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Gli altri testimoni delle forze dell’ordine

Sono tantissimi gli esponenti delle forze dell’ordine chiamate a testimo-niare. Molti di loro parlano delle pratiche per il rilascio del porto d’armi. Il sostituto commissario Maria caione si occupa del settore licenze presso la Questura di reggio emilia. “ricordo che in quel periodo c’era una specie di braccio di ferro tra Questura e Prefettura in merito ai fascicoli di Paolini Alfonso e Muto Antonio. Per la pratica di Muto, in particolar modo, ci furo-no vari scambi tra Prefetto e Questore. Il Prefetto voleva che il Questore scrivesse parere contrario al rinnovo. ci furono scambi di note anche con la Questura di crotone, con i carabinieri di cutro e con la Squadra Mobile per raccogliere ulteriori elementi“.

Anche orietta Giacomini, funzionario amministrativo che in passato si è occupata dei rilasci del porto d’armi, parla in aula del fascicolo di Antonio Muto, mostrando il documento dove in un primo momento compare la scritta del dirigente “si rifiuti“, poi lo stesso documento torna con una nuo-va decretazione da parte del Questore con la scritta “si rinnovi“. “la dicitura

’si rifiuti’ - racconta la Giacomini - fu cancellata e sostituita con “sentito il Questore si rinnovi“, immotivandolo“. durante la sua deposizione, infine, il maresciallo calì fa più volte riferimento ad accertamenti effettuati dalla squadra mobile di reggio emilia.

Per questo motivo è chiamato a deporre anche l’attuale dirigente della Squadra Mobile di reggio emilia, Guglielmo Battisti. “oltre a esami docu-mentali, abbiamo cercato di comprendere le prassi dell’ufficio e la figura e le mansioni che domenico Mesiano ricopriva in Questura. Per quanto riguar-da, inoltre, il rinnovo della licenza del porto armi per difesa personale richie-sta da Alfonso Paolini, vediamo che la firma non è del dirigente PASI dell’e-poca (come invece dovrebbe essere), ma il rilascio della licenza viene firma-ta diretfirma-tamente dall’allora Questore Gallo. nel documento a firma del que-store Gallo si legge, in riferimento all’imputato Paolini ’Il medesimo risulta di buona condotta in genere. Si esprime parere favorevole al rinnovo della

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chiesta autorizzazione’. le stesse peculiarità le troviamo nel documento del-la richiesta del ridel-lascio di porto armi per difesa personale presentata dal fra-tello di Alfonso Paolini, Gaetano.

nel documento compare la scritta ’Gabinetto’ anziché divisione PASI, e presenta la firma del Questore Gallo, anziché del dirigente della divisione PASI, come prevede la prassi. Anche in questo documento, a firma dell’allora Questore Gallo, si legge, in riferimento al fratello di Alfonso Paolini ’gode in pubblico di normale stima’. Stesse modalità per il fascicolo di Pasquale Brescia“. durante la deposizione del dirigente della squadra mobile di reggio emilia, Guglielmo Battisti, sono mostrate in aula due foto. nella prima sono ritratti, durante un brindisi, gli imputati Giuseppe Iaquinta, Pasquale Brescia, Alfonso Paolini, domenico Mesiano insieme al Questore Alemma e domenico d’urzo. nell’altra foto sono ritratti domenico d’urzo, il Sovrintendente claudio Bellini, gli imputati Giuseppe Iaquinta, Pasquale Brescia, Alfonso Paolini, domenico Mesiano, insieme all’allora Questore Gallo.

Quest’ultimo, viene detto in aula, quando si trasferisce da reggio emilia a Parma organizza una cena presso il ristorante Antichi Sapori di Pasquale Brescia. ultima nota: in aula, come detto, viene mostrato il documento per il rilascio della licenza di porto d’armi di Alfonso Paolini. In relazione alla sua attività nel settore immobiliare si legge: “ha rapporti di lavoro con famiglie e società: Berlusconi, Moratti e con le principali cooperative di rilievo:

coopsette, unieco e orion“.

le archiviazioni

Sono dieci le archiviazioni disposte durante il processo Aemilia. la prima riguarda l’ispettore di Polizia Felice caiazzo, accusato dalla ddA di Bologna di favoreggiamento aggravato dal metodo mafioso. le altre figure uscite dall’inchiesta sono quella del Brigadiere dei carabinieri Vincenzo Inguì, ma anche Pierluigi lamanna, l’Ispettore Agatino catalano, ora in pensione e prima a capo della Scientifica di reggio emilia, ed infine l’Ispettore Francesco Strada, in servizio presso la Questura di crotone.

Scrive il giudice “va condiviso l’assunto del pubblico ministero secondo cui, pur essendo emersa una più che inopportuna contiguità fra costoro e diversi esponenti dell’associazione criminale e, per alcuni, la fruizione dei

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servizi o l’ottenimento di regalie, non sono state acquisite ulteriori evidenze tali da poter giustificare l’esistenza di un concreto apporto all’organizzazio-ne criminosa, ovvero di una specifica correlazioall’organizzazio-ne tra la loro condotta e la propria attività d’ufficio“.

le cene

“erano cene a base di pesce dove si parlava di calcio, donne e motori. e a cui partecipavano diverse persone con incarichi nella questura di Parma“. A parlare in aula, durante l’udienza del 27 luglio 2017, è un impresario edile che ha ricordato di aver partecipato, pagando, a numerose cene a cui aveva-no preso parte “il vicario della Questura di Parma, il capo della Mobile e un signore del Parma calcio“.

Pochi mesi dopo, a settembre, viene chiamato a testimoniare in aula l’at-tuale questore di crotone claudio Sanfilippo, ex vicario nel 2008 dell’allora questore di Parma Gennaro Gallo: “A reggio emilia io non conoscevo nessu-no, fu il questore Gennaro Gallo, il mio questore, che mi invitò alle cene al Portichetto presentandomi dei suoi conoscenti di reggio emilia come ’delle brave persone’. Io i commensali li conobbi quella sera stessa. non ho mai definito Alfonso Paolini e Pasquale Brescia delle ’brave persone’, lo fece il questore Gallo che mi invitò alla cena, a cui andai con la massima fiducia“.

I pentiti

Quanto raccontato dai collaboratori di giustizia fornisce sicuramente maggiori elementi per la comprensione dell’evoluzione del fenomeno crimi-nale mafioso sul territorio emiliano. Attraverso, soprattutto, le parole di Giglio e Valerio sono emersi numerosi elementi che andrebbero a rafforzare l’impianto accusatorio, che già ha retto bene ai primi due gradi di giudizio del rito abbreviato. Bisogna capire il perché, però. Se, come detto e provato, sul banco degli imputati non vi è una cosca, ma un sistema criminale che ha avuto per trent’anni il clan Grande Aracri come punto centrale, bisogna comprendere adesso cosa questi pentiti ci vogliano dire.

Già dalle prime udienze, in aula, gran parte degli imputati ha lanciato se-gnali, attraverso dichiarazioni e atteggiamenti, in relazione al fatto di voler vedere su quel banco degli imputati anche tutti coloro che di loro si sono

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viti per più di trent’anni generando non solo un circuito criminale fatto di inti-midazioni e usure, ma anche e soprattutto dando vita ad un’economia illegale attraverso il meccanismo delle frodi carosello, delle false fatturazioni e, soprat-tutto, attraverso appalti e subappalti truccati. o tutti o nessuno, pare.