del contratto
5. Terminata l’esposizione dei profili strutturalmente soggettivi del contratto, occorre intraprendere il cammino
dell’oggetto del patto per ciò che concerne il cuore del contenu- to negoziale. Nello scorso capitolo si sono delineati alcuni im- portanti aspetti della relazione funzionalmente stretta tra og- getto e causa del patto di famiglia; adesso, invece, è opportuno addentrarsi in un esame maggiormente formalistico, anche se non privo di richiami alla realizzazione della causa concreta- mente intesa. In particolare, parte della dottrina ha inteso il congegno negoziale sinora esaminato come un procedimento vero e proprio: tale teoria, com’è evidente, fa leva su quella ri- costruzione che si definì nel primo paragrafo come “procedi- mentale”, ma la trasferisce sul versante oggettivo. La tesi bila- terale che abbiamo affrontato faceva, invero, riferimento ad una “minima unità effettuale” che imponeva la scissione del con- tratto in una fase di perfezionamento del contratto, dal punto di vista qualitativo e soprattutto quantitativo, e in un momento stabilizzatore che coinvolgeva i non assegnatari, peraltro even- tuale in quanto una mancata partecipazione degli stessi alla stipula non avrebbe impedito il passaggio dei beni all’assegnatario ma avrebbe avuto l’effetto di protrarre nel tem- po la caducabilità delle attribuzioni per effetto dell’azione di ri- duzione.
La trasposizione oggettiva di questa teorica presenta due filoni ermeneutici distinti, così enucleabili: da un primo punto di vista62, si ritiene che il patto di famiglia sia un contratto ca- ratterizzato da due distinte fasi attributivo-distributive, una in-
ter vivos, l’altra mortis causa. Secondo questa ricostruzione, il
primo momento attributivo atterrebbe alla stipulazione del pat- to alla presenza di tutti i legittimari, attraverso un’apertura del- la successione “simulata”: «si spiegherebbe, così, la facoltà di rinunciare in tutto o in parte alla liquidazione della quota di le- gittima (rectius alla pre-liquidazione) – rinuncia che nella prassi successoria spesso è esercitata dal coniuge superstite in favore dei figli – concessa ai partecipanti al contratto non assegnatari dell’azienda o delle partecipazioni societarie. L’imputazione alla quota di legittima delle somme o dei beni, assegnati ai parteci- panti al contratto, non destinatari dell’azienda o della gover- nance, ed il brevissimo termine di impugnativa (1 anno) del
62 Sostenuto da M.C. ANDRINI, op. cit., la quale fa leva sulla distinta
rilevanza dei legittimari sopravvenuti, i quali oltretutto non potrebbe- ro ottenere una liquidazione in natura, essendo destinatari di un di- ritto di credito ex lege.
contratto stesso, garantirebbero un’equa ripartizione dell’attuale patrimonio dell’imprenditore fra i legittimari non assegnatari, attraverso il meccanismo della compensazione at- tuale o differita del loro credito relativo alla legittima sull’azienda, con conseguente esclusione del ricorso alla colla- zione ed impossibilità di agire in riduzione, per assenza di le- sione»63. Il secondo momento attributivo atterrebbe invece alla fase post mortem, ovvero successiva alla morte del disponente: a partire da tale momento vengono in rilievo i soggetti che non hanno partecipato alla stipula, sia perché potrà essere mutata la compagine dei successori necessari a causa di sopravvenute nascite o nozze, sia perché occorre valutare quale sia per questi soggetti la parte di spettanza successoria. Orbene, secondo l’opinione dottrinale in esame, «con il patto di famiglia la quota di legittima pre-liquidata inter vivos non può essere computata al momento dell’apertura della successione, né, se nel frattem- po l’impresa ha avuto incrementi di valore anche notevoli, può essere chiesto un supplemento alla quota di legittima già per- cepita (liquidata, dice il legislatore all’art. 768-quater, comma 2). La quota cui avrà diritto il legittimario sarà infatti parziale, nel senso che riguarderà tutti gli altri beni facenti parte del patri- monio dell’imprenditore defunto ad eccezione dell’azienda, i cui conguagli sulla sua attribuzione sono già stati liquidati col pat- to di famiglia. Non è pertanto ipotizzabile una richiesta di sup- plemento di legittima, mentre è disciplinata una liquidazione retroattiva, con tanto di interessi legali, per quei legittimari che non hanno partecipato alla simulazione di successione». Tale tesi affonda le radici su almeno tre considerazioni ragionevoli:
in primis, essa considera essenziale il momento valutativo dei
cespiti, da cui discende la formazione delle quote astrattamente spettanti ai legittimari; in secundis, si pone l’accento sulla e- spressa rilevanza di soggetti i quali non hanno partecipato alla formazione del contratto, ma che sopravvengono alla stessa stipula64 in qualità di legittimari, cioè formalmente assimilabili a coloro che erano direttamente interessati dall’accordo con- trattuale; in terzo luogo, infine, viene effettuato un contempe- ramento tra le istanze equitative dei legittimari sopravvenuti e
63 M.C. ANDRINI, op. cit, la quale giustamente pone in risalto la neces-
sità di una perizia giurata di stima, che le parti dovranno accettare, la quale renda edotti i partecipanti della quantificazione economica dell’operazione. Sua è anche la citazione successiva, dove pone l’accento sulla distinzione tra legato in conto ed in sostituzione di le- gittima, con facoltà di supplemento o meno.
64 Si vedrà nel prossimo capitolo quali soggetti possono farsi rientrare
la tendenziale intangibilità delle attribuzioni: la disattivazione dei meccanismi opera fintantoché sono adempiuti gli obblighi imposti non solo dalla normativa, ma soprattutto da una fon- damentale esigenza di rispetto nei confronti di soggetti certa- mente vincolati dal patto, ma comunque meritevoli di tutela in caso di prevaricazioni. Nonostante le suddette valutazioni, da accogliere positivamente per la lucidità e profondità di pensiero, questa ricostruzione procedimentale presenta, a nostro avviso, due difetti non secondari: da una parte, essa muove dall’ipotesi di una successione simulata che richiama quella delazione an- ticipata già criticata nel primo capitolo e condivisibile soltanto laddove viene in considerazione l’esclusione definitiva – salvo inadempimenti – da rovesciamenti attributivi successivi. Non è, quindi, ravvisabile una deroga al principio di unità successoria, essendo il patto di famiglia un contratto inter vivos che realizza effetti traslativi di alcuni beni privilegiati dalla novella sulla scorta del particolare valore economico-sociale degli stessi. Da un secondo lato, la scissione dei due momenti, tra vivi e post
mortem, è innegabile ma può condurre a dissolvere l’unitarietà
strutturale del contratto: si pensi, per esempio, alle estreme conseguenze della mancata adesione al contratto di un legitti- mario sopravvenuto, qualora la si ritenesse necessaria nell’ottica di una formazione progressiva dell’accordo65. Questa teorica, dunque, surrettiziamente fa riferimento a una separa- zione di profili, all’interno della quale il primo rapporto rientra sempre nella fase inter vivos, mentre il secondo si dilata ben ol- tre l’apertura della successione: tale considerazione, in genera- le corretta66, rischia tuttavia di franare verso un collegamento contrattuale – o meglio una formazione progressiva del secondo rapporto distinta rispetto al momento attributivo – laddove non si ritenga il contratto vincolante verso l’esterno per effetto del giudicato sostanziale. Per questi motivi, il presente ramo della teoria oggettivamente procedimentale risulta solo parzialmente condivisibile.
65 In questo senso, il perfezionamento del contratto sarebbe protratto
indefinitamente con esiti a dir poco paradossali, senza considerare che la volontà di un solo legittimario potrebbe impedire il dispiegarsi degli effetti o caducarli.
66 Dal momento che la normativa senza dubbio, per ragioni sostan-
zialmente equitative, espande la rilevanza dell’efficacia transattiva ol- tre la morte dell’imprenditore, con una previsione liquidativa riferita al quantum stabilito in contratto la quale si innesta sull’accertamento definitivo per eredi e aventi causa.
Il secondo versante della teoria procedimentale oggettiva è altrettanto, se non maggiormente, carico di conseguenze ap- plicative: secondo i commentatori che vi aderiscono, il patto di famiglia sarebbe un procedimento caratterizzato da un colle- gamento negoziale tra due contratti, un’attribuzione a titolo gratuito essenzialmente bilaterale e un contratto stipulato tra l’assegnatario ed i legittimari con funzione solutoria, cioè diret- to a realizzare effetti ulteriori e distinti rispetto al primo con- tratto. Il collegamento, in quest’ottica, sarebbe da considerare necessario ai fini del perfezionamento del patto di famiglia inte- so come operazione complessiva, ma sarebbe ricavato attraver- so la ricostruzione della novella e della prassi stipulativa: risul- terebbe, cioè, meramente inespresso in quanto non esplicitato dal legislatore, il quale si limita, all’art. 768 quater, terzo com- ma, a enunciare la possibilità di un collegamento volontario subordinandolo a particolari requisiti. Collegamento necessario è quello fondato su una disposizione normativa – rectius, sulla natura del contratto per i profili che sono predisposti dalla leg- ge –, volontario è quello che ne prescinde, avendo a riferimento soltanto l’autonomia delle parti. Come si è enunciato in dottri- na, «nel collegamento necessario […] per volontà della legge manca il programma economico unitario concepito e perseguito dalle parti che, invece, costituisce il fondamento del collega- mento volontario»67. Orbene, nel caso del patto di famiglia parte
67 A. RAPPAZZO, I contratti collegati, Milano, 1998, pp. 26 ss., il quale
evidenzia inoltre che «le parti possono combinare tra loro diversi ne- gozi ovvero combinarli per l’utile e più conveniente raggiungimento dei loro obiettivi. […] Ciascun contratto collegato è un’entità distinta; ha una sua causa e, a differenza del contratto misto o complesso, le varie prestazioni trovano la loro base in ciascuno dei contratti […] nel cui oggetto rientrano». Diverso è il problema del nesso che lega i vari contratti: la dottrina distingue generalmente tra un collegamento ge- netico (ad esempio quello intercorrente tra il contratto preliminare ed il definitivo) e uno funzionale (ad es. quello che lega l’atto di convalida ad un contratto annullabile). Più marginalmente viene in rilievo un nesso riguardante gli effetti (es. procura e accettazione del procurato- re per esercitare i poteri). La linea di demarcazione tra le varie figure, come sottolinea C. COLOMBO, Operazioni economiche e collegamento negoziale, Padova, 1999, pag. 39, è tuttavia molto labile, quasi mobile. Secondo F. MESSINEO, voce Contratto collegato, Enciclopedia del diritto,
X, cit., pag. 51, il vero collegamento contrattuale è soltanto quello funzionale: nel caso di un collegamento genetico, infatti, una volta sorto il secondo contratto, il primo cessa di influenzarlo. Ad avviso di B. MEOLI, I contratti collegati nelle esperienze giuridiche italiana e fran-
cese, Napoli, 1999, pag. 23, il collegamento genetico «si verificherebbe in tutti i casi di “tipi di contratto che servono a predisporre la forma- zione di un altro contratto”»; quello funzionale nelle ipotesi in cui «l’interesse dei contraenti è realizzato attraverso la combinazione di
della dottrina fa notare, in particolare, che «la conclusione [… secondo la quale] “la partecipazione di ciascuno dei legittimari
in pectore esistenti pare configurata come elemento indispen-
sabile alla formazione della fattispecie” non pare plausibile. Ciò sia perché porterebbe alla configurazione dell'accordo sprovvi- sto del consenso dei legittimari non assegnatari quale contratto nullo – tale considerazione disattenderebbe la nozione di patto di famiglia che “limita” all'accordo fra disponente e assegnata- rio la fattispecie – sia in quanto appare contraria alle valuta- zioni per le quali la partecipazione dei soggetti in questione è “necessaria” esclusivamente al fine dell'adempimento degli ob- blighi legali liquidatori e, pertanto, della realizzazione degli ef- fetti di non soggezione delle assegnazioni all'azione di riduzione e alla collazione»68. Tale tesi presenta in definitiva vizi maggiori rispetto alla prima variante esaminata: essa si impernia su un dato legislativo alquanto labile per snaturare la configurazione strutturale dell’istituto e negare la plurilateralità dell’accordo sulla valutazione dei cespiti. Come si vedrà in seguito, l’eventuale collegamento volontario è utilizzabile soltanto in presenza dei medesimi soggetti che abbiano partecipato al pri- mo patto di famiglia “parziale”, compreso il disponente: dunque, tale opzione normativa sembra funzionale a consentire una formazione progressiva dell’accordo qualora non vi sia consen- so immediato in merito alla dazione di beni, specialmente in natura; d’altronde, la novella fa espresso riferimento ai beni as- segnati con il patto di famiglia in congiunzione alla considera- zione dei non assegnatari: non si tratta, quindi, dei cespiti pro- duttivi, ma di quelli diretti alla soddisfazione in natura del cre- dito liquidativo. Questa visione, in sostanza, anche se si propo- ne di agevolare la conclusione del patto di famiglia intendendo
due o più fattispecie negoziali». Particolare l’opinione di L. BIGLIAZZI
GERI – F. D. BUSNELLI (et al.), Diritto civile, I, t. 2, cit., pag. 752, per i
quali è configurabile anche un collegamento “misto” al tempo stesso genetico e funzionale.
68 Così G. BEVIVINO, op. cit., principale sostenitore della teoria in esa-
me. Secondo l’Autore, «la qualifica di “soggetti terzi” discende, infatti, non tanto dalla loro mancata partecipazione alla stipulazione del pat- to di famiglia quanto, piuttosto, dalla considerazione che il loro inter- vento è necessario e prescritto per la conclusione del negozio idoneo all'adempimento degli obblighi legali in capo all'assegnatario, e non, per come chiarito, del negozio individuato nei suoi tratti di autosuffi- cienza dall'art. 768-bis c.c.». Tale teoria, data la bilateralità cui fa rife- rimento, non sembra condivisibile. Pare configurare in senso ampio un procedimento negoziale anche M. AVAGLIANO, op. cit., spec. nota 9; R. SICLARI, op. cit., propugna una “procedimentalizzazione” del con-
l’attribuzione in chiave bilaterale, presenta il difetto, analogo a quello della tesi soggettiva della minima unità effettuale, di munire i non assegnatari, secondo la loro discrezionalità, degli strumenti di tutela successoria che la novella intende disattiva- re: a voler far cadere l’impianto della normativa, sarebbe suffi- ciente che essi non partecipassero al secondo contratto e, all’apertura della successione, impugnassero il patto di famiglia per annullarlo, come vorrebbe la teoria del contratto a favore di terzo. Questo versante della tesi procedimentale risulta critica- bile su più fronti, soprattutto dal lato della scissione dei con- tratti strutturalmente intesa, poiché non solo svilisce il ruolo dei legittimari in funzione esclusivamente solutoria, ma fran- tuma anche la causa complessa del patto per ciò che concerne la realizzazione unitaria della stessa, come se si volesse supe- rare l’atipicità dei contratti misti mediante una scissione di profili non prevista tipicamente dal legislatore – visione ovvia- mente errata, in quanto confonde due fenomeni ben distinti –69.
In ultima analisi, la tesi procedimentale obiettiva per- suade solo per poche argomentazioni generalmente condivisibili, soprattutto sul primo versante. La natura strutturalmente ne- cessaria del patto pare essere, in verità, quella di un contratto unitario e con pluralità di prestazioni, espressione dei due rap- porti principali in esso insiti; ciò non esclude, tuttavia, che vi siano modalità differenti di realizzazione della complessiva ope- razione, anche se si tratta di casi affatto particolari, giustamen- te presi in considerazione dalla novella per garantire una mag- giore possibilità di successo alla stipula e modellare il consenso secondo le concrete esigenze delle parti. Questi ultimi fenomeni saranno esaminati nei prossimi paragrafi.
69 Ciò non esclude un collegamento funzionalmente inteso non tra
contratti ma tra profili internamente attinenti alla causa: il nesso si realizzerebbe tra volontà, espressione del carattere individuale dell’operazione negoziale, e risultato perseguito, considerato oggetti- vamente. In questi termini G.B. FERRI, op. cit., pag. 254: queste rifles-
sioni inducono a tornare sul significato dell’effetto di esenzione da ri- duzione e collazione. Questo effetto, apparentemente qualificabile come legale, è invece strettamente collegato all’intera operazione e a- derisce alla commistione funzionalmente intesa dei rapporti, avente per oggetto immediato la distribuzione definitiva dei beni; dunque, il connotato volontaristico è rivolto teleologicamente alla realizzazione dello scopo complessivo ed è idoneo a fondare una visione non astrat- tamente intesa (effetto legale) ma considerabile in termini di autono- mia contrattuale (parte delle reciproche concessioni transattive).