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CAPITOLO IV – I REGIMI PUBBLICI DI SOSTEGNO ALLA PRODUZIONE

4.6. Gli aiuti di Stato per la tutela dell’ambiente

Per concludere la disamina sugli strumenti a sostegno della produzione di energia alternativa, non si possono trascurare i meccanismi sottesi alla disciplina comunitaria degli aiuti di Stato per la tutela ambientale. La disciplina in questione, contenuta nella comunicazione della Commissione Europea 2008/C 82/01 e pubblicata sulla Gazzetta ufficiale dell’Unione Europea il primo aprile 2008, introduce molteplici spunti di analisi su temi ambientali, tra i quali quello prioritario dell’energia, anche a seguito dell’impegno del Consiglio Europeo di ridurre nell’Unione le emissioni di gas serra di almeno il 20% entro il 2020.

297 Per ciò che riguarda i RECS ed i principi del green pricing, per uno studio

approfondito si rinvia a V. Brandi, Una prezzo speciale per l’energia elettrica verde, Enea, Roma, 2004.

298

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Di fronte ad una accertata inadeguatezza degli strumenti prevalentemente sanzionatori per il perseguimento delle istanze ambientali all’interno dei processi produttivi nonché, specularmente, a fronte del constatato fallimento dei mercati soprattutto in tema di competitività, la Commissione rileva l’opportunità di introdurre principi e metodi finalizzati a garantire un livello di tutela più elevato attraverso la predisposizione di incentivi positivi che vadano sia ad incoraggiare quelle attività non obbligatorie ma che non sarebbero altrimenti realizzate dalle imprese che perseguono attività di lucro, sia a correggere i meccanismi patologici di mercato che ostacolano la tutela ambientale299.

La disciplina, pertanto, intende proporre una metodologia di calcolo dei costi ammissibili al finanziamento pubblico nell’ambito degli investimenti materiali per impianti di produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili, a cui applicare l’ammontare dell’aiuto previsto dalla disciplina comunitaria in materia. In particolare, affinché l’aiuto di Stato risulti compatibile con il mercato comune interno ai sensi dell’articolo 107, comma 3 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (in passato art. 87, paragrafo 3, lettera c. del trattato CE), devono essere soddisfatte alcune condizioni connesse tanto all’intensità dell’aiuto, quanto alla determinazione dei costi ammissibili300. Pertanto, partendo dal presupposto che questi ultimi rappresentano i sovraccosti sostenuti dall’imprenditore rispetto a quelli che caratterizzano

299

Sul punto cfr. 2008/C 82/01, par. 1.3.3., pt. 23-26; par. 1.4, pt. 38-41; par.5.2.1.1, pt. 167-168. Per la dottrina v. G. Bonardi, C. Patrignani, Energie alternative e rinnovabili, Ed. Ipsoa Indicitalia, 2010, pag. 623 e sg.

300

A riguardo cfr. il Regolamento CE n. 800/2008, artt. 17 e sg., sulle categorie di aiuti compatibili con il mercato comune.

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l’investimento per un impianto alimentato da fonti tradizionali di pari capacità in termini di produzione effettiva di energia301, l’intensità dell’aiuto non deve superare il 60% dei costi ammissibili salvo che per le piccole imprese, a favore delle quali è previsto un accrescimento dell’aiuto del 20% e per le medie imprese, rispetto alle quali l’intensità di aiuto può essere aumentata di 10 punti percentuali302.

Nel solco di modernizzazione delle politiche europee in materia di incentivazione delle fonti rinnovabili, la Commissione ha deciso di riesaminare gli orientamenti UE in tema di aiuti di Stato per la tutela ambientale e di conseguenza rivedere o correggere le regole previste dalla disciplina vigente anche attraverso l’ausilio dei risultati del sondaggio avviato al fine di acquisire le valutazioni relative alle esperienze concrete dei soggetti interessati303.

301

Sulla definizione cfr. 2008/C 82/01, par. 1.3.5. pt. 30-35. Per quanto riguarda la biomassa, la disciplina europea calcola il costo ammissibile all’aiuto in 558,87 Euro per KW installato.

302

Per quanto riguarda la determinazione dell’ammontare degli aiuti v. 2008/C 82/01, par. 3.1.6.1, pt. 102-106. Sulla definizione di piccola e media impresa v. 2008/C 82/01, par. 2.2, pt. 70, n. XVI che rinvia alle definizioni di cui all’Allegato 1 del Regolamento CE n. 70/2001. L’art. 1 del menzionato Allegato 1 prevede che debbano essere definite medie, le imprese che hanno meno di 250 dipendenti e, al contempo, possiedono un fatturato inferiore ai 40 milioni di Euro o un bilancio annuo non superiore a 27 milioni di Euro. Lo stesso articolo considera come piccole, le imprese che impiegano meno di 50 dipendenti e possiedono un fatturato annuo non superiore a 7 milioni di Euro oppure un bilancio annuo inferiore a 5 milioni di Euro.

303 Sul punto cfr. Tutela ambientale: l’Ue rivede gli aiuti di Stato, Bruxelles, 31

luglio 2012, articolo a cura di Rinnovabili.it, in http://www.rinnovabili.it/ambiente/tutela-ambientale-lue-rivede-gli-aiuti-di- stato39259/

188

C

COONNCCLLUUSSIIOONNI I

I due temi che accompagnano costantemente il dibattito sulle biomasse, intese come fonti energetiche, sono, da un lato, quello che concerne la loro definizione, o meglio il novero dei materiali e delle sostanze idonee a costituire biomassa alla luce del dettato legislativo e, dall’altro lato, quello riguardante il sistema autorizzatorio per la realizzazione di impianti deputati alla loro trasformazione energetica e le politiche incentivanti delineate per la promozione allo sviluppo dei medesimi.

Se questi due temi rappresentano il punto focale della riflessione giuridica attuale, non si può negare l’emersione di un ulteriore fenomeno strettamente connesso all’utilizzo della biomassa, fenomeno che, negli ultimi tempi, ha conosciuto un’espansione inaspettata, tanto da attirare l’attenzione di tutti gli operatori giuridici. Si fa riferimento alla questione relativa all’impiego del territorio, sia in ragione della ormai diffusa pratica di dare vita a colture espressamente dedicate all’ottenimento di materia prima come fonte di energia, sia al dato incidente sull’attività di individuazione delle aree non idonee all’installazione di impianti a biomasse.

Per quanto riguarda la questione definitoria, non è possibile fare a meno di sottolinearne, anche in questa sede, la complessità. Come si è visto304, nonostante l’esistenza di una definizione generale, la biomassa non costituisce una categoria fissa di elementi o materie determinabile

a priori

. Questo sembra dovuto a due principali fattori. Quanto al primo, basti considerare il dato fattuale ricavabile in concreto dalla considerazione che la

304

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biomassa corrisponde a tutto ciò che ha natura biologica ed origine organica: un dato estremamente esteso, che non aiuta a restringere i confini utili per una definizione giuridica puntuale di biomassa. Dall’altro lato, e stavolta in una dimensione strettamente giuridica, giova evidenziare che uno stesso materiale può essere classificato in modo differente a seconda del suo stato o della sua finalità, con la conseguenza che tale diversificazione comporta normalmente anche l’applicazione di una disciplina giuridica distinta. La circostanza appena delineata comporta che le biomasse non solo non possono, ma non dovrebbero neanche avere una disciplina uniforme, alla luce del loro diverso atteggiarsi nei confronti dei requisiti giuridici richiesti ai fini dell’inclusione dei materiali in una o nell’altra categoria.

Tuttavia, se una diversificazione della disciplina sembra opportuna, questo non significa che tale circostanza non conduca ad una serie di problematiche, di natura, peraltro, più applicativa che teorica. Così, un impianto che utilizza una biomassa-prodotto avrà una gestione differente rispetto ad un altro impianto che invece sfrutta il potenziale energetico di una biomassa-rifiuto biodegradabile. Se, poi, lo stesso impianto impiega sia la biomassa-prodotto che la biomassa-rifiuto biodegradabile, questo dovrà attenersi ai dettami delle due relative discipline, che non sono solo differenti, ma risultano spesso contrapposte.

Il quadro viene ulteriormente complicato, come si è visto, dalla presenza di diverse definizioni di biomassa, ognuna delle quali risulta vincolante per l’ambito di applicazione della disciplina a cui fa riferimento305.

305

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Quindi non solo la categoria “biomasse” non conosce una delimitazione precisa data l’eterogeneità dei materiali ad essa riconducibili, ma si presta pure a subire ulteriori modificazioni in virtù di quanto previsto da alcune discipline settoriali. Così, ad esempio, al procedimento di autorizzazione all’esercizio di un impianto a biomassa fa capo una definizione diversa da quella prevista per l’autorizzazione alle emissioni in atmosfera, che a sua volta risulta dissimile da quella relativa all’incentivazione della fonte.

La constatazione dell’esistenza di un tale articolato panorama rende necessaria un’attenta osservazione da cui far discendere quelle considerazioni connesse ai numerosi profili di incertezza che ne risultano. Prima di tutto, un così difficile e macchinoso sistema non giova allo sviluppo nell’impiego della biomassa come fonte di energia, che pur costituisce scopo primario delle politiche energetiche intraprese sia a livello internazionale che comunitario. Infatti, gli operatori vengono, di fatto, disincentivati dal procedere alla realizzazione di centrali, in quanto non sono in grado di predeterminare con certezza né gli esiti delle procedure autorizzatorie o di accesso ai sistemi di sostegno, né, di conseguenza, il destino del loro investimento.

A queste difficoltà vanno aggiunte quelle provenienti dalla dimensione sociale. È nota ormai la sindrome che va sotto il nome di NIMBY, acronimo di

“not in my back yard”.

Ebbene, questa sindrome, che si manifesta soprattutto in relazione alla questione inerente la localizzazione degli impianti “a rischio ambientale” (e per quel che qui interessa, in relazione ad impianti che impiegano rifiuti), conosce una propria evoluzione nella sindrome

“not in

anybody’s back yard”

, più comunemente chiamata di NIABY. Si tratta, in questo caso, di una estremizzazione dell’atteggiamento

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sociale che prescindendo, o meglio, andando al di là del problema connesso all’individuazione della aree idonee all’installazione degli impianti in parola, trasforma la posizione comune in una disapprovazione totale per l’opera in sé, indipendentemente da dove questa viene costruita.

Includere il rifiuto biodegradabile nella definizione di biomassa sembra, a mio avviso, una mossa poco avveduta da parte del legislatore, il quale, così facendo, non fa che convogliare il comune sentimento di opposizione dei cittadini verso qualsiasi tipo di tecnologia che presuppone l’impiego dei rifiuti (come per esempio la termovalorizzazione) anche nei riguardi di pratiche virtuose come quella insita nella produzione di energia da fonti rinnovabili.

Questo non significa che la biomassa a scopo energetico debba essere costituita esclusivamente da materie vergini. Al contrario, i principi che suggeriscono la pratica volta all’allungamento della vita delle risorse, come quelli complementari che ispirano la disciplina della cessazione della qualifica di rifiuto impongono, sempre a parere di chi scrive, di ripensare alla circostanza per cui esista ancora spazio per materie qualificate quali rifiuti organici nella categoria di quelle biomasse effettivamente destinate a produrre energia elettrica o termica.

A tal riguardo, ho cercato di elaborare una tesi funzionale alla semplificazione dei rapporti che intercorrono fra biomasse e rifiuti biodegradabili nell’ottica dell’applicazione di un criterio che tenga conto della destinazione d’uso del materiale impiegato negli impianti produttivi di energia pulita. Nella mia personale interpretazione della normativa vigente ho individuato l’opportunità di valorizzare il concetto di materia prima secondaria, includendo al suo interno anche quei rifiuti biodegradabili destinati

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alla trasformazione energetica, dei quali venga accertata la presenza dei requisiti ed il rispetto delle condizioni richieste dalla normativa in relazione alla qualificazione di una materia quale MPS. Con questo intendo dire che la prospettiva di riconversione energetica del rifiuto biodegradabile o organico costituisce, già di per sé, un’operazione di recupero della materia, così come individuata dalla norma che definisce le MPS, salvo il necessario accertamento concreto delle condizioni da rispettare nello specifico procedimento di trasformazione energetica e dei requisiti tecnici previsti dalla disciplina in riferimento alle materie o sostanze utilizzate306.

Considero che, dalla configurazione del sistema in questi termini non solo deriverebbe un vantaggio sociale, a fronte della constatazione precedentemente svolta in merito alla registrata opposizione della collettività nei confronti degli impianti alimentanti a rifiuti (anche biodegradabili), ma anche un vantaggio economico-organizzativo in quanto la gestione di un impianto che impiega rifiuti, rispetto ad uno che utilizza prodotti, sottoprodotti o MPS, risulta gravato sia da oneri burocratici supplementari che da costi monetari aggiuntivi e complementari.

Se la questione definitoria rappresenta la base dello studio inerente al fenomeno delle biomasse, dal quale non si può prescindere, esiste un altro dato rilevante connesso soprattutto all’approvvigionamento della risorsa in vista della sua trasformazione energetica. Il tema della disponibilità e reperibilità della biomassa costituisce, infatti, un nodo strategico la cui finalità principale è quella di consentire di prevedere con certezza le capacità produttive degli impianti stanziati sul territorio.

306

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Attualmente, in merito viene registrata la tendenza ad introdurre sistemi di filiera che permettono l’aggregazione, all’interno di un contesto predeterminato, dei vari passaggi che portano alla trasformazione della fonte-biomassa in energia rinnovabile. Il punto di partenza delle filiere è spesso rappresentato dalla coltura diretta della risorsa. Si tratta di colture alternative a quelle agroalimentari che impongono delle riflessioni circa la loro sostenibilità sia da un punto di vista funzionale che paesaggistico307.

A tal riguardo, i profili più controversi connessi alla realizzazione di coltivazioni energetiche risiedono nella circostanza che queste non solo sottraggono territorio alle colture tradizionali, aumentando al contempo la pressione sull’intero sistema agricolo, ma comportano anche una semplificazione del paesaggio. Dall’esame del fenomeno emerge, tuttavia, che le conseguenze negative sono facilmente evitabili mediante un’azione amministrativa, sia centrale che periferica, rivolta ad una rigorosa pianificazione del territorio. In particolare, l’impatto ambientale prodotto dalle colture dedicate può essere arginato tramite strumenti di previsione che impongano l’utilizzo di aree abbandonate e degradate o comunque non idonee a scopi agricoli tradizionali308.

Simili conclusioni sembrano confacenti anche all’argomento relativo alla localizzazione degli impianti a biomassa. La logica del bilanciamento degli interessi nel predisporre i criteri per l’individuazione delle aree non idonee all’installazione degli IAFR impone uno studio preliminare dell’intero assetto del territorio e la

307

V. Cap. II, par. 2.3.1 e sg.

308

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conseguente predeterminazione dei valori paesaggistici che si intende tutelare. Nonostante che su tale tema ci sia stata, in passato, un confusione derivata dall’incertezza sul sistema del riparto delle competenze in materia, mi sento di affermare che attualmente si sia raggiunto, grazie ad adeguati apporti normativi e giurisprudenziali, un discreto livello di programmazione improntato sul principio di leale collaborazione fra Stato, Regioni ed Enti locali309.

Passando ad alcune considerazioni sul procedimento amministrativo delineato per l’autorizzazione alla realizzazione di centrali a biomasse, va evidenziato sin da subito che il

leitmotiv

che ha accompagnato ed influenzato la disciplina giuridica degli ultimi dieci anni è rappresentato dal principio di semplificazione dell’iter autorizzativo.

L’esigenza di semplificare le procedure è da ricollegare soprattutto alla particolare complessità normativa ed organizzativa che contraddistingue la disciplina del settore energetico. La complessità normativa deriva dal fatto che sulla materia confluiscono discipline internazionali ed europee, disposizioni statali e regionali, ed infine una potestà regolamentare e pianificatoria attribuita o delegata in favore degli Enti locali. La complessità organizzativa è invece dovuta ad un notevole intreccio di competenze sia tra i diversi livelli di governo che tra le diverse autorità che, all’interno del medesimo Ente, hanno una qualche competenza in ambito di fissazione delle politiche energetiche310.

In un primo momento, l’introduzione dell’istituto dell’autorizzazione unica e la residuale possibilità di ricorrere a

309

V. Cap. III, par. 3.2.

310

195

D.I.A. sono servite ad imprimere un carattere di maggiore celerità e semplificazione del procedimento amministrativo, ma la mancanza di un tempestivo intervento attuativo del Governo in materia ha trasformato queste potenzialità della normativa in vere e proprie patologie di sistema. Soprattutto la Conferenza di Servizi, il meccanismo concepito per mettere a confronto tutti gli interessati, che sta alla base dell’istituto di semplificazione in parola, si è spesso rivelato causa di rallentamento e complicazione, data la presenza di notevoli incertezze in merito alla individuazione delle amministrazioni necessariamente invitate a partecipare alla riunione. Si può, dunque, affermare che il procedimento autorizzatorio per gli impianti di energia rinnovabile aveva finito con il diventare un vero labirinto, tanto per l’incertezza dei termini quanto in merito agli esiti delle procedure311.

Il sopravvenire della nuova disciplina di derivazione europea in materia ha rappresentato un passo in avanti verso la stabilizzazione del settore delle energie rinnovabili, a maggior ragione se considerata a confronto con il quadro precedente.

L’introduzione della P.A.S. al posto della D.I.A. ha contribuito ad allontanare dall’ambito delle energie rinnovabili la controversia giurisprudenziale e dottrinale originata dall’istituto della segnalazione certificata d’inizio attività (S.C.I.A.). Di segno positivo possono essere considerati anche i nuovi meccanismi di acquisizione degli atti di assenso necessari, sia con riguardo alla procedura abilitativa semplificata, che in seno alla Conferenza di Servizi.

Un’annotazione critica merita, invece, l’inquadramento dei rapporti che intercorrono fra procedimento unico e V.I.A. Pur

311

196

essendo stato dimezzato il termine per la conclusione del procedimento da 180 a 90 giorni, il legislatore ha previsto, contrariamente alla disciplina precedente, che qualora sia necessaria l’acquisizione di un valutazione ambientale, il termine di cui sopra si debba considerare al netto dei tempi previsti per la V.I.A. Poiché il T.U. ambientale prevede un termine di 150 giorni per il rilascio del provvedimento espresso di valutazione d’impatto ambientale, ne deriva che i tempi del procedimento unico si allungano ben oltre i 180 giorni contemplati originariamente (90 del procedimento unico + 150 della V.I.A.). A questi vanno, poi, aggiunti i termini relativi allo svolgimento dell’eventuale

screening

ambientale, i cui risultati vanno ottenuti anteriormente alla presentazione dell’istanza per la concessione dell’autorizzazione unica312.

Una riflessione conclusiva sui profili problematici che investono la vigente normativa in materia di procedimenti amministrativi riguarda le modalità di attuazione e specificazione dei principi individuate dal legislatore. Va infatti osservato come la complessità normativa, lungi dal diminuire, si fa sempre più fitta a causa dei continui rimandi ad una serie di atti regolamentari ed amministrativi destinati ad integrare la disciplina generale anche in modo differenziato sul territorio. Un’altra volta, la certezza del diritto sembra assurgere più al rango di concetto demagogico che non ad un principio giuridico concreto e generale313.

Per quanto riguarda le politiche di sostegno alle biomasse, personalmente non mi sento di esprimere un giudizio definitivo sui nuovi regimi di incentivazione previsti. Questo perché da una

312

V. Cap. III, par. 3.4.4.

313

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parte il sistema risulta essere troppo recente per offrire un quadro applicativo che ne evidenzi gli aspetti più rilevanti e dall’altra parte, essendo tali meccanismi incentivanti basati sulle fluttuazioni del mercato, diviene difficile, soprattutto oggi, prevederne i risultati in termini di benefici e svantaggi. Quello che si può affermare, a mio parere, è che almeno sulla carta si intravede una nuova sensibilità del legislatore, rivolta soprattutto alla promozione degli impianti a potenza ridotta o media che utilizzano biomassa di provenienza nota314.

Le filiere corte e locali rappresentano quelle realtà che hanno il maggiore potenziale in termini di equilibrio fra livello di sfruttamento della risorsa e produzione energetica, in Italia. L’impulso verso la diffusione di questi scenari pone il legislatore nella posizione di dover operare delle scelte precise di cui ancora oggi attendiamo la concretizzazione.

In una realtà economica come l’attuale, in cui ogni investimento presuppone spesso un rischio troppo alto, una seria e rigorosa spinta ed un contestuale sostegno da parte delle istituzioni pubbliche verso iniziative ambientalmente compatibili potrebbero rappresentare non solo un rilancio dell’economia reale ma anche un nuovo modo di dare attuazione ai principi di sostenibilità, in modo da coniugare efficacemente crescita economica, sviluppo sociale e tutela dell’ambiente.

314

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R

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