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Varianti ortografiche Consonantismo

Canto XXI: a c 297v i vv 76-93 (differenti); poi lacerti.

PER LA CONSTITUTIO TEXTUS

3.4 Varianti formali tra R e R

3.4.2 Varianti ortografiche Consonantismo

Due sono le tipologie di varianti che si incontrano riguardo al trattamento delle consonanti: l’alternanza della grafia doppia-scempia – in particolare in posizione intervocalica – e la realizzazione di alcuni nessi consonantici piuttosto diffusi. Per quanto riguarda la prima tipologia, abbastanza significativo è il caso della parola «occhio» e del suo plurale. In R non si incontra mai la doppia al singolare, e il termine è sempre reso come «ochio»; al plurale invece sussiste l’alternanza tra «ochi» e «occhi», con una decisa prevalenza della prima forma.

82 Cfr. G. BOCCACCIO, Corbaccio, 175 (corsivo mio).

R1 al singolare scrive sempre «occhio», mentre al plurale utilizza entrambe le

forme. Nel passaggio da R a R1 la sostituzione della scempia con la doppia è

pressoché costante, con due sole eccezioni: IV, 137 e XXII, 6 («occhi» > «ochi»; «occhio» > «ochio»). Anche con le altre consonanti la preferenza di R1 per la

doppia in luogo della scempia è quasi sistematica – benché anche in questo caso non manchino eccezioni. In R1 le grafie «cammin(o)» e «camin(o)» sono presenti

in egual misura, e mai si sostituisce la doppia alla scempia di R. La copia non autografa tende anche a sostituire «alhor(a)» con «allhor(a)», ma altre volte la scempia si conserva. «Ucel» e simili di R vengono costantemente sostituiti dalla forma con la doppia in R1. In controtendenza il trattamento di R1 per -z-

intervocalico: la doppia compare una sola volta nel codice, mentre la scempia è costantemente preferita alla doppia di R: «drizate» di R1 per «drizzate» di R (III,

48), «mezo» per «mezzo» (ad esempio in XI, 92), «belleza» per «bellezza» (ad esempio in XIII, 12) e così via. Per concludere, sul rapporto tra doppie e scempie è possibile ravvisare, a differenza delle altre tipologie di varianti ortografiche fin qui affrontate, alcuni atteggiamenti tendenziali piuttosto marcati per ciascuno dei due codici: e cioè, una maggiore propensione alle grafie con la doppia in R1, tranne nel caso di -m- intervocalica, che oscilla abbondantemente,

e di -z- intervocalica, di cui si preferisce decisamente la scrittura con la scempia. Nell’ampia casistica presa in considerazione, non pare di poter riconoscere, nelle grafie con la scempia, un’influenza del corrispondente termine latino: la questione si riduce così a una mera diversità di usus grafico.

Numerosi sono i nessi consonantici che danno luogo a varianti ortografiche tra i due testimoni del Poema nesiano: qui ci si occuperà soltanto dei più significativi. Tra questi è senz’altro il caso del termine «acqua» e derivati. R alterna la grafia con -q- semplice o doppia soprattutto nei primi dodici canti del poema, mentre dal XIII in avanti entrambe concorrono con la grafia, poi

moderna, -cq-. R1 rifiuta decisamente le grafie «aqua» e «aqqua», che mai

occorrono nella copia calligrafica, uniformando sistematicamente il nesso al tipo

-cq-. In questo caso specifico, si potrebbe persino riconoscere una progressione

cronologica nel percorso autoriale, che nel corso della propria scrittura tende a far emergere il nesso -cq-, poi costante nella copia più tarda.

Altro elemento interessante nel trattamento delle consonanti è il nesso -ct-. A II, 49 R1 sostituisce «pianto» a «piancto» di R; a IV, 16 scrive «tutto» in luogo di

«tucto» di R; analogamente «bacte» e «socto» sono resi con «batte» e «sotto» (VI, 119; 120). La preferenza della copia non autografa è dunque per l’assimilazione, mentre l’autore sembra preferire il nesso latineggiante. In realtà XI, 48; XVIII, 3; XXI, 99 e XXVIII, 222 fanno eccezione, mostrando un’evoluzione dalla geminata al nesso non assimilato (a XVIII, 3 in realtà si sostituisce il nesso -ct- con un altro nesso, -pt-). In effetti, la presenza del nesso -ct- in R1 è molto ampia, e

l’oscillazione tra le due consuetudini grafiche non lascia trasparire una tendenza chiara rispetto all’autografo; nemmeno la posizione in rima restituisce omogeneità alle grafie: in II, 8-12, ad esempio, «rimette» e «dette» rimano con «electe», segno che la differenza è ininfluente dal punto di vista della pronuncia. Di nuovo, le varianti ortografiche tra R e R1 non danno

testimonianza di una tendenza costante e coerente di un codice contro l’altro. L’ultimo nesso consonantico che qui si analizza è la trascrizione della palatale intervocalica. A una prima osservazione il comportamento delle varianti pare completamente privo di direzione specifica: a I, 65 «periglio» di R dà «periglo» di R1, ma a II, 9 «taglata» di R dà «tagliata» di R1; così a IX, 131 («perigliosa» >

«periglosa») e IX, 188 («figlo» > «figlio»). In realtà la prevalenza del nesso con -i- è evidente tanto in R (ottantaquattro occorrenze contro sette) quanto in R1

(ottantadue contro dieci), tanto che la grafia senza vocale può essere considerata un residuo della scrittura meno sorvegliata.

Vocalismo

Le vocali toniche sono generalmente più stabili anche tra le oscillazioni del volgare letterario del XV secolo: la maggior parte delle variazioni è dovuta al recupero del vocalismo latino contro il vocalismo della lingua d’uso contemporanea. «Infunde» di R a IV, 51 viene sostituito da «infonde» di R1; così

«colombe» per «columbe» (XXII, 64), «condocto» per «conducto» (XXVI, 138): in tutti questi casi la forma latineggiante è preferita dall’autografo, che palesa una tendenza maggiormente colta. Al contrario, in VII, 220 «abunda» di R1

sostituisce «abonda» di R. Diverso è il caso dell’alternanza tra «sanza» e «senza»: il primo è tipico della tradizione letteraria (Dante e Petrarca su tutti, ma anche, tra i contemporanei di Nesi, Poliziano), il secondo più aderente alla lingua d’uso. «Sanza» è comunque maggioritario in entrambi i codici.

Tra le varianti ortografiche che coinvolgono le vocali atone si trova il fenomeno, tipicamente fiorentino, del passaggio di -e- ad -i- in protonia: gli esempi più tipici si trovano a VI, 122 («nemico» > «nimico»), IX, 50 («reverisce» > «riverisce»), XXVII, 198 («defecti» > «difecti»); seguono la direzione opposta i lessemi a IX, 46 («discendendo» > «descendendo»), XI, 156 («diserto» > «deserto») e XXIV, 82 («ricigne» > «recigne»). L’attuazione o meno di questo fenomeno è dunque casuale, e non lascia intravedere una spiccata sensibilità dell’uno o dell’altro scriba. Altra oscillazione, che avviene sia in sillaba protonica che in sillaba postonica, è tra -o- e -u-: «humore» di R1 sostituisce

«homore» di R (III, 95), e «uficio» prende il posto di «officio» (VIII, 28); ancora «undante» di R è trascritto come «ondante» da R1 (XIII, 215), e «umbratile» è

reso come «ombratile» (XIX, 156); tra le postoniche infine si registra «triangulo» vòlto in «triangolo» (XIII, 73).

Per quanto riguarda i dittonghi, il fenomeno più significativo è certamente l’uso o meno di dittonghi etimologici (o para-etimologici) desunti dalla grafia

latina. In questo caso è possibile ravvisare una chiara differenza di sensibilità ortografica tra i due codici, dal momento che l’autografo non utilizza mai questo tipo di dittonghi «arcaizzanti», mentre R1 li inserisce assai spesso.

L’appellativo di Apollo «Febo», ad esempio, assai frequente nel Poema nesiano, è sempre trascritto «Phebo» da R (dove il richiamo alla grafia latina è comunque presente nel digramma ph-) e «Phoebo» da R1 (con l’eccezione di soli tre casi). R1

preferisce anche la forma «maesta/o» a quella con chiusura del dittongo «mesta/o»; evidentemente frutto di ipercorrettismo sono invece le diciture «faelice» (in luogo di «felice»; lat. «felix») e «faecunda» (in luogo di «fecunda»; lat. «fecundus»). La copia non autografa dimostra una preferenza per le forme dittongate anche laddove il dittongo faccia parte dell’uso del fiorentino contemporaneo, anche se non mancano le oscillazioni. «Truova» è preferito a «trova», «priego/prieghi» (verbo e sostantivo) a «prego/preghi» (quest’ultimo assente in R1 e raro in R), «brieve» a «breve», «triegua» a «tregua»; sempre R1

preferisce però la chiusura del dittongo in «prova/prove», oltre che in pochi altri casi ove la tradizione letteraria può avere avuto un’influenza: «foco» alterna così con «fuoco» in entrambi i codici, e «homini» per «huomini» è hapax di R1 a

XV, 144.

Nonostante la preferenza tendenziale di R1 per i dittonghi (para-)etimologici,

non si può dire che il copista sia effettivamente più arcaizzante, nella grafia, di quanto non sia l’autore stesso. Prova ne sia l’oscillazione indiscriminata tra l’uso di -y- e di -i- in molti termini di origine greca o latina. «Cygno/i» di R1

sostituisce «cigno/i» di R a V, 118, IX, 102 e XXI, 16; ma a IX, 173 «giganti» di R1

sostituisce «gyganti» di R (così anche a XIII, 213). In altri lessemi l’inserzione di

-y- è evidentemente frutto di ipercorrettismo: così «lachrymon» di R a IV, 163 o

«tryompho/i» di R a XXII, 121, XXV, 86 e XXVIII, 141. È interessante notare che le -y- etimologiche sono più regolari in R1, mentre le para-etimologie compaiono

con maggior frequenza nell’autografo: impossibile dire, anche in questo caso, se le variazioni siano da attribuire a una volontà emendatoria dell’autore oppure al diverso usus scribendi del copista.

Altri fenomeni

Tra le tendenze grafiche arcaizzanti un posto di rilievo ha l’uso di -h- (para-)etimologica, nelle parole di derivazione latina. Per quanto riguarda il verbo «avere», l’uso di -h- è regolare in R1 per le terze persone dell’imperfetto

(«havea» e «havean») e per l’infinito («haver»), mentre in R permane qualche eccezione (es. I, 57; VI, 141; XXII, 24). Spiccati latinismi sono anche «comprehendere» e simili, tipici di R, dove peraltro l’irrilevanza fonologica del gruppo -he- è probabilmente confermata dalla struttura metrica del verso; forse proprio per l’ambiguità metrica R1 tende a eliminare la grafia etimologica. Tipici

di R1 sono «allhor(a)» e «anchor(a)» (rispettivamente tre e una le eccezioni nella

copia non autografa), mentre «biancho» prevale nettamente su «bianco». Come nel caso di -y-, anche -h- si estende a parole (o sedi) non originarie, soprattutto in R: è il caso di «spingha» a V, 74 e di «choma» a XXIII, 155, cui R1 preferisce

rispettivamente «spinga» e «coma»; è assai probabile che questi fenomeni siano dovuti all’influenza della pronuncia sulla grafia, in quanto la presenza di -h- potrebbe suggerire la spirantizzazione, tipica del volgare toscano. Si può dunque concludere che il grafema -h- assume in entrambi i codici, ma specialmente in R, un carattere ambiguo, in quanto può indicare tanto il riferimento etimologico alla grafia latina di un termine quanto la sua pronuncia nel fiorentino dell’uso contemporaneo.

Particolarmente numerose sono anche le oscillazioni dovute a metatesi, fenomeno tipico del fiorentino del XV secolo. L’avverbio «dietro», ad esempio, compare in ben quattro varianti: a XIII, 7 R1 sostituisce la forma «dietro» a

«drieto» di R, mentre a XXI, 43 preferisce «detro» a «dreto» di R (si consideri, a

tal proposito, che il tipo «drieto» è l’unico usato nelle Stanze di Poliziano e nelle

Rime di Lorenzo). A I, 136 R1 scrive «siede» (sostantivo) in luogo di «sedie» di R,

mentre in altri quattro casi i codici concordano sulla forma, poi moderna, «sede». A II, 119 appare l’alternanza tra «prieta» di R e «pietra» di R1: il primo

compare occasionalmente anche in Lorenzo e nei Pulci, mentre il secondo è regolare in tutti gli altri casi. Curiosa infine la metatesi di R1 «Alcynoe» per

«Alcyone» (V, 154), che compare anche nella postilla marginale, in latino («Alcynoes» di R1 contro «Alcyones» di R): ma è probabile che si tratti di un

errore del copista, che a XI, 91 scrive, correttamente, «Alcyion».

Sarebbe assai complesso, infine, approfondire dovutamente il tema del raddoppiamento fonosintattico, da sempre vivo nelle varietà centrali dell’italiano. Anche in questo caso si tratta di trasmettere o meno alla grafia un indizio della pronuncia viva. A I, 138 R raddoppia l- in posizione iniziale preceduta da vocale, mente R1 sceglie la grafia con la scempia: «a·lluce» contro

«a luce». Allo stesso modo, ma con l’aggiunta dell’assimilazione dell’articolo, a IV, 41: «e·ll’altro» di R contro «et l’altro» di R1. Esempi di raddoppiamento

fonosintattico sono anche, in un certo senso, le geminate nelle preposizioni articolate: «de la» (o «dela») contro «della», «con la» contro «colla» ecc. In generale si può notare che il raddoppiamento compare in modo non omogeneo in entrambi i codici, benché il testo di R sia certamente più incline a palesare una grafia aderente alla pronuncia viva.

Osservazioni conclusive

La situazione delle varianti ortografiche qui presentata è assai sfaccettata, poiché rispecchia le oscillazioni di una lingua che non è ancora stata dotata di un sistema coerente nel rapporto tra parlato e scritto. Gli usus scribendi dei due codici sono divergenti in molte occasioni, ma le varianti sistematiche sono rare: non è dunque possibile individuare scelte grafiche costantemente differenti che

possano dimostrare in maniera stringente l’irriducibilità reciproca dei due copisti. Alcune tendenze particolarmente forti, tuttavia, come l’uso delle doppie o delle scempie e le numerose assimilazioni del nesso -ct- da parte di R1, fanno

pensare che le abitudini linguistiche fossero leggermente diverse: il che costituisce un ulteriore indizio del fatto che R e R1 siano da attribuire a due scriptores differenti. A seconda dell’ipotesi di ricostruzione delle vicende

redazionali del testo, infine, è possibile scorgere o meno nelle varianti formali un intervento d’autore, tuttavia non sistematico perché non supportato da una avvenuta codificazione ortografica.

CAPITOLO QUARTO