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Luigi Di Santo

1. Poetica e linguaggio in Heidegger

La lettura che Heidegger compie della poetica di Rilke genera la se- guente considerazione:

Dobbiamo imparare a udire il dire di questi poeti, […] ci sarebbe e c’è una sola cosa necessaria: pensando sobriamente nel detto della poesia, esperire l’inespresso. Questo è il cammino della storia dell’essere. Se ci incamminiamo su questo cammino, esso condurrà il pensare a un dialo- go storico-ontologico con il poetare1.

In queste parole prende significato quella attenzione che Heidegger dimostra per il mondo dell’espressione artistica, in particolar modo per la poetica. È “il tempo della povertà” che si configura nella prefigura- zione del reale come funzione dell’“ente calcolabile”. È l’era della tec- nica alla quale si richiama Heidegger. E qui che il filosofo trova nel- l’Inespresso il dialogo imprescindibile tra il logos e il poetare, dato che nell’era della tecnica la realtà è ridotta a ‘fondo’ nel segno del consu- mare, dove l’essere del reale stesso è definitivamente occultato. Come scrive Heidegger dando voce alle parole di Rilke: «per i nostri avi ogni cosa era infinitamente di più che per noi. Ogni cosa era un recipiente in cui rintracciavano e conservavano l’umano»2. Traccia che innesca un senso tra le linee della trama temporale di passato, presente e futuro. La tecnica si riflette nella propria linearità, nel garantire il monologo della ripetizione.

Il mistero propone come, per gli dei di Holderlin, un mondo diverso. […]. Sono i versi dei poeti che propongono il distacco del mondo della

1 M. H

EIDEGGER, Sentieri interrotti, Firenze, 1973, p. 231. 2 Ivi, p. 269.

tecnica e conducono verso una dimensione ontologica dove i messaggi sono ambigui ma liberatori, destabilizzanti ma disvelatori3.

Un ribaltamento del pensare che è impossibile. È la verità dei poeti che si pensano in luogo altro rispetto al mondo in cui si trovano a vive- re, che portano un’altra immagine al di là dell’immagine codificata e inoffensiva. E in questa condizione temporale, dove lo sguardo è piatto e povero, che si invoca il poeta, nella tragica speranza di rivivere un tempo nuovo, ridestare le parole a partire dal silenzio che ravviva il tornare al retroascolto, al non detto, a ciò che è altro. Questo ravvivare dovuto alla capacità dell’artista di estraniarsi dal suo mondo al fine di riconoscerlo nella comprensione dato che il conoscere della scienza si rivela insufficiente. Scrive Heidegger:

erigendosi in sé l’opera apre un mondo e lo mantiene nella dovuta per- manenza. Essere-opera significa esporre un mondo. Si tratta di una ri- fondazione metaforica della realtà. Una nuova forma in se stessa signi- ficante assolutamente originale e compiuta4.

Un’opera d’arte quindi costituisce sempre dunque la genesi di un nuovo piano esistenziale ma che esprime verità e fondamento nella pie- na gratuità. Ma l’arte non sorge dal nulla. Heidegger conclude che

il progetto poetico viene dal nulla nel senso che non riceve il suo dono dall’abituale e dal tramandato. Ma esso tuttavia non sorge dal nulla, in quanto ciò che è progettato attraverso di esso è la costituzione custodita dello stesso Esserci (Dasein) storico5.

In questo senso «l’opera d’arte è sempre radicale alterità […] dato che essa si ‘ritira’ nella Terra e così la fa emergere in se stessa, ossia nel mondo che essa è»6. Il mondo si fonda sulla Terra e la Terra sorge attraverso il mondo, così scrive Heidegger. È nell’opera che si attua lo

3Cfr. E. L

ISCIANI-PETRINI, Memoria e poesia. Bergson Jankélevitch Heidegger, Na- poli, 1983, p. 187.

4 M. H

EIDEGGER, Sentieri interrotti, cit., pp. 22-33. 5 Ivi, pp. 59-63.

6 E. L

ISCIANI-PETRINI, Memoria e poesia. Bergson Jankélevitch Heidegger, cit., p. 207.

storicizzarsi della verità. L’artista viene assorbito e scompare nella veri- tà dell’opera ma la sua presenza è comunque indispensabile in quanto la fa. Lo spirito della storia di un’umanità su questa Terra è quello raccol- to nell’animo del poeta, in quanto egli sente l’urgenza del fare (poieti- ca). «Il pensiero deve prestare attenzione al Fare e al Dire degli artisti nella ricerca del senso del movente del reale»7. I poeti rimettono al- l’opera il Fare non perché lo vedano ma perché intravedono e compren- dono che esso non è mai visibile né afferrabile, non c’è ancora nelle forme concretamente storicizzate. Il poetare artistico coglie una dimen- sione intima e non esteriore del reale. «Il poetare non trasvola oltre la Terra, né va di là da essa per abbandonarla e librarsi sopra di essa. Pro- prio il poetare porta invece l’uomo sulla Terra, lo porta ad essa e lo por- ta così nell’abitare»8. In questa direzione Heidegger scrive «l’essenza dell’arte è la poesia come essenza originaria che dà ogni volta un’aper- tura storica attraverso un linguaggio essenziale»9. Il linguaggio-poesia è l’ambito in cui si gioca il tempo del divenire nel senso del tempo uma- no tra l’accaduto e l’accadente. Il tempo dell’uomo nella sua interiorità, regione insondabile dove risiede la memoria, la casa dove vi si racco- glie al fine di «abitare poeticamente su questa Terra»10. Ma scrive anco- ra Heidegger: «Memoria è il raccoglimento del pensiero, è il raccoglier- si della rimemorazione: essa è la sorgente fondamentale della poesia»11. Ma cosa sottende oggi il ricordo? Dolore, sogno, follia, sacro, morte riescono ancora a parlarci? La morte, tutt’al più è deperimento organi- co, il dolore e l’amore sono semplicemente reazioni psicologiche, come si chiede lo stesso Rilke? La povertà del tempo è svelata dalla vocazio- ne filosofica della poesia-linguaggio che nel suono del silenzio prepara- torio ci svela ciò che sarà o ciò che potrebbe essere. Si tratta di istituire un orizzonte di senso, dove gli uomini, nell’abitare-poetare possano storicamente scorgere un significato profondo nella formazione del mondo che non è una semplice somma di territori. È nella ricerca del senso che l’uomo ritrova il pathos del domandare e del rispondere che

7 Ivi, p. 212.

8 M. H

EIDEGGER, Saggi e discorsi, Milano, 1976, p. 66. 9 M. H

EIDEGGER, Sentieri interrotti, cit., p. 62. 10 Holderlin in M. H

EIDEGGER, Saggi e discorsi, cit., pp. 125-138. 11 M. H

certo si esprime, attraverso l’arte, intesa come forma densa di comuni- cazione. La poesia dunque, tornando alla formulazione heideggerriana, è il fondamento che regge la storia, perché conferisce formatività a un nuovo senso, che produce le istituzioni della ‘seconda vita’. L’opera d’arte della poesia non si esaurisce nella ‘puntualità’ ma dona la tempo- ralità della durata al senso scelto ed esprime ‘viraggi di senso’ che ren- dono la comunicazione originale. Scrive Gadamer ne L’enigma del

tempo:

Che cosa caratterizza un poeta? Certamente il fatto che egli dice qual- cosa di nuovo – in una lingua nuova –. […] Holderlin descrive il modo di procedere dello spirito poetico, affermando che la parola del poeta deve dissolvere completamente tutto ciò che risulta precostituito nella forma e nella struttura linguistica. Il poeta non deve possedere una pa- rola già data, ma deve trovare quella che gli rende possibile l’espressio- ne poetica in direzione della liberazione del linguaggio. Ogni vera co- municazione è un ‘infinitamente nuovo’12.

Scrive Heidegger che l’essenza del linguaggio è potenza che forma il mondo. Il linguaggio ordinario è il linguaggio della poesia. Vera poe- sia è il linguaggio di quell’essere che è rivolto a noi da lungo tempo e che non abbiamo mai raccolto. Il linguaggio del poeta non è mai odier- no, ma sempre già stato e futuro. Il poeta non è mai contemporaneo13. L’arte è solo dell’uomo come spirito ed è il poetare, come si legge in Holderlin, che rende l’abitare un autentico abitare. È il prendere misura del poetare che rende tutta l’essenza dell’uomo. Attingere tutta l’essen- za dell’uomo vuol dire incontrare l’uomo come parlante. Il non abitare poeticamente è quella dimensione in cui si trova la configurazione tec- nica dell’agire umano attraverso una successione di operazioni che guardano ai fini operazionali ma non ricercano gli scopi esistenziali. Oggi nel consolidarsi della tecnica si afferma un primato della ragione strumentale come segno distintivo di una società impersonale. La tecni- ca che dovrebbe essere mezzo viene ritenuta fonte, nell’ordine del

quantum. Un linguaggio duale, veloce, che non dà spazio alla memoria

12 Cfr. H.G. G

ADAMER, L’Enigma del tempo (a cura di M.L. Martini), Bologna, 2001, pp. 113-117.

13 Cfr. M. H

del tempo, nella sua circolarità o retroagenza. Artista e opera sono in sé e nel loro reciproco rapporto grazie a un terzo che è il primo grazie al- l’arte, scrive Heidegger. Il rapporto tra artista e opera d’arte non è duale ma triale. Trialità da intendere come quello spazio dove regna l’inter- pretazione, a partire dalla sua capacità evocante e disvelante. L’opera non presenta la ‘cosa’ nella sua mera utilizzabilità ma le conferisce un pieno senso esistenziale in quanto evocante la condizione del bisogno e la gioia del superare uno stato di sofferenza. Abbiamo discusso dei si- gnificati di mondo e terra. Essi si contrappongono in una lotta per la ricerca di un senso nella trialità del dialogo intersoggettivo. Se manca un relazionarsi intersoggettivo che istituisca in una seconda vita, al di là di uno spazio desoggettivato dell’accadere degli eventi, ciò comporta una presentificazione dovuta al dominio del mercato (tecnica) che pone l’uomo nel listino virtuale delle merci. Non vi è più memoria o narra- zione del sé ma memorie biodisponibili, funzionali, non comunicative. L’uomo è inessenziale. Il logos è privo di nomos. L’uomo non è ricono- sciuto come il soggetto del decidere, ma è considerato il luogo dell’ac- cadere della decisione, costituita da un evento extrasoggettivo della lot- ta tra mondo (illuminazione) e terra (nascondimento). Ciò che è in gio- co è la libertà. Coerentemente Heidegger produce una critica del sog- gettivismo anche attraverso l’arte. Il poetare le metafore della lotta mondo-terra diviene la storia extraumana dell’essere poetato, qui inteso come l’oscurarsi di un se stesso che si fa scenario anonimo di enuncia- zioni poetiche che non gli appartengono perché non è il soggetto autore. È proprio la rimozione del soggetto che produce il cominciamento della presentificazione nichilistica, senza il ricorso alla memoria come rime- morazione della coscienza extratemporale. Un narrare non la propria storia ma semplicemente esperire una triste cronaca.

2. Coscienza e tempo nella narrazione artistica

Cosa è che dura nella poesia e nell’Arte? Essere della poesia è l’eterno durare. Ogni arte è linguaggio. La parola è la cosa più friabile e più ricca del mondo, ‘un sasso nell’acqua dei vissuti’, trama tra i tessu- ti, il ‘la’ musicale degli eventi. Un oggetto poetico è corpo linguistico.

La poesia è l’unico linguaggio capace di dirci simultaneamente tutte le cose. È in essere una Teologia dell’atto poetico nel senso della coscien- za emozionale che riapre sempre il rapporto profondo con le radici e restituisce così il pudore alla profondità delle cose che non hanno biso- gno di giustificazione14.

Al di là del tempo vi è la ‘coscienza’ che si determina come connes- sione solidale di me con l’altro. La coscienza si caratterizza come fon- damento metatemporale della presenza. La coscienza è presenza che si determina come un divenire, ponendosi come suo ritmo interiore15. La coscienza è temporalità; ma la temporalità non è coscienza né la co- scienza è temporalità. Ogni aspetto della realtà, ogni esigenza profon- damente umana può essere espressa poeticamente. E giustizia e diritto sono esigenze profondamente umane. Un giurista può avere un senso

poetico pur senza scrivere poesia. La coscienza è l’insieme di tutte le

possibilità umane perché sin dall’inizio è coscienza di qualcosa nella ricerca di una alterità soggettiva. Forse è il motivo per cui la poesia è un rapporto tra il visibile e l’invisibile, tra il messaggio e il silenzio16

. Una coscienza che è fuori dal tempo quindi transtemporale nel suo essere tra i tempi. La questione della memoria è centrale nella nostra ricostruzio- ne. Innanzitutto perché essa ci permette di intendere la relazione tra tempo e coscienza. Passato, presente, futuro in Aristotele si determina- no come ‘forme del tempo’ dove memoria (passato) e attesa (futuro) nel limite del presente si costituiscono come modalità unitarie, dato che il passato come ‘vissuto’ trova la propria finalizzazione nel futuro come

14 Cfr. G. LIMONE, Lo statuto teoretico della poesia e dell’arte come problema ri-

goroso. Profili simbolici e critici, in A. CESARO (a cura di), L’angelo e la Fenice. Per- corsi di ermeneutica simbolica, Napoli, 2007, pp. 141-167.

15 A questo proposito bisogna sottolineare che non pochi, tra i pensatori moderni e

contemporanei, hanno sostenuto l’identità tra tempo e coscienza: Kant, che identifica il tempo con la forma del senso interno, e soprattutto Bergson, che interpreta la temporali- tà come il ritmo interiore della coscienza. Come ha finemente sottolineato Poser, «si doveva aspettare fino a Kant per accordare al tempo come forma, un primato sistemati- co sul tempo fisico e sul mondo corporeo, e fino a Bergson prima che prendesse forma l’idea di liberare il tempo pensato e vissuto dal tempo fisico». Cfr. H. POSER, Dalla

durata alla forma dell’intuizione. Il concetto di tempo nel XVII e XVIII secolo, in L. RUGGIU (a cura di), Filosofia del tempo, Milano, 1998, p. 119.

16 Cfr. L. B

‘aspettativa immaginata’. In questa direzione è comprensibile la rifles- sione sul significato di ‘guardare’, ‘considerare’. Sembra che si possa vedervi la prefigurazione lontana dell’intenzionalità husserliana e dello sguardo della coscienza, tanto più che Aristotele sottolinea che è questo lo sguardo che crea la differenza fra immagine e ricordo o, se vogliamo, fra immaginazione e memoria. Ogni esperimento narrativo è flusso verbale di coscienza tra simultaneità e successione temporale; è costru- zione dell’identità del sé ‘possibile’, proiettato in un mondo ‘probabi- le’: la letteratura si fa «custode del tempo, nella misura in cui non vi sarebbe tempo pensato se non raccontato», per dirla con Ricoeur. Ma il narrare, che si fa anche letteratura ma non solo, a partire dalla poesia, come stratificazione del vissuto, come ritorno nel tempo interiore della memoria. La memoria vive una doppia condizione: esperienza eminen- temente individuale, fenomeno immediatamente sociale. Come dice Agostino, la memoria è il presente del passato. Questo vale, per Hus- serl, nel passato immediato che dà vita alla rimemorazione. Ma è la continuità tra passato presente e futuro nell’unità dell’esperienza tem- porale che permette di distinguere la memoria nei due sensi richiamati. La narrazione che procede sulla base di una mediazione linguistica si lega ad altri concetti e ad altre relazioni fra cui quella fra immaginazio- ne e memoria in quanto essa apre la riflessione sul significato di oblio. L’oblio può esercitare un ruolo di mediazione nel rapporto tra distanza temporale e profondità temporale. Studi attuali si soffermano sulla co- siddetta etica della memoria17 che dovrebbe in qualche modo superare i guasti degli abusi della memoria motivo della fragilità dell’identità tan- to personale quanto collettiva. La memoria non avverte un carattere passivo, dato che come scrive Aristotele nel De anima «essa è simile ad una corda che continua a vibrare dopo essere stata toccata dalla sensa- zione»18. Secondo la nota distinzione proposta da Ricoeur fra oblio pro- fondo e oblio manifesto, la memoria svolge nel primo caso un’opera- zione di conservazione del ricordo, nel secondo caso esprime un livello

17 Tra gli altri, A. M

ARGALIT, L’etica della memoria, Bologna, 2006; S. TANZAREL- LA, La purificazione della memoria, Bologna, 2001.

18 Cfr. A

di rimemorazione19. Per quanto riguarda il nostro discorso, ciò che ur- ge, è percepire l’oblio come condizione di interpretazione del passato, dato che esso entra in relazione con il concetto di perdono. Perdono e oblio raccontano, narrano di storie che possono intraprendere direzioni temporali diverse a partire dall’interpretazione individuale per giungere a uno starting point che rimescola e che rinvia a una nuova significa- zione coscienziale. Entra in gioco la pretesa di esercitare il perdono che si esprime attraverso un potere che devasta e non sana la memoria feri-

ta20. Il perdono punta alla fonte dei conflitti: non si tratta, scrive Ri- coeur, di cancellare un debito, si tratta di sciogliere dei nodi, di ripensa- re dunque a un nuovo modo di raccontare, di tramutare il perdono in dono pur non essendo essi la stessa cosa come scrive Derrida. Il passato non passa, la memoria di questo passato resta irriducibile. Lì risiede la temporalizzazione del perdono21. Va ricercata una nuova narrazione attraverso il lavoro della memoria che si esprime con un linguaggio che dovrebbe coincidere col silenzio, in virtù di un tempo in cui superare quel silenzio ricordandolo, perché – adesso come sempre – è il tempo della parola, del logos22.

3. Per un approccio ermeneutico della Temporalità a partire da Ri- coeur: la questione dell’identità narrativa

Si può pensare il tempo? Il mistero del tempo non equivale a un in- terdetto che pesa sul linguaggio. La temporalità richiede la mediazione del discorso indiretto della narrazione. Con la temporalità si configura l’uomo ‘significato’ dalla ‘parola’ come soggetto narrativamente identi- tario, che cerca di ricostruire il suo vissuto, il suo intreccio d’esperien- za, ricercandosi tra oblio e ricordo; che tende a proiettarsi nel suo futuro di desiderio, agendo tra immaginazione e attesa. In questa direzione,

19 Cfr. P. R

ICOEUR, Ricordare, dimenticare, perdonare. L’enigma del passato, Bo- logna, 2004, pp. 71-97.

20 Idem. 21 Cfr. J. D

ERRIDA, Perdonare, Milano, 2004, pp. 7-15. 22 Cfr. M. M

ANZIN, Ordo Iuris. La nascita del pensiero sistematico, Milano, 2008, p. 262.

nella proposta di Ricoeur della fondamentale opera Tempo e racconto, si configura una poetica del racconto che esprime un’attività mimetica caratterizzata da un terzo tempo (oltre il tempo ordinario e la temporali- tà autentica) dotato di dialettica propria capace di fare ‘incrociare’ sto- ria e finzione. Da questa unione sorge, a carico dell’individuo o di una comunità, la cosiddetta ‘identità narrativa’: individuo e comunità si co- stituiscono nella loro identità ricevendo ‘racconti’ che diventano per l’uno come per l’altra la loro storia effettiva, nella costituzione di un circolo dell’attività narrativa che non è altro che un’ermeneutica della risoluzione poetica23. La strategia di persuasione fomentata dal narrato- re non è mai eticamente neutra. Lì si svolge l’interazione tra il chi del- l’azione e il soggetto paziente in una formula relazionale che apre alla soggettività, alla formazione del soggetto. L’operatività della formazio- ne del soggetto si trova dinanzi a una temporalità che si configura in una unità plurale o ek-stasi temporale. Certo, il programma narrativo individua percorsi più ampi che rinviano il senso più al raccontabile che al raccontato. Proprio il raccontabile media tra racconto storico e orizzonte d’attesa. Del resto la possibilità di pensare il tempo nel suo orizzonte d’attesa svela i limiti del racconto come narrazione ricogniti- va. Il riconoscimento dei limiti del racconto, che nasce dalla considera- zione di un tempo vasto e imperscrutabile che non si è fatto ancora temporalità (temporalizzazione della temporalità), non equivale a una crisi del linguaggio, ma potenzia il non detto nella configurazione di una poetica del narrare che oscilla tra memoria e attesa. Il tempo-me- moria dunque entra nel gioco poetico per rifluire in virtù della narrazio- ne, dentro la vita. Come non ricordare Proust? Diversamente dal Berg- son del Saggio sui dati immediati della coscienza, per il quale il ricor- do, ossia il passato, non appartiene al nostro vissuto del tempo, per Proust può essere vissuto. In che modo? Per la scrittura che se ne riap- propria. Il superbo procedimento narrativo messo in azione ne Alla ri-

cerca del tempo perduto consiste appunto in un progressivo distacco

dal presente fino a un riposizionamento della coscienza in un passato

23Cfr. P. R

ICOEUR, Tempo e racconto, vol. 3, Il Tempo Raccontato, Milano, 1988, pp. 153-158.

che si rivela via via più puntuale, nitido, esatto. Il racconto come custo- de del tempo.

Aprendosi alla letteratura il diritto si riallaccia alla sua origine sia al-