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La disciplina comunitaria e internazionale

Le esigenze di tutela del patrimonio culturale sono sentite, oltre che nei confini di ogni singolo stato, anche nell’ambito della comunità europea e internaziona- le.

Per quanto riguarda la disciplina europea, la nozione bene culturale non com- pare nel testo di alcun trattato, del resto questa è piuttosto recente.

Solo a partire dal Trattato di Maastricht la cultura ha ottenuto dignità di men- zione soltanto in una norma e come, a tutt’oggi, al tema della cultura è riserva- to il solo Titolo XIII, a sua volta unicamente formato dall’articolo

58 SORACE, D., L’amministrazione pubblica del patrimonio culturale tra Stato e Regioni, in KLEIN,

F.-VITALI, S. (a cura di), I beni culturali patrimonio della collettività fra amministrazione pubblica e territorio, Pagnini, Firenze, 2004, pag. 59.

59 Perplessità per tale modalità di coordinamento e collaborazione pattizia e negoziale tra più

soggetti, particolarmente esposta quindi a inerzia e conflitti è stata espressa da CAMMELLI, M., Un Ministro tentato dall’autosufficienza, in Il Giornale dell’arte, 2004, pag. 230.

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167del TFUE, che ha modificato, in modo per niente significativo, l’articolo 151 del TCE.

L’articolo 167 del TFUE, così come il vecchio articolo 151 del TCE, non è altro che una norma programmatica priva di quella diretta applicabilità che caratte- rizza alcune norme anche dei trattati, e pervasa da una “sottesa sussidiarietà”60

che emerge dalla funzione che ha l’Unione di contribuire allo sviluppo delle culture degli Stati membri.

È evidente che l’azione dell’Unione europea, destinata alla diffusione della cul- tura dei popoli europei e della tutela del patrimonio culturale di importanza eu- ropea, degli scambi e della conservazione artistica, sia rivolta al plurale concor- rendo, quindi, allo sviluppo “delle culture” degli Stati membri e non di una cul- tura propriamente europea, sintesi del “retaggio culturale comune” al quale si riferisce anche l’articolo 167 TFUE, comma 1.

Ciò serve a chiarire i limiti entro i quali è possibile parlare di un “patrimonio culturale europeo”, oggetto dell’azione dell’Unione, e a sottolineare la difficol- tà di affermare una vera politica comune in questo settore, proprio per la in- sufficienza e l’inadeguatezza delle competenze che i trattati, anche dopo l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona, attribuiscono all’Unione europea. In assenza, quindi, di un’attribuzione di competenza di carattere generale in tema di tutela del patrimonio culturale europeo e dei singoli Stati membri, i trattati si occupano in realtà soltanto dei beni culturali mobili in modo quasi

60 FRIGO,M., Le limitazioni dei diritti patrimoniali privati nel diritto internazionale, Giuffrè, Milano,

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esclusivamente indiretto61, facendo sorgere il problema dell’applicabilità a que-

sta particolare categoria di beni di norme che hanno scopi diversi da quelli di una loro tutela o valorizzazione. Si tratta, nello specifico, di quelle norme crea- te fin dagli inizi del processo d’integrazione europea quali norme poste a ga- ranzia di alcune libertà fondamentali e, in particolare, della libera circolazione delle merci.

In tale ottica si deve innanzitutto esaminare l’articolo 26 del TFUE, norma di- chiarata direttamente applicabile dalla Corte di giustizia e che assicura la libera circolazione delle merci, delle persone, dei servizi e dei capitali nell’ambito del mercato interno, come pure l’articolo 28 del TFUE, laddove si evidenzia che l’Unione doganale tra gli Stati membri comporta il divieto dei dazi doganali all’importazione e all’esportazione e di tasse di effetto equivalente, nonché l’adozione di una tariffa doganale comune con i Paesi terzi.

Di notevole importanza sono anche gli articoli 34 e 35 del TFUE, dichiarati anch’essi dalla Corte di immediata applicabilità, e che vietano le restrizioni quantitative all’importazione e all’esportazione, nonché qualsiasi misura di ef- fetto equivalente.

Queste disposizioni non fanno nessun riferimento alla nozione di bene cultu- rale, ma sono sicuramente norme di rilievo nell’ordinamento dell’Unione che hanno ad oggetto “le merci”. Ciò pone il problema di decidere se sia possibile equiparare la nozione di beni culturali a quella di merci.

61 I Trattati dell’Unione Europea prendono in esame la materia dei beni culturali soprattutto

sotto il profilo della loro circolazione, in virtù di quel baluardo fondamentale dell’Unione che è la libertà di circolazione anche delle merci.

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A tal proposito la Corte di giustizia ha avuto modo di pronunciarsi sul punto in una famosa sentenza del 1968, nella quale ha stabilito che la natura di merci, con conseguente assoggettabilità all’allora Trattato CE, deve essere riconosciuta anche agli oggetti di interesse artistico, storico e archeologico, qualora si tratti di beni suscettibili di una valutazione economica.

Si deve però aggiungere che la regola generale posta dagli articoli 34 e 35 del TFUE trova un temperamento all’articolo 36 del TFUE, cioè nell’unica di- sposizione che ha espressamente ad oggetto, tra le altre, la tutela dei beni di in- teresse culturale, ed in base alla quale agli Stati membri viene concesso di in- trodurre o di mantenere quei limiti all’importazione, all’esportazione e al tran- sito che trovino una giustificazione nella “protezione del patrimonio artistico, storico o archeologico nazionale”.

Vista la disciplina di carattere generale relativa ai beni culturali, un cenno meri- ta anche quella relativa all’intervento dei privati nella gestione dei beni stessi. Si tratta di una normativa in continua evoluzione, soprattutto in virtù delle spinte provenienti dall’Unione Europea.

In ambito europeo assume importanza al riguardo l’esperienza francese. Già da molti anni si registrano tentativi rivolti a facilitare un intervento dei pri- vati. Gli strumenti utilizzati sono svariati e molti di questi stanno prendendo piede anche nell’esperienza italiana. Si tratta di associazioni che svolgono un ruolo determinante nella formazione artistica e nella valorizzazione di luoghi e monumenti assai noti. Anche le imprese industriali e commerciali devono esse-

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re menzionate, “è molto diffusa la pratica di destinare una parte dei profitti al sostegno delle arti e della cultura”.62

Volendo porre in essere un confronto tra quanto accade in Europa e quanto invece negli Stati Uniti, vediamo che qui l’intervento pubblico “è molto meno pronunciato rispetto alla tradizione dei nostri paesi, poiché il settore privato e gli individui sono molto partecipi alla vita degli organismi culturali”.63

Oltre alla normativa nazione e quella europea confluisce sulla materia dei beni culturali anche la legislazione internazionale. Si tratta di convenzioni interna- zionali che hanno l’obiettivo di rafforzare la protezione dei beni, lasciando pe- rò allo stato membro la disciplina della tutela e valorizzazione dei beni cultura- li. Tra questi accordi va menzionata la Convenzione per la protezione dei beni culturali in caso di conflitto armato, la Convenzione Unesco per la protezione del patrimonio culturale e naturale mondiale64 e la Convenzione dell’Unidroit

sul ritorno internazionale dei beni culturali rubati o illecitamente esportati.

62 AMIRANTE,D.-DEFALCO,V., Tutela e valorizzazione dei beni culturali. Aspetti sovranazio-

nali e comparati, Giappichelli, Torino, 2005.

63 COLBERT,F., Marketing delle arti e della cultura, ETAS Libri, Milano, 2009, pag. 65.

64 Lo spirito di questa Convenzione parte dal presupposto che, se la gestione dei beni cultu-

rali e degli ambienti naturali rientra tra le funzioni essenziali degli stati ai quali appartengono, nondimeno sono interessati alla loro conservazione tutti i popoli del mondo per la comunan- za dei valori di civiltà.

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Capitolo III

La valorizzazione dei beni culturali

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