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L’art 768 septies dispone che «il contratto può es sere sciolto o modificato dalle medesime persone che hanno

al patto di famiglia

3. L’art 768 septies dispone che «il contratto può es sere sciolto o modificato dalle medesime persone che hanno

concluso il patto di famiglia nei modi seguenti: 1) mediante di- verso contratto, con le medesime caratteristiche e i medesimi presupposti di cui al presente capo; 2) mediante recesso, se e- spressamente previsto nel contratto stesso e, necessariamente, attraverso dichiarazione agli altri contraenti certificata da un notaio». Questa previsione unifica ipotesi tra loro ben distinte sulla base di un nesso che le collega funzionalmente, ovvero avendo come parametro l’idoneità ad incidere sul patto di fami- glia dal punto di vista soggettivo e oggettivo56, sia che si versi in tema di scioglimento sia che si operi una modifica. Ragionando sistematicamente ed in via generale sulla disposizione, sembra che la novella abbia una limitata valenza precettiva, dato che gli interpreti rilevano che il risultato pratico sarebbe stato il medesimo «lasciando reagire il nuovo istituto e la disciplina che lo caratterizza con i principi generali del nostro ordinamento»57: alcuni commentatori, tuttavia, pongono in risalto il chiarimento operato dalla norma in direzione della natura inter vivos del patto di famiglia58, così come sulla ammissibilità del mutuo dissenso in relazione a un contratto a effetti reali59. A prescin-

56 Nella prima direzione, si pensi alla possibilità di allargare la schiera

dei legittimari contraenti senza attendere il funzionamento del mec- canismo ex art. 768 sexies; nella seconda, si ponga mente all’evenienza di un ramo d’azienda non considerato nel primo contrat- to, che si desidera trasferire mediante un nuovo patto di famiglia.

57 Cfr. G. PALERMO, op. cit., pag. 222, il quale si riferisce all’art. 1321,

nella parte in cui sancisce che le parti possono regolare i propri rap- porti mediante contratto, e anche alla previsione di un recesso con- venzionale, salvo le caratteristiche peculiari previste dalla novella.

58 Così, tra gli altri, G. CAPOZZI, op. cit., pag. 1495, che evidenzia la li-

nea di discrimine tra testamento e contratto.

59 Dubbioso tuttavia A. DI SAPIO, op. cit., in merito alla possibilità del

solo consenso di produrre l’effetto traslativo (per così dire) di ritorno. A. LUMINOSO, Il mutuo dissenso, Milano, 1980, pag. 259, configura il

dere dalla posizione che si assuma in merito ai problemi prece- dentemente elencati, la norma richiede che l’iniziativa sia as- sunta dalle medesime persone che hanno stipulato il patto di famiglia. Ciò induce a riflettere in due direzioni: nella prima, è opportuno chiarire che la legittimazione a sciogliere o modifica- re il contratto spetterà ai soli contraenti originari60; seconda- riamente, si ritiene unanimemente in dottrina che la morte del disponente imprenditore precluda ogni possibilità di applica- zione dell’articolo in esame, costituendo l’apertura della suc- cessione un limite temporale invalicabile per l’incisione volon- taria del congegno contrattuale61. Peraltro si rileva che, nel ca- so di decesso delle altre due categorie afferenti al patto, sarà necessario adottare soluzioni differenti: nel caso di sopravvenu- ta morte dei beneficiari, la dottrina si è schierata per la parte- cipazione dei loro eredi62, mentre nell’eventualità che vengano a mancare uno o più legittimari si valuta l’ipotesi di applicare analogicamente il disposto dell’art. 768 quater in tema di suc- cessivo contratto collegato, con la conseguenza che potranno partecipare coloro che hanno “sostituito” i legittimari, con la precisazione che la perdita della qualità di legittimario – per e- sempio per effetto di divorzio o di un disconoscimento di pater- nità – determinerà una riduzione del novero dei partecipanti necessari ai fini dell’articolo in esame63.

mutuo dissenso come «contratto in senso inverso con funzione elimi- nativa», ovvero un congegno contrattuale “a controvicenda” «sostan- zialmente caratterizzato da una retroattività c.d. obbligatoria e da un’eventuale revoca dei diritti trasferiti dal primo negozio». Diversa l’impostazione di D. RUBINO, La compravendita, Trattato Cicu – Mes-

sineo, cit., 1962, pag. 1024, il quale ritiene che il mutuo dissenso sia configurabile come un contratto estintivo delle obbligazioni sorte da precedente contratto; secondo S. ROMANO, La revoca degli atti giuridici

privati, Padova, 1935, pag. 59, «il mutuo dissenso è da riavvicinarsi, più che alla revoca, [...] al recesso […] che ha natura convenzionale»; contra G. PETRELLI, op. cit., secondo cui la norma non contiene ele-

menti per prendere posizione in merito alla vexata quaestio.

60 Modulando diversamente l’applicazione della norma a seconda delle

varie tesi prospettate e per le quali si rinvia al terzo capitolo. Ad avvi- so di G. PALERMO, op. cit., pag. 228, in caso di sopravvenienza di legit-

timari essi avranno a disposizione solo le tutele ex art. 768 sexies.

61 Su questa linea di pensiero G. PETRELLI, op. cit.; secondo G. DE NO- VA (et al.), op. cit., pag. 65, dal momento dell’apertura della succes-

sione i soggetti coinvolti potranno regolare i propri rapporti mediante una divisione transattiva oppure con un accordo di reintegrazione della legittima. Cfr., in aderenza a quanto prospettato nella trattazio- ne, anche l’opinione di A. L. BONAFINI, op. cit., pag. 1253.

62 G. DE NOVA (et al.), op. cit., pag. 66. 63 Così G. PALERMO, op. cit., pp. 227 ss.

La novella offre la possibilità di stipulare un diverso con- tratto di scioglimento o modificazione soltanto rispettando «le medesime caratteristiche e i medesimi presupposti» del patto originario. Particolari attenzioni sono state rivolte dai commen- tatori alla forma dell’atto pubblico presumibilmente richiesta anche per questo secondo contratto64: sembra d’altronde che il legislatore abbia, in questo contesto, preso posizione sulla que- stione attinente alla forma dei contratti funzionalmente collega- ti a quelli principali, negando, in accordo con la civilistica più tradizionale65, la libertà delle forme in questo specifico ambito. Non è da escludere, tuttavia, che in relazione a «piccole varia- zioni del patto, com’è nel caso di modifiche che non vanno ad incidere sui diritti dei partecipanti o dei terzi», ergo quando si sia in presenza di clausole non essenziali ai fini della «comple- tezza della dichiarazione»66, possa trovare applicazione il prin-

64 In questi termini anche B. INZITARI, op. cit., pag. 253.

65 Si può citare ad esempio F. SANTORO PASSARELLI, op. cit., pag. 218;

G. GALLONE, La forma del mutuo dissenso, in Studi in onore di Michele

Giorgianni, Napoli, 1988, pag. 257: «l’esigenza di forma si pone per la seconda dichiarazione negli stessi termini che per la prima». Diversa l’impostazione di F. VENOSTA, La forma dei negozi preparatori e revoca-

tori, Milano, 1997, pag. 206, che distingue tra negozio modificativo ed eliminativo: il primo «entra a far parte della fattispecie principale, ed è quindi soggetto ai medesimi requisiti di forma; mentre l’atto estintivo non lascia sopravvivere alcuno degli effetti della fattispecie principale».

66 Si esprime in questo modo G. PALERMO, op. cit., pag. 231. Cfr. D.

CLAPIZ, Forma dei negozi complementari e collegati, Rivista di diritto civile, 1992, pag. 746, che distingue tra clausole essenziali e accesso- rie, ritenendo che la simmetria formale sia indispensabile solo per il «contenuto minimo necessario e sufficiente a dar vita a un determina- to negozio giuridico». Si veda anche R. NICOLÓ, La relatio nei negozi

formali, in Studi in onore di Francesco Santoro-Passarelli, III, Napoli, 1972, pag. 538, da cui si desume che, oltre il contenuto minimo ne- cessario per la completezza della dichiarazione e l’idoneità a produrre l’effetto tipico, non dovrebbe essere negata la libertà delle forme an- che per i negozi formali, salve le limitazioni in materia di prova. Il problema della forma è stato affrontato in maniera suggestiva da N. IRTI, Studi sul formalismo negoziale, Padova, 1997, pp. 137 ss., di-

scorrendo di strutture forti (con forma scritta ad substantiam) e strut- ture deboli e criticando il principio di libertà delle forme, che esprime solo l’assenza di una norma e serve a designare le strutture deboli, le quali integrano fattispecie complete (a tre elementi strutturali: causa, oggetto e accordo) non suscettibili di analogia per ingabbiarle nei formalismi. Interessante anche la disamina di P. PERLINGIERI, Forma

dei negozi e formalismo degli interpreti, Napoli, 1987, pag. 45: «ogni come del diritto ha sempre un perché giuridicamente rilevante. […] La funzione di ricava non dalla previsione della “sanzione” nullità, ma dal necessario fondamento della previsione della forma», secondo un giudizio di idoneità fondato su gerarchie e valori. Autorevole dottrina (in particolare E. BETTI, Teoria generale del negozio giuridico, Napoli,

cipio di libertà delle forme. La modifica del patto di famiglia po- trebbe essere stimolata anche mediante una clausola di rinego- ziazione inserita nel patto originario, intesa come obbligo a trattare oppure direttamente come obbligo a rinegoziare, anche se quest’ultima ipotesi, ad avviso della dottrina maggioritaria, non può ricevere una tutela reale67. Si rileva, inoltre, in dottri- na che la normativa potrebbe aver dato risalto anche al fatto che il «sostrato economico sia rimasto sostanzialmente invaria- to, tale requisito risultando soddisfatto tutte le volte in cui l’azienda assegnata sia ancora in capo all’assegnatario e sia […] integra, ovvero la partecipazione sociale sia ancora dotata di una consistenza sufficiente a consentire la gestione dell’impresa»68, ma il dato non è pacifico, anche se fa perno su argomenti ragionevoli. Consensi maggiori suscitano invece due ulteriori asserzioni, secondo le quali, in primis, nell’alveo dei medesimi presupposti si dovrebbe far rientrare anche la com- patibilità con le disposizioni in materia familiare e le differenti tipologie societarie, soprattutto in punto di clausole di gradi- mento e prelazione69; secondariamente, e in maniera convin- cente, si fa notare che l’esenzione da collazione e riduzione do- vrebbe operare anche in direzione di questo ulteriore contratto, dato che si tratta di una previsione centrale all’interno del mec- canismo contrattuale70.

Il recesso convenzionale è previsto, invece, dall’ultima parte dell’art. 768 septies. Innanzitutto, occorre considerare che quest’ultimo fenomeno risulta differente rispetto a uno jus

variandi attribuito dagli altri partecipanti in capo al solo dispo-

nente71: ragionando diversamente si verrebbe ad attribuire

1994, pag. 250) distingue inoltre tra negozi modificativi e negozi mo- dificativi interpretativi, mediante i quali si attribuisca al contratto un’interpretazione diversa da quella originariamente accordata. Per questi ultimi, secondo l’Autore, non vi sarebbe necessità di limitare la libertà di forme, potendosi ipotizzare addirittura, ai fini suddetti, an- che una conclusione dell’atto per facta concludentia.

67 G. PALERMO, op. cit., pag. 233; si vedano in particolare le visioni

dottrinali di F. MACARIO, Adeguamento e rinegoziazione nei contratti a lungo termine, Napoli, 1996, pp. 419 ss., il quale ritiene che il contra- ente possa utilizzare lo strumento previsto dall’art. 2932 c.c.

68 G. PALERMO, op. cit., pag. 234.

69 Cfr. G. PETRELLI, op. cit., il quale invita a tener conto dell’eventualità

di un successivo contratto ai sensi dell’art. 768 quater, terzo comma.

70 G. DE NOVA (et al.), op. cit., pag. 58, che si basa sull’applicabilità

pervasiva del “microsistema” di tutele e di obblighi apprestati dalla novella.

71 Tale ipotesi sembra invece apprezzata da G. DE NOVA (et al.), op. cit.,

all’imprenditore un potere tendenzialmente indefinito nel con- tenuto, il quale peraltro non sarebbe nemmeno lontanamente assimilabile a un eventuale assenso delle parti rispetto a una futura modificazione del regolamento contrattuale, già esplici- tata nelle nostre precedenti riflessioni. Orbene, chiarito questo aspetto, la normativa prevede l’eventualità di un diritto di re- cesso inserito nel contratto per volontà delle parti – quindi non

ex lege – da esercitare per le finalità più varie: si può pensare,

ad esempio, a un imprenditore che desideri saggiare le capacità imprenditoriali del discendente e che si riservi la facoltà di so- stituirlo72, così come si è ipotizzata anche la necessità di attri- buire rilevanza a fenomeni peculiari, quali la sopravvenienza di figli del disponente oppure la sopravvenuta perdita di capacità d’agire da parte degli assegnatari73. La dottrina pressoché una- nime ritiene che la previsione in esame costituisca – in linea di assimilazione rispetto al fenomeno giuridico del mutuo dissen- so74 – indice di ammissibilità del recesso da un contratto a ef-

riserva. Cfr. anche A. BUSANI, in Patti di famiglia per l’impresa, cit., pag. 392. Si veda il contributo di F. VOLPE, Il recesso nel patto di fami-

glia, Famiglia, persone e successioni, 2012, pag. 588, per il quale oc- corre distinguere il recesso “modificativo” (inteso come diritto di op- zione a effettuare modifiche unilaterali all’accordo iniziale, criticato nella trattazione a causa dei facili abusi che può comportare) rispetto a quello “eliminativo” (configurato come estensione della regola legale prevista dall’art. 1373). Bisogna comunque considerare che le stesse problematiche emergerebbero anche se si attribuisse un potere modi- ficativo unilaterale a un contraente che non fosse l’imprenditore.

72 Questo risulta il caso maggiormente interessante per i commenta-

tori, e anche quello suscettibile di verificarsi con più frequenza. Si se- gnala in proposito la visione di B. INZITARI, op. cit., pag. 255, secondo

cui la potenziale configurazione del patto quale contratto a esecuzione differita agevola questa ricostruzione.

73 In tal senso M. COGNOLATO, La nuova disciplina dei “patti di fami- glia”: tratti essenziali e principali problemi, Studium iuris, 2006, pag. 780.

74 Idea radicata profondamente nel pensiero della dottrina: E. GA- BRIELLI – F. PADOVINI, voce Recesso, in Enciclopedia del diritto, XXXIV,

cit., 1988, pag. 28, evidenziano questo nesso, ritenendo che l’accordo per attribuire il potere di recedere si configuri come “opzione di mu- tuo dissenso”; analogamente, E. GABRIELLI, Vincolo contrattuale e re-

cesso unilaterale, Milano, 1985, pag. 66; ID., Il rapporto giuridico pre-

paratorio, Milano, 1974, pp. 82 ss. Non concorda con questo assunto M. FRANZONI, Degli effetti del contratto, I, cit., pp. 342 ss., che aderisce

alla tesi del recesso come atto unilaterale, a differenza del mutuo dis- senso inteso come autonomo contratto. Nella stessa linea di pensiero E. RAVERA, Il recesso, Milano, 2004, pag. 174: «mentre [il recesso] de-

termina solamente lo scioglimento del vincolo, il mutuo dissenso, in quanto contratto, consente di regolare anche effetti e modalità dell’estinzione dell’atto sottostante».

fetti reali in tutto o in parte eseguiti75: in ogni caso, a prescin- dere dal fatto che si aderisca a tale teorica, il diritto dovrà esse- re esercitato in un tempo ragionevole, avendo riguardo alla na- tura e all’oggetto del contratto, «adeguatamente coordinati al principio di esecuzione secondo buona fede»76, non tenendo in considerazione il soggetto che decida di recedere. A quest’ultimo proposito, alcuni commentatori hanno ritenuto – con nobile intento, principalmente per salvaguardare la stabili- tà del contratto – che il recesso esercitato dai legittimari non assegnatari, a differenza delle due rimanenti possibilità, non determini lo scioglimento del contratto. Nonostante uno spirito favorevole alla stabilità del patto, questa tesi risulta poco con- vincente su più fronti: innanzitutto, fa leva sulla natura non essenziale della partecipazione dei legittimari ai fini del perfe- zionamento del patto, da noi rigettata; inoltre essa propugna,

75 Un indizio, a ben vedere, poteva essere rinvenuto nel quarto com-

ma dell’art. 1373, il quale prevede la derogabilità per opera delle parti del primo comma della stessa disposizione (ove si sancisce che il re- cesso può essere esercitato in quanto il contratto non abbia avuto un principio di esecuzione). Parte della dottrina, in particolare G. OPPO, op. cit., pag. 444, è tuttavia restia a legittimare il recesso dal patto una volta che le parti abbiano cominciato l’esecuzione degli obblighi ivi previsti. Interessante notare che ad avviso di M. GIROLAMI, Risolu-

zione, mutuo dissenso e tutela dei terzi, Rivista di diritto civile, 2009, pag. 209, è esclusa la possibilità per le parti di una donazione di pre- vedere il recesso convenzionale: ciò conduce a escludere la tesi dona- tiva del patto di famiglia. Peraltro, secondo M. FRANZONI, op. loc. ult. cit., pag. 419, il recesso non è ammissibile nemmeno nella transazio- ne, perché non si capirebbe se le parti abbiano avuto intenzione di prevenire o evitare la lite. Ad avviso di M. MORETTI, Lo scioglimento u- nilaterale della transazione, in Recesso e risoluzione nei contratti a cura di G. De Nova, Milano, 1994, pp. 962 ss., «un conto è subordi- nare gli effetti di un contratto – sia pure una transazione – al verifi- carsi di un fatto futuro ed incerto, anche se l’avvalersi di tale clausola è discrezionalmente rimesso ad una parte, altra è consentire alla stessa di liberarsi dal vincolo contrattuale». Con riferimento al patto di famiglia, può forse spiegarsi la previsione del recesso con l’intento delle parti di prevenire la lite, in assimilazione a una sorta di tregua molto forte che non elimina i margini di conflitto ma li congela; inoltre, se la clausola è prevista con l’accordo di tutti i contraenti, non si vede perché non si possa operare alle condizioni precisate nella nostra trattazione, pur con tutte le ordinarie garanzie.

76 Si veda, per tutti, M. FRANZONI, op. loc. ult. cit., pag. 389, il quale

considera inefficace (in quanto contrastante con la buona fede) il re- cesso esercitato oltre un tempo da ritenersi ragionevole (da stimare in relazione alla natura e all’oggetto del contratto). Si veda anche M.C. CHERUBINI, in Commentario al codice civile, II, Torino, 2011, pag. 669,

che rileva la necessità di un termine finale determinato o determina- bile per l’esercizio del diritto. Cfr. in proposito Cass. sez. civ., sent. 7579/1983

nel caso in esame, la rivitalizzazione dei rimedi successori quali la collazione e la riduzione77, cosicché – paradossalmente – si produrrebbe in questo caso una situazione di incertezza; deci- siva si rivela poi, ponendo mente alla concretezza della contrat- tazione, la circostanza per la quale il recesso è previsto in ac- cordo con la volontà di tutti i partecipanti ed è opportuno, quindi, assicurare la stessa forza ad ogni esercizio di recesso. Un dilemma ulteriore è, infine, quello che concerne la c.d. certi- ficazione notarile, richiesta espressamente dalla novella in me- rito alla dichiarazione di recesso indirizzata agli altri contraenti, ovviamente a fini di conoscibilità. La dottrina che ravvisa una deteriorità nell’esercizio del diritto operato dai non assegnatari ritiene, muovendo dall’inciso “dichiarazione certificata” – obiet- tivamente espressione non cristallina della normativa –, che sia ammissibile, quantomeno in relazione ai legittimari, l’utilizzo di una scrittura privata autenticata78. Tuttavia, anche in conside- razione delle motivazioni addotte in precedenza su un argo- mento affine, si ritiene in questa sede di condividere le posizio- ni della dottrina maggioritaria79, la quale, simmetricamente, ravvisa la necessità della forma solenne non soltanto qualora il recesso sia operato dal disponente o dall’assegnatario, ma an- che nel caso di un altro legittimario recedente.

4.

In questo capitolo trovano spazio anche fenomeni che possono essere considerati soltanto in senso ampio atti-

77 Cfr. G. PETRELLI, op. cit., che menziona anche gli obblighi restitutori

in capo ai recedenti, escludendo peraltro l’accrescimento della liqui- dazione a favore degli ulteriori legittimari. Sulla stessa linea interpre- tativa anche G. DE NOVA (et al.), op. cit., pag. 78.

78 Così ritiene G. PALERMO, op. cit., pag. 240, anche in base alle modi-

fiche, abbastanza recenti, dell’art. 28 della legge notarile in punto di autenticazione delle scritture private.

79 Tra gli altri si segnalano A. L. BONAFINI, op. cit., pag. 1258; A. DI

SAPIO, op. cit., il quale critica la scelta italiana poco chiara, la quale si

ispira al modello tedesco che conosce la “certificazione notarile”; G. PETRELLI, op. cit., che distingue, nell’ordinamento tedesco, tra “Nota- riellen Beurkundung” e “amtliche Beglaubigung”, dal momento che la prima impone al notaio anche un controllo sulla conformità del contenu- to dell’atto al volere delle parti mentre la seconda si limita all’autenticazione del documento o della firma; F. DELFINI, op. cit., pag.

514, il quale legge la disposizione come se dicesse «mediante atto pubblico recettizio». Un problema soltanto sommariamente affine è quello affrontato da F. PENE VIDARI, in Patti di famiglia per l’impresa,

cit., pp. 264 ss., per quanto attiene all’opponibilità del recesso in re- lazione alle differenti tipologie di beni inserite concretamente nel patto di famiglia.

nenti alle patologie e sopravvenienze del patto di famiglia: l’esenzione80 da collazione e riduzione, così come l’imputazione

ex se, rappresentano infatti il nucleo fondante della stabilità81 dell’istituto, soprattutto in seguito all’apertura della successio- ne. Data la tecnicità dei temi trattati, si ritiene opportuno deli- neare, per ognuno dei suddetti istituti, una qualificazione gene- rale al fine di calarsi nelle tematiche del patto e coordinare i ra- gionamenti in maniera sistematica: in via preliminare è d’uopo, in ogni caso, riferirsi alla suggestiva immagine dei “comparti- menti stagni”82, teorizzata in dottrina per descrivere la chiusu-

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