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b Il gesto, la mano, la spaccatura

§33. Il gesto verso l'utilizzabile

Riprendiamo le ultime considerazioni svolte. Si potrebbe dire così, per riassumere: il gesto (naturalmente qui non stiamo certo parlando ancora del gesto espressivo, che arriverà molto più tardi), qualsiasi gesto diretto ad un oggetto (ossia che agisce col mondo), apre uno spazio nuovo, uno spazio in cui può installarsi ‘il senso umano’, ossia in cui ci può essere un significato; ossia ancora, potremmo dire riprendendo direttamente il nostro inizio, «ogni azione è un evento di senso e un'apertura di mondo: evento che si dà i propri oggetti e che li persegue come proprio fine»600: solo molto più avanti verremo in chiaro

circa la portata di questa affermazione, che compendia buona parte del cammino di questa sezione.

Ritorniamo, comunque, al ‘significato’ cui abbiamo oscuramente accennato, poiché lì abbiamo detto male. Com'è evidente, infatti, il significato non si può dire che ‘si installi’, perché non c'è nulla su cui si potrebbe installare: mondo e organo si con-costituiscono a partire da quella soglia che è il loro incontro (capiremo con maggiore precisione tutto questo più avanti). Ora conviene formulare meglio qual è la ‘figura dell'umano’ in cui siamo immersi a questo punto: il corpo vivente prima di tutto si protende all'incontro col mondo, sia che questa protensione avvenga in figura di manipolabile o di ‘camminabile’601.

E naturalmente quell'organo che più di ogni altro, per la sua stessa costituzione, è diretto ad un oggetto (ossia è in grado di pro-tendersi, di tendere verso qualcosa) è proprio la mano, alla quale dedicheremo ora qualche analisi anche da un punto di vista di storia della filosofia. La mano è una differenza fondamentale intercorrente tra l'uomo e l'animale, un aspetto di quel ‘quasi’ cui facevamo riferimento poco prima: l'azione che si determina attraverso il corpo dello scimpanzé non si determina nello stesso modo attraverso il corpo umano, in primo luogo (se si considera la manipolabilità del polo di protensione, ossia del mondo) perché la mano in questione non è la stessa602. Vediamo di capire meglio questi passaggi.

600 C. Sini, Distanza un segno, cit., p. 128.

601 Si noti bene: l'aver individuato nelle due determinazioni del manipolabile (agire col mondo)

e del camminabile (l'agire sul mondo) le vie d'accesso alla comprensione dell'essere-nel- mondo non significa che queste siano le uniche determinazioni possibili. È evidente infatti che discorsi analoghi si possono proporre per il vedere il mondo, il sentirlo e così via.

602 La zoologia ha lungamente considerato le differenze costitutive tra la mano dell'uomo e

quella degli altri primati. A noi, in proposito, basti mettere l'accento (anticipando un punto su cui torneremo) sul fatto che la mano umana è l'unica che si è totalmente liberata dal camminare il mondo: la posizione eretta permette infatti la liberazione di quest'organo dalla funzione deambulatoria, rendendola disponibile (o almeno maggiormente disponibile) per altre azioni (ad esempio, disponibile per una diversa manipolazione). Si potrebbe dunque soffermarsi anche da un punto di vista scientifico e biologico sull'importanza della mano e sull'unicità di quest'organo, soprattutto nella sua differenza specifica dalla ‘mano’ del

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Gli oggetti si presentano alla mia percezione già come maneggevoli, e così facendo interrogano una mano che può ‘raggiungerli’, dice Merleau- Ponty603, e qualcosa del genere pensa anche Heidegger, quando scrive

“la seggiola 'tocca' la parete”. Ma non si può, a rigor di termini, parlare di “toccare’ [...]: il ‘toccare’ presuppone che la parete possa essere incontrata ‘dalla’ sedia. Un ente può toccare cose semplicemente-presenti-nel-mondo solo se, fin dall'inizio, ha il modo di essere dell'in-essere, cioè solo se, già nel suo Esser-ci, gli è svelato qualcosa come un mondo in base al quale l'ente possa rivelarglisi al tocco e renderglisi così accessibile nel suo essere semplicemente-presente604.

Per capire bene questa citazione bisogna tenere presente innanzitutto che Heidegger, come notavamo nel capitolo precedente (in particolare nel paragrafo dedicato alle lezioni del 1929\'30605), definisce la pietra «priva di

mondo», ossia priva di qualsiasi possibilità di incontro col mondo. L'animale, invece, è per Heidegger «povero di mondo», nel senso di «mancante di mondo»606: ovviamente allora l'animale, avendo il mondo in figura di assente (si

può forse dire così), può rispondere alla sua chiamata in un modo radicalmente diverso da quello che può mettere in atto l'ente «formatore di mondo», ossia l'Esserci. Lo Zuhandenes si offre all'ente che ci è, rendendogli possibile il progettarsi (ci si progetta sempre nell'a-che dell'utilizzabilità dell'utilizzabile). Heidegger sa bene che l'unico ente che si progetta (nel suo ci) è l'Esserci, e non certo l'animale, ma non possiamo aderire completamente alle posizioni di

primate. In questa sede, basti ricordare l'arcinota importanza del pollice opponibile. Inoltre, un discorso a sé potrebbe impostarsi sull'importanza delle raffigurazioni di mani nell'arte rupestre: tra gli esempi più conosciuti c'è naturalmente Lascaux. Per dare qualche riferimento, si può andare direttamente a Darwin, il quale, da brillante naturalista qual era, scrisse: «la struttura della mano può essere paragonata a quella degli organi vocali che nelle scimmie sono usati per emettere varie grida di segnale, o, come in una specie, cadenze musicali; ma nell'uomo organi vocali assai simili si sono venuti adattando attraverso gli effetti ereditari dell'uso per la pronuncia del linguaggio articolato» (C. Darwin, L'origine dell'uomo, cit., p. 58). Ancora più nello specifico: «l'uomo non potrebbe aver raggiunto la sua attuale posizione di dominio nel mondo senza l'uso delle mani che sono così meravigliosamente adatte ad agire secondo il suo volere […]. Le mani e le braccia difficilmente si sarebbero perfezionate tanto da costruire strumenti o da scagliare pietre e lance con una mira precisa fino a quando fossero state usate abitualmente per la locomozione e per reggere il peso del corpo, o […] fino a quando fossero state particolarmente adatte a salire sugli alberi» (Ivi, p. 60).

603 M. Merleau-Ponty, Fenomenologia della percezione, cit., p. 130. 604 M. Heidegger, Essere e tempo, cit., p. 76.

605 Cfr. supra, §24.

606 Conviene forse qui insistere più di quanto si sia fatto sulla definizione «l'animale è povero

di mondo». Dicendo questo non si intende dire che «l'animale ha poco mondo», ma nemmeno che questo gli manca del tutto. In qualche modo, esso gli è dato, ma gli è dato nel modo della mancanza. Hegel naturalmente avrebbe capito benissimo un ragionamento del genere: l'animale è povero di mondo in quanto non ce l'ha, ma nel dire così già si costituisce una relazione (sia pur negativa) tra il mondo e l'animale, relazione che rende quest'ultimo dunque povero di mondo, e non ‘mancante’ di esso come la pietra (da notare che già dire così rende la pietra a sua volta povera di mondo: ma tralasciamo per chiarezza e semplicità).

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questo pensatore, che nelle sue pagine tende sempre a caratterizzare gli altri esseri viventi come ‘difettivi’ rispetto all'uomo. La differenza non va ricercata, a nostro parere, in una supposta inferiorità dell'animale, ma nella divergenza tra i campi esperienziali resi possibili dal corpo e dalle sue aperture gestuali.

§34. Il gatto, la scimmia, l'uomo: la differenza antropologica. Con una deriva gorgiana

Già abbiamo fatto diversi accenni in merito alla questione della distanza che separa l'uomo dall'animale, ma riteniamo fondamentale ora porla esplicitamente a tema, con riferimento proprio alla questione della mano. Per introdurci nel tema torniamo a considerare il grande Hegel delle pagine della Fenomenologia dello spirito, lì dove il filosofo tedesco fa questione proprio di quest'organo:

dopo l'organo del linguaggio […] la mano è il mezzo migliore per la manifestazione e la realizzazione dell'uomo. La mano è l'artefice animato della fortuna dell'uomo; essa è, si può dire, ciò che l'uomo fa, perché nella mano, in quanto organo attivo del suo autoperfezionamento, l'uomo è presente come forza animatrice607.

Ma anche lo stesso Mead diceva qualcosa che andava esattamente nella direzione di ciò che andiamo sostenendo, quando scriveva che «la mano dell'uomo fornisce un contatto immediato che è molto più ricco di contenuto di quello della mascella o della zampa dell'animale»608: diversamente da quanto

sia possibile ricavare dai testi di Heidegger, il quale, pur nella genialità delle sue analisi, si ferma a volte troppo presto (come del resto già notavamo: egli, ad esempio, non si avvede dell'originaria con-costituzione di mano e utilizzabile in profondità), è proprio ‘collegando’ le pagine di Essere e tempo a Mente, Sé e società e Fenomenologia della percezione che otteniamo un quadro sufficientemente chiaro di ciò di cui stiamo parlando. Anche Merleau-Ponty, infatti, era andato molto vicino a queste considerazioni, quando scriveva (in una citazione che chiarifica in qualche maniera anche il nucleo stesso della posizione filosofica che mettiamo all'opera nelle nostre pagine):

il mondo è inseparabile dal soggetto, ma da un soggetto il quale non è altro che progetto del mondo; il soggetto è inseparabile dal mondo, ma da un mondo che egli stesso progetta609. Il soggetto è essere-al-mondo e il mondo

resta ‘soggettivo’ poiché la sua trama e le sue articolazioni sono delineate dal movimento di trascendenza del soggetto. Pertanto, con il mondo come culla dei significati, senso di tutti i sensi e terreno di tutti i pensieri, scopriamo il

607 G. W. F. Hegel, Fenomenologia dello spirito, cit, p. 435. 608 G. H. Mead, Mente, Sé e società, cit., p. 350.

609 Due annotazioni brevissime: in primo luogo nel termine ‘progetto’ riecheggia direttamente

proprio Heidegger (notazione che va a sostegno della legittimità di accostare le posizioni teoriche dei due autori); in secondo luogo, sia detto en passant, queste righe sarebbero piaciute a Nietzsche, come vedremo in seguito. Il corsivo è nostro.

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mezzo per superare l'alternativa tra il realismo e l'idealismo610.

Con un parallelismo interessante, ci sia concesso di evidenziare come Chauncey Wright, il nostro pragmatista ante-litteram (che tanto influenzò Peirce e, sebbene indirettamente, lo stesso Mead), si esprimesse esattamente nello stesso modo, quando scriveva che «questa visione dell'origine della cognizione di cogito [ossia quella teorizzata nelle pagine de L'evoluzione dell'autocoscienza] è ugualmente opposta agli schemi dell' ‘idealismo’ e del ‘realismo naturalistico’»611.

Comunque, tornando ai nostri temi, la differenza antropologica che si esplica in particolare nell'organo della mano, di cui tracceremo una breve ‘storia’ nel paragrafo successivo, è presto detta, in due punti che conviene tenere distinti.

A. In primo luogo, è da un lato necessario sottolineare la sua enorme lontananza dalla zampa del gatto, tanto per fare un esempio: infatti, propriamente è solo la mano, e non la zampa, ad avere la possibilità di afferrare gli oggetti. Solo la mano, con le sue caratteristiche possibilità di prensione, infatti, può de-limitare il mondo in poli d'atto, ossia operare quella spaccatura che delineeremo dopo le nostre incursioni in Aristotele e in Giordano Bruno. Alla zampa il mondo non si offre in figura di manipolabile: se consideriamo sempre il nostro gatto, a lui nulla si offre con una generalità tale. Per lui esistono solo, per dire un po' ingenuamente (un discorso etologicamente più consistente avrebbe richiesto più lunghe analisi, ma confidiamo che il tema, dal punto di vista della portata filosofica, sia evidente), quelle-cose-in-forma-di- cibo (per la bocca che le mangia), quelle-cose-in-forma-di-gioco (per la zampa che fa rotolare il gomitolo) e così via. La mano è, invece, il primo organo a raggiungere la generalità del configurare tutto612 il mondo come manipolabile.

Questi pochi accenni sul rapporto zampa-mano dovrebbero essere riusciti, tra l'altro, anche a porre l'accento sul fatto che la sfera d'esperienza di animali più lontani dall'uomo, come (secondo il già richiamato esempio di Sini) il ragno, è talmente distante dalla nostra che non solo pensare di teorizzarla, ma anche solo tentare esperimenti come quelli dell'etologia613 postulando che

610 M. Merleau-Ponty, Fenomenologia della percezione, cit., p. 549. 611 C. Wright, L'evoluzione dell'autocoscienza, cit., p. 87.

612 Esplicitare coerentemente il concetto di ‘tutto’ in queste affermazioni potrebbe essere

complesso: è evidente che quelle-cose-in-forma-di-cibo, quelle-cose-in-forma-di-gioco e così via rappresentano tutto il mondo del gatto, per quanto non tutto il nostro mondo. Può forse bastare però dire così: nel nostro mondo tutto è in forma di (potenzialmente) manipolabile, mentre in quello del gatto non c'è nessun ‘carattere comune’ (di questo tipo, è ovvio) tra tutte le ‘cose’. Ma certo, tutto questo lo diciamo noi, astraendo.

613 In certi casi l'etologia stessa sembra esserne consapevole: Eibl-Eibesfeldt scrive ad esempio

che «se a volte parliamo di “amore” senza differenziare […] tra animali e uomo, lo facciamo per una più facile intelligibilità e in via di maggiore brevità, come il fisiologo parla di “fame” e “sete” anche a proposito degli animali» (I. Eibl-Eibesfeldt, Liebe und Hass. Zur Naturgeschichte elementarer Verhaltensweisen, R. Piper & Co. Verlag, München 1970, trad. it. Amore e odio. Per una storia naturale dei comportamenti elementari, Adelphi, Milano 1971, ora 1996, p. 22). Dire che in sostanza le categorie etologiche e fisiologiche, se estese anche agli animali, non sono altro che metafore è una bella presa di coscienza: peccato che poi, di fatto, nel corso del suo testo (sorta di novello L'espressione delle emozione nell'uomo e negli

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possano avere per il ragno lo stesso senso che hanno per noi è un bell'esempio di pensiero completamente catturato dal suo cercare prove ‘sperimentali’ senza minimamente chiedersi il senso di ciò che fa614. Sia detto per inciso, oltretutto,

che qui non stiamo sostenendo che le differenze tra le sfere esperienziali siano diverse solo in ragione dell'organo della mano: sarebbe superstizioso pensare che i punti di frizione tra l'uomo e gli altri animali, comunque, risiedano solo (o anche ‘principalmente’) in un pollice opponibile o, per seguire un testo di Giordano Bruno che incontreremo più avanti, nella «grossezza o lubricità della [loro] material complessione»615. Anche rimanendo ancorati al semplice punto

di vista corporeo-empirico che qui stiamo indagando, i punti di differenza, se di punti si può parlare, sono infiniti, com'è del resto assolutamente evidente.

Questi ‘punti di frizione’ diventano di una quantità più ragionevole se consideriamo invece il nostro ‘parente più prossimo’, come avrebbe forse detto Darwin: i primati, che mantengono alcune differenze fondamentali pur nella generale maggior vicinanza all'essere umano.

B. Volgiamoci allora a considerare il secondo lato del problema, cogliere il quale è certamente più complesso: stiamo parlando della differenza (tuttavia fondamentale) che sussiste tra la mano dell'uomo e quella del primate. Il gorilla può afferrare, e apparentemente può afferrare qualunque cosa: è anzi certo così. Ma la sua mano mantiene alcune caratteristiche di divergenza.

La prima, com'è evidente, è legata a doppio filo ad un'altra caratteristica fondamentale dell'uomo, la posizione eretta. Prima di considerare l'intreccio di questi due elementi, si consideri brevemente il fatto che certamente l'articolazione della mano e la posizione eretta sono le due caratteristiche fondamentali di differenza tra l'uomo e gli altri primati (tra i quali per altro rimangono numerose variabili specie-specifiche)616, ma non certo le uniche;

animali, come vedremo) Eibl-Eibesfeldt faccia conto di non averlo mai scritto.

614 Riportiamo qui una citazione piuttosto lunga che speriamo possa essere chiarificatrice di

ciò che intendiamo quando sosteniamo che il campo di esperienza di un ragno è completamente diverso dal nostro: «si è per esempio calcolato che il ragno cupiennius salei ha a disposizione circa 6400 movimenti per tessere la sua tela. Li compie in serie, inflessibilmente, anche se viene in vario modo disturbato. Per esempio se […] il ragno viene trasferito dalla tela che sta tessendo a un'altra tela incompleta, [egli] non tiene affatto conto della nuova situazione e delle sue necessità, ma continua la sua serie di operazioni come se si trovasse ancora sul vecchio bozzolo. Sono indubbiamente esempi impressionanti, ma perché sia possibile ricavarne davvero qualche luce, bisognerebbe prima poter chiarire che cosa e come, o in quali situazioni, un animale può controllare operativamente, e in questo senso ‘conoscere’, ciò che fa […]. Si immagini questo esempio fantastico. Supponiamo che un ‘essere’ di cui non posso rendermi conto e avere esperienza per me significativa (un marziano invisibile o qualcosa del genere) sostituisca nella notte il mio computer con un altro del tutto simile. Per quello che sono in grado di constatare, è il mio stesso computer, dove tutto funziona come prima, compresi i segnali della memoria. Ma l'essere invisibile (e dispettoso) ha tolto completamente la memoria del nuovo computer: cosa di cui non posso in alcun modo accorgermi (tutto per me, dicevamo, funziona come prima). Ecco allora che io riprendo il mio lavoro mattutino, allegro e laborioso, partendo da dove l'avevo lasciato e procedendo imperterrito sino alla stampa di fogli che risulteranno naturalmente del tutto bianchi. Ora cosa penserà l'essere invisibile?» (C. Sini, Figure dell'enciclopedia filosofica “Transito Verità”. Vol. 3., cit., pp. 158-159).

615 G. Bruno, Cabala del cavallo pegaseo, Sellerio, Palermo 1994, p. 114, oppure cfr. infra, §34. 616 Se ci ci rende conto di quanto le variazioni corporee influenzino le sfere d'esperienza

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giusto per fornire un elenco indicativo, andrebbero considerati: il particolare prognatismo dell'essere umano, frutto di milioni di anni di evoluzione delle strutture ossee del cranio e della mandibola; gli stessi denti (che, tanto per capirci ‘filosoficamente’ senza rischiare di affogare nella messe dei dati empirici, modificano radicalmente il rapporto col cibo, basilare a tutti i livelli della cultura umana e in particolare nelle sue espressioni magiche, come aveva ben capito Lévi-Strauss); l'assenza, nell'uomo, di pelliccia617; e così molti altri

elementi. Leroi-Gourhan mette a fuoco come «stazione eretta, faccia corta, mano libera durante la locomozione e possesso di utensili movibili sono veramente i criteri fondamentali per distinguere l'uomo»618. Insisteremo in

particolare sulla congiunzione di posizione eretta e mano libera, che insieme formano, per esprimerci così un po' ingenuamente, un'unità formidabile, dalla quale comincia l'avventura dell'intelligenza umana. Potremmo suggellare questo passaggio richiamando proprio il principio di Chauncey Wright: «nuovi usi di

relative a ciascuna specie animale, si vedrà subito che l'esperienza del gorilla, nonostante le sue analogie, è necessariamente profondamente distante dalla nostra: nessun ricercatore, per quanto volenteroso, potrà insegnare il linguaggio umano (una nostra costruzione, dunque) a un animale che ha una mano diversa dalla nostra, che si regge anche sulle ‘braccia’ (o zampe anteriori), che ha una vita sociale diversa dalla nostra e così via. Parafrasando Darwin, che scriveva che «l'idea di un cane dotato di facoltà elevate pur non avendo mani e voce […] è assurda» (C. Darwin, L'espressione delle emozioni nell'uomo e negli animali, cit., p. 80), possiamo dire che sperare che un primate parli senza avere la posizione eretta, la nostra vita sociale ecc (parli proprio usando il nostro linguaggio, che il ricercatore – umano – gli insegna) è un'assurdità. Del resto, anche Corballis nota che, nonostante alcuni interessanti successi, «si è rapidamente dimostrato futile […] il tentativo di insegnare alle scimmie a parlare davvero» (C. Corballis, Dalla mano alla bocca, cit., p. 43). Dietro a tutti questi pur lodevoli tentativi, fatti certo nel nome della conoscenza, si cela una profonda mancanza di comprensione del problema, nonostante il fatto innegabile che, in certi casi, le scoperte avvenute siano fondamentali e molto affascinanti. Inoltre, se si considera appunto la distanza tra la sfera d'esperienza di un primate e dell'uomo in relazione alle varianti corporee, si riuscirà anche forse a intravedere quale distanza deve esistere tra l'esperienza di un cane e la nostra. Vi figurate, allora, il ragno cui ci riferivamo sopra?

617 Corballis tratteggia, per spiegare la mancanza di pelliccia nell'homo sapiens, una teoria

(discussa ma comunque accreditata), alternativa a quella della savana, per comprendere meglio l'interazione uomo-ambiente nella nascita del bipedismo. Se fino agli anni '70 circa era data per assodata la teoria per cui, col ritirarsi della foresta in seguito ai cambiamenti