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Una parte non trascurabile dei commentatori del la legge 55/2006 considera il patto come un atto avente «natu-

l’oggetto “tridimensionale” del patto di famiglia

3. Una parte non trascurabile dei commentatori del la legge 55/2006 considera il patto come un atto avente «natu-

ra giuridica autonoma, quale contratto sui generis idoneo a produrre effetti suoi propri, non assimilabili a quelli dei men- zionati contigui istituti»31. Questa linea di pensiero si innesta su un filone dottrinale, ormai avallato anche dalla giurispru- denza di legittimità32, che propugna l’autonoma rilevanza entro determinati rapporti, segnatamente gli accordi in sede di sepa- razione e divorzio, di una causa definibile come “separandi”, o, in senso ampio, familiare: le parti, dunque, attraverso il conge- gno negoziale ex artt. 768 bis e seguenti, intenderebbero rego- lamentare i futuri assetti successori in ordine a determinati ce- spiti, proprio come accade nel caso di disgregazione familiare in esito a separazione o divorzio. Prima di addentrarci nell’esame della presente teoria, occorre tracciare una linea di discrimine tra due varianti della stessa: si può, cioè, separare una versio- ne più prudente e, in definitiva, meramente cognitiva, rispetto a una ricostruzione più audace e carica di conseguenze a livello applicativo o sistematico. Procedendo con ordine dalla prima tesi, il problema iniziale che si pone di fronte all’interprete, an- cor prima di saggiarne la validità argomentativa sostanziale, è

terzi «sarebbe un contratto causale, la cui causa è costituita da quella del contratto (tipico o atipico) concluso tra lo stipulante ed il promit- tente, al quale accede una clausola accessoria che appunto attribui- sce al terzo beneficiario la prestazione del promittente, clausola che tuttavia non sarebbe idonea ad influenzare la causa del contratto a favore di terzi».

31 F. TASSINARI, in Patti di famiglia per l’impresa, cit., pag. 166; altri

Autori sottolineano la medesima peculiarità causale: si vedano G. RIZZI, I patti di famiglia. Analisi dei contratti per il trasferimento

dell’azienda e per il trasferimento di azioni societarie, Padova, 2006, spec. pag. 8, secondo il quale rientra nella sfera funzionale anche quella di regolamentare preventivamente i rapporti successori dell’imprenditore, posizione in parte assimilabile a quella esposta nel prossimo paragrafo; P. VITUCCI, Ipotesi sul patto di famiglia, cit., pag.

448; A. VALERIANI, in Patti di famiglia per l’impresa, cit., pag. 119; con

opinione molto particolare M.C. ANDRINI, Il patto di famiglia: tipo con-

trattuale e forma negoziale, cit.

32 Cfr. Cass. sez. civ., sent. 3940/1984, secondo cui «ciascuno dei co-

niugi ha il diritto di condizionare il proprio consenso alla separazione personale a un soddisfacente assetto dei propri interessi economici, sempre che in tal modo non si realizzi una lesione di diritti inderoga- bili».

quello di comprendere fino a che punto vi sia unitarietà di cau- sa: la sensazione è che gli Autori che sostengono la presente teoria mascherino una commistione indecifrabile anche sul versante delle conseguenze attraverso un telo che tutto copre, senza che possa stabilirsi fino a che punto una certa disciplina sia applicabile o meno. Due valutazioni, su tutte, possono scio- gliere alcuni nodi al riguardo; in primis, secondo alcuni inter- preti33, il patto di famiglia avrebbe natura liberale, secondo al- tri34, invece, a questa si aggiungerebbe un connotato divisorio, cosicché la pretesa unità funzionale sembra sin d’ora una valu- tazione poco lineare; in secundis, appaiono evidenti le sfumatu- re scettiche del pensiero di alcuni esponenti della dottrina, per esempio laddove si afferma, a nostro avviso con margini di vali- dità, che il legislatore «non è arrivato [… ad attribuire all’istituto] una causa unitaria, stante la funzione di regola- mentare il futuro assetto successorio dell’azienda o della gover-

nance, utilizzando quella causa familiae da tempo individuata

dalla dottrina», e ciò costituisce un formidabile freno, poiché «solo nell’ottica della causa familiae era ipotizzabile l’inserimento della nuova normativa del patto di famiglia tra gli strumenti a disposizione del testatore per realizzare un’assegnazione preferenziale dei beni o delle partecipazioni societarie oggetto di attività produttiva»35: allora – potrebbe o- biettarsi – si giungerebbe al caso limite, a nostro modo di vede- re assolutamente non rispondente all’istituto in esame, di “di- sposizioni senza norme”, cioè il cui «contenuto normativo, se mai sussiste, è tuttavia incomprensibile, non è suscettibile di identificazione in sede interpretativa»36. Abbandonando questo sentiero spinoso ed impervio, segnaliamo che la teoria della quale stiamo discorrendo appare talmente generica da non po- ter fungere da utile supporto per gli operatori giuridici: essa appare, agli occhi di chi scrive, come una sorta di logica prose- cuzione dei ragionamenti attorno agli strumenti di trasmissione della ricchezza familiare, forse in linea di assimilazione al trust, ovvero nell’ottica di una separazione patrimoniale, piuttosto che di un regolamento di interessi non più condivisi. In questo

33 Si veda, tra gli altri, F. TASSINARI, op. cit., ibidem. 34 Su tutti G. RIZZI, op. cit., ibidem.

35 Così M.C. ANDRINI, op. cit., la quale aggiunge: «la causa familiae a-

vrebbe potuto consentire perfino che [il conguaglio], che l’art. 768 - quater prevede possa esser fatto, convenzionalmente, anche in natura, fosse operato dallo stesso imprenditore o dal coniuge, con beni propri, superando così la problematica fiscale delle masse plurime, in virtù di una sistemazione contrattuale generale degli assetti familiari».

senso la tesi è accettabile, ma non si può dire altrettanto per quanto concerne il risvolto funzionale dei ragionamenti dei vari Autori: essi si soffermano sulle ombre, anziché sulle luci “cara- vaggesche” del patto, tendendo a mescolare i colori della causa, cosicché alla fine dell’operazione non rimane altro che una fi- gura sfocata, di cui si percepiscono in nuce caratteri peculiari, purtroppo ormai indistinguibili.

Rivolgiamo lo sguardo all’opposta sponda della teoria in esame, id est al versante maggiormente pregno di riflessi pratici. Ebbene, parte alquanto minoritaria della dottrina sostiene con vigore una teoria particolare, ovvero che il patto di famiglia sia un contratto con causa di successione37: questa teorica – lo si comprende – poggia le proprie fondamenta su una soluzione dei problemi di teoria generale dell’istituto totalmente differente rispetto a quella assunta nel primo capitolo di questa trattazio- ne. L’aspetto più evidente è il seguente: all’esito delle nostre analisi si era giunti alla conclusione che il patto non rientrasse nell’alveo dei patti successori, mentre questa tesi lo afferma a viva voce, o per meglio dire trae da questo assunto la propria vitalità. Conveniamo in questa sede di segmentare la presente teoria in due filoni che presentano molti caratteri comuni e al- cuni distinti: un primo ramo38 c.d. forte dal lato applicativo, ma debole da quello sistematico; un secondo ramo39, invece, debole dal lato applicativo, ma sistematicamente forte40. Il dato di fon- do di entrambe le prospettazioni è reso palese da questa affer- mazione: il patto è «funzionalmente destinato a regolare la suc- cessione nell’azienda o nelle partecipazioni senza incorrere nel divieto posto altrimenti dall’art. 458 c.c.»41. Prima facie questa asserzione non sembra irragionevole, in particolar modo se si espunge il riferimento alla funzione e lo si sostituisce con un più opportuno richiamo alla ratio legis. Ciononostante le due tesi presentano un connotato diverso, che qui si è cercato di manifestare attraverso la scissione di due elementi, a nostro

37 Ancorché sia da codesti Autori riconosciuta la natura di atto inter vivos del patto di famiglia, non si rinviene contraddizione se si pone mente al fatto che solo il patto successorio istitutivo, a differenza de- gli altri due, è un atto a causa di morte: v. retro cap. I, § 5.

38 Riconducibile a G. SICCHIERO, La causa del patto di famiglia, Con-

tratto e impresa, 2006, pp. 1261 ss.

39 Si veda A. ZOPPINI, in Patti di famiglia per l’impresa, cit., pp. 270 ss. 40 La nostra ricostruzione pare utile in senso descrittivo, anche se

presenta il limite intrinseco di separare la dirompenza applicativa dell’istituto dall’armonia del sistema civilistico. Ovviamente, si speci- fica, essa non ha pretese di innovazione dogmatica.

parere focali, di entrambe; la prima teoria porta alle estreme conseguenze il profilo funzionale del patto, valutato così pecu- liarmente, giungendo financo a teorizzare la diretta applicabili- tà al nostro istituto della disciplina del libro secondo del codice: «sicuramente il patto di famiglia non è soggetto alle regole for- mali del testamento, ma ciò non significa che, appunto verten- dosi in tema di successioni sia pure regolate per contratto, non trovino applicazione le relative regole»42. A livello sistematico questa interpretazione non presenta risvolti dirompenti, dal momento che essa sfrutta le categorie ormai consolidate della civilistica italiana e non intende stravolgerle. Il secondo filone di pensiero mostra caratteri invertiti: da un lato, infatti, esso si rifugia in sede di applicazione – e quindi di redazione materiale dell’atto –, probabilmente in maniera camaleontica, nella strut- tura divisionale43 dell’istituto, e per questo motivo si è convenu- to di definirlo “debole”; dall’altro lato, esso esibisce una certa forza entro gli ingranaggi del sistema successorio, poiché fa le- va sulla ricostruzione del patto di famiglia quale fenomeno a- scrivibile alla categoria della “successione anticipata”, già am- piamente criticata nel primo capitolo44, la quale pretende di e- spandere i confini della successione mortis causa, soprattutto sul versante temporale.

Questa variante della causa familiare del patto mostra i propri limiti con tutta evidenza, non apparendo utile ai fini ap- plicativi e pretendendo, talora, di introdurre nel panorama dot- trinale nuove concezioni, che riteniamo essere frutto di forzatu- re ingiustificate. Sorge a questo punto una domanda: codesta opinione ermeneutica deve essere scartata in maniera definiti-

42 G. SICCHIERO, op. cit., ibidem. Questa presa di posizione non sem-

bra molto chiara: in effetti, all’interno della disciplina del capo V-bis si accenna a istituti tipici del libro secondo del codice ma, preso atto di questo aspetto, la conclusione non sequitur, poiché cercare di co- gliere la natura ontologica del patto da singole, ed isolate, parti dello stesso appare, francamente, operazione mistificante, a meno che con questa affermazione non si voglia invitare, genericamente, a tener presente che vi sono indubbie interferenze tra le varie regioni del co- dice civile.

43 Cfr. A. ZOPPINI, op. cit., pag. 275, secondo il quale «sul piano causa-

le, il patto di famiglia realizza un trasferimento in funzione successo- ria avente struttura divisionale, ciò che giustifica la collocazione topo- grafica nel codice». Questa affermazione si è definita camaleontica, perché tende a effettuare una commistione della struttura divisoria con la funzione successoria, così rendendo indistinguibili i singoli componenti: emerge, in tal modo, una differenziazione rispetto alla pura unitarietà funzionale dell’opposta versione.

va? A nostro avviso questa concezione ha il merito di manife- stare un dubbio, ossia se il legislatore abbia avuto l’intenzione di riformare interamente il sistema successorio italiano, oppure abbia posto in essere un congegno – che possiamo definire con- servatore – mediante il quale raccogliere le istanze di trasmis- sione, senza sovvertimento del diritto ereditario: una volta op- tato per la seconda soluzione, non rimane che concordare sul fatto che, sebbene il patto di famiglia non presenti una causa successoria come da alcuni prospettata, la ratio legis appare improntata sicuramente a raffigurare profili posti in discussio- ne soltanto al momento dell’apertura della successione, come evidenziato dalla disciplina espressa di alcuni istituti tipici del libro secondo del codice45. Giunti al termine dell’analisi di que- sta ricostruzione funzionale, bisogna osservare che la volontà di ricondurre il patto entro uno schema causale sintetico – con suggestione filosofica si direbbe “sincretico” – mostra palesi se- gni di cedimento alle proprie basi, tendendo a deviare i ragio- namenti verso aspetti diversi, probabilmente perché – e questo dato non può essere negato – i vari Autori esaminati intendono soltanto segnalare una particolarità di fondo dell’istituto, ade- rendo, tuttavia, a prospettazioni talvolta semplici, talaltra miste del patto.

4.

La maggior parte dei commentatori della riforma46

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