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La maggior parte dei commentatori della riforma 46 sembra orientata verso una valutazione diversa della funzione

l’oggetto “tridimensionale” del patto di famiglia

4. La maggior parte dei commentatori della riforma 46 sembra orientata verso una valutazione diversa della funzione

del nostro congegno negoziale: essi ritengono che il patto di fa-

45 Sembra aderire a questo pensiero anche G. PETRELLI, op. cit., sep-

pur con argomentazioni dalle quali non è facile evincere un’idea defi- nitiva sul tema.

46 Si segnalano, inter alios, G. BONILINI, Patto di famiglia e diritto delle successioni mortis causa, cit.; F. GAZZONI, Appunti e spunti in tema di

patto di famiglia, cit.; G. AMADIO, Patto di famiglia e funzione divisiona-

le, cit.; A. TORRONI, Il patto di famiglia: aspetti di interesse notarile,

cit.; S. DELLE MONACHE, Divisione e patto di famiglia, Rivista di diritto

civile, 2012; M. IEVA, in Trattato breve delle successioni e donazioni, cit., pag. 344, secondo cui il contratto genera una «successione sepa- rata anticipata su una massa composta esclusivamente di “beni pro- duttivi”»; N. DI MAURO, I necessari partecipanti al patto di famiglia, Famiglia, persone e successioni, 2006, pp. 538 ss. La stessa soluzio- ne pare avallata anche dal decreto del giudice tutelare di Reggio Emi- lia, n. 257/2012, che applica al patto di famiglia l’art. 375, numero 3, il quale attiene alle divisioni, anziché l’art. 320 c.c., riguardo all’ ac- cettazione di donazioni da parte dei genitori dell’incapace. Sul punto si tornerà nell’ambito della partecipazione al patto di soggetti incapaci di agire.

miglia sia un contratto a causa divisoria, in cui le attribuzioni sono dirette sia verso il discendente preferito sia verso i legitti- mari non assegnatari. Orbene, questa teorica affonda le radici su un terreno ricco di spunti per le nostre riflessioni: ad avalla- re tale asserzione, un primo dato a sostegno dell’idea divisoria può essere colto nelle considerazioni storiche svolte, in partico- lare, da alcuni Autori, i quali sottolineano la linea di continuità che attraversa i due codici civili italiani, con richiami al diritto romano: essi riscontrano, effettivamente, una certa somiglianza con la romanistica divisio inter liberos e con la sua trasposizio- ne moderna, rinvenibile nel c.c. del 1865 col nome di “divisione d’ascendente”; di fatto, «in base a tale [istituto], il padre, la ma- dre e gli altri ascendenti potevano dividere e distribuire i loro beni tra i figli e i discendenti non solo per testamento, come ancora oggi previsto dall’art. 734 c.c., ma anche per atto inter

vivos»47. Sicuramente le valutazioni storiche possono ricoprire un ruolo non trascurabile nella analisi del patto, ma si ritiene opportuno agganciare il ragionamento ad indici maggiormente tangibili per gli operatori giuridici. Seguendo questa linea di pensiero, potremmo, ad esempio, considerare la rilevanza, nel quadro complessivo dell’operazione negoziale, degli «apporzio- namenti in senso tecnico, legati da quel “nesso di reciproca su-

bordinazione funzionale”48 nel quale già cinquant'anni or sono Luigi Mengoni individuava l'indice minimo di riconoscimento dei fenomeni funzionalmente divisorii»49: in particolare, si evi- denzia, non a torto, che il meccanismo di liquidazione dei non assegnatari sarebbe molto simile a quello previsto dall’art. 720

47 Così G. OBERTO, op. cit., pp. 18 ss. Evidenziano affinità tendenziali

con la divisione d’ascendente, tra gli altri, anche N. DI MAURO, op. cit.,

pag. 539 e M.C. LUPETTI, op. cit., pag. 145, anche se soltanto in senso

descrittivo.

48 Come evidenzia S. DELLE MONACHE, op. cit., il passaggio dalla con-

siderazione strutturale a quella funzionale, per definire un fenomeno divisorio, nasce dalla crepa prodotta dal mutamento di pensiero in merito alla c.d. “divisione fatta dal testatore”: come immaginare una divisione senza una, almeno momentanea, situazione di contitolarità? Per approfondimenti v. infra in questo paragrafo.

49Cfr. L. MENGONI, La divisione testamentaria, cit., pag. 81; G. AMADIO, op. loc. ult. cit., il quale aderisce all’opinione circa l’ammissibilità della categoria della successione anticipata. Vedasi anche A. TORRONI, op.

loc. ult. cit., secondo cui l’accordo liquidativo dà luogo ad una serie di attribuzioni collegate in vista di una distribuzione del valore della massa, proporzionale ad altrettante quote.

c.c. per la divisione di beni immobili non comodamente divisibi- li50.

Una valutazione ulteriore può sorgere dalla “topografia” del patto, cioè dall’affermazione secondo cui il legislatore deve aver necessariamente indirizzato il nostro istituto all’interno dei fenomeni divisori, disciplinandolo nel titolo IV dedicato alla di- visione: conformemente, è molto apprezzato tra gli interpreti il nesso tra la divisione operata dal testatore51 ed il patto di fami- glia, specialmente a cagione dei problemi applicativi comuni a cui danno vita entrambi gli istituti. In proposito, sorgono spon- tanee alcune domande: possiamo realmente affermare che il patto di famiglia sia analogo all’istituto della divisione fatta dal testatore ex art. 734? Inoltre, affinché possa parlarsi tecnica- mente di divisione è forse necessario un precedente stato di comunione da sciogliere? I due quesiti, anche se prima facie non sembrerebbe, sono direttamente collegati: in primo luogo, è innegabile che l’art. 734 presenti molti punti in comune con il nostro istituto, peculiarmente se si considera che anche la par- te non disponibile dell’eredità può rientrare nelle valutazioni divisorie; in secondo luogo, pacificamente la dottrina52 ritiene

50 Si vedano in proposito G. AMADIO, op. loc. ult. cit.; A. TORRONI, op. loc. ult. cit.

51 Risultano illuminanti due affermazioni di L. MENGONI, op. loc. ult. cit., pag. 80: «la funzione distributiva che coordina, nella divisione del testatore, i vari atti di disposizione, non è semplicemente la somma dei momenti causali di questi, bensì assorge a causa negoziale tipica che non è più quella o soltanto quella delle singole assegnazioni. L’unità di funzione si riflette, sotto il profilo strutturale della fattispe- cie, in unità di negozio»; pag. 84: «la disciplina della divisione testa- mentaria deve elaborarsi sulla base della natura attributiva dell’istituto, mentre i principi della divisione, richiamati dalla funzio- ne distributiva, entrano a costituire un limite alle conseguenze che, di per sé, sarebbero logicamente deducibili da quella natura». Trattasi, pertanto, di fenomeno sostanzialmente divisorio.

52 Cfr. G. GAZZARA, voce Divisione ereditaria (dir. priv.), in Enciclopedia

del diritto, XIII, cit., 1964, pag. 435, il quale, in aggiunta, sottolinea che «i caratteri specifici di codesta divisione non ne consentono la perfetta equiparazione alla divisione amichevole o a quella giudiziale»; A. CICU, Successioni per causa di morte. Parte generale: delazione e

acquisto dell’eredità, in Trattato Cicu – Messineo, cit., 1965, pag. 460, intuisce che «perché la divisione fatta dal testatore possa essere rav- vicinata alla divisione operata dai coeredi, è sufficiente che vi sia an- che nel primo caso un rapporto tra i coeredi. Questo rapporto è dato dall’idea di quota che presuppone l’idea del tutto, l’una e l’altra carat- teristiche del titolo di erede»; P. FORCHIELLI – F. ANGELONI, Della divi-

sione, in Commentario del codice civile Scialoja – Branca, cit., 2000, pag. 311: «se il significato ordinario di divisione è quello di sciogli- mento di una comunione, può tuttavia aversi un autentico e non me-

che la divisione ex art. 734 impedisca il sorgere di uno stato di comunione ereditaria, indi per cui si assiste, in questo caso, a una separazione di profili che nei fenomeni divisionali tradizio- nali sono congiuntamente imprescindibili. Una considerazione, invece, fortemente controversa – e che differenzia il patto ri- spetto alla divisione testamentaria – è quella che si impernia sulla necessaria partecipazione al patto di tutti coloro che sa- rebbero legittimari ove in quel momento si aprisse la succes- sione nel patrimonio dell’imprenditore: questa opinione ha, a nostro avviso, il vizio di considerare indefettibile nei fenomeni divisori la presenza di tutti i soggetti coinvolti nelle operazioni di stralcio, id est presenta il difetto di estendere la nullità ex art. 735 – prevista nell’ambito della divisione testamentaria per la preterizione di legittimari – alle altre ipotesi divisorie, quando in realtà la ratio della disciplina della nullità per preterizione è af- fatto peculiare ed è precisamente quella di tutelare soggetti lesi da una volontà ormai immodificabile a causa della sopraggiun- ta morte del testatore53; questa norma sembra, pertanto, essere stata elaborata ponendo mente ai fenomeni mortis causa, piut- tosto che a quelli inter vivos. Probabilmente, riguardo alla par- tecipazione dei non assegnatari alla stipula, si può trovare una soluzione equa e ragionevole, ma questi ultimi appaiono feno- meni decisamente afferenti alla struttura del contratto, indi per cui si rinvia al prossimo capitolo per una proposta ricostruttiva in merito. Per completare la trattazione degli argomenti a favore, con ampio respiro ermeneutico, si riscontra, nella liquidazione dell’ideale quota ereditaria spettante ai legittimari a fronte dell’assegnazione del cespite a un discendente, un aspetto tipi- co delle vicende divisorie tout court, ovvero la «conversione

no reale processo divisorio anche quando una massa di beni viene ri- partita dall’unico proprietario in due o più porzioni a diversi soggetti. Ciò che conta è insomma il risultato distributivo».

53 Una conferma della validità dell’assunto proviene dalle parole di G.

PALERMO, op. cit., pag. 126, secondo cui «sembrerebbe avvalorare la

ricostruzione proposta l’interpretazione giusta la quale l’eventuale nullità della divisione testamentaria per preterizione del legittimario non si estenderebbe alla istituzione degli eredi operata dal testatore, di guisa che la nuova divisione (contrattuale o giudiziale) debba inter- venire “tra tutti gli istituiti e secondo le quote fissate dal testatore”»; cfr., per un’opinione parzialmente difforme, A. BURDESE, La divisione

ereditaria, in Trattato di diritto civile italiano diretto da F. Vassalli, Torino, 1980, pag. 261, secondo il quale «non si può concepire una qualsiasi divisione ereditaria alla quale non partecipino in qualche maniera tutti gli aventi diritto alla medesima […] in quanto funzione della divisione è la distribuzione ad essi per quote del patrimonio ere- ditario».

dell’ideale quota riservata a ciascuno dei condividenti con l’attribuzione di beni o diritti il cui valore è corrispondente al valore della quota medesima»54.

Pur essendo minuziosamente argomentata, questa linea di pensiero non convince tutti gli interpreti: secondo alcuni, af- finché possa trattarsi di istituto improntato alla divisione, rec-

tius alla distribuzione con stralcio dei beni dalla massa patri-

moniale dell’imprenditore, la liquidazione dei legittimari do- vrebbe provenire direttamente – ed ex necesse – dal disponente, mentre tale ipotesi parrebbe delinearsi come residuale, non es- sendo contemplata dalle norme in esame, o essendo addirittura esclusa dal dettato dell’art. 768 quater secondo una lettura me- ramente letterale; l’imprenditore – si fa notare – si ritroverebbe in «una situazione di vantaggio rispetto a qualsiasi altro sogget- to, assolutamente ingiustificata anche invocando le “ragioni dell’impresa”»55. L’opinione non sembra sostenibile: sebbene non sia prevista espressamente, è difficile negare la possibilità di un adempimento proveniente dall’imprenditore, spesso unico soggetto dotato di ricchezza adeguata a tacitare le ragioni dei non assegnatari; altrimenti, senza dubbio, si vanificherebbero le esigenze di trasmissione familiare e, in definitiva, di applica- zione dell’istituto. Nonostante questi ultimi rilievi, si può, a no- stro avviso, convenire su almeno un punto utile a definire il patto all’interno dei fenomeni divisionali, cioè, specificamente, la proporzionalità delle attribuzioni connaturata al nostro isti- tuto, stante il riferimento alle rispettive quote degli eredi neces- sari: perciò si concorda, quantunque soltanto in linea tenden- ziale, con chi afferma che «la qualificazione del patto di famiglia come negozio divisorio non è che il riflesso […] di un intendi- mento della divisione quale categoria a forte impronta funzio- nale: l’interesse alla distribuzione proporzionale di una deter- minata massa di beni – si ripete – sta al centro del fenomeno divisorio e lo qualifica causalmente, giustificando l’attribuzione in proprietà esclusiva dei cespiti oggetto delle singole assegna- zioni»56. Tutto ciò, ovviamente, non vale a sminuire l’innegabile

54 Cfr. G. CAPOZZI, op. cit., pag. 1456; G. AMADIO, Profili funzionali del patto di famiglia, cit., pag. 358, secondo cui il tentativo di appellarsi a fenomenologie causali differenti risulta sterile, in quanto o generico od insufficiente a cogliere l’intera operazione anche sotto il profilo de- gli interessi coinvolti.

55 In tal senso U. LA PORTA, Il patto di famiglia, cit., pag. 82.

56 S. DELLE MONACHE, op. cit.; cfr. anche G. AMADIO, Patto di famiglia e funzione divisionale, cit., il quale collega direttamente la divisione proporzionale al concetto di “apporzionamento”, il quale è alimentato

propensione attributiva57 del patto di famiglia, riscontrabile nella previsione dell’esenzione da collazione di quanto ricevuto dai contraenti, bensì la arricchisce, poiché il fulcro dell’operazione negoziale viene innestato attorno alla valutazio- ne patrimoniale dei cespiti, da cui discende l’apporzionamento, ovvero l’individuazione del valore delle quote di riserva58 con re- lativo soddisfacimento. Quest’ultima considerazione risulta de- cisiva. È limpida agli occhi dell’interprete l’impossibilità di ri- durre a unità la funzione del patto, dal momento che una tale interpretazione tende a sminuire la portata innovativa della ri- forma – negando una commistione di profili ormai palesata dal- le nostre riflessioni – e forza talvolta la ratio, talaltra l’applicazione della disciplina in sede di rogito59: questo dato è comune a tutte le teorie c.d. unitarie, che riteniamo, perciò, di non condividere, ma di cui accogliamo alcuni aspetti – prece- dentemente specificati – essenzialmente corretti dal punto di vista sistematico.

5.

Terminata l’esposizione delle teorie unitarie, oc-

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