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Canto I

La viva luce che di vita informa l’uno et l’altro emisper partia dal regno

3 ove si stampa la sua prima forma,

et le nymphe Dodonide quel segno che ’l Tauro regge et le sacrate corna

6 facto havien già di septe fiamme degno.

E giovine i che ’l ciel tanto adorna nati di Leda, già spiegavon l’ali

9 verso la luce che a veder li torna.

Venere in Cypri li äurati strali fabrica al figlio, et col venen li tinge

12 perché in due modi e vostri pecti assali.

Zephiro già in questo aere finge rose et vïole et altri fiori e fronde

15 che ’l ciel col suo pennel forma et dipinge.

Le Näide et Napee le trecce bionde spiegon al sole, et a’ lor dolci canti

18 nel frondoso suo speco Ecco risponde.

L’äura spira, et le fruge ondeggianti tremolar vedi, et par che ogni cielo

21 di novella stagion s’appaghi et vanti.

Tithone lasciando al geniale hostelo cogli argentati crini già l’Aurora

24 togliea dagli occhi miei l’humido velo;

et la stella che hora precede et hora 16 le trecce ] lor trecce R

7 giovine i ] giovinecti R 10 Cypri ] Cipri R 14 e ] et R 24 occhi ] ochi

R

14 fronde ] frondi R1

seguita el sol, già co’ suoi raggi invita

27 ad la luce che ’l ciel più ch’altri honora.

Già si scioglea dal centro di mia vita el cieco sonno, e ’n su ’ confin di Lethe

30 da’ suoi negri compagni fea partita,

quando d’una alta nube ardente et liete fiamme, et un tuono uscìo tal, che ’l mio core

33 disolse allhor dalla corporea rete;

indi una viva luce, uno splendore, una face mi apparve, un chiaro lume

36 ond’io fu’ scorto al lito di chi more.

Per lui passai senza Charone el fiume l’aer solcando, et poi pel non lucente

39 foco alzai il volo a men noto volume.

I’ non so che divino il mio cor sente quando spogliato di sì greve salma

42 al thron fui rapto del Vigore Agente.

O beata tre volte, o felice alma

che e duo intellecti in un lega et coniunge

45 onde al ciel ne riporta verde palma!

Guardäi in alto, et vidi molto allunge (o architecto del divino exempio!)

48 la luce ove occhio mortal non agiunge.

Vidi un sì glorïoso et vago tempio che quanto più ’l miravo, più crescea

51 la voglia di vederlo a scempio a scempio;

48 la ] om. R 48 occhio ] l’occhio R

42 del Vigore Agente ] della Luce Agente R, R1; de l’Unica Mente R, R1

33 disolse allhor ] disciolse alhor R 35 apparve ] aparve R 36 fu’ ] fui R 40 i’ ] io R

una ampla sphera, qual non si scorgea di che natura fussi, o quarta o quinta,

54 ché ’l raggio di mia vista trasparea.

Bene era in dieci ciel quella distincta; pel centro passa uno axe, et nelli extremi

57 duo poli l’havean collegata et vincta.

Parmi sì alto la mia mente premi il riguardar in quei l’una et l’altra Orsa

60 che farie li ochi di sua luce scemi.

Come la vista d’huom quando è transcorsa nello splendor di Phoebo si smarrisce,

63 così fè l’alma in tal obiecto scorsa;

onde abbassar le ciglia m’amonisce il presente periglo, et mirar cose

66 che ’l tempo volve et la natura ordisce.

Un puncto indivisibil mi s’ascose quasi dagli ochi: et è la Terra intera,

69 che in mezo el suo Factor per centro pose.

Cognobbi bene allhor quanto vana era la gloria de’ mortal: ché men ch’un puncto

72 regge colui ch’a questo mondo impera.

Come fussi sospeso, et come aggiunto l’humore a quel, non so; né con quai sexte

75 farsi potessi un tondo sì a puncto.

Vidi come hor si spoglia, hor si riveste et come fior produce et fructi et parti

78 secondo el corso del carro celeste;

52 sphera ] spera R 54 trasparea ] transparea R 56 nelli ] negli R

57 havean ] avean R 60 farie ] faria R 62 nello ] ne lo R 62 Phoebo ] Phebo R 64 abbassar ] abassar R 64 amonisce ] ammonisce R 65 periglo ] periglio R 73 aggiunto ] aggiuncto R 78 el ] il R

70 vana ] vano R1

vidi quel puncto diviso in tre parti: due più lontane a me, ma in Europa

81 vidi venir per triompharne Marti.

Quanto è diversa da quella Ëuropa onde hebbe il nome, sì leggiadra et bella,

84 degna del canto del crinito Iopa!

Ma infuriò sì la martïale stella et di doppie arme armò sì l’emispero

87 che Scorpio l’arse et Orïon disfella.

Pon cinque zone il mantüano Homero

in cielo, et voi con cinque plage cinge bis

90 che di due anchora non s’habita l’intero;

il fuoco l’una, et due la neve tinge: queste di biancho et lei di rosso, u’ l’orme

93 sue (se ’l vero è) mortal piè mai non pinge.

L’altre che pascon l’animate torme, quella il gelato tropo chiude et l’austro

96 ove si veghia quando qui si dorme.

Questa è la vostra, che ’l celeste plaustro circa l’artico cerchio fregia et segna,

99 et ’l tropico estival serra in suo claustro.

Questo è quel poco ove la gloria regna di vostra vanità, ove la fama

102 in picciol loco il nome vostro insegna;

qui è l’imperio che l’huom tanto brama: imperio no, ma cieca, obscura et breve

80 ma ] et R, R1 97 vostra ] nostra R, R1

89 cinge ] cingne R 90 due anchora ] dua ancora R 91 tinge ] tingne R 92 biancho ] bianco R

95 gelato ] gelatro R1

105 carcer,che in odio ha più chi più lei ama.

O stolta gente, o vulgo ignaro et leve, questo tuo ben non vedi, e ’l tuo thesoro

108 che teco nasce, et teco morir deve!

Creato se’ a più degno lavoro; non è la patria tua carcer sì tetro,

111 sì basso et vil, ma è ’l più sublime choro!

Non è cosa sì fral, non pure el vetro, quanto è la vita nostra et questo bene,

114 u’ chi più innanzi va, più torna a rietro.

In che ponete, o sciochi, vostre spene? In viva morte, in cosa vana et frale,

117 che chi più ne possiede, ha magior pene.

Un gioir breve, uno infinito male seco ne porta. Hor tornian dove prima

120 torse dal camin suo mio cor sue ale.

In questo nostro carcer septe clima vidi habitare, et vidi ch’era il sexto

123 quel che la patria mia al ciel sublima.

Un cerviero ochio, uno intellecto desto vede in la selva et natura che voi

126 ’chaos’ nomate ogni seme congesto.

Le forme che il Factore et prima et poi creò o de’ creare, lì sono incluse,

129 et tra’le fuori el sol co’ raggi suoi.

Ché se Minerva e capei di Meduse, benché dorati, convertì in serpenti,

132 hor Phoebo che può far con le sue Muse?

117 magior ] maggior R 119 tornian ] torniam R 120 camin ] cammin R 129 el ] il R 132 Phoebo ] Phebo R

Lui ha le chiave in mano, et di presenti apre il suo seno, et per la bruma il serra,

135 ché varia il moto suo vostri accidenti.

Et quelli dèi che lor siede hanno in terra tu i s’accendon quando il sol li scalda,

138 et el seme viene a luce ch’è so erra.

Per questo Pan con septe calmi illalda memoria eterna della sua Syringa,

141 et la barba et le corna al sol riscalda.

Cerer poi dixe’, et Pomona depinga le valle et poggi et prati, di quei fiori

144 che par Vertunno nel suo volto finga.

Esca Plutone, esca la mogle fuori,

Vulcano s’accenda et Vesta anchor con lui,

147 et Baccho porga ben mille sapori.

Lieto si monstri quel che in altrui lume ben vede, et nel sen di Tellure

150 lieto produca e vivi effecti sui.

Havea ben questo le pupille obscure, ma l’ochio di Colui che mira in giuso

153 in un riscontro le fè chiare et pure.

Non sì tenea la magna Pale al fuso le sacre dita, ma con proprie mani

156 apria l’ovil ch’Aquilon have chiuso.

Satyri v’eran, Fauni et Sylvani fatui molti, et tu i sono in opra,

159 ché l’influxi di Genio mai fur vani.

136 siede ] sedie R 138 el ] ’l R 138 a luce ] a·lluce R 145 mogle ] moglie

R 146 anchor ] ancor R 157 Sylvani ] Silvani R

145 esca la ] esce la corr. esca la R1 146 s’accenda ] s’accende R1

₁₅₅ proprie ] le proprie R

Chi potre’ dir la veste c’ha di sopra questo globo terren? Ché di smeraldo

162 un manto par che le sue spalle cuopra.

Quanto più carte vergo, più riscaldo dietro agli ornati suoi, quai tu i il sole

165 produce et serva con temprato caldo.

Quinci la sua cagion l’effecto suole sembrare in terra, et de la forma sua

168 produrre una ombra, che l’adora et cole.

Piovon di cielo, ma non a dua a dua, l’influxi di lassù, ma a mille a mille,

171 hor da poppa fioccando, et hor da prua.

Tante herbe, tanti fior ch’a riferille un giorno chiederia, un mese, un anno;

174 piante non dico: et chi mai potre’ dille?

Tu i servono a voi, et tu i danno a’ miseri mortali exemplo et lume

177 che si volghino al ciel come lor fanno.

Clitia l’observa, et quell’altro che Idume heliotropium

celebrò tanto, e sì constante et forte

180 che ’l peso regge più c’ha più volume.

Cybele par che col suo pin le porte tocchi del cielo, et produca un destino

183 che al popol troïan fu dura sorte.

Irrigar vidi poi altri col vino

et con paterne foglie far dolce ombra 163 quanto ] quante R 164 tu i ] tu e R

164 tu e ] tu i R

182 tocchi ] tochi R 165 serva ] seva R1

186 a chi solo è da noi decto divino;

et que’ che co’ suoi dolci fructi ingombra le prime mense a quella età purgata

189 che ogni luxo da sé discaccia et sgombra.

Pianger mi fè l’ombrosa chioma ornata, Phetonte, allhor, delle alme tue sorelle

192 c’hanno lor forma per amor cangiata.

Elle piangieno, et lor lachrime quelle mi parieno onde il cor sue prece accogle.

195 Orando per salir sopra le stelle

Hercole vedeo allhor, che delle fogle lor si inchorona; appresso in verde lauro

198 Daphne cangiar le sue corporee spogle.

Vedevo Alcide, che ’ be’ pomi d’auro all’Hesperide fura, e ’l draco ucciso

201 carcho di spoglie di mortifero auro.

Guardava Palla l’arbore suo fiso,

et Giove el suo, e ’l suo bel myrtho Venere,

204 di capei verdi ombra a le spalle e ’l viso.

Eravi quel che rade volte in cenere si verte o si corrompe; et vidi ornarsi

207 il fonte pegaseo di fronde tenere.

Vidi li abeti al vento, et l’acqua starsi nel tenero cristallo, et vidi in taxo

187 et que’ che co’ suoi dolci fructi ingombra ] et que’ che ’l fructo suo di fame

sgombra R

187 et que’ che ’l fructo suo di fame sgombra ] et que’ che co’ suoi dolci fructi

ingombra R

191 allhor ] alhor R 196 allhor ] alhor R 197 appresso ] apresso R

200 all’Hesperide fura ] a l’Hesperide fure R 203 el ] il R 203 myrtho ] myrto R 208 l’acqua ] l’aqqua R 209 taxo ] tasso R

₁₉₃ elle ] et le R

210 il dolce mele amaro cibo farsi.

Oh che mysterio con silentio passo! Ciascun l’intende, se non è sì inerte

213 che com’ Nyobe già converso in saxo

gli sien le cose chiare, obscure et incerte.

209 taxo ] nasso R, R1

212 inerte ] inherte R 213 saxo ] sasso R

Canto II

Mentre che l’ochio infra le vive fronde dell’alta selva la bramosa mente

3 scorgea, per veder ciò che in lei s’asconde,

dinanzi agli ochi mi si fè presente una annosa pyramide alta et verde

6 quanto non vide anchor la humana gente.

Questa sembiante fea che qualhor perde lo spirto alcun, già mai poi non rime e,

9 perché svelta o tagliata non rinverde.

Quel che a Latio pria Lucullo de e, que’ d’India, Syria, Carthagine et Ponto,

12 di Media, Egypto et di Cythero electe:

tu e le squadro, a una a un le conto et veggio in quanta arena accusa il servo

15 l’äurito signor timido et prompto.

Quel fato anchor del venenato nervo de’ duo infelici amanti, et ’l biancho pome

18 tincto in lor sangue, nel mio pecto servo.

Quel di Adam taccio et le sue aspre some, taccio l’Ibero padre et la sua vite

21 che pinge vostre membra et vostre chiome;

ved’i’ le braccia et le sue man vestite di verde fronde, et un liquor sì facto

24 che reca al suo Factor laude infinite.

Quanti fior vidi poi tu i in un tracto monstrarsi al sole, et durare un baleno!

27 Ch’altro è lor vita, ch’un celeste rapto?

1 ochio ] occhio R 4 ochi ] occhi R 9 tagliata ] taglata R 13 a una a un ] a un a un R 16 anchor ] ancor R 26 monstrarsi ] mostrarsi R

Et la nostra che è se non quel fieno, et la gloria dell’huom se non quel fiore

30 che da man nasce, et la sera vien meno?

Non è la rosa, et non è il suo odore a’ sensi de’ mortal giocondo et grato?

33 Et in un medesmo giorno nasce et more.

O vita nostra, o ben guernito prato di fiori et fronde in breve tempo secco,

36 ove è più miser chi più par beato!

Terren vapore, et una voce d’Eccho che viva pare et solo è aer vano,

39 di morte una ombra et in sen nascoso steccho.

Quale è sì curva età, capel sì cano

che pur dianzi non fussi o in fascia o in cuna?

42 Sì vola el tempo, et non ce n’aveggiano!

Se quanti fiori Alcynoo raguna nel famoso orto enumerar volessi,

45 pria el giorno scacceria l’humida luna.

Ma quel ch’al fonte di sua ombra fessi Narcisso

crudele amante, m’amaestra quanto

48 poco in sì fragil ben amar dovessi;

et quel cui Vener pianse, et nel suo pianto Adon

da l’apro ucciso si cangiò in figura

51 che ’l terren tinxe di sanguigno amanto.

51 che ’l terren tinxe di sanguigno amanto ] che di sangue arrossì ’l terreno

amanto R

50 si ] lo R, R1 51 che di sangue arrossì ’l terreno amanto ] che ’l terren cinxe

di sanguigno amanto R

29 dell’huom ] de l’huom R 39 una ombra ] un’ombra R 39 steccho ] ste- cho R 42 el ] il R 42 n’aveggiano ] ne aveggiamo R 45 pria el ] prie ’l R 45 scacceria ] schacceria R 47 crudele ] crudel R 49 pianto ] piancto R

Da Phoebo amato, et per tuo sorte dura

da Borea morto fusti, o bel Hyacincto, Hyacincto

54 ché invidia et gelosia ragion non cura.

Vïole havien di più maniere tincto viole

questo prato terren di varie ombrelle

57 secondo che su in cielo era dipincto.

Quanto dilecto hebb’io solo a vedelle! Ma mirando entro poi la lor virtute

60 «Quale è», dixi fra me, «il Factor di quelle?

Quale è Colui, in cui man la salute dello universo, et le cose che sono,

63 et che saranno, et quelle che son sute?».

Colui che è, et sommamente buono, create ha quelle: adunque tu e buone,

66 ché quale è el mastro, tal la cethra et el sono.

Ciò che si truova in questa regïone, non pur su in cielo, il Creator rassembra,

69 che in ogni specchio sua imagine pone;

quel che ricevon poi le mortal membra con tale usura il rendono et sì larga

72 ch’al prisco secol di Giove s’assembra.

Chi segue dunque lui, agli altri sparga convien di sue fortune: et questo è ’l modo

75 che picciol rivo in gran fiume s’allarga.

Quanto più veggio ognhor, tanto più lodo le tue opre, natura! O architecto

78 nel cui discorso contemplando godo!

Il più vile animale è pure effecto di tua virtù, che trahe infinita possa,

52 Phoebo ] Phebo R 52 tuo ] tua R 62 dello ] de l’ R 66 è el ] è ’l R 69 specchio ] spechio R

81 da sé la forma, et di nulla il suggecto.

Vidi poi varia et bella torma mossa di mansüete et di selvagge fere,

84 ad monstrar quanto in lor natura possa.

Ivi infra ’ primi si potean vedere quei che degl’homer suoi nuovi castelli

87 far solean contro già adverse schiere.

Seguiva appresso el mio leone, et quelli che Marte ha in sua tutela, el lynce, el pardo,

90 el tygre et altri si vedien con elli.

Mentre coll’occhio vaneggiando sguardo, vidi et conobbi el miserel che forse

93 a fuggire e suoi can fu troppo tardo.

Non molto drieto a lui l’occhio mio corse ch’i’ vidi quella onde di occulta piaga

96 Amor sovente el divin pecto morse;

et quella che mia forma fè sì vaga ben nove giorni a mia cara nemica

99 che dolce amor con casta biltà appaga.

Hora in opaca selva, hora in aprica spiaggia la vidi, et hora in un cespuglio

102 di verde myrtho a Vener tanto amica.

Opra dar vidi a crescere il pecuglio, come non so, ma ben vidi a l’intorno

105 surger d’altri animal nuovo germuglio.

87 far solean contro già adverse schiere ] far solean già contro ad le adverse

schiere R

81 di nulla ] da hyle R, R1

86 degl’homer ] degli homer R 91 coll’occhio ] con l’occhio R

91 vaneggiando ] vanegiando R 92 conobbi ] conobi R 93 fuggire ]

fugire R 93 troppo ] tropo R 94 drieto ] dietro R 100 hora in aprica ] hor in aprica R 102 myrtho ] myrto R 105 germuglio ] germuglo R

Eravi alcun che con pregiato corno l’acqua purgava di venen nel fonte

108 onde sovente fea dama soggiorno.

Stupido venni ch’un cameleonte incontro mi si fè di color tanti

111 quanti non prato mai, spiaggia hebbe o monte.

Ridir non ti potrei né qual né quanti sieno e mysteri in questa gente ascosi,

114 né quai sieno e precepti in lor sembianti;

a pena e septe savi sarien osi venuti già d’ogni scïentia al colmo,

117 non ch’io, ch’a quei le prime labbia posi.

Di fronde pasco, et senza fructo uno olmo, senza taglio una pietra il fer raffilo,

120 un picciol vaso, et meno assai che colmo.

Ma se mai Apollo inalzerà il mio stilo et la man porgerete, o sacre Muse,

123 in scorcio pingerò, non che in profilo.

Hor lascio indietro le virtute incluse ne l’animal che già Heccuba assumpse

126 per fuggir l’onte del signor deluse; Polynestoris

et lascio quel che ’l primo dio presumpse di sue veste coprir, quando lo strupo

129 non matrimonio per Chiron consumpse.

Calistone, i’ non voglio in tanto cupo mar por la mia barche a, et all’octava

108 dama ] dain R, R1 113 gente ] scena R, R1 117 prime ] somme R, R1

121 inalzerà ] acuirà R

107 l’acqua ] l’aqqua R 113 mysteri ] mysterii R 119 pietra ] prieta R

123 scorcio ] schorcio R 125 Heccuba assumpse ] Hecuba adsumpse R

128 sue ] suo R 130 i’ ] io R

132 spera salir, ché troppo tempo occupo;

et benché l’opra tua sia suta prava, pur te et el figlio l’uno et l’altro polo

135 in due orse cangiate mi monstrava.

Mirando in terra m’apparve uno stuolo di piccioli animal, ma sì prudenti

138 quanto alcun ne vedessi in terren solo.

Nate eran di colei queste vil genti che per monstrar di Minerva l’aratro

141 duce divenne de’ providi armenti.

Non un pyrata mai, un fure, un latro ascose tanto in sue occulte tane

144 quanto gran queste in picciol baratro.

Sagge formiche, che benché lontane siate dalla ragione, spesse volte

147 l’usate me’ che nostre mente insane!

Quando veggion del sol le rote sciolte et Hycaro cascar nell’acque salse

150 tu e escan fuor, da Borea disciolte.

Questa si sforza, et quella prima salse, questa il gran fende et quell’altra lo tira,

153 et vince lor virtù chi arse et alse.

Quando Eol mughia o l’occëan sospira presto ne porton l’adunata preda,

156 ché avanti veggion se Giove s’adira;

poi quando Phoebo la tempesta seda tu e ritornon più prompte che pria,

144 picciol ] vasto R, R1 149 Hycaro ] ’l suo figlio R; ’l suo figlo R1

134 et el ] et ’l R 135 due ] dua R 137 animal ] animai R 139 eran ] eron

R 145 sagge formiche ] saggie formice R 149 nell’acque ] ne l’aqque R 157 Phoebo ] Phebo R

159 ché forza è che al suo instincto ciascun ceda.

Et tu anchor, se turbo alcun ti svia dal felice tuo incepto, il loro exempio

162 segui, tornando a la medesma via.

Queste mie fragil vele d’un vento empio che lungo al lito la mia barca mena,

165 ch’un delphin vede in mar furioso et empio.

Ma tu che già la callida Syrena vinci discretamente, hor driza li ochi

168 a questa varia mia et inculta scena:

ch’hor tempo è da coturni, et hor da socchi.

164 al ] el R

160 anchor ] ancor R 167 driza ] drizza R 169 socchi ] sochi R

Canto III

Già Phoebo scovre l’äurate rote,

e ’l suo primo destrier si monstra in fronte

3 a chi nell’occëan sue chiome squote;

vendica già della sorella l’onte, nebulosi giganti dissipando

6 che salien di Cimmerio all’orizonte;