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La gestione indiretta dei beni culturali

Nell’ambito della ridefinizione del patrimonio culturale pubblico, oltre allo strumento della dismissione, va analizzato anche quello relativo alla gestione del medesimo patrimonio culturale pubblico.

Si tratta forse dello strumento più importante tra i due, in quanto è destinato a protrarsi a lungo termine ed è indipendente da valutazioni contingenti.

122 L’auspicio è che la gradualità non si trasformi in mancata attuazione del dettato normati-

vo. Da più parti in dottrina infatti è sottolineato il fatto che le dichiarazioni che si sono avute finora possono essere considerate dichiarazioni d’intenti, poiché sono rimaste prive di appli- cazioni diffuse.

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Il termine “gestione” è stato oggetto di controversie in dottrina, poiché è risul- tata difficile la collocazione di questa attività nell’ambito della tutela o in quello della valorizzazione.123

Di fatto, al di là dei dibattici tuttora in corso, la gestione viene intesa come “at- tività servente alla valorizzazione, chiarendo alcuni dubbi interpretativi posti dal D. Lgs. 112 del 1998, in relazione all’assetto delle competenze amministra- tive. In particolare la gestione dei beni culturali è intesa come gestione delle at- tività di valorizzazione ad iniziativa pubblica”.124

L’art. 115 del Codice rappresenta il fulcro della disciplina del decentramento della gestione dei beni culturali. Questo prevede una diversificata tipologia di modelli di gestione applicabili ai beni culturali, che sono stati perlopiù ripresi dalla normativa precedente.

Alla base di questa normativa sta la volontà di limitare il ricorso alla gestione diretta125 dei beni culturali che è attuata dagli uffici centrali e periferici del Mi-

nistero competente o dell’ente territoriale. Ecco che il Codice va a dare rile- vanza a forme di gestione alternative quali l’affidamento a terzi o la concessio- ne.

123 Il dibattito sulla nozione di gestione ha caratterizzato tutta la fase della redazione del Co-

dice dei beni culturali e del paesaggio, anche in considerazione del fatto che, come già detto nel capitolo 2, il Testo Unico del 1999 non conteneva alcuna definizione al riguardo, l’art. 148 del D. Lgs. 112 del 1998, nel definire la gestione dei beni culturali la qualificava come ogni attività diretta, mediante l’organizzazione di risorse umane e materiali, ad assicurare la fruizione di beni culturali, concorrendo al perseguimento delle finalità di tutela e valorizza- zione.

124 FOA’, S., Forme di gestione (art. 115), in Aedon, Il Mulino, Bologna, n. 1, 2004.

125 Con l’espressione gestione diretta si intende fare riferimento all’ipotesi in cui uno o più

beni culturali sono gestiti direttamente, mediante propri uffici, dallo Stato, dalle Regioni o dagli Enti Locali mediante propri uffici, senza ricorrere a forme di gestione in concessione o affidamento a terzi.

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Nel caso dell’affidamento è possibile l’affidamento da parte dell’amministrazione pubblica a cui i beni appartengono, il ricorso a soggetti giuridici pubblici o privati quali istituzioni, fondazioni, associazioni, società di capitali, consorzi o altri soggetti di cui si parlerà diffusamente in seguito.

Nel caso della concessione invece, la scelta del contraente deve essere effettua- ta sulla base di procedure ad evidenza pubblica, sulla scorta di una compara- zione di precedenti progetti presentati. Il rapporto che viene a crearsi tra il ti- tolare dell’attività esternalizzata e il soggetto a cui viene affidato l’esercizio del- la stessa, è regolato, ai sensi del Codice, da un contratto di servizio. Tale con- tratto deve necessariamente avere dei contenuti minimi quali l’indicazione dei livelli qualitativi di erogazione del servizio e di professionalità degli addetti, nonché i poteri di indirizzo e controllo spettanti al titolare dell’attività.

Il Codice, all’art. 114126 espressamente richiama il riferimento a standard quali-

tativi, norma che sembra richiamare la nozione di livelli uniformi di qualità del- la valorizzazione.

Questa previsione sembra essere connessa a quella della nostra Costituzione, la quale all’art. 117, 2° comma dispone circa i livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali quale materia di legislazione esclusiva dello Stato e come base per l’intervento sostitutivo delle Stato nei confronti delle Regioni e degli enti locali.

126 L’art. 114 del Codice così si esprime in seguito alla modifica apportata con D.Lgs.

156/2006: “Il Ministero, le regioni e gli altri enti pubblici territoriali, anche con il concorso delle università, fissano i livelli minimi uniformi di qualità delle attività di valorizzazione su beni di pertinenza pubblica e ne curano l'aggiornamento periodico”.

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Da qualche tempo è molto discussa la categoria dei diritti culturali e in tale ambito si può inserire anche il diritto a poter fruire, in senso ampio, del patri- monio culturale.

In quest’ottica può essere letta la previsione della determinazione di standard uniformi di valorizzazione che vengono elaborati dagli enti locali, anche in concorso con le Università e adottati dal Ministero, previo accordo in sede di conferenza Stato-Regioni.

Ai sensi dell’art. 115 9° comma il titolare dell’attività di gestione può partecipa- re al patrimonio o al capitale del soggetto affidatario anche col conferimento in uso del bene. Sembra essere questa una disposizione molto importante in am- bito di gestione dei beni culturali.

Sulla base di tale previsione “si può ipotizzare che l’ente proprietario possa co- stituire o partecipare in forma prevalente una società, una fondazione o altro conferendo non il bene culturale ma risorse finanziarie o altri beni”.127

Ad ogni modo, se l’ente titolare decide di conferire in uso il bene , questo resta assoggettato al regime giuridico proprio, che è per lo più quello demaniale.

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Capitolo IV

Il ruolo dei privati nella gestione del patrimonio culturale

4.1. I proprietari di beni culturali

Andando a trattare del ruolo dei privati nella gestione dei beni culturali, sem- bra opportuno fare alcune considerazioni preliminari.

Il maggiore dinamismo gestione che, almeno in teoria, oggi caratterizza l’amministrazione dei beni culturali sembra avere a primo impatto la ratio di un maggiore coinvolgimento del settore privato, allo scopo di reperire nuove ri- sorse finanziarie e umane.

Si tratta senza dubbio di un tentativo importante soprattutto per le potenzialità in esso insite, quali quelle di apportare in questo ambito tratti di innovazione e prospettive diverse, nuove.

Al contempo però non si può nascondere il fatto che forse si tratta del percor- so più difficoltoso, almeno dal punto di vista dell’attuazione, poiché la presen- za del soggetto pubblico, in uno dei molteplici modelli gestori previsti dalla normativa, va a modificarne in misura sensibile la natura, con non poche im- plicazioni e problematicità per il privato.

Sulla base delle ultime riforme intervenute nel settore dei beni culturali, da più parti in dottrina si è sostenuto che il legislatore statale abbia “preferito aprire la gestione del cultural Heritage al privato anziché alle autonomie”.128

128 In questo senso BARBATI, C., Le forme di gestione, pag. 175 e CAMMELLI,M.,Decentra-

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Dall’analisi della normativa emerge chiaramente un favor legislativo nei con- fronti del settore privato che da un lato va a premiare l’attivismo che da anni caratterizza l’associazionismo di tipo culturale, dall’altro individua in esso una fonte di risorse economiche ed organizzative.129

Quella dell’intervento dei privati è una partecipazione che nel tempo ha dato molti esiti positivi.

A tale tipo di intervento, col tempo se ne sono andati ad aggiungere altri, quali il coinvolgimento dei privati come potenziali acquirenti al pari degli enti pub- blici territoriali, nel processo di privatizzazione del patrimonio culturale. Come sarà analizzato in seguito, sono stati peraltro prelevati dal diritto privato altri strumenti di gestione dei beni culturali aperti ovviamente alla partecipazione dei privati.130

Una prima tipologia di soggetti privati presenti nel mondo dei beni culturali è quella dei possessori o proprietari privati di beni culturali. Tali proprietari pos-

fase più matura, al fine di offrire alla valorizzazione un contesto normativo più facile e pene- trabile rispetto a quello risultante dall’insieme di disposizioni di vincolo che rendono estre- mamente difficile e costosa la vita di una qualunque entità all’interno del settore pubblico, si è consentita la presa in gestione del bene culturale da parte di strutture organizzative di dirit- to privato, istituite o partecipate dal Ministero, nonché aperte all’ingresso di altri soggetti pubblici o privati,BILANCIA, P., La valorizzazione dei beni culturali tra pubblico e privato, Franco Angeli, Milano, 2006, pag. 264.

129 Le modifiche introdotte dalle ultime leggi in materia non rappresentano delle novità in

termini assoluti, poiché tale processo è iniziato già negli anni Novanta con la già menzionata Legge Ronchey. Con la normativa più recente però il legislatore sembra aver acquisito la con- sapevolezza di una possibile surrogazione dell’iniziativa pubblica con quella privata. In altre parole, attestata la inefficienza e la inefficacia sia dal punto di vista giuridico che pratico di una riserva pubblica delle iniziative di valorizzazione, la soluzione per una migliore gestione dei beni culturali va trovata nell’affidamento a soggetti privati, siano essi imprenditori o or- ganizzazioni no profit. In tal senso si è espresso ALIBRANDI, T., op. cit., pag. 1643.

130 La gestione dei beni culturali attraverso strutture organizzative iure privato rum costituite

o partecipate dal Ministero risponde al tentativo di “ridare condizioni di agibilità e azione, flessibilità, autodeterminazione, autonomia, in una parola di risolvere il problema di organiza- tional failure che spesso caratterizza l’amministrazione pubblica”, così scrive ZAN, L., La tra- sformazione delle organizzazioni culturali in fondazione. La prospettiva manageriale, in Aedon, Il Muli- no, Bologna, n. 2, 2003.

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sono detenere beni mobili o immobili, edifici o opere d’arte, archivi o bibliote- che; si può trattare di persone fisiche o giuridiche, quali ad esempio società per azioni, fondazioni, associazione e altro ancora.

La loro attività è disciplinata in maniera minuziosa dal Codice dei beni cultura- li, il quale in diverse disposizioni si occupa di dettare le regole nel caso in cui i privati intervengano nella tutela e nella valorizzazione dei beni culturali stessi. Una norma già citata, l’art. 5 del Codice, precisa l’obbligo da parte non solo degli enti pubblici ma anche delle persone giuridiche private senza fini di lucro di presentare al Ministero per i beni e le attività culturali l’elenco di beni cultu- rali posseduti; all’art. 7 del Codice è prevista la dichiarazione di bene culturale per le cose appartenenti a privati.

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