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Il ruolo dei privati nella valorizzazione dei beni culturali

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Academic year: 2021

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INDICE

Capitolo I

Che cos’è un bene culturale

1.1. Introduzione ... 4

1.2. La nozione di bene culturale ... 7

1.3. L’accertamento della qualifica di bene culturale ... 12

1.4. Il bene culturale come espressione di civiltà ... 18

1.5. La valorizzazione dei beni culturali tra ruolo dei livelli di governo e pro-mozione delle identità: considerazioni introduttive ... 20

Capitolo II

Evoluzione storica della normativa sui beni culturali

2.1. La legislazione preunitaria ... 24

2.2. La legislazione postunitaria ... 27

2.3. L’inquadramento costituzionale della cultura ... 29

2.3.1. La riforma del Titolo V e sue implicazioni ... 33

2.4. Gli anni ’90: Ronchey, Veltroni e Melandri ... 35

2.5. Dal Testo Unico al Codice dei Beni Culturali ... 37

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Capitolo III

La valorizzazione dei beni culturali

3.1. La nozione ... 45

3.1.1. Il rapporto tra tutela e valorizzazione nella giurisprudenza della Corte Costituzionale in materia ... 49

3.2. Il ruolo dello Stato ... 52

3.2.1. Il Ministero per i Beni e le attività culturali ... 54

3.2.2. La dismissione del patrimonio pubblico culturale ... 61

3.2.3. La Sibec S.p.A. - Asus S.p.A. - Patrimonio dello Stato S.pA. ... 66

3.2.4. Comando Carabinieri per la Tutela del Patrimonio Artistico ... 74

3.2.5. I rapporti delle autonomie territoriali con il Ministero ... 75

3.3. Il ruolo delle Regioni ... 77

3.4. Il ruolo delle Province e dei Comuni ... 79

3.5. Gli accordi tra amministrazioni per la gestione dei beni culturali ... 81

3.6. La gestione indiretta dei beni culturali ... 83

Capitolo IV

Il ruolo dei privati nella gestione del patrimonio culturale

4.1. I proprietari di beni culturali ... 86

4.2. Il pubblico ... 89

4.3. Il Partenariato Pubblico Privato (PPP) ... 91

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4.4.1. La sponsorizzazione nel settore dei beni culturali ... 106

4.4.2. La sponsorizzazione nel Codice dei contratti pubblici e relazioni con quella culturale ... 109

4.4.3. La sponsorizzazione delle fondazioni bancarie ... 122

4.5. Le associazioni culturali e le associazioni di volontariato... 128

Capitolo V

I casi pratici

5.1. Il restauro del Colosseo, la sponsorizzazione di Tod’s ... 133

5.2. Il grande progetto Pompei... 148

5.2.1. Il Decreto cultura n. 83/2014, cd Art Bonus ... 153

5.3. Gli altri casi di mecenatismo culturale in Italia ... 156

Capitolo VI

Conclusioni

6.1. Aspetti critici e prospettive ... 162

Ringraziamenti ... 166

Bibliografia ... 167

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Capitolo I

Che cos’è un bene culturale

1.1. Introduzione

“Il patrimonio culturale italiano lascia stupefatti per come è bello, unico, ine-guagliabile”.1 Questo l’incipit di uno degli articoli scritti sullo stato attuale dei

beni culturali del nostro Paese; scritto che inizia con un bel complimento all’Italia e alle meraviglie che vi si trovano, ma che acquista tutto il sapore di una vera e propria inchiesta sul nostro Paese. Probabilmente tale inizio è usato dal cronista per trovare qualcosa che faccia da contraltare al resto, che invece non va2. Tuttavia, scrivere di quel che riguarda i beni culturali in Italia e non

solo è un “fatto complesso”.

Con il presente lavoro si intende analizzare la disciplina relativa alla materia dei beni culturali, nella sua evoluzione spazio-temporale, dedicando particolare at-tenzione alle disposizioni legislative concernenti la valorizzazione dei beni cul-turali, quale ambito di intervento che coinvolge vari livelli di governo.

Al pari di quanto accade nella maggioranza dei paesi europei, anche in Italia la tutela del patrimonio storico-artistico e lo sviluppo della cultura sono compiti dell’attore pubblico. A stabilire ciò è la Costituzione, che si occupa della tutela delle “cose d’arte”, e in un’ottica più ampia della “promozione della cultura”.

1 Addio dolce vita. A survey of Italy, The Economist, 26 novembre 2005

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A ben vedere la Carta non esclude un possibile intervento dei privati nel setto-re, ed anzi riserva ampi spazi al contributo della “società civile”.

Va considerato però che, mentre per i soggetti privati il sostegno all’arte e alla cultura è una scelta libera, per i pubblici poteri si tratta di un dovere/potere previsto dalla Costituzione3.

È proprio questo il tema principale di tale lavoro, analizzare cioè qual è il ruolo dei privati nella valorizzazione dei beni culturali e quali sono le prospettive per un maggior coinvolgimento della società civile.

L’impegno è quello di tutelare, valorizzare e gestire in modo efficace, efficiente ed economico quella “straordinaria sedimentazione storico-artistica che do-vrebbe rappresentare la spina dorsale dell’identità culturale italiana”.

Nel tempo abbiamo assistito al passaggio da un approccio “statico” ad uno “dinamico” della materia, infatti da un’azione a carattere settoriale e spesso sporadica le iniziative volte a preservare e gestire i beni storico-artistici stanno evolvendo verso un modello più elaborato che implica da un lato una conce-zione più estensiva del patrimonio da tutelare e valorizzare, dall’altro il ricorso a strumenti collocati in ambiti diversi da quello della conservazione stricto sensu, i quali tendono ad incoraggiare ed incentivare la valorizzazione da parte dei cit-tadini e delle istituzioni.

I beni culturali hanno rilievo non soltanto nell’ordinamento statale, ma anche in quello regionale ed europeo. È perfettamente comprensibile, se non auspi-cabile, che le Regioni e gli enti locali dedichino particolare interesse ai beni

3 DI SANLUCA,G. C.- SAVOIA, R., Manuale di Diritto dei beni culturali, Jovene, Napoli,

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6

turali siti nel loro territorio. Alla luce del principio di sussidiarietà, assumono significativa importanza sono pure gli interventi posti in essere dai Comuni, nell’ottica di un’interrelazione fra momento centrale e momento locale. Negli ultimi anni anche i privati hanno iniziato a giocare un ruolo fondamentale nell’ambito della gestione dei beni culturali, poiché si è cercato di superare quel tipo di intervento solo conservativo, che cristallizza ed ingessa non soltanto il bene, ma anche la possibilità di dialogo tra soggetti e settori. L’intento è quello della piena e compiuta “valorizzazione” del bene, intendendo per ciò non sol-tanto fare riferimento al valore intrinseco di questo, ma impiegare, utilizzare, riscoprire quel patrimonio, per diffondere la cultura e coinvolgere sempre più maggiori soggetti nell’obiettivo di salvaguardare “il più importante deposito di beni artistici” che si trova nel nostro Paese.

All’inizio degli anni Ottanta fu coniata l’espressione “beni culturali nostro pe-trolio”4, formula che affascinò moltissimo studiosi, politici e giornalisti.

Si iniziò a parlare di “museo azienda”5, dei beni culturali come motore di

svi-luppo, fulcro e strumento di occupazione. Il complesso mondo della cultura e delle arti stava iniziando a rompere l’attaccamento ad appigli idealistici per in-traprendere la strada della fruttuosità economica e della efficienza aziendalisti-ca.

4 Questa espressione è stata ripresa da L. Godart, archeologo e filologo che ha insegnato

all’Università Federico II di Napoli, per sottolineare che “il patrimonio italiano è immenso e necessità del coinvolgimento dei privati”, in CERVASIO, S., I beni culturali sono il vero petrolio d’Italia, Repubblica.it, 3 ottobre 2013.

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È necessario iniziare a rafforzare il concetto secondo cui il patrimonio cultura-le italiano è potenzialmente la prima industria del Paese e non può quindi esse-re posto ai margini delle strategie economico-politiche.

È opportuno dunque soffermarsi sul significato e sulle implicazioni del concet-to di “valorizzazione”, dopo avere preliminarmente definiconcet-to la portata dell’espressione “bene culturale”.

1.2. La nozione di bene culturale

È necessario definire preliminarmente l’oggetto della trattazione, ovvero chia-rire che cosa si intende per “bene culturale”.

L’ espressione fece il suo debutto nella Convenzione per la protezione dei beni culturali in caso di conflitto armato, firmata all’Aja nel 19546.

Da lì la nozione “bene culturale” è entrata nel linguaggio giuridico interno, con riferimenti inizialmente sporadici, negli Statuti delle Regioni ordinarie e nelle primissime leggi regionali, per poi essere utilizzata “ufficialmente” con la legge istitutiva del Ministero di settore, che venne denominato appunto “Ministero per i beni culturali e ambientali”7.

Un’ondata di novità fu portata dalla Commissione Franceschini istituita con L. 1964, n. 310 con l’obiettivo e l’incarico di “condurre un’indagine sulle condi-zioni attuali e sulle esigenze in ordine alla tutela e alla valorizzazione delle cose

6 Non tutti sono concordi nel considerare tale anno come data di nascita della nozione, per

M.S. Giannini, la data è da individuarsi negli anni 1964-1964, nell’ambito di alcuni documenti redatti dall’Unesco, in GIANNINI, M. S., I beni culturali, in Riv. trim. dir. pubbl., 1976, pag. 5.

7 È significativo rilevare come il termine non compaia nella disciplina delle conferenze dei

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di interesse storico, archeologico, artistico e del paesaggio” nonché di “formu-lare proposte concrete” con l’intento di operare una revisione della normativa sulla tutela8.

I lavori della Commissione terminarono con una Relazione conclusiva, corre-data da una serie di Dichiarazioni, che potevano già benissimo essere conside-rate come una proposta organica di modifica legislativa9.

Ciò che ne emerse non fu soltanto il risultato di un’analisi superficiale dello stato in cui versava il patrimonio culturale, ma una ricerca oculata, senza reto-rica e povera di giudizi sommari. La Commissione fece emergere uno stato ge-nerale di precarietà e decadenza del patrimonio archeologico, artistico, storico, ambientale, librario e archivistico italiano che non poteva (e non può) essere attribuito soltanto a “deficienze di finanziamento, bensì all’idea stessa che si ha del patrimonio culturale”10 e degli strumenti che il legislatore mette a

disposi-zione per tutelarlo. Si apprezza solo per parti o solo in quanto valore artistico, sottacendo spesso l’importanza che questo ha come testimonianza della storia. La Commissione nella Dichiarazione I impiegò l’espressione “bene culturale” e ne esplicitò ben due accezioni. In primo luogo una nozione di “patrimonio culturale della Nazione” molto lata, poiché vi rientravano “tutti i beni aventi riferimento alla storia della civiltà”; in secondo luogo, e questa sarà la defini-zione che acquisterà maggiore notorietà, fu introdotto un criterio definitore

8 Si trattava di una commissione atipica, in quanto composta da 16 parlamentari e 11 esperti

nominati dal Consiglio dei Ministri.

9 La relazione conclusiva può essere letta in Riv. trim. dir. pubbl., 1966, pagg. 120 e ss. - le

di-chiarazioni erano ben 84.

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siduale e generale, per cui è bene culturale “ogni altro bene che costituisca te-stimonianza materiale avente valore di civiltà”. Tale espressione irruppe nella coscienza sociale e rappresentò un dato di modernità, poiché era ancora pre-gnante l’idea di riconoscere valenza culturale solo alle cose aventi un determi-nato pregio artistico ed estetico. Si spianò la strada anche a quelli che sono de-finiti “beni minori” , intendendo per tali quei beni che non sono dotati del re-quisito della “irripetibilità”11.

La formulazione proposta è stata da allora al centro di molti dibattiti o inter-venti dottrinali sul punto, per cui lo stesso Giannini12 discuterà e approfondirà

la nozione di bene culturale quale “testimonianza materiale avente valore di ci-viltà”.

Sebbene contenuta in un documento ufficiale tale nozione non assurge a defi-nizione avente carattere normativo e all’epoca rimase priva di riconoscimenti a livello positivo.

La nozione è stata introdotta per la prima volta nella legislazione nazionale con l’art. 148, co. 1, D. Lgs n. 112/1998, il quale definiva “beni culturali”: “quelli che compongono il patrimonio storico, artistico, monumentale, demoetnoan-tropologico, archeologico, archivistico e librario e gli altri che costituiscono te-stimonianza avente valore di civiltà”. In tale norma si riflette l’eco della

11 SEVERINI, G., La nozione di bene culturale, in Relazione al Convegno su Il nuovo Codice dei

Beni culturali, organizzato dall’Associazione Dimore Storiche Italiane, Sez. Toscana, Firenze, 15 giugno 2004, in giustizia-amministrativa, pagg. 7 e 11.

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ne elaborata a suo tempo dalla commissione Franceschini13, che conteneva la

seguente definizione di bene culturale: “bene che costituisca testimonianza ma-teriale avente valore di civiltà”14.

L’ art. 148, lett. a), D. Lgs. N. 112/98 ha accolto una nozione mista di bene culturale, che risulta essere una via di mezzo tra l’elencazione, non tassativa, delle cose soggette a tutela e un rinvio a nuovi beni che la legge può individua-re quale “testimonianza avente valoindividua-re di civiltà”.

Si ricavano da qui le caratteristiche essenziali del bene culturale: la “materialità” e il “valore di civiltà”, che sembrano riecheggiare pure nello stesso art. 10 del D. Lgs. 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali e del paesaggio), al-lorquando i beni culturali sono definiti quali “cose immobili o mobili” di au-tore non più vivente, prodotte da almeno cinquanta anni, che devono presen-tare una particolare qualifica giuridica. Il primo carattere, la consistenza mate-riale, è anche per il legislatore del 2004 un tratto che deve contraddistinguere i beni suscettibili di essere dichiarati culturali15.

13 AINIS,M.-FIORILLO, M., I beni culturali, in CASSESE,S. (a cura di), Trattato di diritto

amministrativo, Giuffrè, Milano, 2003, pag. 1463.

14 Da notare l’eliminazione dell’aggettivo “materiale” dall’espressione “testimonianza

materia-le avente valore di civiltà”, che “dovrebbe dimostrare la piena rapportabilità delmateria-le attività cul-turali al genus beni culcul-turali”, CHITI, M. P., La nuova nozione di beni culturali nel D. Lgs. 112/1998, in Aedon, Il Mulino, Bologna, n.1, 1998.

15 L’art 10 del Codice: “Sono beni culturali le cose immobili e mobili appartenenti allo Stato,

alle regioni, agli altri enti pubblici territoriali, nonché ad ogni altro ente ed istituto pubblico e a persone giuridiche private senza fine di lucro, che presentano interesse artistico, storico, archeologico o etnoantropologico”, nonché, sempre che sia intervenuta la dichiarazione dell’interesse culturale, ”le cose immobili e mobili che presentano interesse artistico, storico, archeologico o etnoantropologico particolarmente importante, appartenenti a soggetti diversi da quelli indicati al comma 1” e “ le cose immobili e mobili, a chiunque appartenenti, che ri-vestono un interesse particolarmente importante a causa del loro riferimento con la storia politica, militare, della letteratura, dell'arte e della cultura in genere, ovvero quali testimonian-ze dell'identità e della storia delle istituzioni pubbliche, collettive o religiose”.

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Non si possono nascondere le perplessità suscitate dalla scelta di individuare nella materialità un tratto distintivo del bene culturale, che sembra essere usci-to “rafforzausci-to”16 dal Codice, il quale sembra essere ben chiaro nell’enunciare

che i beni non materiali non possono essere attratti nella categoria beni cultu-rali. A ben vedere, il T.U. del 1999, aveva fornito una definizione che lasciava trapelare l’idea che anche beni non materiali potessero essere ricompresi nella sfera dei beni culturali17. La dottrina al riguardo si è espressa in modo

presso-ché unanime nel ritenere che il legislatore avesse inteso riferirsi anche ai beni “immateriali” o “volatili”, nel senso di beni non “cose” ma espressione della cultura popolare. Secondo il Consiglio di Stato, nel dato normativo è da ri-scontrarsi un “carattere di realtà ne senso più ampio del termine: in altre parole il bene nella sua materialità deve costituire l’elemento centrale della fattispecie regolata dalla norma ed il suo valore culturale e ambientale deve improntare la

ratio del contenuto”18.

Altro carattere che emerge dall’analisi della normativa è la dimensione , per cui il carattere “culturale” può consistere sia in beni “individui” sia in “universalità di cose” (collezioni, raccolte, serie).

Il terzo carattere riguarda invece l’anagrafica del bene, poiché è necessario che sia opera di autore non più vivente e che la realizzazione sia avvenuta da alme-no cinquanta anni, affinché sia considerato culturale. A disporlo è l’art. 10, co. 5 del Codice.

16 Cosi scrivono DISANLUCA,G.C.-SAVOIA, R..,op. cit., pag. 197.

17 L’art. 4 “beni non ricompresi nelle categorie elencate agli artt. 2 e 3 sono individuati dalla

legge come beni culturali in quanto testimonianza avente valore di civiltà”.

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1.3. L’accertamento della qualifica di bene culturale

Il Codice dei beni culturali e del paesaggio, approvato con D. Lgs. 22 gennaio 2001, n. 42 ha apportato novità in relazione all’individuazione in concreto di beni culturali, nello specifico di quelli di appartenenza pubblica. Con l’espressione “accertamento della qualifica di bene culturale” si intende fare ri-ferimento all’attività che la Pubblica Amministrazione intraprende al fine di individuare i beni oggetto di tutela e di valorizzazione, cioè di acclarare che una certa “cosa” possieda i caratteri “intrinseci” richiesti dalla legge, affinché un bene possa essere considerato meritevole di tutela e di salvaguardia e dun-que essere definito “bene culturale”. L’art. 12 del Codice19 derubricato

“Verifi-ca dell’interesse culturale” detta le procedure di individuazione dei beni cultu-rali in appartenenza pubblica.

Con il Codice è stata introdotta una profonda novità, le cui ragioni si colloca-no perlopiù in circostanze estranee al settore culturale, in particolare nell’esigenza di tentare un risanamento dei bilanci dello Stato attraverso l’alienabilità (ovviamente non indiscriminata) dei beni del patrimonio culturale in appartenenza pubblica.

Per apprezzare al meglio il calibro delle novità introdotte risulta inevitabile fare un excursus relativo ai vari meccanismi di individuazione dei beni culturali di appartenenza pubblica individuati dal T.U.20 e dalle modifiche apportate dal

Regolamento recante disciplina delle alienazioni degli immobili del demanio

19 Così come modificato dall’art. 2, co. 1, lett. C del D.Lgs. 156/2006.

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storico e artistico adottato con D.P.R. 7 settembre 2000, n. 283, e successiva-mente dall’art. 27 della L. 24 novembre 2003, n. 326 “Disposizioni urgenti per favorire lo sviluppo e la correzione dei conti pubblici”.

Nel sistema del T.U. le procedure per l’individuazione dei beni culturali erano distinte a seconda della loro proprietà. Per le cose di appartenenza pubblica erano previsti elenchi di natura indicativa, per cui non era necessario alcun procedimento formale che acclarasse l’interesse alla tutela da parte dell’autorità, mentre per quelle dei privati era richiesta obbligatoriamente la “dichiarazione di interesse storico-artistico”. Secondo Aicardi, in quel sistema, l’individuazione dei beni culturali in appartenenza pubblica avveniva “attraver-so una “attraver-sorta di autoricognizione del loro valore culturale effettuata dagli enti proprietari”21. Le Regioni, Province, i Comuni e gli altri istituti o enti pubblici

dovevano presentare al Ministero l’elenco dei beni in loro proprietà considerati d’interesse culturale, sulla base di un giudizio tecnico-discrezionale ad essi ri-servato, poiché solo sugli enti pubblici diversi dallo Stato incombeva l’obbligo di compilare gli elenchi.

Va detto poi che il Ministero acquisiva gli elenchi senza procedere ad alcuna verifica sulla bontà dei giudizi formulati dai proprietari. La ratio di tale discipli-na può essere ritrovata nella “specialità” dei beni che costituivano oggetto de-gli elenchi, beni demaniali, ovvero patrimoniali indisponibili.

21 AICARDI, N.,L’ordinamento amministrativo dei beni culturali, Giappichelli, Torino, 2002, pag.

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In relazione al settore dei beni culturali il Codice civile classifica fra i beni de-maniali22 “gli immobili riconosciuti di interesse storico, archeologico e artistico

a norma delle leggi in materia” e “le raccolte dei musei, delle pinacoteche, degli archivi, delle biblioteche” e fra quelli patrimoniali indisponibili dello Stato “le cose di interesse storico, archeologico, paletnologico, paleontologico e artistico da chiunque e in qualunque modo ritrovate nel sottosuolo”23. Tale disciplina

codicistica fu recepita dal legislatore del T.U. il quale aveva provveduto soltan-to a definirla meglio.

Con il Regolamento approvato con D.P.R. 7 settembre 2000, n. 283 il regime di inalienabilità degli immobili del demanio storico-artistico ha subito una radi-cale trasformazione, poiché è stata prevista la possibilità di alienazione, previo rilascio di una autorizzazione del Ministero, di una parte degli immobili cultu-rali in appartenenza agli enti territoriali24. Fu peraltro disposto l’aggiornamento

delle procedure di individuazione degli immobili in questione, ritenendo che l’affidamento del riconoscimento del valore culturale ai soli enti proprietari fosse insufficiente. In particolare, l’art. 3 stabiliva che, entro due anni dall’entrata in vigore della nuova disciplina, gli enti in questione dovessero pre-sentare alla Soprintendenza regionale due elenchi degli immobili di loro

22 Ai sensi dell’art. 822 c.c. sono demaniali i beni immobili e le universalità di mobili

apparte-nenti allo Stato o ad altri enti territoriali, per cui vige il regime della incommerciabilità ed ina-lienabilità.

23 Ai sensi dell’art. 826 e 830 c.c. costituiscono patrimonio indisponibile quei beni, mobili ed

immobili, in appartenenza pubblica, ma non necessariamente dello Stato e degli altri enti ter-ritoriali, non compresi nell’elenco dell’art. 822 c.c.

24 Il decreto non aveva previsto la commerciabilità dell’intero patrimonio immobiliare poiché

ai sensi dell’art. 2 restavano inalienabili gli immobili che fossero “beni riconosciuti come mo-numenti nazionali”, “beni di interesse particolarmente importante a causa del loro riferimen-to con la sriferimen-toria politica, militare, della letteratura, dell’arte e della cultura in genere”.

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prietà: uno contenente l’aggiornamento dell’elenco dei beni ritenuti di interes-se culturale in bainteres-se alla loro valutazione tecnico-discrezionale, l’altro contenen-te i beni costruiti non oltre il 1955, considerati privi di tale incontenen-teresse con l’indicazione della destinazione d’uso. Ricevuti gli elenchi, il Soprintendente doveva verificare, entro ventiquattro mesi, l’effettiva sussistenza del valore cul-turale e comunicare dunque al proprietario quelli da esso ritenuti privi di tale interesse. In pratica poteva anche accadere che il Soprintendente integrasse l’elenco con beni (compresi nel catalogo di quelli considerati non culturali dall’ente proprietario) ai quali riconosceva un particolare valore intrinseco. Al termine della verifica gli immobili giudicati dal Soprintendente d’interesse, an-corché demaniali, potevano essere alienati su richiesta degli enti proprietari, previo rilascio di autorizzazione.

Analoga era la disciplina relativa ai beni “immobili di interesse artistico e stori-co dello Stato” che fossero presi in stori-considerazione nell’ambito del processo di “dismissione e valorizzazione”.

Ulteriori novità rispetto alle procedure di individuazione dei beni culturali in appartenenza pubblica furono introdotte con la L. 24 novembre 2003, n. 326, che ha riguardato sia l’ambito di applicazione delle regole di individuazione che le procedure. In merito all’ambito di applicazione delle nuove regole di indivi-duazione , stando alla formulazione letterale della norma, sembrerebbe che possano essere sottoposti al procedimento di acclaramento della sussistenza dell’interesse, non soltanto tutti i beni immobili di presunto interesse di pro-prietà delle autonomie territoriali, ma anche quelli in appartenenza statale.

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Modifiche massicce sono state inserite invece in merito alle procedure, poiché è stato previsto che il procedimento può avviarsi anche d’ufficio quando og-getto di verifica siano immobili in appartenenza statale, ovvero anche su ri-chiesta dei soggetti a cui le cose appartengono, quando siano oggetto di verifi-ca immobili in appartenenza delle autonomie territoriali e degli altri enti pub-blici.

A tal punto entra in gioco la Soprintendenza regionale, la quale una volta rice-vuti gli elenchi li smista alle Soprintendenze di settore, cui compete l’istruttoria del procedimento per poi arrivare alla decisione da parte del Soprintendente regionale. Anche in relazione ai tempi del procedimento vi sono novità, in quanto è stato previsto il meccanismo del silenzio-assenso.

Le Soprintendenze di settore devono terminare l’istruttoria entro trenta giorni dalla richiesta (termine perentorio) della Soprintendenza regionale, la quale de-ve concludere il procedimento e comunicarne l’esito entro sessanta giorni dalla ricezione della relativa scheda descrittiva o della richiesta.

Se la Soprintendenza non provvede entro tale termine, questo si intende pro-rogato per altri sessanta giorni, trascorsi i quali scatta appunto il silenzio-assenso, cioè la mancata comunicazione dell’esito della verifica nel termine complessivo di centoventi giorni equivale ad esito negativo della verifica. Ec-co che l’inerzia della Pubblica Amministrazione acquista un preciso significato. Le suddette previsioni sono state recepite all’art. 12 del Codice, che non ha apportato, nella sua versione originaria, importanti modifiche alla disciplina.

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Importanti novità sono state introdotte nel 200525, in relazione al

silenzio-assenso della Pubblica Amministrazione.

La norma che risulta oggi all’art. 12 del Codice è stata ritoccata anche nel 2006. Ai sensi di questa, le cose immobili e mobili ultra cinquantennali ed il cui auto-re sia non più vivente, in appartenenza pubblica ed assimilate, possono esseauto-re sottoposte ad un accertamento formale di verifica che si conclude entro cen-toventi giorni dal ricevimento della richiesta. Sono sottratte alla verifica “le raccolte di musei, pinacoteche, gallerie e altri luoghi espositivi”. Allo stesso modo pare siano sottratte al procedimento alcune categorie di beni qualificate inalienabili ex lege ai sensi dell’art. 54 del Codice.

Passando ad analizzare invece l’individuazione dei beni culturali in apparte-nenza privata, si evince che questa è rimasta pressoché immutata.

Il Codice riprende quanto affermato dal Testo Unico, non soltanto disponen-do l’applicazione in via cautelare delle misure di salvaguardia sin dall’avvio del procedimento e l’obbligatorietà della comunicazione della sua apertura all’interessato26, ma prevedendo anche una diversa suddivisione di questo, che

tiene distinto il momento del riconoscimento dell’interesse culturale da quello del della comunicazione al proprietario del provvedimento di vincolo. Le mi-sure di salvaguardia consistono in una serie di divieti (di demolizione, di

25 Le modifiche sono intervenute con due Decreti provenienti dal Capo del Dipartimento per

i beni culturali e paesaggistici del 2005. I due decreti si possono leggere in Aedon, Il Mulino, Bologna, n.2, 2005.

26 Il Codice all’art. 14 li individua nel proprietario, possessore o detentore a qualsiasi titolo

della cosa”. La norma non risulta essere molto chiara, perché non è comprensibile se i sud-detti soggetti debbano essere intesi come destinatari necessari della comunicazione o meno. La scelta sembra essere quella di affidare alla discrezionalità della Pubblica Amministrazione l’individuazione del destinatario.

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zione, modificazione) e di obblighi che vengono rimosse laddove non soprag-giunga la dichiarazione di interesse culturale. Se la Pubblica Amministrazione ritiene che sussistente l’interesse, il procedimento si conclude con l’adozione del provvedimento di dichiarazione e con la comunicazione all’interessato del provvedimento. La dichiarazione rappresenta il momento dal quale il bene è sottoposto integralmente alla disciplina dettata dalla legge.

È possibile il ricorso al Ministero per motivi attinenti alla legittimità e al meri-to, entro trenta giorni dalla notifica. Tale previsione sembra essere una rassicu-razione fornita ai cittadini, in vista di poter ottenere una tutela maggiore rispet-to a quella ottenibile dal giudice (poiché il suo sindacarispet-to è limitarispet-to alla sola le-gittimità dell’atto).

1.4. Il bene culturale come espressione di civiltà

I beni culturali quali “testimonianze aventi valore di civiltà”27 sono considerati

in modo piuttosto unanime portatori di valori che non sono propri di coloro che li hanno manifestati e concretizzati, bensì di tutti coloro che riescono a percepirne l’importanza storica, culturale e artistica.

Facendo riferimento a nozioni extragiuridiche si possono individuare gli ele-menti caratterizzanti di un bene culturale e le qualità che deve avere affinché possa essere definito tale. In ausilio vengono discipline diverse rispetto al dirit-to, quali l’architettura, la storia e l’arte, per cui si può desumere che la

27 Secondo la definizione data negli anni Sessanta è diventato adesso un requisito

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cazione di un bene come culturale è qualcosa che avviene prima e a prescinde-re dell’intervento del diritto.

Il diritto rimane estraneo a tale processo, fin quando non è decisa l’importanza e la necessità di un intervento che miri a tutelare e valorizzare un certo bene culturale.

Col tempo si è dimostrata un’ingerenza sempre maggiore dell’ambito giuridico in materia di beni culturali; alla base di ciò possono essere ricondotte varie mo-tivazioni tutte accomunate dalla avvertita esigenza di una crescente sintonia tra beni culturali, territorio e la comunità che li ospitano.

In primo luogo vi è indubbiamente una componente economica connessa alle varie prospettive di sviluppo di un territorio. In Italia sta oltre la metà del pa-trimonio culturale mondiale riconosciuto28, il che è considerata come una

ri-sorsa economica da valorizzare e sfruttare29. A ciò si può aggiungere la

consta-tazione del superamento di una concezione elitaria di beni culturali a favore di una visione dinamica degli stessi, volta ad accrescere le attività di valorizzazio-ne30 e dall’altro lato l’aspirazione a riconoscere i beni culturali come strumenti

28 PAPA,A., Strumenti e procedimenti della valorizzazione del patrimonio culturale, Editoriale

Scienti-fica, Napoli, 2006, pag. 10.

29 Quello culturale è un tipo di turismo difficilmente cristallizzabile: seguendo ad esempio,

l’elaborazione proposta dall’Organizzazione Mondiale del Turismo ecco che tutti i movimen-ti di persone potrebbero potenzialmente essere inclusi nella definizione poiché “soddisfano il bisogno umano per la diversità, tendendo ad accrescere il livello culturale dell’individuo e comportando nuove conoscenze, esperienze ed incontri” (UNWTO, 1985). La natura di ciò che va incluso nel turismo culturale varia quindi a seconda di cosa si intende per cultura ad uso turistico, MiBACT, Ufficio Studi, Newsletter n. 3/2010, pag. 2.

30 Vi è chi osserva che ancora oggi quest’ultima “è considerata da molti come un serbatoio di

memorie da conservare sotto una bacheca ben protetta; un insieme di segni che risultano musealizzati e, in quanto tali, anche un po’ mummificati. Le aspettative di coloro che conce-piscono la cultura in questo modo appaiono da una parte eccessive, pretendendo che la cul-tura rientri nel mercato e produca redditi come qualsiasi produzione manifatturiera; dall’altra difettose e basiche, lasciando sotto la cenere le infinite e indefinite potenzialità che la cultura

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idonei a definire concetti quali l’identità culturale e civiltà, che stanno attraversan-do una profonda crisi e pertanto sono da considerare di scottante attualità.

1.5. La valorizzazione dei beni culturali tra ruolo dei livelli di governo e promozione delle identità

La Costituzione all’art. 9 individua la Repubblica quale soggetto che “promuo-ve lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione”31. Ciò avrebbe potuto

signifi-care, fin dall’entrata in vigore della Carta, un’ assegnazione del compito in capo a tutti i livelli territoriali di governo. Come è noto, invece il riparto di compe-tenze, in base all’originaria formulazione del Titolo V andava a favore dell’intervento dello Stato, visto che l’art. 117 Cost. riservava alla potestà legi-slativa regionale ambiti esigui. Ad avvalorare la tesi anche le previsioni conte-nute in alcuni Statuti speciali, le quali assegnano competenze in materia di beni culturali assai poco rilevanti32.

Con la Riforma del Titolo V, attuata con L. cost. 3/2001, è stato ridisegnato il riparto di competenze tra i livelli di governo ed è stato caratterizzato da un’accentuazione dell’autonomia regionale; nello specifico la clausola residuale

potrebbe mostrare se solo la si volesse far uscire dal bozzolo aristocratico e statico in cui un secolo incerto l’ha confinata”, TRIMARCHI, M., Il finanziamento delle associazioni culturali ed educative, Il Mulino, Bologna, 2002, pag. 7.

31 “L’art. 9 della Costituzione contiene una norma manifesto, uno di quelli che ha la stessa

funzione dei motti araldici: spiegare in sintesi i valori del cavaliere che sta dietro le armi. È noto poi che quando il motto è troppo sintetico, diventa un geroglifico che, come tale, ha bi-sogno di essere svelato”. Queste le espressioni utilizzate per far emergere le non poche diffi-coltà di interpretazione dell’art. 9 della Costituzione, MERUSI,F., in Beni culturali, esigenze reli-giose e art. 9 della Costituzione, in Scritti in onore di Aldo Piras, Il Mulino, Bologna, 1996.

32 Lo Statuto della Regione Sicilia attribuisce all’Assemblea regionale la competenza

legislati-va esclusilegislati-va in materia di conserlegislati-vazione delle antichità e delle opere artistiche - PAPA,A., op. cit., pagg. 36-37.

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è stata attribuita allo Stato in luogo delle Regioni ed è stato accresciuto il nu-mero delle competenze che rientrano nella competenza concorrente Stato-Regioni, in virtù della quale il primo individua i soli principi fondamentali. Modifiche sono intervenute anche a livello di fonti secondarie, per cui allo Sta-to è riconosciuta potestà regolamentare solo nelle materie in cui ha potestà le-gislativa esclusiva. Per quanto attiene poi alle funzioni amministrative, è stato abbandonato il vecchio principio del parallelismo tra competenza amministra-tiva e funzione legislaamministra-tiva e si è aperta la strada al principio di sussidiarietà, il quale trova nel cittadino sia esso singolo o associato il fulcro dell’organizzazione.

In tale riparto di competenze profondamente mutato rispetto all’originario as-setto costituzionale, la materia dei beni culturali si inserisce in modo del tutto peculiare, ciò a dimostrazione dell’interesse che l’ambito suscita non solo a li-vello dottrinale ma anche politico. Con la riforma, l’attenzione è stata posta non alla materia “beni culturali” globalmente intesa, bensì alle sue funzioni più significative, quali la tutela e la valorizzazione, la prima assegnata alla compe-tenza esclusiva dello Stato e la seconda a quella concorrente Stato-Regioni. La ratio della scelta di attribuire la “valorizzazione” alla competenza legislativa concorrente, può essere trovata nel fatto che si tratta di una funzione assai le-gata al territorio, la quale peraltro permette di potenziare le interrelazioni tra

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beni culturali e politiche locali quali commercio, trasporti e governo del territo-rio in genere33.

Dalla relazione stilata dal Ministero dello Sviluppo economico in cooperazione con la Commissione Europea, in particolare dall’adozione de “Il Quadro Stra-tegico Nazionale 2007-2013. La quinta priorità” si può leggere a chiare lettere che tra gli obiettivi vi è quello di “ valorizzare i beni e le attività culturali quale vantaggio comparato delle Regioni italiane per aumentarne l’attrattività territo-riale, per rafforzare la coesione sociale e migliorare la qualità della vita dei resi-denti”34.

L’abbattimento delle barriere spazio-temporali e l’intensificazione dei flussi migratori, hanno portato ad una accentuazione dei fenomeni legati al plurali-smo nella società.

A tutto ciò consegue che inevitabilmente vi deve essere uno spazio per gestire e governare le conseguenze.

In tale ottica il patrimonio culturale nazionale è considerato da un lato come testi-monianza dell’identità di un Paese, dall’altro rappresenta “un momento di coe-sione dello spirito nazionale, anche nell’ambito di un’integrazione più am-pia”35.

Al contempo però vi è da considerare il fatto che ogni comunità, piccola o grande che essa sia, manifesta valori, tradizioni, consuetudini che altro non

33 Cfr. CATTANEO, S., Cultura e patrimonio culturale, in Trattato di diritto amministrativo,

di-retto da Giuseppe Santaniello, Cedam, Padova, 2002 pagg. 7 e ss.

34 Il documento in versione integrale è leggibile in: http://www.dps.tesoro.it.

35 Così scriveMOTZO, G., Beni culturali e diritti fondamentali (di terza generazione), in CAPUTI

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no che un’identità comune. I beni culturali allora, si atteggiano, è evidente, come strumenti di identificazione di una collettività che non intende essere ri-conosciuta soltanto per i tratti economici, politici e sociali, ma anche e soprat-tutto per la cultura che riesce ad esprimere. Dunque possiamo dire che emer-ge senz’altro un profondo legame intercorrente tra cultura, beni e identità, le-game al quale la dottrina non resta certo indifferente e che trova il suo pieno riconoscimento in un ordinamento democratico che pone al centro dell’attenzione la persona, alla quale sono attribuiti diritti e facoltà per “il pieno sviluppo della persona umana”36.

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Capitolo II

Evoluzione storica della normativa in materia di beni culturali

2.1. La legislazione preunitaria

Anche se particolare attenzione sarà dedicata alla normativa vigente oggi rela-tiva ai beni culturali, sembra opportuno ricostruire, sia pur per sommi capi, quello che è stato l’excursus storico di questa legislazione.

L’esigenza di assicurare con apposite leggi la conservazione e la difesa delle co-se d’arte, oggi vivamente co-sentita nella coscienza collettiva dei Paesi civili, non si affermò facilmente presso gli antichi.

Infatti, almeno inizialmente, presso i Romani le belle arti non erano tenute in grande considerazione. Ma ben presto le opere d’arte sottratte ai popoli vinti e trasportate a Roma furono considerate la testimonianza più viva e concreta delle vittorie conseguite e costituirono un patrimonio spirituale appartenente all’intera collettività e quindi da conservare e tutelare.

Molti Pontefici del Quattro e del Cinquecento svolsero un ruolo di rinnova-mento e di ampliarinnova-mento di questo ingente patrimonio, talvolta trovandosi ad affrontare problemi non molto distanti da quelli che ancora oggi fronteggiano gli amministratori pubblici, allorquando si pongono il quesito sia di conservare che di valorizzare il patrimonio culturale.

Si deve all’opera degli stessi Pontefici un vero ripristino della legislazione pro-tettiva dei monumenti. Essi con provvedimenti restrittivi della proprietà

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ta e rigidamente punitivi, vietarono “di distruggere o deteriorare i monumenti e gli avanzi delle antichità, di procedere agli scavi, di appropriarsi dei materiali, di vendere gli oggetti scavati su cui lo Stato avevo il diritto di prelazione, di asportare fuori Roma e dallo Stato qualunque oggetto d’arte senza espressa li-cenza”.

“La data di nascita della normativa sui beni culturali può essere individuata fa-cendo riferimento ad alcuni provvedimenti adottati in Toscana agli inizi del sedicesimo secolo”.37

Già nel 1571 si vietava la rimozione di insegne e iscrizioni dai palazzi antichi; mentre trenta anni più tardi fu proibita formalmente l’esportazione dei dipinti senza la concessione della licenza da parte del “luogotenente dell’accademia del disegno”. Il provvedimento di questo soggetto non è discrezionale, ma condizionato alla verifica dell’inesistenza in vita dell’artista.

Inoltre molto significativo è un provvedimento, adottato nel 1754 sempre in Toscana dal Consiglio di reggenza, il quale estendeva il divieto di esportazione dal granducato di intere categorie di beni artistici, qualificati in modo onni-comprensivo come “cose rare”. Tale intervento è molto significativo in quanto palesa una sensibilità maturata in Toscana in anticipo sui tempi; non è un caso se la Toscana ha goduto di una posizione di assoluta avanguardia rispetto agli

37 Così scrive FIORILLO, M., I beni culturali in AINIS, M. - FIORILLO, M. (a cura di)

L’ordinamento della cultura - Manuale di legislazione dei beni culturali, Giuffrè, Milano, 2008, pag. 147.

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altri Stati italiani. In ciò fu assai determinante l’atteggiamento dei Medici che perseguirono una politica di conservazione e tutela dei beni artistici locali38.

Dall’analisi della normativa di salvaguardia del patrimonio culturale prima dell’unità d’Italia, emerge a chiare lettere che si tratta di una disciplina di “natu-ra f“natu-rammentaria e repressiva dei provvedimenti adottati, ca“natu-ratterizzati essen-zialmente dalla necessità di impedire la fuoriuscita di opere artistiche e reperti archeologici di recente individuazione”39.

Si trattava in ogni caso di interventi legislativi posti in essere quando oramai la maggior parte di tali beni aveva irrimediabilmente preso la via dell’estero. Ma in essi si può intravedere l’embrione di un regime giuridico di tutela dei beni culturali nazionali, poiché si può cogliere almeno la consapevolezza di un patrimonio artistico e culturale che andava tutelato e protetto.

Tra gli editti emanati dallo Stato Pontificio, importanza assunse quello del car-dinale Pacca del 1820 che può essere considerato come la più completa e or-ganica legge pontificia in tema di tutela artistica. Tale editto, imitato da quasi tutti gli stati italiani e da molti stranieri, ebbe applicazione non solo finché du-rò lo Stato pontificio, ma anche successivamente, nell’Italia unificata.40

38 Per un approfondimento ulteriore sulla storia della legislazione preunitaria relativa ai beni

culturali può essere consultato PAOLUCCI,A., Una politica per i beni culturali, in Treccani.it - Enciclopedia Italiana, 2010.

39 Così scrive FIORILLO, M., I beni culturali in CASSESE, S. (a cura di), Trattato di Diritto

Amministrativo, Giuffrè, Milano, 2003, pag. 1450.

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2.2. La legislazione postunitaria

L’Italia unificata non si dotò subito di una legge organica di tutela del patrimo-nio artistico, si ebbe inizialmente un’inversione di tendenza rispetto alle misu-re, sebbene a carattere prettamente conservativo, che erano state non senza fa-tica raggiunte nel corso dell’ Ottocento.

Il principale ostacolo fu rappresentato dal concetto di proprietà privata molto radicato nella concezione del tempo. Infatti, per applicare una legge di tutela occorreva limitare necessariamente il godimento del patrimonio artistico priva-to. Per tale motivo, in ogni regione si continuarono ad applicare le leggi in vi-gore negli stati preunitari, con grande confusione normativa che non risparmiò il compimento di gravissimi illeciti.

Il risentimento della collettività per la scomparsa di pregevolissime opere d’arte, insieme ad una più matura coscienza sociale, influì decisamente sull’emanazione della legge 7 febbraio 1892, n. 31, la quale prevedeva forti sanzioni per coloro che si macchiavano di reati verso il patrimonio artistico e successivamente la legge 12 giugno 1902, n. 185, la quale ebbe il merito di di-sciplinare in modo unitario la materia. Tale legge peraltro dovette essere modi-ficata in quanto la sua efficacia era limitata poiché era prevista l’iscrizione dei monumenti e degli oggetti d’arte in un particolare catalogo, per cui molte ope-re, per evitare tale iscrizione, emigrarono dall’Italia. Pertanto, già nel 1906 ven-ne costituita una commissioven-ne con l’incarico di dettare una nuova disciplina organica per la tutela dei beni culturali. I lavori di tale commissione portarono all’emanazione della legge 20 giugno 1909, n. 364, cosiddetta Legge Rosadi.

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Tale legge, che può essere considerata l’antenato dell’attuale normativa in vigo-re, aumentò il novero dei beni culturali e stabilì un doppio regime per quanto atteneva al trasferimento di questi.

Tendenzialmente possiamo dire che la normativa dettata dalle due leggi fosse ancora molto disorganica e tali disposizioni si caratterizzavano per essere “ec-cessivamente restrittive nei confronti della proprietà privata”.41

Nel corso del regime autoritario si rafforzano gli interventi di tutela, nel corso degli anni Trenta vedono la luce due leggi volute dal ministro Bottai: la legge 1 giugno 1939, n. 1089 e la legge 29 giugno 1939, n. 1497, dedicate rispettiva-mente alle cose d’arte e alle bellezze naturali. Furono potenziati alcuni tra i più importanti mezzi di azione amministrativa, estendendone anche l’ambito di applicazione: ai divieti di demolizione, modificazione e restauro soggiacciono anche le cose mobili di proprietà privata, mentre si allargano le possibilità di intervento attivo dell’Amministrazione per eseguire o imporre opere di manu-tenzione e restauro. Viene inoltre riconosciuta una più ampia applicazione al mezzo espropriativo, per scopi di tutela storico-artistica.

La tutela configurata dalle leggi è una “tutela di tipo statico, essenzialmente fi-nalizzata alla conservazione, da realizzarsi con l’ausilio della tecnica del vinco-lo”42. L’obbligo che grava sul proprietario, o sul detentore, in modo assoluto e

incondizionato, è quello di utilizzare e amministrare il bene in modo da man-tenerlo nello stato che ne assicuri la conservazione.

41 RICCO, A., I luoghi della cultura, in Aedon, Il Mulino, Bologna, n. 3, 2011.

42 D’ADDINOSERRAVALLE, P., I beni culturali - La tutela italiana nel contesto europeo,

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Il vincolo ha carattere reale: una volta esaurito non esaurisce la sua funzione nell’ambito del rapporto attuale, ma si esplica con riferimento anche ai succes-sivi titolari della proprietà della cosa.43

Affinché la normativa sia applicabile ai privati è necessario che venga accertata, una volta individuato il bene, la sussistenza in esso di quelle caratteristiche che giustificano la subordinazione dell’interesse privato a quello pubblico. Solo quando il bene sia stato dichiarato particolarmente importante e sia pervenuta notifica al proprietario, si applica la disciplina di tutela.

I beni di appartenenza dello Stato o degli enti pubblici territoriali, legalmente riconosciuti, venivano sottoposti a tutela a seguito di procedimenti diversi da quelli di appartenenza privata.44

Quando le cose di interesse culturale rientrano nel demanio pubblico sono as-soggettate al regime giuridico demaniale.

2.3. L’inquadramento costituzionale della cultura

La funzione pubblica di tutela del patrimonio culturale e ambientale fu sancita nella Costituzione del 1948. Infatti l’art. 9 dispone che “La Repubblica pro-muove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico artistico della Nazione”.

43 Ai sensi degli artt. 11 e 12 della legge 1 giugno 1939, n. 1089 il vincolo si sostanzia in un

divieto di demolizione, rimozione modificazione restauro e comunque nel divieto di adibire la cosa ad un uso non compatibile o tale da recare pregiudizio alla loro conservazione o inte-grità.

44 Per tali beni l’individuazione procede con l’elencazione imposta ai rappresentanti degli enti

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Nonostante questa enunciazione fosse compresa tra i principi fondamentali della Costituzione, nei primi venti anni di vita repubblicana i problemi della tu-tela del patrimonio culturale e ambientale nazionale non sono stati molto se-guiti, la disposizione però è rimasta immutata fino ai giorni nostri.

Questo articolo pone tra i principi fondamentali lo sviluppo della cultura e del-la ricerca scientifica e tecnica e del-la tutedel-la e salvaguardia del patrimonio storico, artistico, ed ambientale. Esso non trova riscontro in altre costituzioni occiden-tali e mostra la contemporaneità della Costituzione del ‘48 e la capacità dei co-stituenti di individuare valori e diritti che solo in seguito hanno mostrato ap-pieno la loro forza ed essenzialità nel promuovere lo sviluppo non solo sociale e culturale della società, ma anche economico in una società post-industriale ed in una economia globale come quella in cui viviamo.

Per quel che riguarda la cultura, il primo ed il secondo comma sono due previ-sioni, sebbene connesse, diverse per oggetto e forza percettiva.

Il primo comma attiene alle “attività culturali”, mentre il secondo comma pro-tegge il patrimonio culturale quale prodotto delle attività culturali pregresse, nella loro materializzazione concreta nelle cose mobili ed immobili che ne in-corporano il valore culturale. Si difende quindi, ciò che è stato prodotto dalle attività culturali nel corso della storia della nazione come patrimonio della Na-zione stessa e si pongono i presupposti affinché l’attività culturale, attraverso la sua promozione da parte della Repubblica continui a produrre ed ampliare questo patrimonio culturale.

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Entrambe le disposizioni assolvono, comunque, ad una medesima funzione, che è quella di introdurre un valore etico-culturale tra i primi valori della Costi-tuzione.

Risulta evidente che i costituenti ritenevano fondante l’investimento pubblico nello sviluppo della cultura e della ricerca scientifica e tecnica. Questo articolo, inclusivo sia della cultura che della scienza e della tecnica, “non lascia adito a dubbi interpretativi: notevole che sia stata inserita anche la tutela del paesaggio e del patrimonio storico artistico, concepiti come essenziali all’identità e alle prospettive di crescita del paese”.45

La portata dell’art. 9 è stata oggetto di varie tesi in dottrina.

Una prima tesi che può essere richiamata fa discendere dalla disposizione la qualificazione dell’ordinamento italiano come “Stato di cultura”.46

Il fatto che i cittadini siano più sensibili nei confronti della cultura è un ele-mento che viene ritenuto funzionale ad una partecipazione ottimale dei conso-ciati alle scelte della politica nazionale.

Una seconda teoria mette in stretta correlazione l’art. 9 con l’art.3 comma 2 della Costituzione, poiché è ritenuto che il costituente abbia operato la scelta di considerare anche i valori culturali prevalenti rispetto a quelli economici. Ul-teriore tesi che è stata sostenuta invece, collega l’art. 9 con l’art. 2 della

45 Così si è espressa CARROZZA,M.C., Commento all’art. 9 Cost., in Impariamo la

Costitu-zione, 25 luglio 2010. In tale articolo l’ex Ministro dell’IstruCostitu-zione, dell’Università e della Ri-cerca mette in luce la necessità di un intervento dello Stato per lo sviluppo della cultura e della ricerca, che a lungo è stato “latitante”.

46 Tale tesi è sostenuta da CARPENTIERI,P., La tutela del paesaggio e del patrimonio storico e

arti-stico della Nazione nell’art. 9 della Costituzione, in Rivista della Scuola superiore dell’economia e delle Finanze, n.4, 2005, pagg. 229 e ss.

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tuzione, poiché il “pieno sviluppo della persona umana” è favorito dalla pro-mozione culturale e dalla tutela del patrimonio storico-artistico della Nazione. Dalla disamina delle suddette tesi emerge a chiare lettere che all’art. 9 non è conosciuta autonomia concettuale, ma esso svolge una funzione servente ri-spetto ad altri valori e principi, quali quello dell’istruzione e dell’uguaglianza sostanziale.

Ma è più sostenibile una lettura diversa di tale disposizione costituzionale, che vede nella cultura non uno strumento bensì un obiettivo, un valore autonomo. “Se ci riflettiamo più a fondo, la presenza dell’articolo 9 tra i principi fonda-mentali della nostra comunità offre un’indicazione importante sulla missione della nostra Patria, su un modo di pensare e di vivere al quale vogliamo, dob-biamo essere fedeli. La cultura e il patrimonio artistico devono essere gestiti bene perché siano effettivamente a disposizione di tutti, oggi e domani per tut-te le generazioni. La doverosa economicità della gestione dei beni culturali, la sua efficienza, non sono l’obiettivo della promozione della cultura, ma un mezzo utile per la loro conservazione e diffusione”.47

47 Così si è espresso il 5 maggio 2003 il Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi in

occasione della consegna delle medaglie d’oro ai benemeriti della cultura e dell’arte. Egli ha sostenuto che “l’identità nazionale degli italiani si basa sulla consapevolezza di essere custodi di un patrimonio culturale unitario che non ha eguali al mondo”. L’art. 9 della Costituzione è stato definito come “forse l’articolo più originale della nostra carta costituzionale”, in Intervi-ste del Presidente della Repubblica C. A. Ciampi, in occasione della consegna delle medaglie d’oro ai benemeriti della cultura e dell’arte, in Presidenza della Repubblica.it, 5 maggio 2013.

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2.3.1. La riforma del Titolo V e sue implicazioni

La riforma del titolo V della Costituzione, approvata con L. cost. 18 novembre 2001, n. 3 apporta profonde modifiche al sistema costituzionale italiano e in particolare per quel che qui interessa al sistema dei beni culturali.

Si tratta di una modifica che non arriva all’improvviso, ma risulta essere il frut-to di un lungo processo compiufrut-to in precedenza con norme ordinarie.

Il quadro costituzionale che ne esce ha ridisegnato tutto il sistema dei rapporti tra i livelli territoriali di governo andando in una direzione policentrica, con una forte accentuazione dell’autonomia regionale.

In questo nuovo riparto di competenze, la materia dei beni culturali è trattata in modo peculiare. L’art. 117 della Costituzione nel dettare le competenze rela-tive ai beni culturali ha posto l’attenzione sulle funzioni invece che sulla mate-ria nel suo complesso. Ne è scaturita l’attribuzione della tutela alla legislazione esclusiva dello Stato e della valorizzazione a quella concorrente Stato-Regioni. Si tratta di una separazione che ha suscitato non poche perplessità sia dal pun-to di vista teorico che quello pratico, per l’evidente difficoltà di distinguere la disciplina e l’attuazione di interventi riferiti ad uno stesso oggetto. Il fatto che sia stata attribuita allo Stato la funzione di “tutela” nella sua interezza ha come obiettivo quello di garantire l’uniformità e l’omogeneità della disciplina di isti-tuti che incidono sull’integrità del bene culturale e sulla prevenzione del possi-bile rischio di dispersione di questo.48

48 Le Regioni avevano richiesto l’attribuzione della competenza anche in ambito di tutela,

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Tuttavia il nuovo testo dell’art. 116 comma 3 della Costituzione, nel prevedere l’istituto del regionalismo differenziato, ha ricompreso la “tutela dei beni cultu-rali” tra le materie di competenza esclusiva statale, ma nelle quali, con partico-lari procedimenti legislativi, possono essere attribuite alle Regioni “ulteriori forme e particolari condizioni di autonomia”.

Come sottolineato in dottrina si tratta di una disposizione di non facile attua-zione, ma che consentirebbe una diversificazione nelle competenze regionali in materia.49

Per quanto riguarda la “valorizzazione” l’attribuzione alle regioni della compe-tenza legislativa concorrente e regolamentare trova la sua ratio nel voler dare maggiore importanza a questa funzione poiché, quando era esercitata a livello statale, è risultata recessiva rispetto a quella di conservazione dei beni culturali. Vi è da dire inoltre che si tratta di una funzione molto legata al territorio. Allo Stato, in tale materia, residua il compito di stabilire i principi generali50,

oltre che dettare la disciplina di tale funzione per i beni di sua proprietà.

49 Di questo avviso SCIULLO, G., Beni culturali e riforma costituzionale, in Aedon, Il Mulino,

Bologna, n. 1, 2001.

50 La dottrina è concorde nel ritenere che il presupposto dell’intervento statale sia la

sussi-stenza di elementi di interesse generale che non sono pertanto suddivisibili sul territorio. Se-condo alcuni autori tali interessi, non solo danno legittimazione allo Stato di dettare i principi fondamentali, ma consentono di prevedere, nella sfera amministrativa, esigenze di carattere unitario tali da motivare la presenza di determinati compiti in capo all’amministrazione dello Stato.

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2.4. Gli anni ’90: Ronchey, Veltroni e Melandri

Un momento considerato da molti fondamentale nella disciplina dei beni cul-turali è rappresentato dall’adozione della Legge 14 gennaio 1993, n. 4 la cosid-detta legge Ronchey, dal nome del ministro per i beni culturali che la propose. In tale trattazione è importante menzionare tale normativa poiché ha avuto il pregio di riconoscere per la prima volta in forma organica la funzione dei pri-vati nella gestione dei beni culturali.

“Il privato che, in quanto concessionario di servizi culturali, ha un ritorno di immagine spesso in grado di compensare o comunque ridurre le eventuali dif-ficoltà e perdite di gestione. E proprio la collaborazione tra pubblico e privato è stata, è e sarà un fattore determinante nell'evoluzione della gestione e nella valorizzazione del nostro patrimonio culturale.”51

Da tali parole emerge chiaramente l’impatto di tale intervento legislativo, tut-tavia il Regolamento di attuazione di attuazione fu approvato solo nel 1997, pertanto la produzione degli effetti fu posticipato al momento in cui si ebbe l’assunzione del dicastero da parte di Veltroni.

Questi adottò quasi subito una nuova Legge 8 novembre 1997, n. 352, la quale aveva contenuto assai vario, dalla costituzione della soprintendenza autonoma per l’area archeologica di Pompei alla creazione della Sibec S.p.A.52, di cui si

parlerà in seguito. Importantissima fu anche la delega per il testo unico che riuscì a sopravvivere e produrre frutti nel proseguo degli anni.

51LALLI, P., Legge Ronchey, una rivoluzione incompiuta, in Patrimoniosos.it, 2004.

52 Società creata per occuparsi della gestione e della valorizzazione dei beni culturali, ma della

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Prima dell’emanazione del testo unico momento degno di menzione è il D.Lgs. 31 marzo 1998, n. 112 che in attuazione della cosiddetta legge Bassani-ni, conferì compiti e funzioni amministrativi dello Stato alle Regioni e agli enti locali, per la riforma della Pubblica Amministrazione e per la semplificazione amministrativa.

Il frutto più visibile della stagione veltroniana fu rappresentato dal regolamen-to di attuazione della legge Ronchey e la riforma del Ministero.

Cambiato il clima politico, non fu peraltro impedita l’emanazione del Testo Unico delle disposizioni legislative in materia di beni culturali e ambientali, D.Lgs. 29 novembre 1999, n. 490.

Il Testo unico Veltroni-Melandri accoglie in sé tutta la precedente disomoge-nea normativa in materia di tutela del patrimonio, tentando di ripensarla, ar-monizzarla e attualizzarla.

È composto da due titoli, che concernono rispettivamente i beni cultura-li (artt. 1-137) e i beni ambientacultura-li (artt. 138-166).

Nella sostanza si sovrappone alla legge Bottai n. 1089 del 1939, assorbendo-ne norme e definizioni e integrandola ampiamente con altre norme di raccor-do. La materia dei beni culturali si presenta “notevolmente allargata, con al-cune aperture a settori finora trattati altrove”53, come la gestione museale, le

procedure d’intervento conservativo, il campo dell'arte contemporanea.

53 Tale espressione è stata ripresa in Patrimonioculturale.net, Sez. Documentazione,

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2.5. Dal Testo Unico al Codice dei Beni Culturali e del paesaggio

Il Codice dei beni culturali e del paesaggio, adottato con D. Lgs. 22 gennaio 2004, n. 41, rappresenta un testo di notevole importanza, poiché si pregia per aver dettato un quadro organico nel quale le varie esigenze di tutela e di valo-rizzazione sembra quasi raggiunto, sebbene riprende molte disposizioni del te-sto unico e si muove entro la tradizione italiana di tutela.

Dando un primo sguardo al Codice, emergono due aspetti significativi: innan-zitutto la volontà di dettare alcuni principi generali in materia di beni culturali e in secondo luogo quello di superare la distinzione tra “beni culturali” e “bel-lezze naturali”, ovviamente sempre riconoscendo normativa specifica ai beni paesaggistici54.

Il Codice ha avuto il compito di ricomporre la materia sulla base dei nuovi equilibri costituzionali. È stata ricercata una soluzione equilibrata prevedendo, in primo luogo, ampi margini di cooperazione delle regioni e degli enti territo-riali nell’esercizio dei compiti di tutela; dall’altro, distinguendo concettualmente la fruizione dalla valorizzazione propriamente detta e privilegiando, nell’esercizio di entrambe le funzioni, il modello convenzionale: Stato, regioni ed enti locali agiscono sulla base di programmi concordati con l’obiettivo di costituire un sistema integrato di valorizzazione.

Si è ritenuto prevalente il principio della unitarietà dell’azione amministrativa e ad esso si è improntato il criterio di attribuzione delle funzioni in materia di

54 Il Codice è suddiviso in cinque parti: la prima dedicata alle disposizioni generali, la seconda

ai beni culturali, la terza ai beni paesaggistici, la quarta alle sanzioni, la quinta alle disposizioni transitorie e alle abrogazioni.

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tela del patrimonio culturale. Si è pertanto individuato nel Ministero il titolare “naturale” delle funzioni sopradette, prevedendo tuttavia la possibilità che il relativo esercizio avvenga anche attraverso il conferimento, sulla base di appo-siti atti di intesa e coordinamento, di specifici settori di attività in primis alle regioni e in via subordinata anche agli enti locali.

Sono state meglio definite le nozioni di “tutela” e di “valorizzazione”, dando loro un contenuto chiaro e rigoroso e precisando “in modo univoco il necessa-rio rapporto di subordinazione che lega la valorizzazione alla tutela, così da rendere la seconda parametro e limite per l’esercizio della prima”.55

Oltre che dal consueto punto di vista dell’amministrazione, che ne rileva so-prattutto il profilo riguardante l’esercizio di funzioni, le disposizioni del Codice possono essere considerate secondo l’ottica del cittadino, che ne valorizza l’aspetto concernente i servizi e le opportunità offerti al privato.

Guardando, allora, al Codice da quest’angolo visuale, troviamo diversi motivi per ritenere che esso “rappresenti davvero un passo avanti rispetto alla prece-dente legislazione di settore sulla strada del miglioramento dei rapporti tra Isti-tuzioni e comunità”.56

Nell’ottica della collaborazione tra amministrazione e cittadino, il Codice mette a disposizione del privato proprietario di un bene di interesse culturale, da vin-colare o già vincolato, due importanti strumenti, idonei a proteggere nello stes-so tempo gli interessi privati ma anche l’interesse pubblico alla correttezza, ef-ficienza ed efficacia dell’azione amministrativa. Si tratta del ricorso

55 MORANTE, F., Il Codice dei Beni Culturali, in Patrimoniosos.it, 2004, pag. 10. 56 TORSELLO, M., Le ragioni di una codificazione, in www.giustizia-amministrativa.it.

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tivo previsto dall’art. 16 e della revisione del vincolo prevista dall’art. 128, comma 3.

Del primo strumento si è già detto supra.

Il secondo strumento dà al privato proprietario di un bene vincolato la possibi-lità di chiedere al Ministero una nuova valutazione del suo interesse culturale, qualora possa addurre elementi di fatto sopravvenuti, oppure in precedenza non conosciuti o non valutati, che possano far dubitare dell’attuale sussistenza di quell’interesse. È previsto che contro il diniego di riesame o il nuovo prov-vedimento confermativo l’interessato possa presentare ricorso amministrativo. Volendo avanzare delle considerazioni, che possono emergere già da una pri-ma lettura del Codice, si può innanzitutto porre l’attenzione sulla ripartizione delle funzioni amministrative.

Per quanto attiene alla tutela, sembra essere preclusa l’adeguatezza di tutti i li-velli sub-statali per qualsiasi attività amministrativa riconducibile a tale funzio-ne. È però prevista una strada alternativa rispetto all’esercizio diretto, la quale fa riferimento a forme di intesa e di coordinamento con le Regioni e gli enti locali.

Per quanto attiene invece alla valorizzazione, il ruolo degli accordi sembra ri-coprire una posizione centrale.

Possiamo dire dunque che prevale il “principio dell’intesa”57 piuttosto che

quello di sussidiarietà, che comunque sembra essere un “buon modo per

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scire a coniugare le esigenze culturali ed economiche nazionali con quelle locali nella materia in questione”.58

È il caso però di chiedersi se nel nostro ordinamento vi siano strumenti giuri-dici adeguati per rendere tale principio attuabile ovvero se i costi derivanti da una suddivisione delle competenze amministrative tra le varie amministrazioni dei diversi livelli non siano superiori rispetto ai vantaggi conseguiti, con una soluzione che impone peraltro il consenso tra le amministrazioni e subordina la possibilità di realizzazione (delle Regioni e degli enti locali) al consenso mi-nisteriale.59

2.6. La disciplina comunitaria e internazionale

Le esigenze di tutela del patrimonio culturale sono sentite, oltre che nei confini di ogni singolo stato, anche nell’ambito della comunità europea e internaziona-le.

Per quanto riguarda la disciplina europea, la nozione bene culturale non com-pare nel testo di alcun trattato, del resto questa è piuttosto recente.

Solo a partire dal Trattato di Maastricht la cultura ha ottenuto dignità di men-zione soltanto in una norma e come, a tutt’oggi, al tema della cultura è riserva-to il solo Tiriserva-tolo XIII, a sua volta unicamente formariserva-to dall’articolo

58 SORACE, D., L’amministrazione pubblica del patrimonio culturale tra Stato e Regioni, in KLEIN,

F.-VITALI, S. (a cura di), I beni culturali patrimonio della collettività fra amministrazione pubblica e territorio, Pagnini, Firenze, 2004, pag. 59.

59 Perplessità per tale modalità di coordinamento e collaborazione pattizia e negoziale tra più

soggetti, particolarmente esposta quindi a inerzia e conflitti è stata espressa da CAMMELLI, M., Un Ministro tentato dall’autosufficienza, in Il Giornale dell’arte, 2004, pag. 230.

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