• Non ci sono risultati.

NEI GIARDINI DEL POTERE DIRITTO E POLITICA ATTRAVERSO LA NATURA DIPINTA

Marina Frunzio

1. Nei giardini del potere

Che l’arte spesso nella storia abbia contribuito a evocare, magari an- che veicolando, il potere, è cosa nota. Si tratta di un fenomeno che ha attraversato i tempi e le culture, in cui si è assistito sovente anche a strumentalizzazioni dell’arte utilizzata per legittimare, anche mistifi- cando, il potere.

L’arte è stata, attraverso un processo di simbolificazione – se sia concesso il neologismo – spesso ridotta nel suo messaggio o meglio, convogliata a tradurre, per immagini, suoni o parole, a seconda dei casi, pittura, scultura, musica, letteratura, poesia, il progetto politico o quello che in un certo momento si intendeva che apparisse come il programma politico prescelto. La cultura classica credo abbia brillato per tale lega- me: quella romana antica, in particolare, cadenzata da una lunga storia di potere assoluto, dunque non sempre condiviso, non sempre fondato sull’autentico consenso. Per altro verso non sempre è stata compresa proprio nella storia antica la natura di tale rapporto. Perché se è vero che esso ha rappresentato sovente la ricerca di un consenso politico mancante, è anche vero che l’arte in tutte le sue manifestazioni è stata anche in un’inevitabile e genuina connessione con la politica e il diritto.

In generale l’umanità dei grandi interpreti della storia è elemento passato spesso nella storiografia sotto silenzio. Ci aveva provato Mar- guerite Yourcenar a richiamare l’attenzione del mondo sulla coesisten- za tra poesia, letteratura, diritto e potere quando nel 1951 descriveva un profilo dell’imperatore Adriano intriso di una dolente umanità, al punto che, ormai gravemente malato, lasciava al futuro imperatore Marco Au- relio quest’ultima frase di commiato dalla vita: “cerchiamo di entrare nella morte ad occhi aperti” (Memorie di Adriano).

Proprio l’arte ci ha consegnato una testimonianza di questo contra- stato rapporto: si tratta di un immenso affresco, o se si preferisce una serie di pitture parietali, provenienti dalla casa della terza moglie del- l’imperatore Ottaviano Augusto, Livia Drusilla, del quale molto si è detto e su cui ritengo valga ancora la pena di indugiare.

I pannelli erano situati in una stanza seminterrata della casa dell’im- peratrice, a Porta di Roma: scoperti nel 1863, furono poi trasportati nel Museo Nazionale Romano, sezione distaccata di Palazzo Massimo. Tra l’altro, nei pressi fu rinvenuta pure la famosa statua di Augusto Lorica- to.

Siamo nel I secolo a.C., il mondo ha assistito alla trasformazione di Roma da potenza del Mediterraneo a potenza mondiale. L’impero ha il suo assetto, comprende territori dal Portogallo all’Asia, passando per l’Africa e le regioni ponte tra l’occidente e l’oriente.

La repubblica sembra distrutta, nelle continue guerre domestiche, nelle recenti esperienze di Silla e Cesare di tipo dittatoriale e la stessa storia aveva dimostrato che una vera democrazia non era possibile, che era destinata a sfociare nel disordine e nella paura. Lo aveva spesso teo- rizzato Platone e il sistema di distinzioni sociali restituiva questa im- possibilità, quasi di natura, per parafrasare Aristotele, di governo giu- sto.

Augusto dichiara di voler raccogliere la sfida di restituire la res

publica ai romani:

RGDA. 1.1-4: Annos undeviginti natus exercitum privato consilio et

privata impensa comparavi, per quem rem publicam a dominatione fac- tionis oppressam in libertatem vindicavi. [2] Eo [nomi]ne senatus de- cretis honorif[i]cis in ordinem suum m[e adlegit G(aio) Pansa et Aulo Hirti] o consulibus con(sula)rem locum s[ententiae simu]l [dans et i]mperium mihi dedit. [3] Res publica n[e quid detrimenti caperet,] me pro praetore simul cum consulibus pro [videre iussit. [4] P]opulus au- tem lodem anno me consulem, cum [consul uterque] e in bel[lo ce- ci]disset, et triumvirum rei publicae constituend[ae creavit].

La notizia si tramanda nelle fonti.

Svet. Aug. 28.1-2: De reddenda re publica bis cogitavit: primum post

per ipsum staret ne reddetur; ac rursus taedio diuturnae valetitudinis, cum etiam, magistratibus ac senatu domum accitis, rationarum imperii tradidit.

Vell. Pat., Hist. Rom. 2.89.3: Finita vicesimo anno bella civilia, sepulta

externa, revocata pax, sopitus ubique armorum furor, restituta vis legi- bus, prisca et antiqua forma rei publicae revocata1.

Lasciamo ora un attimo da parte il progetto augusteo e guardiamo la sala da vicino2.

La stanza in questione ha accesso alla superficie da una scala e non presenta finestre. La sensazione primaria è quella di trovarsi in un am- biente a se stante, forse deputato ad accogliere durante la stagione esti- va, per la frescura del luogo e la presenza di stalattiti decorative in alto sulle pareti.

Le pitture sono quelle di un giardino, ricchissimo di piante e uccelli, delimitato da una doppia balaustra, quasi a limitare lo spazio.

1

Interessante rilevare come per Velleio Patercolo la restitutio riguardi la forza delle leggi, mentre per la pax e la antiqua forma rei publicae si parli di revocatio.

2

Le immagini sono tratte dal sito www.girogiromondo.it che non prevede materiale soggetto a copyright e utilizzate in questa sede esclusivamente per finalità scientifiche.

Tuttavia questo sembra non avere una fine, proseguendo, oltre l’im- mediatezza dei fiori e degli alberi, verso un indistinto turchese.

Si è rilevato3 che il giardino reca specie di animali e una ricchezza di vegetazione straordinarie: si contano 23 specie vegetali e 69 avicole, non rispondenti a un reale paesaggio, ma costituendo, piuttosto, un im- menso catalogo botanico, con una certa prevalenza di allori. La presen- za dell’alloro si spiega con la notizia riferita da Plinio, Svetonio e Cas- sio Dione, secondo cui intorno alla villa sorgeva un bosco da cui veni- vano tratti i rami per il trionfo dei Cesari. Circolava la leggenda secon- do cui un’aquila avrebbe deposto sul grembo di Livia, al tempo del suo matrimonio con Augusto, una gallina bianca che portava nel becco un ramoscello di alloro. Livia avrebbe allevato poi la sua prole e di qui il nome della villa, Ad gallinas albas, per ricordare il fatto prodigioso che vi era accaduto4.

Gli studiosi sono concordi nel riconoscere agli affreschi della villa imperiale l’inizio della pittura romana di giardino, datati tra il 40 e il 20 a.C. Di poco posteriori, infatti, sono i frammenti della villa della Farne- sina e il genere dovette in breve diffondersi presso le abitazioni dell’ari-

3

Caneva G. (2010), Il codice botanico di Augusto. Ara pacis: parlare al popolo attraverso le immagini della natura, Roma: Cangemi Editore spa.

4

Plin., Nat. Hist., XV. 136-137: Sunt et circa Divum Augustum eventa eius digna memoratu. namque Liviae Drusillae, quae postea Augusta matrimonii nomen accepit, cum pacta esset illa Caesari, gallinam conspicui candoris sedenti aquila ex alto abiecit in gremium inlaesam, intrepideque miranti accessit miraculum. quoniam teneret in rostro laureum ramum onustum suis bacis, conservari alitem et subolem iussere haruspices ramumque eum seri ac rite custodiri. rell. Svet. Galba 1: Quod factum est in villa Caesarum fluvio Tiberi inposita iuxta nonum lapidem Flaminiae viae, quae ob id vocatur Ad Gallinas, mireque silva provenit. ex ea triumphans postea Caesar laurum in manu tenuit coronamque capite gessit, ac deinde imperatores Caesares cuncti. traditusque mos est ramos quos tenuerunt serendi, et durant silvae nominibus suis discretae, fortassis ideo mutatis triumphalibus. Cass. Dio., XLVIII. 52, con un breve cenno, ma anche in Iul. Obseq., lib. Prodig., CXXXI: Sub Apennino in Villa Liviae uxoris Caesaris ingenti motu terra intremuit, dove l’evento è descritto come un terremoto. Cfr., Settis S. (2008), Le pareti ingannevoli. La villa di Livia e la pittura di giardino, Verona: Mondadori Electa. Si veda, pure, Messineo G. (2001), Ad gallinas albas. Villa di Livia, Roma: L’Erma di Bretschneider.

stocrazia di altre città imperiali, come ci attestano le pitture delle case pompeiane (soprattutto, la casa dei cubicoli floreali)5.

Che il ninfeo di Livia abbia costituito un modello per le decorazioni delle abitazioni dei più ricchi è poi ulteriormente provato addirittura da ritrovamenti in zone orientali, come nel caso della villa del console At- talo a Pergamo. Sappiamo, inoltre, che anche la tecnica pittorica di sin- goli elementi sulle pareti fu portata nel tempo a livelli di perfezione. Basterà qui ricordare la descrizione che Petronio ci lascia nel Satyricon della ricca domus di Trimalcione e del dipinto del gigantesco cane da guardia, tanto realistico da suscitare in Encolpio un enorme spavento6.

5

Cfr., Salvadori M. (2008), Amoenissam parietum picturam. La fortuna del pae- saggio nella pittura parietale romana, Eidola 5, 23 ss.

6

Satyr. 29. 1-2: Ceterum ego dum omnia stupeo, paene resupinatus crura mea fregi. Ad sinistram enim intrantibus non longe ab ostiarii cella canis ingens, catena vinctus, in pariete erat pictus, superque quadrata lettera scriptum “CAVE CANEM”. Et collegae mei riserunt.

Certamente non sfugge alla visione delle pitture il senso di una pace dominante, quasi una festa della primavera che richiama il proemio del

De rerum natura lucreziano e la potenza della gens Iulia, evocata da

Venere, voluta e adottata nella sua forma esteriore più convincente, il verde, il silenzio che pare interrotto solo dal fruscio del vento tra i rami e dal cinguettio degli uccelli7.

Sono visioni con una loro sorda acustica, riposante e tranquillizzan- te, sicuramente in linea, come pure si è detto, col programma politico dell’imperatore, volto a diffondere una idea collettiva di pace e di rag- giunta stabilità. Cosa che l’arte ufficiale augustea, d’altronde, trasmet- teva chiaramente, come l’Ara pacis ci testimonia8.

7

È oltretutto presente un voluto accostamento tra morte e rinascita nella coesistenza di oleandri e crisantemi con palme e allori, visioni statiche e dinamiche nell’intuizione del volo degli uccelli, emissari, a loro volta, della divinità: Forte M. (2007), La villa di Livia. Un percorso di ricerca di archeologia virtuale, Roma: L’Erma di Bretschneider.

8

Per tutti, ancora il magistrale studio di Zanker P. (1989), Augusto e il potere delle immagini (trad. it. di F. Cuniberto), Torino: Bollati Boringhieri Editore.

Che poi la natura fosse un elemento da più punti di vista sviluppato e diffuso proprio in quest’epoca è cosa altrettanto nota: la Roma augu- stea è una nuova Babilonia, disseminata di siepi intervallate da cascate, alberi da fiori e da frutto, ombreggiature volutamente provocate per in- coraggiare la serenità, dettagli e colori evocativi del gusto orientale. Ma non solo. È un tentativo di recupero di antiche tematiche che come noto ricollegavano la pace al rapporto con la natura, quell’età dell’oro che non a caso il poeta vate dell’età augustea, Virgilio, non esita anche su specifica commissione dell’imperatore a divulgare.

Natura che tuttavia presentava, e questo è un dato non meno impor- tante, una sottile ambiguità, mai del tutto risolta: l’uomo politeista ave- va provato a sfidare la natura molte volte, ma essa spesso si era ribella- ta. Le incomprensibili eruzioni, i mostruosi terremoti, le alluvioni, le carestie, ancora in età augustea, ricordavano costantemente che essa non si lasciava dominare con facilità. Che con essa vi fossero gli dei o fosse essa stessa una divinità non mutava la conclusione: l’uomo era figlio di una madre da temere, da non comprendere fino in fondo. Un tema anche questo che aveva radici lontane, nella peste di Tucidide nuovamente riportata a galla proprio in quegli anni da Lucrezio e poi largamente utilizzato nella letteratura dei secoli successivi, come la prospettiva di pensiero di Giacomo Leopardi, ad esempio, ci racconta.

Quanto detto ci aiuta a capire il senso profondo di questo spettacola- re affresco che serba in sé volutamente l’avvenuta conquista della pax, ma restituisce pure e più sottilmente l’idea di una dominazione avvenu- ta, quella sugli eventi di natura. La natura rappresentata è infatti in pace anch’essa, in linea col suo dominatore, da lui controllata. Una natura che si lascia amare per un mondo che ormai non ha più nulla da temere.

Eppure una più sensibile lettura non riesce a cancellare una sfumata minaccia, come una sottile angoscia che proprio questi affreschi lascia- no intuire. La doppia balaustra sembra costruita a contenere una possi- bile fuga, una perdita improvvisa e non prevista di controllo. E dietro un infinito che sfuma nell’indefinito, ricordando che ciò che è lontano non è sempre ben visibile, può celare insidie, stagliarsi contro la bellez- za di ciò che è oggi, immediatamente presente al nostro sguardo. C’è un legame profondo tra ciò che gli affreschi di Livia restituiscono e il pro- gramma augusteo.

Augusto dichiara di aver restaurato la repubblica e dunque di averla restituita ai romani. Di fronte tuttavia alla pienezza dei suoi poteri gli storici hanno concluso che egli sia stato in realtà un vero e proprio im- peratore assoluto e che queste sue dichiarazioni siano solo efficaci mezzi di propaganda politica per illudere un popolo ormai stremato e ottenerne il consenso, complice tutta questa spettacolarizzazione artisti- ca.

Il punto centrale allora diventa: cosa significa veramente ‘aver re- staurato’ e dunque ‘restituito’ la res publica? Restauro è un termine che pure nelle fonti antiche assume la sua più piena pregnanza nell’ambito del linguaggio architettonico. Restauro vuol dire ‘ricomposizione’, ‘ri- pristino’ e implica un intervento sull’opera successivo alla sua realizza- zione. Tra il committente di un’opera d’arte danneggiata, ad esempio, e il restauratore si stabilisce un chiaro rapporto in cui il committente affi- da a quest’ultimo il compito di provvedere al rifacimento dell’opera stessa. Tanto dunque il restauratore quanto il committente hanno perfet- ta consapevolezza che al termine dell’intervento non verrà restituita l’opera nella sua versione originale, né ciò sarebbe in alcun modo più possibile, ma piuttosto la forma che quell’opera ha assunto, grazie al restauro, la medesima forma, cioè, o quasi, di quella originale9. È un patto tacito che ha una sua precisa utilità, assai spesso legata all’appa- gamento sensoriale o alla realizzazione di altre finalità pratiche.

Dunque Augusto può aver voluto ricomporre formalmente la repub- blica per restituire ai romani non lo stesso assetto politico di una volta, ma la sua forma restaurata. D’altronde, tanto il verbo ‘restaurare’ che ‘restituire’ mostrano la medesima radice e la particella ‘re’, che chiara- mente induce a pensare a un ritorno a una condizione precedente. E questo doveva esser noto al senato, al popolo, allo stesso Augusto che potremmo definire più che un grande impostore, il grande restaurato- re10.

9

Sulla nascita del concetto di ‘restauro’, da ultimo, con ampia bibliografia, Pergoli Campanelli A. (2015), La nascita del restauro. Dall’Antichità all’alto Medioevo, Milano: Jaca Book.

10

Egli stesso mostra di averne piena coscienza. In una lettera al nipote Gaio conte- nuta in Gell. N.A. 15.7.3 definisce lo status da lui avviato come felicissimus.

Quale è, potremmo chiederci, allora, la forma che Augusto restitui- sce ai romani? Lo chiarisce in molti punti assai bene Cicerone, forse il più felice teorico del principato, sebbene nella riflessione dell’Arpinate molte e varie furono le sfumature con cui disegnò il nuovo assetto poli- tico11. Potremmo sintetizzare parlando di una res publica fondata sul- l’auctoritas principis, una convivenza equilibrata tra senato, popolo e magistrati sotto la guida di un uomo illuminato12.

Magari fu un sognatore o un visionario. Certo è che Tiberio, il suo successore, lesse in Senato le ultime volontà di Augusto, all’indomani della sua morte. I senatori avevano compreso che un mondo era finito con lui e racconta Tacito, presero a effondersi in lacrime e preghiere; si battevano il petto; tendevano le mani agli dei, alla statua di Augusto, quando Tiberio lesse un documento redatto per mano dello stesso Au- gusto in cui vi erano registrate le risorse dello stato, il numero dei citta- dini e degli alleati, le tassazioni, le spese e i donativi. A ciò – questo è davvero importante – aveva aggiunto la raccomandazione di non oltre- passare i confini dell’impero, osserva Tacito, non si sa se per paura o per invidia (Annales, I. 11.4).

Forse non fu né per l’una né per l’altra. Forse fu per la convinzione di aver realizzato un capolavoro da preservare, un nuovo mondo da cu- stodire, riparandolo con delle doppie e solide cinture, cercando di tene- re il più possibile distante l’infinito sconosciuto di una nuova, imper- scrutabile età che era di lì a venire.

Un diverso, sottile eppure affascinante modo per ricostruire una forma ormai logorata, celebrandola in una nuova ecumene su cui far convergere il consenso generale. In modo analogo ci aveva provato, sebbene con minor entusiasmo, Pericle le cui ultime parole, stando a Tucidide (II. 65.7), erano state: “Non tentate di ampliare l’impero con la guerra”.

Non dispiacerà concludere con il giudizio di uno dei più fertili e at- tenti studiosi augustei e peraltro, non certo benevolo nei confronti del

11

Importanti considerazioni in Canfora L. (2015), Augusto figlio di Dio, Roma- Bari: Laterza.

12

princeps: “Augusto è un grande architetto […] il capolavoro di Augusto

è […] una res publica restituta, cioè restaurata”13.

13

Canfora L. (2013), Intervista sul potere (a cura di A. Carioti), Roma-Bari: Later- za.

Sulla restitutio, da ultimo, con convincenti e solide dimostrazioni, Lican- dro O. (2015), “Restitutio rei publicae” tra teoria e prassi politica. Augusto e l’eredità di Cicerone, Aupa 58, con ampia bibliografia.

2. Bibliografia

Caneva G. (2010), Il codice botanico di Augusto. Ara pacis: parlare al popolo

attraverso le immagini della natura, Roma: Cangemi Editore spa.

Canfora L. (2013), Intervista sul potere (a cura di A. Carioti), Roma-Bari: Laterza.

– (2015), Augusto figlio di Dio, Roma-Bari: Laterza.

Forte M. (2007), La villa di Livia. Un percorso di ricerca di archeologia

virtuale, Roma: L’Erma di Bretschneider.

Licandro O. (2015), “Restitutio rei publicae” tra teoria e prassi politica.

Augusto e l’eredità di Cicerone, Aupa 58.

Messineo G. (2001), Ad gallinas albas. Villa di Livia, Roma: L’Erma di Bre- tschneider.

Pergoli Campanelli A. (2015), La nascita del restauro. Dall’Antichità all’alto

Medioevo, Milano: Jaca Book.

Salvadori M. (2008), Amoenissam parietum picturam. La fortuna del

paesaggio nella pittura parietale romana, Eidola 5, 23 ss.

Settis S. (2008), Le pareti ingannevoli. La villa di Livia e la pittura di giardi-

no, Verona: Mondadori Electa.

Zanker P. (1989), Augusto e il potere delle immagini (trad. it. di F. Cuniberto), Torino: Bollati Boringhieri Editore.

LA ‘LEGGE SULLA CITTADINANZA’