multum interest utrum me homines in oppido videant an in via, sed tamen hoc ipsum sicut alia considerabo quem ad modum commodissime fieri posse videatur.

Nella missiva, scritta il 4 novembre del 48 a.C. a Brindisi, Cicerone esterna all’amico Pomponio i suoi dubbi circa il consiglio che quest’ultimo gli aveva dato: Attico, infatti, dopo la battaglia di Farsalo del 9 agosto 48 a.C. e la clamorosa disfatta di Pompeo, aveva scritto a Cicerone di avvicinarsi all’Urbe e di muoversi di notte, quest’ultimo, tuttavia, pensava che ciò non fosse opportuno, perché riteneva comunque rischioso farsi vedere dalla gente, per strada o in città, non disponendo di alloggi dove poter trascorrere la giornata (Neque enim ita apta habeo deversoria ut tota tempora diurna in iis possim consumere); infine, Cicerone afferma che, nonostante tutto, terrà comunque in considerazione i consigli di Attico che sembrino esser di facile realizzazione. Dalla parte centrale del testo appena esaminato si trae, dunque, questa categoria, che ho voluto distinguere da quella sub a) per il fatto che lo specifico servizio offerto da questa tipologia di deversoria consisteva nel potervi spendere tota tempora diurna, diventando, all’occorrenza, luogo intimo e sicuro per le persone che necessitavano di un alloggio temporaneo in vista di tempi migliori, come nel caso di Cicerone.

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c) tabernae deversoriae collocate all’interno di una domus o di una casa con giardino, create appositamente per clienti facoltosi, di cui si ha notizia dal seguente testo giuridico di Ulpiano:

Ulp. 18 ad Sab. D.7.1.13.8: Item si domus usus fructus legatus sit, meritoria illic facere fructuarius non debet nec per cenacula dividere domum: atquin locare potest, sed oportebit quasi domum locare. nec balineum ibi faciendum est. quod autem dicit meritoria non facturum, ita accipe quae volgo deversoria vel fullonica appellant. ego quidem, et si balineum sit in domo usibus dominicis solitum vacare in intima parte domus vel inter diaetas amoenas, non recte nec ex boni viri arbitratu facturum, si id locare coeperit, ut publice lavet, non magis quam si domum ad stationem iumentorum locaverit, aut si stabulum quod erat domus iumentis et carruchis vacans, pristino locaverit,

Nel passo viene specificato che, se sia stato legato l’usufrutto di una casa, l’usufruttuario non dovrà ricavarne locali da affittare e nemmeno potrà suddividere la casa in più appartamenti: potrà darla,

piuttosto, in locazione, ma dovrà locarla nel suo insieme, al fine di godere del canone pagato, e nemmeno potrà costruirvi un bagno76. Il giurista sottolinea, in particolare, di seguito, che, quando si fa riferimento ai locali da affittare, si intende dire che non si potranno

costruire quelle che comunemente si chiamano pensioni e, infine, ritiene

che, se vi fosse nella casa un bagno destinato ai bisogni privati dei padroni, l’usufruttuario non adotterebbe un comportamento corretto

locando il bagno al pubblico, oppure ricavando dalla casa una locanda

76M. A. Ligios, Nomen negotiationis. Profili di continuità e di autonomia della negotiatio nell’esperienza giuridica romana, Torino, 2013, p. 119-120.

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con annessa stazione di cambio e di ristoro degli animali da viaggio. In questo frammento, dove Ulpiano riporta e commenta un parere di Nerva77 circa i limiti che il titolare del diritto di usufrutto incontra nell’utilizzo del bene (nella fattispecie concreta una domus) che ne è oggetto, sono posti in luce tutta una serie di divieti che l’usufruttuario dovrà rispettare, i quali divieti hanno il fine di salvaguardare quella che è la destinazione originaria della res: il titolare di questo diritto, pertanto, non potrà destinare un edificio predisposto dal dominus a suo personale uso abitativo ad un’attività imprenditoriale quale che sia, conservando la sola facoltà di goderne indirettamente, locando l’intera struttura e mantenendone invariata la destinazione economica. Da questa precisazione ulpianea al punto di vista di Nerva, in ogni caso, per quanto a noi più direttamente interessa, possiamo desumere il fatto che si utilizzassero anche parti di una domus per esercitarvi, dietro pagamento di una mercede, servizi di ricezione alberghiera. La scienza archeologica ha offerto, per altro, alcune conferme di questa circostanza: sono riconducibili a questa tipologia di deversoria, per fare alcuni esempi, l’Hospitium Sittii di Pompei78, sito nel Vico del lupanare della

città campana, recante l’insegna “hospitium his locatur. Triclinium cum tribus lectis” e da cui deriva l’iscrizione CIL I 807, come pure il casamento con retrostante giardino a Ostia, detto Casa di Diana e nello stesso sito la Caupona del Pavone79. Quando si parla di tabernae

77Lo si può dedurre dalla lettura del passo precedente: Ulp. 18 ad Sab.

D. 7.1.13.7.

78T. Kleberg, Hôtels, restaurants et cabarets dans l’antiquité romaine: Etudes historiques et philologiques, Uppsala, 1957, p. 31 e ss.

79T. Kleberg, Hôtels, restaurants et cabarets, cit., p. 79 e ss.; Kleberg ipotizza

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deversoriae ricavate in una domus non si può far a meno di richiamare alla mente quanto esposto nel paragrafo che questo precede: infatti, è evidente che questo fenotipo architettonico di casamento era diffuso in città, ma ancor più in contesti extraurbani e rurali80.

Molte domus si situavano nei fondi rustici e con il diffondersi del sistema latifondista erano state ricomprese nella complessa struttura economica della villa, ovvero quell’azienda agricola cui già si è fatto riferimento nel commentare il testo di Varrone81. Mi pare di potermi associare, in questa sede, all’analisi fatta in proposito da un eminente studioso: «A me, sommessamente, pare – afferma Di Porto - che l’espressione taberna deversoria abbia il significato di locanda, dove il viaggiatore possa alloggiare e, magari, rifocillarsi..82». Proprio l’essere ricavati in una domus fa mutare la destinazione economica e sociale di questi alloggi, ripercuotendosi anche sul bacino di utenza di riferimento. Sotto il profilo dei servizi ricettivi offerti, infatti, i deversoria ascrivibili a questa categoria, come quelli sub a), come già si accennava,

funzionalmente per intraprendervi un esercizio di ricezione alberghiera, mentre altre fossero state date in locazione a nuclei di famiglie agiate (così pure si esprimeva B.W. Frier, The Rental Market in Early Imperial Rome, in JRS, 67, 1977, p. 30-31; ID., Landlords and Tenants in Imperial Rome, New Jersey, 1980, p. 29-30, il quale conciliava i rilievi archeologici di R. Meiggs, Roman Ostia, Oxford, 1973, p. 249, con le indicazioni provenienti dalla narrazione petroniana del Satyricon 95-96); secondo Pavolini, per quanto concerne la Casa di Diana e la Caupona del Pavone, «è più verosimile che le stanze singole e i cenacula fossero affittati, secondo le necessità e con rapida rotazione, a

famiglie momentaneamente prive di alloggio o a stranieri in transito», C. Pavolini, La vita quotidiana a Ostia, Bari, 2006, p. 177.

80Si veda il passo D.50.16.198, su cui più diffusamente in seguito sub e). 81Si veda § 1, Varr., De re rust. 1.2.23.

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coniugavano al più immediato scopo ricettivo quello, eventuale, di somministrazione e degustazione dei prodotti del fondo, dando luogo a quel connubio tra lo sfruttamento della proprietà agreste e l’attività commerciale di ricezione alberghiera auspicato da Varrone nel passo sopra citato83.

d) tabernae deversoriae nelle quali le attività di ricezione alberghiera venivano svolte per lo sfruttamento economico della prostituzione84. È necessario, ai fini della nostra classificazione, individuare, almeno per tratti essenziali, il settore economico con cui si relazionavano le strutture afferenti a questa categoria per evidenziare come la res che

qui interessa di locare non sia precisamente il bene immobile, secondo quanto emerge chiaramente da alcuni frammenti ulpianei che mi accingo, di seguito, a riportare:

Ulp. 1 ad leg. Iul. et Pap. D.23.2.43 pr.: pr. Palam quaestum facere dicemus non tantum eam, quae in lupanario se prostituit, verum etiam si qua (ut adsolet) in taberna cauponia vel qua alia pudori suo non parcit. ...9. Si qua cauponam exercens in ea corpora quaestuaria habeat (ut multae adsolent sub praetextu instrumenti cauponii prostitutas mulieres habere), dicendum hanc quoque lenae appellatione contineri.

83Si vedano sul punto: A. Di Porto, L’impresa agricola, cit., p. 328-330;

P. Cerami, Tabernae deversoriae, cit., p. 455-460 e M. Bianchini, Attività commerciali fra privato e pubblico, cit., p. 435 nt. 29.

84Sul tema si rimanda a: T. A. J. McGinn, Prostitution, Sexuality, and the Roman law, Michigan University, 1998, p. 99 e ss.; P. G. Guzzo – V. Scarano Ussani,

Ex corpore lucrum facere. La prostituzione nell’antica Pompei, Roma, 2009, p. 9-23; R. Flemming, Quae Corpore Quaestum Facit: The Sexual Economy of Female Prostitution in Roman Empire, in JRS, 89, 1999, p. 38-61.

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In questi due frammenti, estrapolati dal primo libro di commento di Ulpiano alla lex Iulia et Papia Poppaea85, il giurista comincia dicendo che

si offre apertamente per il guadagno non soltanto la donna che si prostituisce in una casa di tolleranza, ma anche quella, come solitamente accade, che si offre senza pudore in un albergo od in un luogo differente. Inoltre, sottolinea il giurista nel paragrafo 9, si dovrà attribuire l’appellativo di mezzana anche alla donna che gestisce l’albergo nel quale vi siano delle prostitute, perché molte donne sono solite avere, nell’attività ricettiva da loro gestita, delle prostitute, con la scusa che queste facciano parte dell’instrumentum cauponium86.

85Libro nel quale il giurista severiano definisce i casi in cui è possibile ravvisare

l’esercizio della prostituzione, allo scopo di precisare il divieto imposto da Augusto agli ingenui di sposare rappresentanti del gentil sesso categorizzabili come feminae probosae; la lex Iulia et Papia Poppaea, del 9 d.C., fu fortemente voluta dall’imperatore Augusto, al fine di porre un freno al crescente diffondersi del celibato e di incoraggiare il matrimonio e la natalità, sanzionando l’adulterio (comportamento del quale lo stesso imperatore si ritrovò ad avere in famiglia, nell’unica figlia naturale Giulia Maggiore, l’esempio principe della sua diffusione, tanto ch’ella fu definita da Gaio Plinio Secondo: “exemplum licentiae”, in Plin.,

Nat. Hist., IV.10).

86Le cauponae, come anche le terme, benché fossero edifici non specificamente

rivolti all’esercizio della prostituzione, ne divenivano spesso la sede; sul punto, si vedano: T. Kleberg, Hôtels, restaurants et cabarets, cit., p. 81 e ss., 89 e ss. e 118 e ss.; R. Étienne, La vita quotidiana a Pompei, trd. It. Milano, 1973, p. 221; L. Casson, Travel in the Ancient World, Baltimore-London, 1994, p. 197-218; B. M. Comucci Biscardi, Donne di rango e donne di popolo nell’età dei Severi, Firenze, 1987, p. 79 e ss.; C. Pavolini, La vita quotidiana a Ostia, cit., p. 227 e ss., in particolare p. 237; E. Cantarella, Pompei. I volti dell’amore, Milano, 1998, p. 68-115.

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Dal passo menzionato si può trarre, quindi, che l’albergo (taberna cauponia) era un luogo dove usualmente veniva praticato il meretricio87.

Si può desumere, inoltre, che a livello sociale si discusse se nell’instrumentum cauponium, da intendersi quali beni strumentali predisposti nel loro complesso per rendere possibile l’esercizio dell’impresa alberghiera, dovessero essere ricomprese anche le donne che in quel luogo intrattenevano i clienti. La posizione del giurista è evidentemente contraria, eppure, il fatto che il problema si sia posto e che nella fattispecie le esercenti della locanda tentassero di sostenere che le prostitute fossero una parte normale dell’instrumentum alberghiero, ci dice che, perlomeno a livello socio-economico, per lungo tempo il meretricio sia stato inteso quale servizio accessorio alla ricezione. E, dopotutto, non è inverosimile che le stesse schiave impiegate a vario titolo nella locanda fossero pure destinate, su richiesta

degli ospiti, a prostituirsi.

Vediamo adesso un ulteriore frammento di Ulpiano che appare allo stesso modo illuminante:

Ulp. 6 ad ed. D.3.2.4.2: Ait praetor: “qui lenocinium fecerit”. lenocinium facit qui quaestuaria mancipia habuerit: sed et qui in liberis hunc quaestum exercet, in eadem causa est, sive autem principaliter hoc negotium gerat sive alterius negotiationis accessione utatur (ut puta si caupo fuit vel stabularius et mancipia talia habuit ministrantia et

87Ciò è suggerito anche dai numerosi graffiti rinvenuti in questi locali, come la

famosa iscrizione di Isernia: CIL IX 2689, sulla quale, per tutti, si rimanda a T. Kleberg, Hôtels, restaurants et cabarets, cit., p. 118 e ss.; in generale, per le iscrizioni erotiche pompeiane, si veda A. Varone, Erotica pompeiana: iscrizioni d’amore sui muri di Pompei, Roma, 1994, p. 133 e ss.

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occasione ministerii quaestum facientia: sive balneator fuerit, velut in quibusdam provinciis fit, in balineis ad custodienda vestimenta conducta habens mancipia hoc genus observatia in officina), lenocinii poena tenebitur.

In questo passo, il giurista riporta precisamente ciò che costituisce reato di lenocinio secondo il pretore: in base all’editto, lo commetterà sia chi avrà adibito i propri schiavi alla prostituzione a fini di lucro, sia chi

ricavi allo stesso modo profitto da persone in stato di libertà; ed ugualmente sarà perseguibile sia che eserciti una negotiatio con

codesta precipua finalità sia che la sfrutti in connessione con altre

attività: ad esempio, se il titolare di un albergo dotato di stazione di cambio per i cavalli abbia degli schiavi adibiti a quelle funzioni che,

oltre ad adempiere alle loro proprie mansioni, si prostituiscano; oppure, come succede spesso in alcune province, vi siano, nei bagni termali, schiavi preposti alla custodia degli abiti che, oltre a compiere

questa mansione, offrano il loro corpo previo pagamento88. Ulpiano affianca l’esercizio della prostituzione all’attività di ricezione

tipica della caupona e dello stabulum (alterius negotiationis genus utatur), lasciando pochi dubbi sul fatto che l’esercizio della prostituzione non fosse occasionale contorno di queste negotiationes, ma attività, almeno a livello sociale, alle stesse precipuamente connessa, quando non

88Interessanti sono le annotazioni in tema di M. Beard, Prima del fuoco. Pompei, storie di ogni giorno, London, 2008, trd. it. Roma-Bari, 2011, ed. II, 2012, p. 295-297.

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