La nostra trattazione volge adesso lo sguardo alla cosiddetta negotiatio peculiaris, la cui esistenza è desumibile, nonostante di questa si possano rinvenire ben pochi riferimenti nelle fonti, dall’analisi di alcuni frammenti: due, che mi accingo immediatamente a proporre, vengono estrapolati dal quattordicesimo libro ad edictum, e concernevano, nell’originaria stesura dell’opera ulpianea, la formula dell’actio de recepto nautarum, cauponum, stabulariorum:
Ulp. 14 ad ed. D.4.9.3.2: Eodem modo tenentur caupones et stabularii, quo exercentes negotium suum recipiunt: ceterum si extra negotium receperunt, non tenebuntur.
...3: Si filius familias aut servus receperit et voluntas patris aut domini intervenit, in solidum erit conveniendus... Sin vero sine voluntate exerceant, de peculio dabitur.
Nel primo paragrafo preso in considerazione, su cui si dovrà tornare oltre181, il giurista asserisce che, come l’armatore, siano da ritenersi tenuti gli albergatori e i gestori di una stazione di cambio di cavalli nel momento in cui ricevono cose in custodia esercendo la propria impresa, mentre tutti questi soggetti non saranno tenuti qualora ricevessero al di fuori dell’esercizio dell’attività. Questo scorcio serve a introdurci nella
80
vasta tematica della responsabilità ex recepto, e, tuttavia, la locuzione tenentur caupones et stabularii, quo exercentes negotium suum recipiunt delinea chiaramente una gestione diretta da parte dell’esercente182. Quello che a noi più giova è il contenuto del secondo dei summenzionati frammenti, che riporta, nella parte iniziale, il caso di un figlio in potestà o di uno schiavo, che abbia ricevuto una qualche res da un cliente, dopo che il padre o il padrone l’abbia espressamente indotto a ricevere od abbia, più in generale, prestato il suo consenso a che questi eserciti per suo conto l’attività183: in tal caso, il padre, o il padrone, dovrà esser convenuto per l’intero. Nella parte finale del passo si afferma, invece, che se il figlio in potestà o lo schiavo esercitino l’impresa senza il consenso del padre o del padrone, contro questi soggetti appena citati sarà data un’azione nei limiti del peculio. In questa sede, anzitutto, quello che a noi preme rilevare è che per le categorie di imprenditori, tutti esercenti nel settore dei servizi, prese in considerazione dall’Editto, era frequente ricorrere, come meccanismo di limitazione della responsabilità derivante dall’attività contrattuale dei propri sottoposti, al conferimento di un peculio. Poi, anche, mi pare evidente che i passi testimonino la circostanza che proprio la voluntas sia l’elemento discriminante, necessario e sufficiente, per permettere di far coincidere il titolare della potestà con il titolare dell’impresa184, facendo
182A. M. Giomaro, Dall’instruere all’instrumentum, cit., p. 107 nt. 8. 183A. Petrucci, Per una storia, cit., p. 136.
184Non che egli non lo sia anche quando goda della limitazione di responsabilità
al peculio, ma in quel caso la negotiatio è condotta con autonomia pure di natura patrimoniale dal sottoposto, che, quindi, per ciò potrebbe dirsi esercente; per un approfondimento sulla figura del negotiator e per la sua precisa individuazione nel contesto delle varie tipologie organizzative di impresa,
81
ricadere su questo soggetto la piena sopportazione delle conseguenze scaturenti da perimento, furto e danneggiamento delle cose dei clienti. Nell’ultima ipotesi proposta dal giurista, infatti, si delinea un’impresa gestita con peculio da un sottoposto, ma senza il consenso del padrone o del pater: quest’ultimo, infatti, in questa situazione, sarà convenuto a rispondere per receptum soltanto nei limiti del peculio da lui investito ed elargito al figlio o allo schiavo per l’esercizio dell’impresa. Per quanto a noi precipuamente interessa ai fini di questa ricerca, dai passi si viene edotti dell’esistenza, anche nel contesto alberghiero, del modello della negotiatio peculiaris: premessa la scarsa presenza di fonti che la testimoniano, quel passaggio si filius familias aut servus receperit.. sine voluntate exerceant, de peculio dabitur di D.4.9.3.3 diventa per noi ancora più prezioso nella misura in cui allude ad un’attività commerciale esercitata entro gli estremi del peculio concesso al figlio in potestà o allo
schiavo185.
L’utilizzo dello schema della negotiatio peculiaris trova conferma in un altro passo di fondamentale importanza per la trattazione:
Ulp. 18 ad ed. D.4.9.7.6: Haec iudicia, quamvis honoraria sunt, tamen perpetua sunt: in heredem autem non dabuntur. Proinde et si servus navem exercuit et mortuus est, de peculio non dabitur actio in dominum nec intra annum. Sed cum voluntate patris vel domini servus vel filius exercent navem vel cauponam vel stabulum, puto hanc actionem in
si rimanda a P. Cerami – A. Petrucci, Diritto Commerciale Romano, cit., p. 18 e ss.; 27 e ss. e 45.
185P. Cerami, Tabernae Deversoriae, cit., p. 467-468 e A. Petrucci, Per una storia, cit., p. 107 nt. 41.
82
solidum eos pati debere, quasi omnia, quae ibi contingunt, in solidum receperint.
Il frammento,estratto dal diciottesimo libro del commentario ulpianeo ad edictum, si riferisce all’actio damni in factum, e nella prima parte chiarisce che, benché questa sia onoraria, è pure perpetua, ma non viene concessa, a differenza dell’actio de recepto186, contro l’erede, non è cioè trasmissibile oltre la morte del responsabile. Quanto inerente alla nostra indagine è invece rinvenibile dal periodo che segue nel passo (Proinde ... intra annum), che attiene con ogni probabilità al caso di exercitio navis sine voluntate domini187, essendo la fattispecie opposta analizzata dal
giurista nel periodo immediatamente successivo. Secondo Ulpiano, venendo a mancare la voluntas domini, l’actio in factum è data de peculio, e la tutela onoraria, quando fosse morto lo schiavo exercitor, non sarebbe più esperibile neanche entro l’anno188. Essendo, invece, presente la voluntas domini, l’actio in factum è concessa in solidum, contro il pater o il dominus, poiché, col consenso all’esercizio dell’impresa, questi soggetti attraggono immediatamente ed illimitatamente a sé il rischio di ogni attività economica inerente lo svolgimento della negotiatio. Ad ogni modo, come rileva Fercia189, «poiché, comunque, per stabilire se l’actio in
186Si evince come questa sia data anche contro l’erede da Ulp. 14 ad ed.
D.4.9.3.4.
187Come osservato in R. Fercia, Criteri di responsabilità dell’exercitor. Modelli culturali dell’attribuzione di rischio e “regime” della nossalità nelle azioni penali in factum contra nautas, caupones et stabularios, Torino, 2002, p. 234-235.
188Ciò ha indotto, riflettendo sul tenore letterale del testo, F. Serrao, Impresa e responsabilità a Roma, cit., p. 221, a ritenere che tale conclusione sia il portato dell’intrasmissibilità passiva dell’azione.
83
factum può essere esperita o meno dopo la morte del servus exercitor Ulpiano fa riferimento alla forma de peculio, possiamo ragionevolmente ritenere che la clausola peculiare nelle actiones in factum, entro certi limiti, costituisca un principio pacificamente accolto dall’interpretatio prudentium e verosimilmente giustificato in base ad un negotia gerere del servus», e, dunque, a maggior ragione, ai nostri fini, che fosse diffusa la gestione delle imprese di navigazione e alberghiere nei limiti di un patrimonio peculiare. La locuzione servus vel filius exercent navem vel cauponam vel stabulum conferma quanto già si asseriva in sede di commento a D.4.9.3.3, che le fonti giuridiche, nel caso di gestione peculiare, associno la qualifica di soggetto esercente direttamente al filius o servus negotiator, testimoniando inequivocabilmente una modalità di conduzione di un’impresa di navigazione, di ricezione alberghiera e di cambio di cavalli, diversa e ben più autonoma rispetto a quella tramite preposti190. Seppure, infatti, mi preme ricordarlo, il testo non è esplicito sul fatto che l’impresa fosse gestita direttamente dallo schiavo o dal figlio, l’ipotesi trova conferma nell’uso del verbo exercere riferito direttamente al servo e al figlio e non al padrone, poiché, come chiarito, da ultimo, da Giomaro191, il verbo indica la capacità di organizzare e condurre, con un notevole grado di discrezionalità, un patrimonio, per quanto limitato, ai fini dello svolgimento di un’attività commerciale.
190Cfr. P. Cerami, Tabernae deversoriae, cit., p. 468.
191A. M. Giomaro, Dall’instruere all’instrumentum, cit., p. 108, dove viene
delineato con precisione il significato di questo verbo: l’organizzare finalizzato all’esercizio di un’attività di cui si assume il rischio economico, esercizio svolto non in stato di dipendenza, ma necessariamente autonomo; detta autonomia è rinvenibile anche nel caso di specie, benché gli esercenti si trovino soggetti a potestà ed il rischio d’impresa sia limitato alla perdita del capitale peculiare.
84
Naturalmente, le esigenze contingenti e la ramificazione territoriale delle attività ricettive facenti capo ad un medesimo soggetto titolare della potestà, potevano suggerire, e mi pare che in proposito si possa condividere l’ipotesi di Földi192, che l’impresa potesse essere resa più complessa dalla presenza, entro i limiti del peculio di cui dispone il figlio, di uno schiavo peculiare, e, all’interno del peculio dello schiavo ordinario, di uno schiavo vicario193: a questi due soggetti, ricompresi nel peculio del figlio e del servo, era affidata una porzione di questo patrimonio separato per l’esercizio dell’impresa. Si veniva così a creare una struttura su tre piani, la quale poteva favorire sia il decentramento della negotiatio sul territorio, sia la ripartizione mansionale all’interno della stessa: al vertice stava il dominus o il pater familias, cui nella sostanza non era riservato alcun compito gestionale, ma solo il complessivo finanziamento della
192A. Földi, Caupones e stabularii, cit., p. 134.
193Ipotesi configurabile mediante l’analisi di alcuni modelli organizzativi generali,
comuni a tutte le tipologie di negotiatio socialmente distinguibili, come si può trarre da Ulp. 29 ad ed. D.14.4.5.1: Si vicarius servi mei negotietur, si quidem me sciente, tributoria tenebor, si me ignorante, ordinario sciente, de peculio eius actionem dandam Pomponius libro sexagensimo scripsit, nec deducendum ex vicarii peculio, quod ordinario debetur, cum id quod mihi debetur deducatur. sed si uterque scierimus, et tributoriam et de peculio actionem competere ait, tributoriam vicarii nomine, de peculio vero ordinarii: eligere tamen debere agentem, qua potius actione experiatur, sic tamen, ut utrumque tribuatur et quod mihi et quod servo debetur, cum, si servus ordinarius ignorasset, deduceretur integrum, quod ei a vicario debetur. La medesima organizzazione è riscontrabile anche per le imprese di navigazione, come si evince da Ulp. 28 ad ed. D.14.1.1.22: Si tamen servus peculiaris volente filio familias in cuius peculio erat, vel servo vicarius eius navem exercuit, pater dominusve, qui voluntatem non accommodavit, dumtaxat de peculio tenebitur, sed filius ipse in solidum. Plane si voluntate domini vel patris exerceant, in solidum tenebuntur et praeterea et filius, si et ipse voluntatem accommodavit, in solidum erit obligatus.
85
struttura imprenditoriale, immediatamente sotto di lui era posto il servus ordinarius o il filius, gestore della sede principale dell’impresa o dell’intero fascio di attività aziendali, e, all’ultimo gradino, risiedeva il servus vicarius o il servus peculiaris194, deputato alla conduzione di una sede decentrata o a specifici compiti negoziali o sotto-settori economici. Tale impresa poteva poi, come diffusamente si è visto nelle pagine precedenti195, essere più o meno grande e richiedere la presenza di un determinato quantitativo di servitori, di inservienti di umili mansioni e di lavoratori più o meno qualificati, a seconda della sua grandezza, delle comodità che poteva offrire e, soprattutto, dei servizi che si prefiggeva di erogare per catalizzare la clientela.
194Si veda, a proposito della portata generale di tale modello, F. Serrao, Impresa e responsabilità a Roma, cit., p. 29.
86
CAPITOLO III
LA TUTELA EX RECEPTO NEI CONFRONTI
DEGLI ALBERGATORI
1. Locatio rei e ricezione alberghiera, considerazioni
preliminari
L’analisi delle attività ricettive nella Roma della tarda repubblica e dei primi due secoli dell’impero non può prescindere, terminato lo studio del profilo manageriale e, più in generale, organizzativo, da uno spazio dedicato più specificamente alla riflessione contrattuale in materia. È evidente che, sotto questo profilo, il filo conduttore che vincola tra loro le varie tipologie di aziende alberghiere è dato dall’utilizzo di uno schema negoziale comune: quello della locatio-conductio. Certo, intorno a tale nucleo, come si è detto, possono orbitare attività che, come quella di mescita o di ristorazione, si fregiano anche dell’utilizzo del contratto consensuale di compravendita; a partire dalla più fetida bettola fino al più ameno degli agriturismi, il centro dell’attività alberghiera ruotava, allora come oggi, attorno al conferimento in godimento a terzi di una stanza. Da tempo risalente la dottrina romanistica si è attestata nel distinguere, a fini più che altro espositivi, restando il dubbio circa la reale percezione di
87
questa distinzione da parte della giurisprudenza romana, una proverbiale tripartizione: locatio rei, operis, operarum196. Accettata questa
schematizzazione, tutte le imprese dedite alla ricezione occasionale dei viandanti, impiegavano, ai fini di poter concedere loro ospitalità, la sottospecie negoziale della locatio rei. Una definizione della più recente manualistica sarà utile a dare avvio al nostro studio: «mediante – questo contratto – il locatore consegnava una cosa al conduttore, il quale la usava e ne traeva i frutti fino al termine convenuto, pagando al locatore un corrispettivo in denaro e restituendogliela alla scadenza»197.
Attraverso la stipula di contratti di locazione degli interni ad una pluralità di utenti non stabili, il deversitor conferiva in godimento i singoli alloggi ai conduttori, per una durata anche giornaliera198, garantendogli l’uti frui199 e mettendo a loro disposizione una stanza, più o meno prestigiosa.
196A. Petrucci, Lezioni, cit., p. 279 e ss. e M. Brutti, Il Diritto privato nell’antica Roma, ed. II, Torino, 2011, p. 489 e ss.
197A. Petrucci, Lezioni, cit., p. 279.
198Il differente contesto economico in cui veniva a collocarsi un certo rapporto
locativo era portatore di non irrilevanti implicazioni sul piano dell’atteggiarsi del sinallagma contrattuale, nonché della reciproca responsabilità delle parti (B. W. Frier, Landlords and Tenants, cit., p. 57 nt. 4). Un multiforme regime giuridico, all’interno della species, locatio rei, si determina a seconda che essa abbia ad oggetto diverse tipologie di immobili (cfr. A. Guarino, La multiforme “locatio conductio”, in IURA, 50, 1999, p. 5). In questa direzione si deve mettere in luce l’esistenza di un termine legale di una durata del rapporto di affitto di fondi rustici, che non poteva mai essere inferiore all’annata agraria, vincolo, questo, inesistente nella locazione di abitazioni, dove il contratto poteva avere efficacia giornaliera e anche solo di poche ore (P. Cerami, Tabernae Deversoriae, cit., p. 460-461, B. W. Frier, The Rental Market, cit., p. 35).
199Cfr. R. Fiori, La definizione della ‘Locatio-Conductio’. Giurisprudenza romana e tradizione romanistica, Napoli, 1999, p. 80 e ss. e 291 e ss.
88
Attraverso il solo scambio dei consensi l’albergatore e il suo cliente assumevano obbligazioni corrispettive. In generale, questo schema contrattuale prevedeva che il locatore, ovvero nel nostro caso l’esercente dell’attività ricettiva, assumesse l’obbligazione di consegnare la cosa idonea all’uso convenuto200 ed esente da vizi occulti201 e quella di assicurare al conduttore il godimento della stessa. Il conduttore, per tutelarsi dagli inadempimenti di costui, poteva impiegare l’actio conducti, mentre l’actio locati permetteva al deversitor di citare in giudizio il conduttore per le sue mancanze inerenti l’obbligo di pagamento della
200Qui, non trovandosi un testo giuridico specifico sull’impresa alberghiera, si
cita comunque un riferimento più generale alla locatio rei, in adesione a quella tendenza dottrinale, che riconosce un regime giuridico comune a tutte le forme di manifestazione sociale di questo contratto che possano essere appunto ricomprese nella sottospecie contrattuale qui considerata Gai. 10 ad ed prov. D.19.2.25.2: Si vicino aedificante obscurentur lumina cenaculi, teneri locatorem inquilino: certe quin liceat colono vel inquilino relinquere conductionem, nulla dubitatio est. De mercedibus quoque si cum eo agatur, repudiationis ratio habenda est. Eadem intellegemus, si ostia fenestrasve nimium corruptas locator non restituat (Per la dottrina menzionata si fa riferimento alle opere di R. Fiori,
La definizione, cit., p. 80 e ss.; 180-181 e nt. 181 e L. Capogrossi Colognesi,
Remissio mercedis. Una storia tra logiche di sistema e autorità della norma, Napoli, 2005, p. 13 e ss. e 54 e ss.).
201L’unità complessiva della categoria giuridica della locatio rei autorizza ancora
un azzardato parallelo, Ulp. 32 ad ed. D. 19.2.19.1: Si quis dolia vitiosa ignarus locaverit, deinde vinum effluxerit, tenebitur in id quod interest nec ignorantia eius erit excusata: et ita Cassius scripsit... Mi pare che anche la manualistica segua questa impostazione unitaria, distinguendo al più tra regime giuridico della locazione delle aedes e quella della locazione di fondi rustici (da ultimo, si veda, A. Petrucci, Lezioni, cit., p. 279 e ss.).
89
mercede alla scadenza pattuita o il dovere di integra restituzione della cosa conferita202.
202Cfr. M. Marrone, Istituzioni, cit., p. 492-493; C. Pugliese, Istituzioni di diritto romano, Torino, 1990, p. 568-569; M. Talamanca, Istituzioni di diritto romano, Milano, 1990, p. 594; L. Capogrossi Colognesi, “Remissio mercedis”, cit., p. 14 e 19 e R. Fiori, La definizione, cit., p. 83.
90