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È giunto il momento di affrontare la tematica delle particolarità oggettive del contratto In primo luogo – special-

del contratto

6. È giunto il momento di affrontare la tematica delle particolarità oggettive del contratto In primo luogo – special-

mente per quanto concerne il primo rapporto, cioè l’attribuzione dei cespiti – occorre segnalare un elemento parti- colarmente controverso della normativa, ovvero la menzione della compatibilità con le disposizioni in materia di impresa familiare e con le differenti tipologie societarie inserita nell’art. 768 bis. Tale espressa considerazione della pluralità di ambiti in cui si inserisce il patto di famiglia manifesta una natura strutturalmente rilevante, in quanto idonea ad incidere diret- tamente sul contenuto e sulla formazione dell’accordo; essa si innesta, inoltre, sulla particolare rilevanza degli istituti men- zionati, poiché la disciplina dell’impresa familiare – fenomeno giuridico dai contorni assai vicini a quelli del patto – e soprat- tutto dei vari tipi societari presenta non soltanto profili di po- tenziale conflitto con la novella ma anche un significato impor- tante nell’ottica del perseguimento della ragion d’essere della riforma70.

Iniziamo dal primo istituto da sottoporre al vaglio di compatibilità. In quale senso l’art. 230 bis, che regola l’impresa familiare, può avere ricadute sul singolo patto di famiglia? Or- bene, la norma citata si segnala per la disciplina di alcuni rile- vanti profili: segnatamente, nel primo comma è inserita la di- sposizione secondo la quale il familiare – coniuge, parente entro il terzo grado o affine entro il secondo – che presta in modo continuativo la sua attività di lavoro entro questa tipologia d’impresa ha diritto al mantenimento secondo la condizione pa- trimoniale della famiglia e ha diritto a partecipare agli utili dell’impresa e ai beni acquistati con essi, nonché agli incre- menti dell’azienda – compreso l’avviamento – in proporzione al- la quantità e qualità del lavoro prestato. Al penultimo comma, inoltre, si sottolinea che in caso di divisione ereditaria o aliena-

70 Pone in risalto il valore centrale dell’inciso in funzione

dell’attuazione dello scopo della novella anche D. SCARPA, Riflessioni

sulla compatibilità tra patto di famiglia e impresa familiare, Famiglia, persone e successioni, 2010, pp. 9 ss. Ad avviso di G. PISCIOTTA, op.

cit., «si segnala che l'eventuale utilizzazione della disciplina del patto di famiglia, nel caso di impresa familiare ex art. 230-bis, evidenzie- rebbe un conflitto tra l'interesse alla protezione del diritto dei lavora- tori (sotteso appunto alla disciplina dell'impresa familiare) e quello della libertà di disposizione del proprietario imprenditore (sotteso alla disciplina del patto di famiglia); si ritiene che il legislatore abbia inte- so comporre tale conflitto prevedendo, appunto, che l'autonomia pri- vata si esplichi “... compatibilmente con le disposizioni in materia di impresa familiare”».

zione d’azienda spetta al familiare il diritto di prelazione. Si a- nalizzeranno, dunque, in maniera analitica le varie situazioni appena delineate. La prima previsione, ovvero il diritto al man- tenimento, non dovrebbe suscitare particolari problemi inter- pretativi, dal momento che, ove vi fossero familiari non discen- denti che continuino a collaborare nell’impresa anche in segui- to alla stipula del patto, essi saranno certamente titolari di questo particolare diritto71. Maggiori dubbi suscita, invece, la partecipazione agli utili e agli incrementi aziendali: bisogna, in tal caso, distinguere alcune situazioni prospettabili. In primo luogo, è possibile che i familiari cessino la collaborazione con l’impresa al momento della stipula: essi, pacificamente, avran- no diritto alla liquidazione in denaro da parte del disponente imprenditore. In secondo luogo, se la collaborazione – con il consenso dell’assegnatario – continua anche in seguito al patto, i familiari potranno scegliere tra una liquidazione immediata da richiedere al disponente oppure differita, la quale sarà posta in essere dal nuovo titolare, mediante l’adempimento sia dei credi- ti pecuniari passati e di quelli sorti dal momento del patto di famiglia72. Infine, nel caso di collaboratori familiari che siano contemporaneamente anche legittimari non assegnatari, è pre- feribile ritenere che costoro possano cumulare il diritto alla li- quidazione degli incrementi a quello previsto dalla novella all’art. 768 quater73. La dottrina pare invece divisa in merito all’applicabilità del diritto di prelazione al nostro istituto: da una parte, si fa notare che il quinto comma dell’art. 230 bis, ri- ferendosi – oltre alla divisione ereditaria – al fenomeno dell’alienazione d’azienda, riguarderebbe soltanto il trasferi- mento a titolo oneroso, mentre non apparirebbe fondata una

71 Cfr. G. PALERMO, op. cit., pag. 73; G. RIZZI, Il patto di famiglia. Ana- lisi di un contratto per il trasferimento dell’azienda, Notariato, 2006, pag. 438.

72G. RIZZI, op. loc. ult. cit., pag. 439, il quale rileva che «ovviamente se

i beneficiari dell’azienda sono più di uno, tra gli stessi verrà a costi- tuirsi una società, rispetto alla quale non è configurabile una prose- cuzione del rapporto di impresa familiare cosicché si ricadrà necessa- riamente nell’ipotesi» precedentemente esaminata.

73 Tale interpretazione pare necessitata alla luce dell’iniquità di un

mancato cumulo di crediti che produrrebbe un’ingiustificata deterio- rità di trattamento. Cfr. per un’opinione conforme G. PETRELLI, op. cit.;

si veda in proposito B. INZITARI, op. cit., pag. 153, secondo cui

l’assegnazione ai non assegnatari collaboratori non dev’essere qualifi- cata né come corrispettivo dell’attività svolta nell’impresa né come in- tegrazione della partecipazione a utili ed incrementi. Conforme alla tesi prospettata nel testo anche A. L. BONAFINI, Il patto di famiglia tra diritto commerciale e diritto successorio, Contratto e impresa, 2006, pag. 1229.

prelazione in caso di attribuzione gratuita come quella del pat- to74. D’altro canto, una parte dei commentatori75 non concorda con questa assunzione e si preoccupa di distinguere il caso in cui i collaboratori dell’imprenditore coincidano con i parteci- panti al patto dal caso in cui tale coincidenza non si verifichi: nella prima ipotesi la partecipazione di tutti i soggetti coinvolti permetterebbe di considerare il diritto non esercitato e quindi non porrebbe alcun problema; nella seconda, viceversa, la normativa avrebbe inteso dar prevalenza a coloro che abbiano attivamente collaborato con l’imprenditore, i quali dovrebbero, quindi, essere messi in condizione di esercitare il diritto: il pat- to si potrebbe stipulare, in tal caso, solo laddove vi fosse silen- zio o rinunzia alla prelazione. Il problema è spinoso, ma la so- luzione maggiormente convincente sembra quella che sacrifica le istanze dei collaboratori dell’impresa familiare: la scelta pare necessitata, infatti, soprattutto per le caratteristiche alquanto particolari del patto di famiglia, che realizzano un passaggio a- ziendale strutturalmente e funzionalmente complesso, con ef- fetto stabilizzatore per le attribuzioni sottese al contratto. La via della stipulazione del patto, quindi, è preferibile e favorita, in quanto permette di non protrarre indefinitamente nel tempo

74 Tale visione è accolta da G. PETRELLI, op. cit.; F. GAZZONI, op. cit.; B.

INZITARI, op. cit., ibidem. Cfr. G. MUSOLINO, Il diritto di prelazione

nell’impresa familiare, Rivista del notariato, 2010, secondo il quale la prelazione è «destinata ad accordare la preferenza al titolare solo a condizioni di parità di prezzo e, quindi, il trasferimento deve essere oneroso e deve realizzarsi con una prestazione corrispettiva fungibile». Cfr. G. PALMIERI, Regime patrimoniale della famiglia, II, in Commenta-

rio del codice civile Scialoja – Branca, cit., 2004, pag. 169: «in presen- za di un trasferimento mortis causa o a titolo gratuito non sembra che la parità di condizioni possa essere garantita e […] che la prelazione possa operare, a meno di non voler trasformare tale figura in uno strumento di natura sostanzialmente espropriativa».

75Specialmente G. RIZZI, op. loc. ult. cit., pp. 439 ss., secondo cui «per

giustificare questa particolare estensione del diritto di prelazione ci si appella allo scopo che il legislatore ha voluto perseguire nel ricono- scere ai partecipi il diritto stesso, che è quello di tutelare coloro che, partecipando all’impresa familiare, prestano la loro attività nell’azienda e di evitare che l’azienda finisca con l’essere attribuita ad un soggetto che potrebbe non aver alcun interesse alla continuazione dell’attività di impresa». Si veda anche G. COLLURA, Patto di famiglia e

compatibilità con l’impresa familiare, La nuova giurisprudenza civile commentata, 2009, pag. 110, il quale critica la tendenza a ritenere la prelazione esercitabile soltanto in presenza di trasferimenti onerosi e con corrispettivo fungibile, richiamando l’ipotesi di prelazione in tema di conferimento d’azienda in società. Manifesta alcuni dubbi C.M. BIANCA, Diritto civile, II, cit., pag. 519: «la legge non distingue tra atti a titolo oneroso e atti a titolo gratuito, e ciò può spiegarsi in ragione di una più intensa tutela dell’impresa familiare».

i problemi di disgregazione aziendale; infine, occorre considera- re che i collaboratori saranno comunque titolari di crediti pe- cuniari spesso quantitativamente non trascurabili e potranno continuare a prestare la propria opera in accordo con il nuovo titolare: il loro sacrificio, dunque, risulta parziale, anche consi- derando che la titolarità dell’azienda rimane pur sempre nell’alveo della famiglia.

Per quanto riguarda la compatibilità con le differenti ti- pologie societarie, occorre riprendere le fila dello scorso capitolo, laddove si evidenziò la differente natura delle società personali rispetto a quelle di capitali in punto di rilevanza soggettiva dei soci. Il discorso si fonde, in quest’ottica, con l’eventuale pre- senza di clausole statutarie di prelazione o di gradimento, per cui in questo paragrafo opereremo soltanto una breve esposi- zione dei pochi profili non ancora affrontati76. Per quanto con- cerne le società di persone, occorre distinguere in primis tra so- cietà semplici ed in nome collettivo e società in accomandita semplice: non vi è dubbio in dottrina sul fatto che il patto di famiglia pare utilizzabile per l’assegnazione di quote del primo tipo soltanto laddove sia garantito il potere di concorrere alla gestione della società77 e con il previo consenso di tutti i soci78. Nel caso di s.a.s., invece, la trasmissione delle quote dei soci accomandatari sarà generalmente ammissibile con il consenso – ai sensi dell’art. 2322 c.c. – dei soci che rappresentano la maggioranza del capitale. Per ciò che attiene alle quote degli accomandanti il discorso pare più complesso: nonostante la

ratio della novella possa apparire prima facie contrastante con

quest’ipotesi, in dottrina si preferisce una soluzione maggior-

76 M. AVAGLIANO, op. cit., sottolinea la necessità di considerare anche il

deposito presso il registro delle imprese, l'iscrizione nel libro dei soci e l'annotazione sui titoli emessi. Tali aspetti, senza dubbio interessanti, sono qualificabili piuttosto come adempimenti formali, non suscettibi- li di dubbi tali da meritare un approfondimento in sede di trattazione. Per riferimenti generalissimi alla compatibilità con i tipi societari si vedano anche G. DE ROSA, in Patti di famiglia per l’impresa, cit., pp.

179 ss. e A. MERLO, in Patti di famiglia per l’impresa, cit., pag. 109.

77 Come rileva G. PETRELLI, op. cit., «dubbi sorgono, invece, allorché la

partecipazione sociale tale potere non attribuisca; peraltro, trattando- si di società di persone, il trasferimento della partecipazione ha luogo – salvo contraria previsione del contratto sociale – mediante contratto modificativo al quale devono partecipare anche tutti gli altri soci, ed in tale occasione può essere modificato il contratto sociale nella parte in cui disciplina i poteri di amministrazione».

78 B. INZITARI, op. cit., pag. 159. Nello stesso senso anche G. OBERTO, op. cit., pag. 101, che richiama la previsione generale dell’art. 2252 c.c.

mente elastica, pur aderente alla ragion d’essere della riforma, nel caso di conferimento di poteri riguardanti autorizzazioni e pareri per determinate operazioni ex art. 2320, secondo comma. In quest’ultimo caso, in effetti, l’ingerenza pare sufficiente ad attribuire natura gestionale alla partecipazione sociale79. Le so- cietà di capitali, dal canto loro, si suddividono in s.p.a, s.r.l. e s.a.p.a., per cui è opportuna, allo stesso modo, una trattazione separata della compatibilità con il patto di famiglia. Salvo i casi particolari delle clausole limitative della circolazione azionaria, la società per azioni non suscita particolari problemi; diverso il discorso per le società a responsabilità limitata ed in accoman- dita per azioni: per queste due tipologie occorre integrare la trattazione dello scorso capitolo che era specificamente ritaglia- ta sul modello dei patti parasociali. Si disse in quella sede che la disciplina del patto pare improntata all’applicazione in situa- zione espressive di controllo effettivo sulla gestione societaria, quindi non nel caso di frammentazione di partecipazioni di controllo destinate a riunirsi idealmente attraverso congegni pattizi. Una diversa situazione ricorre, invece, laddove venga trasferita in capo a un soggetto una partecipazione minoritaria che pure consenta un controllo effettivo sulla gestione sociale: nel caso di s.r.l. si tratterà di un particolare diritto di ammini- strazione ai sensi dell’art. 2468, terzo comma, «sempreché tale diritto venga assicurato anche al discendente acquirente della partecipazione per effetto del trasferimento»80; invece nel se- condo caso – cioè s.a.p.a. – si può replicare il discorso attinente alla società in accomandita semplice, con la conseguente pos- sibilità per un accomandante di stipulare il patto a certe condi- zioni81. Risulta opportuna, dunque, una valutazione in concre- to della possibilità di incidere sull’attività d’impresa, tenendo conto delle molteplici possibilità offerte dal diritto societario in questo ambito.

79 Cfr. G. PETRELLI, op. cit.; si veda per analoghe argomentazioni anche

B. INZITARI, op. cit., pag. 160. La soluzione particolarmente elastica è

preferibile ma, è d’uopo rilevarlo, può suscitare problemi dato che si riferisce soltanto a operazioni specifiche e non alla generale attività societaria.

80 Così G. PETRELLI, op. cit.; B. INZITARI, op. cit., pag. 163, che richiama

alcune ipotesi riconducibili all’art. 2468: diritto di ricoprire la carica di amministratore per un certo periodo, diritto di imporre la propria decisione in ordine a specifici atti gestori oppure ancora il diritto di impedire determinate operazioni sociali.

81 Rileva inoltre B. INZITARI, op. cit., pag. 165, che questo particolare

tipo di società è inteso spesso nel senso di “società familiare”, quindi particolarmente affine all’istituto del patto di famiglia. Nei medesimi termini G. PALERMO, op. cit., pag. 77.

Volgendo lo sguardo al secondo macroargomento del presente paragrafo, non si può escludere a priori che i contra- enti desiderino adattare lo schema minimo del patto di famiglia alle proprie esigenze: date le numerose incertezze che avvolgo- no l’interpretazione della normativa ed i dubbi che assalgono spesso i contraenti nell’imminenza della stipula, questa ipotesi risulta essere assai frequente; è opportuno, quindi, analizzare i vari casi prospettabili nella prassi per saggiare la compatibilità degli elementi accessori e di alcune clausole particolari con il regolamento d’interessi sotteso al patto di famiglia82. Innanzi- tutto, non è da trascurare l’eventualità dell’apposizione di una condizione sospensiva o risolutiva83. 1) La prima parrebbe con- figurarsi con maggior probabilità laddove il disponente condi- zionasse il trasferimento del cespite produttivo alla liquidazione integrale dei legittimari: si tratterebbe, in tal caso, di una mani- festazione di prudenza, con la finalità principale di evitare sus- sulti nella gestione aziendale a seguito di un’azione di risolu- zione che – occorre ricordarlo – rimane comunque esperibile da parte dei non assegnatari: in caso di esito positivo, l’assegnatario sarebbe costretto a restituire i beni e nulla più rimarrebbe della stipulazione. La compatibilità della suddetta clausola con la ragion d’essere del patto pare piena ed evidente, dato che i legittimari vedono rafforzati gli strumenti di tutela a fronte di comportamenti opportunistici da parte dei discendenti preferiti84. 2) Maggiori problemi suscita la possibilità di apporre al patto una condizione di reversibilità per cattiva gestione a- ziendale da parte dell’assegnatario: quest’ultimo fenomeno por- ta, infatti, a ricondurre il patto nell’alveo della funzione donati-

82 P. VITUCCI, op. cit., pag. 460 pone in risalto la possibilità di apporre

elementi accidentali ma si dimostra dubbioso riguardo al termine di efficacia, in quanto giudica il patto affine rispetto al testamento.

83 Per una distinzione autorevolmente concepita tra i due fenomeni si

veda A. FALZEA, La condizione e gli elementi dell’atto giuridico, Milano,

1941, pag. 239: «la condizione sospensiva costituisce una concausa di efficacia, cioè un elemento marginale dell’atto su cui incide, mentre la condizione risolutiva costituisce un fatto strutturalmente autono- mo. La prima opera all’interno dell’atto, inserendosi tra i momenti della rilevanza giuridica e dell’efficacia, la seconda, invece, opera dall’esterno in un momento nel quale il negozio ha già spiegato i suoi effetti».

84 Cfr. per un’opinione analoga anche F. VOLPE, op. cit., pag. 99; ID., L’uso delle pattuizioni accessorie nel patto di famiglia, Contratto e im- presa, 2014, pag. 508; G. CAPOZZI, op. cit., pag. 1478. Interessante lo

spunto offerto da R. LENZI, Condizione, autonomia privata e funzione

di autotutela, Milano, 1996, pag.127, il quale evidenzia la funzione di autotutela della condizione di adempimento a garanzia della «realizza- zione del nucleo fondamentale di interessi prospettati nell’atto».

va per il nesso con l’art. 791 c.c. Nel caso di specie, tuttavia, non sarebbe ravvisabile identità di ratio in quanto il disponente non otterrebbe indietro il bene in caso di premorienza del dona- tario: per questo motivo, la pattuizione pare ad avviso della dot- trina rientrare nell’alveo delle clausole risolutive espresse85. Ta- le lettura purtroppo conduce su un terreno spinoso dal mo- mento che è costretta ad assimilare il dovere di esecuzione del contratto secondo buona fede da parte dell’assegnatario – dove- re della cui fondatezza è lecito domandarsi in quanto la linea di discrimine tra rischio d’impresa e approfittamento è labile – a un’obbligazione in senso stretto in accordo con l’art. 1456 c.c. Inoltre, questa visione si presta a facili abusi da parte del di- sponente ed induce incertezza nell’intero assetto contrattuale, con previsione stridente rispetto alla ragion d’essere della nor- mativa che, invece, esige stabilità86. Per questi motivi, sembra maggiormente opportuno non ritenere compatibile la clausola di reversibilità con la disciplina del patto: pertanto, nonostante sia ben vero che gli atti a titolo gratuito possono pur sempre contenere una condizione di reversibilità, anche laddove non configurino una donazione, è altresì evidente che per i casi re- almente meritevoli di attenzione potrà operare la facoltà di re- cesso prevista dall’art. 768 septies, laddove la clausola sia inse- rita in atto87; di quest’ultima si tratterà nel prossimo capitolo. 3) Non risultano convincenti, inoltre, i rilievi di parte della dot- trina88, la quale ammette l’apposizione di una condizione riso-

85 Così F. VOLPE, op. loc. ult. cit., pp. 508 ss., ma la soluzione potrebbe

destare qualche perplessità ove si qualifichi il fenomeno come condi- zione risolutiva di inadempimento, incidente sull’efficacia ex tunc an- che nei confronti dei terzi, e non come clausola risolutiva che attiene alla funzionalità del sinallagma e non inficia la posizione dei terzi.

86 In questi termini M. IEVA, voce Patto di famiglia, cit., pag. 647. 87 Non si condivide il rilievo di G. CAPOZZI, op. cit., pag. 1479, secondo

cui la condizione di reversibilità trae fondamento dalla lata considera- zione del recesso convenzionale da parte della normativa. I due feno- meni sono, infatti, distinti, anche se il fine cui ambiscono è identico. Un’opinione simile è ravvisabile altresì nel pensiero di G. PETRELLI, op.

cit.

88Favorevole a questa ipotesi è F. VOLPE, op. loc. ult. cit., pag. 514, il

quale evidenzia che «la meritevolezza della clausola va rintracciata nella capacità che presenta l’evento della nascita di un nuovo legitti- mario di mettere in discussione l’assetto d’interessi divisato nel con- tratto e che aveva spinto il disponente a trasferire il complesso pro- duttivo agli assegnatari». Tale asserzione appare solo parzialmente corretta: anche nel caso nascesse un nuovo figlio, dovrebbero comun- que passare diversi anni prima che quest’ultimo possa prendere le redini dell’azienda. Sarebbe, dunque, giusto recidere gli effetti del contratto nell’attesa di un futuro lontano?

lutiva per l’eventualità della nascita di un nuovo legittimario: tale ipotesi non pare, invero, giustificabile dato che il patto di famiglia è stipulato dall’imprenditore solitamente al termine della vita89 e che l’obiettivo della stabilità delle attribuzioni ope- ra anche verso i legittimari sopravvenuti, come previsto dall’art. 768 sexies. 4) La legittimità di un divieto di alienazione ex art. 1379 sembra, invece, in linea con la ratio dell’istituto: tale pre- visione – purché contenuta entro ragionevoli limiti di tempo e a effetti obbligatori per le parti – parrebbe rispondere all’interesse

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