Enrico Cassini
1. La retorica delle neuroimmagini
La cultura giuridica contemporanea (intendendo con questo termine sia la filosofia del diritto, sia la dottrina che riflette sul diritto positivo), in diversi casi si è concentrata sul contributo che il portato teorico delle neuroscienze può precisare rispetto al nostro modo di pensare la catego- ria del giuridico. Molti studi si sono soffermati su questioni legate ad alcuni temi fondanti del pensiero filosofico e giuridico occidentale, quali il libero arbitrio e le determinanti delle scelte individuali, colle- gandole agli assunti che lo studio scientifico-biologico del cervello ha introdotto nelle filosofie speciali della mente e del diritto. Altri acco- stamenti, specificamente filosofico-giuridici, di dottrina processualisti- ca o legati al pensiero criminologico, hanno invece evidenziato il ruolo che il paradigma neuroscientifico può e potrà ricoprire in sede proces- suale (peritale), specie in ambito penalistico. Rispetto a quest’ultimo nodo teorico, una possibile riflessione che pertiene al filosofo del diritto il quale voglia ricomprendere il campo giuridico nell’ambito delle di- scipline umanistiche, riguarda l’utilizzo retorico dell’immagine neuro- scientifica (neuroimaging), sia a livello processuale, sia per ciò che concerne il discorso filosofico e dottrinale.
Indizi di una retorica delle neuroscienze, ossia dell’utilizzazione in chiave “suggestiva” dei risultati di test neuroscientifici, o semplicemen- te della neuroimmagine, si trovano nell’opera di diversi autori. Per ciò che concerne questo breve percorso, finalizzato a delineare i caratteri e le finalità dell’uso delle scienze del cervello all’interno del discorso giuridico, al contempo processuale e giusfilosofico, ci si servirà princi- palmente di quanto individuato da alcuni studiosi, le cui proposte fun-
zioneranno sia da punto di partenza che da segnavia: Katiuscia Sacco (una neuropsicologa), Paolo Legrenzi e Carlo Umiltà (un cognitivista e un neurologo che hanno scritto a quattro mani un volumetto di estremo interesse per la prospettiva qui adottata), Raymond Tallis (filosofo, che parte però da una formazione in ambito medico), Paolo Heritier (filoso- fo del diritto).
La riflessione di Katiuscia Sacco è dedicata allo statuto epistemolo- gico e metodologico delle neuroimmagini, come principale strumento delle neuroscienze lato sensu. Per questa studiosa, esistono due declina- zioni del sapere neuroscientifico rappresentato tramite la neuroimmagi- ne: quella scientifica e quella mediatica. Il contesto della prima declina- zione è caratterizzato dalla prudenza delle affermazioni, dall’apertura alla possibilità della falsificazione e dal restare spesso circoscritto alle sfere della ricerca medica e neuropsicologica. Al contrario, le prese di posizione interne alla seconda declinazione «spesso forniscono una spiegazione ipersemplificata ed eccessivamente entusiastica» degli esperimenti neuroscientifici e di ciò che si può “leggere” nelle neu- roimmagini, interpretazione «che porta a credenze e speranze scientifi- camente infondate»1. Tale contesto contiene affermazioni perentorie e
monologiche, si chiude a possibilità critiche e dialogiche postulando un riduzionismo unicausale di ordine biologistico, infine tende a coloniz- zare lo specifico di altre discipline, come quelle sociali e umanistiche. L’autrice è chiara nell’attestare che, attualmente, nell’area delle neuro- scienze, «le applicazioni supportate da sufficiente evidenza scientifica riguardano esclusivamente alcuni aspetti dell’ambito clinico»2, mentre
ciò che viene utilizzato in altri settori, al fine di ricondurre fenomeni o comportamenti a una matrice di carattere neurobiologico, spesso risente di uno scarso approfondimento epistemologico e di un eccesso di con- siderazione per affermazioni appartenenti alla declinazione mediatica- divulgativa, o meramente ipotetica. Gran parte degli studi che rientrano nei sub-compartimenti denominati suggestivamente neurodiritto (neuro- law), o neurocriminologia (neurocriminology), si fondano spesso su in-
1 Sacco, K. (2012). Fondamenti teorici ed epistemologici. Id. (ed.). Le neuroimma-
gini. Nuove frontiere per lo studio del cervello umano in vivo. Napoli: Idelson- Gnocchi, 1.
dagini neuroscientifiche le cui risultanze, che frequentemente prendono la forma della neuroimmagine, fanno riferimento alla tecnologia stru- mentale della risonanza magnetica funzionale (fMRI), utilizzata nella ricerca per formulare ipotesi sul lavoro neuronale fisiologico e patolo- gico, ma che ha ancora una scarsissima rilevanza in ambito clinico. Per quanto il lemma “risonanza magnetica funzionale” sia in sé impreciso, dato che esso indica qualunque esame strumentale tramite risonanza magnetica volto a visualizzare una dinamica appunto funzionale di con- tro agli esami dei soli aspetti morfologici di determinati organi e tessuti, questo viene usato quasi esclusivamente per indicare il controllo su schermo, per opera di tale tecnologia, dell’attività dei neuroni. L’esame è in grado di visualizzare la risposta emodinamica (ossia i cambiamenti nel contenuto di ossigeno del parenchima e dei capillari) correlata al- l’attività neuronale del cervello o del midollo spinale, nell’uomo o in altri animali. I risultati che scaturiscono dalla fMRI dipendono princi- palmente da due tipologie di variabili: 1 – il livello di definizione dello strumento impiegato, che viene espresso in numero di voxel, ossia l’unità di misura per la riproduzione delle immagini elettroniche tridi- mensionali (al pari del pixel per la bidimensionalità); 2 – le premesse conoscitive e interpretative dell’esperimento per il quale lo strumento viene adoperato, dirette in molti casi a identificare aree cerebrali depu- tate a specifiche attività motorie o a funzioni cognitive. La prima varia- bile, quella dei limiti strumentali, costituisce uno dei classici ostacoli epistemologici a una conoscenza “pura” del dato di realtà. L’altra ri- guarda più ampiamente, sia i postulati dell’ideologia biologistica e ri- duzionistica che permeano molte affermazioni inerenti alla declinazione mediatico-divulgativo-ipotetica delle neuroscienze, sia l’occorrenza per cui le aree del cervello che vengono individuate come deputate a certe funzioni o attività, sono il risultato di induzione statistica3 e di protocol-
li sperimentali che non tengono sufficientemente conto di una serie in- terferenze e limitazioni presenti nell’esperimento stesso4. È ad esempio
3 Su questo cfr. Sacco, K. (2012). Fondamenti metodologici. Op. cit. Pressoché in-
teramente.
4 A proposito di tali aspetti, si confronti compiutamente Tallis, R. (2011). Aping
Mankind: Neuromania, Darwinitis, and the Misrepresentation of Humanity. Durham- Bristol: Acumen. In particolare, si vedano i capitoli 1 e 8.
ovvio che, se si vuole isolare la sede cerebrale di uno stato psicologico, per ipotesi l’ansia, essa non sarà direttamente proveniente dalle sole condizioni controllate dell’esperimento, ma da una complessa serie di componenti che interferiranno con esse, come ad esempio la medesima tensione per essere sottoposti all’esperimento, l’assunzione di sostanze come la caffeina, o la situazione complessiva (la storia di vita) del sog- getto esaminato. In base a ciò, la Sacco conclude che lo «studio dei cor- relati neurali di fenomeni psicologici è necessario ma non sufficiente per la comprensione del sistema mente-cervello»5, anche quando esso
non sia inteso nel senso ampio dell’interazione tra cervello, psiche e ambiente tipico di certe filosofie della mente non riduzionistiche, ma venga delimitato al suo significato fisiologico e patologico di «rapporto tra caratteristiche del cervello (anatomia e attività cerebrali) e funzioni/ disfunzioni psicologiche»6.
L’impiego clinico dei rilievi strumentali neuroscientifici, ovverosia il solo ambito che secondo la Sacco è inseribile nella declinazione scientifica di questi, si limita nella maggior parte dei casi agli aspetti morfologici (individuazione di lesioni, neoplasie, malformazioni ecc.), tralasciando quelli della funzionalità neuronale (fanno eccezione ad esempio alcune ricerche cliniche sulle malattie neurodegenerative, o su pazienti in stato di coma). A tal proposito, l’autrice ci tiene a evidenzia- re che in questi casi, l’analisi della neuroimmagine degli aspetti morfo- logici non è soggetta alle particolari interpretazioni di quelle ottenute tramite la fMRI: infatti,
le immagini così create vengono utilizzate per la refertazione senza ne- cessità di ulteriori elaborazioni: esse consentono di confrontare il se- gnale emesso ad ogni voxel rispetto a ciascun altro voxel per classifica- re tipologie di tessuti o per distinguere regioni sane da regioni patologi- che in un singolo soggetto; tale confronto è solitamente eseguito dal
neuroradiologo, attraverso un’ispezione visiva7.
Sul versante opposto, con l’uso dei test neuroscientifici in direzione funzionale, specie al fine di spiegare fenomeni di interazione o compor-
5 Sacco. Fondamenti teorici ed epistemologici. 7. 6 Op. cit. 2.
tamenti umani, si tende a voler definire come «foto istantanee della mente al lavoro» quelle che sono invero «rappresentazioni altamente processate di una misura indiretta dell’attività neurale»8.
La propensione a risolvere nel luogo del cervello una grande varietà di fenomeni culturali e sociali, creatasi grazie al portato delle neuro- scienze in molte discipline sociali e umanistiche (di cui le categorie del giuridico e del forense non sono che due dei tanti distretti), si appella frequentemente al riduzionismo e alla perentorietà acritica della decli- nazione mediatica; la Sacco, a questo proposito, avverte come sia «es- senziale evitare che i bei colori annebbino il nostro giudizio»9. Tale
monito dovrebbe essere di fondamentale importanza per il giurista che non voglia ricadere in atteggiamenti di materialismo eliminativo, o in un unicausalismo positivistico che già aveva caratterizzato correnti del passato come la Scuola Positiva del diritto penale. L’autrice porta a so- stegno della propria prudenza nei confronti delle attestazioni di un certo tipo di studi in ambito neuroscientifico, i risultati di una ricerca condot- ta dal neuropsicologo statunitense Edward Vul con alcuni collaboratori, confluiti in un articolo nel quale si sosteneva che i nessi tra stati del cervello e particolari emozioni, caratteristiche della personalità, o fun- zioni cognitive, evidenziate in esperimenti di fMRI, risultano di fatto enigmatici10; in una prima versione, il titolo del breve saggio parlava
addirittura di correlazioni vudù. Il pericolo di una filosofia del diritto o di decisioni giudiziali che fondano l’agire umano su suggestioni fornite da immagini neurali connesse a funzioni psicologiche grazie a correlati vudù, si concreta non solo nella rinuncia a uno specifico metodologico, ma anche nell’affidare le proprie motivazioni ad assunti che risentono di profonde carenze epistemologiche.
Il punto di vista di Legrenzi e Umiltà, che come è stato già detto in precedenza, sono rispettivamente uno psicologo di orientamento cogni- tivista e un neurologo, è sovrapponibile per molti aspetti a quanto espli-
8 Sacco. Fondamenti teorici ed epistemologici. 17. 9 Op. cit. 18.
10 Sacco. Fondamenti metodologici. 42-45. L’articolo in questione è: Vul, E., Har-
ris, C., Winkielman, P., Pashler, H. (2009). Puzzlingly High Correlations in fMRI Stu- dies of Emotion, Personality, and Social Cognition. Perspectives on Psychological Science, vol. 4, n. 3. 274-290.
citato da Katiuscia Sacco; essi tuttavia si concentrano maggiormente proprio sulla diffusione che le neuroscienze “mediatiche” hanno avuto anche in altri campi del sapere. In anni recenti infatti, sono nate disci- pline trasversali sovrapponibili per “struttura” al neurodiritto, come la neuro-estetica, la neuro-economia e perfino la neuro-teologia, le quali non intraprendono un lavoro di effettivo confronto e dialogo tra le varie aree, ma riconducono il soggetto analizzato a una causa prima sita nel luogo del cervello. La declinazione mediatico-divulgativa del sapere neuroscientifico «tende a mettere in rilievo un’area e a dare l’impres- sione che sia la sola deputata a una data funzione, o, addirittura che sia la causa di quel dato effetto psicologico»11, o di quella particolare mani-
festazione della cultura, dal diritto alla critica letteraria.
La prosecuzione della trattazione rende necessario un chiarimento lessicale. Nel titolo del presente intervento e nelle linee iniziali si è fatto riferimento a una “retorica” delle neuroimmagini e a un’utilizzazione retorica delle stesse, o del dato testistico neuroscientifico, sia nel settore filosofico-giuridico del neurodiritto che nell’ambito giudiziale. Cosa si intende dunque con il termine “retorica”? In che accezione è quindi impiegato in questa sede l’aggettivo “retorico”? Per cominciare, biso- gna precisare che il lemma non è inteso nel significato aristotelico: non si tratta di una retorica consonante con un senso di verità, ossia come analogo/antistrofe della dialettica12, ma come mera tecnica di sugge-
stione. Lo stesso Aristotele lamentava che in genere, i retori e gli autori dei trattati di tecnica retorica non si curavano degli aspetti filosofici e “di verità” relazionati a tale disciplina, ma si concentravano solo sulle tattiche per impressionare un uditorio, spesso coincidente con i giudici; accostamento metodologico che, laddove vi fosse stata una buona “co- stituzione” e un buon governo della polis, non sarebbe stato di alcuna utilità o interesse13. Se infatti la linea di pensiero che si dipana dalla
retorica filosofica dello stagirita ha condotto alcuni autori, anche nella
11 Legrenzi, P., Umiltà, C. (2009). Neuro-mania. Il cervello non spiega chi siamo.
Bologna: Il Mulino. 32 (corsivi nostri).
12 Aristotele parla della retorica in questi termini nella prima, icastica, affermazione
del suo trattato. Cfr. Aristotele (1996). Retorica. Trad. it. di Dorati, M., Milano: Mon- dadori. Libro I, 1, 1354a.
contemporaneità, ad affermare la necessità di un concetto di verità che emerga dal dialogo e dal contraddittorio, la quale risulti persuasiva14, la
tecnica “retorica” già bersagliata nel trattato di Aristotele, si pone come un metodo basato su una finalità di suggestione e, soprattutto, incentra- to sull’imposizione monologica di un punto di vista piuttosto che sul- l’affioramento di una verità dialogica tra soggetti immersi nel logos. Il rischio insito nell’utilizzo mediatico-divulgativo-ipotetico del portato delle neuroscienze funzionali e, in modo particolare delle neuroimma- gini, è infatti lo stesso di una tecnica retorica non filosofica, ossia la prescrizione di una determinata prospettiva, tramite tattiche di sugge- stione epistemologicamente problematiche, ma dotate di un certo potere di convincimento. Non è un caso che in ambiti diversissimi, i quali spa- ziano dall’economia alla politica, dal diritto all’estetica, fino al cinema o ai nuovi media informatici, un certo numero di studiosi e operatori si siano affidati alle argomentazioni “neuro” senza considerare le cautele e le critiche fatte proprie da chi si è posto le giuste domande in merito al loro statuto conoscitivo. Come hanno ben sintetizzato Legrenzi e Umiltà rispetto alle neuroimmagini:
[s]e il parlare del corpo si mescola con il parlare della mente, il corpo diventa “figura” e la mente fa da sfondo. Sebbene le spiegazioni in ter- mini mentali possano essere semplici riformulazioni con altre parole dei fenomeni, cioè spiegazioni circolari, di questo non ci si accorge a patto
che venga aggiunta l’informazione “neuro”15.
Spesso si assiste infatti a petizioni di principio, mascherate e soste- nute grazie all’apporto (retorico) di una neuro-argomentazione “funzio- nale”, che come abbiamo già evidenziato con la parole della Sacco, non si fonda su istantanee della mente, ma su immagini che rappresentano la maggior probabilità di una particolare attività cerebrale in condizioni controllate sperimentalmente. Questo dimostra la forza di tali argomen- tazioni, suggestiva di una causalità univoca ed evocativa di un legame
14 Tale indirizzo è egregiamente rappresentato, nella filosofia del diritto da: Man-
zin, M. (2014). Argomentazione giuridica e retorica forense. Dieci riletture sul ragio- namento processuale. Torino: Giappichelli.
certo tra l’immagine del cervello e lo sfondo problematico costituito dalla categoria del mentale.
Il discorso di Legrenzi e Umiltà evidenzia, oltre alla diffusione delle argomentazioni neuroscientifiche in molti campi del sapere, il ritorno a una mentalità positivistica di marca ottocentesca, che ha parecchio in comune con la tendenza biologistica interna alla Scuola Positiva del diritto penale, la quale risolveva nel determinismo biologico problemi filosofici quali il libero arbitrio, o questioni giuridiche come l’imputabi- lità e la responsabilità. Ancora una volta, è evidente il rischio di un eli- minativismo di questo tipo, che si fonda su inferenze probabilistiche e su nessi ipotetici tra attività cerebrale e dinamismi psicologici e cogni- tivi, i quali vengono poi spesso risolti in immagini e «bei colori», a cor- roborare sia spiegazioni di senso comune, sia interpretazioni derivanti da psicologie d’impostazione non strettamente neurobiologica (la tanto biasimata folk psychology), o ancora petizioni di principio. Come ha ben sintetizzato Tallis, il difetto epistemologico di molte spiegazioni affidate alle neuroscienze funzionali ipotetiche consiste nel trasformare la probabilità statistica (all’interno di protocolli controllati) in certezza (riferentesi a ogni situazione psicologica o cognitiva): secondo il filoso- fo e medico inglese, tale atteggiamento è tipico delle pseudoscienze16.
Questo indirizzo, al contempo riduzionistico e retorico (nel senso che è già stato esplicitato) ha fatto in modo che, anche nell’ambito della cul- tura giuridica, si formassero linee di pensiero e proposte operative atte a risolvere molte questioni essenziali costringendole nella spiegazione “neuro”, la quale assurgerebbe così a nuovo fondamento. In merito a tali snodi teorici della contemporaneità, è utile il monito del filosofo del diritto Paolo Heritier, il quale afferma che in molti contesti giusfilosofi- ci (e non solo), il cervello umano risulta
colorato, impacchettato, pronto per l’uso (mediatico o scientifico o pro- cessuale), su un giornale a indicare dov’è la sede fisica dell’emozione che si prova, oppure nel processo, per provare che l’autore non è re- sponsabile, perché solo malato
dando così adito a «[t]ipi diversi di propaganda comunicativa a cui le neuroscienze forensi (o la scienza, giuridica o cognitiva) devono resi- stere»17. Questa dinamica è ancora una volta assimilabile a una retorica
impositiva atta alla suggestione piuttosto che a una retorica del dialogo e della persuasione tra soggetti parlanti. Aristotele segnalava come gli autori delle tecniche retoriche non dedicassero spazio alcuno all’enti- mema, figura che ricopre un ruolo centrale nella retorica filosofica, la quale è, come si è già sottolineato in precedenza, antistrofe e analogo della dialettica. Se infatti il metodo dialettico è retto dalla logica sillogi- stica, la retorica si fonda su quella entimematica: l’entimema è dunque, nel contesto retorico, l’analogo e l’antistrofe del sillogismo; mentre quest’ultimo si basa sul vero e sull’immediato, il primo parte da segni e verisimiglianze. L’entimema mette al centro la categoria del probabi- le18. Come è stato indicato più volte, in questa sede non si è voluto uti-
lizzare il termine “retorica” nel suo senso filosofico, ma lo si è adopera- to per indicare una “tecnica” di suggestione, la quale tende alla presen- tazione di una verità in maniera univoca e monologica; al contrario però delle costruzioni dei retori criticati dallo stagirita, farà anch’essa utiliz- zo di figure entimematiche, che avranno comunque ben poco del loro originario contenuto aristotelico di verità. Per ciò che concerne il nostro oggetto di analisi, si tratta, da una parte, di quelle probabilità fatte pas- sare per verità di cui parla Tallis, dall’altra di quei bei colori dai quali ci mette in guardia la Sacco, i quali sono sì segni di una determinata atti- vità cerebrale, ma non sono né il cervello, né la mente al lavoro. Roland Barthes parla dell’entimema come di un sillogismo a livello del pubbli- co, dove però non vi è più nulla di autenticamente filosofico, ma è in- vece presente una degradazione di esso in senso propagandistico e “pubblicitario”19. La neuro-retorica, specie nelle varianti giuridiche del
neurodiritto e della neurocriminologia, non sottende più un dialogo in atto da cui emerge una verità, come avviene in filosofi del diritto con-
17 Heritier, P. (2014). Neuroscienze normative fondamentali? Una postfazione.
Dupuy, J.P. (1994/2009). Alle origini delle scienze cognitive. La meccanizzazione della mente. Trad. it. di Heritier, P., Milano-Udine: Mimesis (2014). 248.
18 Oltre al trattato aristotelico, sull’entimema è esemplare: Barthes, R. (1970). La
retorica antica. Trad. it. di Fabbri, P., Milano: Bompiani, 2000. 66 e ss.
temporanei quali Maurizio Manzin o Dennis Patterson20, né la coscien-
za di un pubblico porta all’agire comunicativo, come è per Habermas: essa si presenta invece come l’imposizione di un riduzionismo, sul mo- dello del brocardo secondo cui ‘auctoritas, non veritas facit legem’.
Auctoritas che, peraltro, deriva la propria legittimità da un doppio equi-
voco epistemologico, costituito dalla confusione, da una parte tra pro- babilità e certezza (Tallis), dall’altra tra correlazione e causalità (Le- grenzi e Umiltà)21. La propensione ad avocare a sé le questioni del fon-
damento e della causa ultima messa in atto delle spiegazioni “neuro”, colloca queste ultime nell’ambito, per riprendere un’altra espressione di Roland Barthes, dei miti d’oggi.
Alcuni studiosi hanno tuttavia proposto delle soluzioni di ordine dia- logico all’univocità e al comando monologico della neuro-retorica: in questo intervento si prenderanno in considerazione alcuni appianamenti provenienti dall’area psicoforense. Da questa prospettiva, alcuni signi- ficativi spunti provengono da un breve libro scritto dallo psichiatra Ugo Fornari, nel quale viene messo in evidenza come sia
antiscientifico voler elevare a principio universalmente valido il dato testistico, neuropsicologico, neuroradiologico, neuroenzimatico, neuro- funzionale, genetico e via dicendo, che attualmente non rappresenta al-