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Un altro contenuto delle recenti riforme in materia di servizi pubblici locali che tocca l’organizzazione del servizio, è la previsione che questa avvenga per ambiti (territoriali o d’utenza) “ottimali”: nel presente paragrafo se ne ricercheranno le ragioni e individueranno le problematiche applicative.

L’analisi economica90 ha posto in evidenza i benefici derivanti dalle economie di scala. Queste si realizzano quando i costi per la produzione di un dato bene o la fornitura di un certo servizio decrescono all’aumento della quantità del bene o servizio prodotta o fornita, facendo crescere i rendimenti (rendimenti di scala): più unità si producono, più diminuisce il costo unitario. Esse si verificano tipicamente in quei settori produttivi che presentano alti costi fissi di produzione, cioè costi che rimangono significativi e costanti anche per una minima quantità di beni o servizi; oppure, quando il costo marginale di produzione è per altri fattori decrescente all’aumento della quantità prodotta.

Il legislatore si mostra sensibile a queste tematiche, dettando previsioni normative che prendono in considerazione le economie di scala: tra queste, l’art. 4, co. 11, lett. b, del d.l. n. 138 del 2011, che dispone che il bando di gara o la lettera di invito alle procedure competitive ad evidenza pubblica per il conferimento della gestione di servizi pubblici locali deve assicurare che la definizione dell’oggetto della gara garantisca il conseguimento di eventuali economie di scala e di gamma. Questo elemento ha incidenza anche sull’organizzazione amministrativa91. Se, infatti, “ogni organizzazione è disegnata in funzione di interessi umani ed è il

89 In giurisprudenza, in tal senso, già Cons. St., sez. V, 7 agosto 2002, n. 4152, in Foro amm. 2003,

246; Cons. Stato, sez. V, 12 ottobre 2004, n. 6574, in Cons. Stato, 2004, I, 2107; Cons. Stato, 10 ottobre 2005, n. 5467, in Foro amm. CDS, 2005, 10, 3003; Cons. Stato, sez. VI, 5 giugno 2006, n. 3352, in www.giustamm.it.

90 M. L

IEBERMAN, R.E. HALL, Principi di economia, Milano, 2006, p. 185 ss.; M. MORRONI, L’impresa competitiva. Conoscenza e sviluppo in condizioni di incertezza, Roma, 2010, p. 125 ss.

91 Cfr. G.N

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territorio che alimenta, individua, circoscrive questi interessi”, nell’attività di organizzazione si devono individuare gli strumenti più atti a soddisfarli, cosicché il territorio viene in considerazione come misura del bisogno amministrativo nella sua concretezza e attualità, e del modo migliore, ottimale, di soddisfarlo, in modo tale che si stabilisca la dimensione organizzativa tecnicamente più corretta per la prestazione e per il godimento dei servizi stessi (territorio-efficienza)92. E, per i servizi pubblici locali di rilevanza economica, in taluni casi questa dimensione non coincide, proprio per la presenza di fattori che realizzano economie di scala, con il territorio comunale.

Per questo si era avvertita93 la problematica del fatto che i servizi pubblici locali fossero stati modellati su uno schema insensibile alle dinamiche territoriali, in quanto legato rigidamente alla dimensione municipale. La dimensione territoriale del mercato appariva94 fondamentale sia per la stessa riuscita di una privatizzazione o liberalizzazione, poiché gli operatori privati si sarebbero candidati a diventare gestori del servizio solo se la dimensione del mercato fosse stata tale da essere remunerativa; sia, più in generale, per l’esigenza di razionalizzare la gestione dei servizi, evitando la dispersione e la frammentazione gestionali, e di favorirne l’erogazione secondo i criteri dell’efficienza, dell’efficacia e dell’economicità. In passato si era così auspicato95 un intervento del legislatore statale finalizzato a determinare in capo alle Regioni un potere di allocazione dei servizi tra i vari livelli istituzionali, prefigurato dall’art. 22, co. 1, della l. n. 142 del 1990, che richiamava, come enti deputati alla gestione dei servizi pubblici, i Comuni e le Province, con riferimento “all’ambito delle rispettive competenze”. Si prospettava, allora, un potere programmatorio regionale teso a realizzare il principio di adeguatezza nella gestione dei servizi pubblici, attraverso l’individuazione di bacini di utenza ottimali per quei servizi che per caratteristiche e tipologie richiedessero determinazioni non meramente locali.

92 M.N

IGRO,Gli enti pubblici con dimensione territoriale definita, cit., p. 541.

93 Come sottolinea G. P

ITRUZZELLA, Servizio pubblico locale e servizi pubblici locali nel territorio, in atti del convegno La riforma dei servizi pubblici locali. Un’occasione per l’impresa e per le istituzioni locali, Roma, 2007.

94 G. P

ITRUZZELLA,op. cit.

95

G. CAIA, Assunzione e gestione dei servizi pubblici locali di carattere industriale e commerciale: profili generali, cit., p. 22.

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A dare risposta a queste esigenze sono riconducibili, da un lato, le previsioni relative all’esercizio associato di servizi; dall’altro quelle relative all’ambito territoriale di gestione ed erogazione del servizio.

Tra le prime, l’art. 6, co. 1, della l. 3 agosto 1999, n. 265, poi riprodotto nell’art. 33 del d.lgs. n. 267 del 2000, aveva stabilito la predisposizione, da parte delle Regioni, in accordo con i Comuni, di un programma di individuazione degli ambiti per la gestione associata sovracomunale di funzioni e servizi, realizzato anche attraverso le Unioni, che poteva prevedere altresì la modifica di circoscrizioni comunali e i criteri per la corresponsione di contributi e incentivi alla progressiva unificazione. Inoltre, al fine di favorire il processo di riorganizzazione sovracomunale dei servizi, delle funzioni e delle strutture, le Regioni avrebbero dovuto provvedere a disciplinare, con proprie leggi, nell’ambito del programma territoriale, le forme di incentivazione dell’esercizio associato delle funzioni da parte dei Comuni, con l’eventuale previsione nel proprio bilancio di un apposito fondo. Vari interventi normativi recenti hanno, successivamente, incrementato tali forme di gestione associata: tra questi l’art. 14, co. 28-30, del d.l. 31 maggio 2010, n. 78, convertito da l. 30 luglio 2010, n. 122, come modificato dall’art. 16, co. 22, del d.l. n. 138 del 2011, n. 138, ha previsto che le funzioni fondamentali dei Comuni previste dall’art. 21, co. 3, della l. 5 maggio 2009, n. 4296, per i Comuni con popolazione superiore a 1.000 e fino a 5.000 abitanti, salvo alcune eccezioni, debbano essere obbligatoriamente esercitate in forma associata, attraverso convenzione o Unione. Inoltre, ha previsto che la Regione, nelle materie di competenza legislativa concorrente ed esclusiva, debba individuare con propria legge, previa concertazione con i Comuni interessati nell’ambito del Consiglio delle autonomie locali, la dimensione territoriale ottimale e omogenea per lo svolgimento in forma associata da parte dei Comuni, che raggiungano un limite demografico minimo (pari a 10.000 abitanti o al diverso limite stabilito dalla Regione), delle predette funzioni, con l’eccezione dei Comuni capoluogo di provincia e i Comuni con un numero di abitanti superiore a 100.000.

96 E cioè funzioni generali di amministrazione, di gestione e di controllo, funzioni di polizia locale,

funzioni di istruzione pubblica, ivi compresi i servizi per gli asili nido e quelli di assistenza scolastica e refezione, nonché l’edilizia scolastica, funzioni nel campo della viabilità e dei trasporti, funzioni riguardanti la gestione del territorio e dell’ambiente (fatta eccezione per il servizio di edilizia residenziale pubblica e locale e piani di edilizia, e per il servizio idrico integrato), funzioni del settore sociale.

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Tra le seconde, vi sono le disposizioni che, per il servizio idrico integrato, il servizio di smaltimento dei rifiuti, e il servizio di distribuzione del gas, hanno previsto l’organizzazione del servizio su ambiti territoriali.

Per i primi due servizi, “Ambiti territoriali ottimali” individuati dalla Regione, introdotti sin dal 1994 nel settore idrico, e dal 1998 nel comparto dei rifiuti, poi previsti negli artt. 147 e 200 del d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152. In corrispondenza di essi si erano istituiti soggetti con personalità giuridica, le Autorità d’ambito, con i compiti di organizzazione, affidamento e controllo del servizio, funzioni che, dopo la soppressione di tali Autorità operata dal d.l. 25 gennaio 2010, n. 2, convertito da l. 26 marzo 2010, n. 42, devono essere attribuite con legge regionale a diverso soggetto.

Per il servizio di distribuzione del gas naturale, l’art. 46-bis del d.l. 1 ottobre 2007, n. 159, convertito da l. 29 novembre 2007, n. 222, ha basato l’organizzazione del servizio su “ambiti territoriali minimi” per lo svolgimento delle gare di affidamento del servizio, individuati “secondo l’identificazione di bacini ottimali di utenza, in base a criteri di efficienza e riduzione dei costi” dal decreto del Ministero dello sviluppo economico 19 gennaio 2011.

In tutti questi casi si è determinato lo spostamento a livello sovracomunale della titolarità della funzione di organizzazione del servizio97.

Successivamente, il modello di organizzazione sovracomunale è stato generalizzato, in via facoltativa, a tutti i servizi, con l’art. 23 bis, co. 7, del d.l. 25 giugno 2008, n. 112, che aveva previsto la possibilità, lasciata alla scelta discrezionale degli enti locali, dell’individuazione di “bacini di gara” da parte di Regioni o enti locali, nell’ambito delle rispettive competenze, d’intesa con la Conferenza unificata, e nel rispetto delle normative settoriali: ciò, al fine di “consentire lo sfruttamento delle economie di scala e di scopo e favorire una maggiore efficienza ed efficacia nell’espletamento dei servizi, nonché l’integrazione di servizi a domanda debole nel quadro di servizi più redditizi, garantendo il raggiungimento della dimensione minima efficiente a livello di impianto per più soggetti gestori e la copertura degli obblighi di servizio universale”.

Dopo l’abrogazione referendaria di questo articolo, l’art. 3-bis, co. 1, del d.l. n. 138 del 2011, ha previsto che “a tutela della concorrenza e dell’ambiente”, le Regioni debbano organizzare lo svolgimento dei servizi pubblici locali a rete di rilevanza

97

Cfr. G. CAIA, Concorrenza e qualità nel servizio pubblico di distribuzione del gas: le gare per l’affidamento in ambiti territoriali minimi, in www.giustamm.it, 15 luglio 2008.

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economica in ambiti o bacini territoriali ottimali e omogenei tali da consentire economie di scala e di differenziazione idonee a massimizzare l’efficienza del servizio.

Inizialmente esteso a tutti i servizi, l’ambito applicativo della disposizione è stato limitato, in sede di conversione del decreto legge, a quelli a rete; categoria peraltro di non immediata individuazione, data la mancanza di definizione legislativa del concetto di rete98. Si possono ritenere tali quelli per la cui erogazione si utilizzi un’infrastruttura fisica fissa e distribuita sul territorio, quali il trasporto pubblico locale su rotaia, la distribuzione di acqua e di gas naturale; dubbia è invece la qualificabilità del servizio di gestione dei rifiuti urbani come servizio a rete99.

La dimensione degli ambiti o bacini territoriali ottimali di norma deve essere non inferiore almeno a quella del territorio provinciale. Si indica, quindi, la Provincia come ambito territoriale minimo; il che significa che la Regione può individuare l’ambito ottimale di gestione del servizio in una dimensione territorialmente superiore a quella provinciale, non corrispondente a quella di un ente di governo territoriale già costituito.

98 La nozione di rete nei servizi pubblici locali è stata introdotta dall’art. 35 della l. n. 448 del

2001, intervento normativo con il quale la proprietà delle reti è stata separata dalla gestione del servizio, ma non è stata definita.

La dottrina (M.DUGATO, Proprietà e gestione delle reti dei servizi pubblici locali, in Riv. trim. app., 2003, p. 519 ss.) ha individuato nelle reti le attrezzature diffuse e tra loro connesse su cui corre il prodotto dell’attività, come, nel servizio di distribuzione del gas, le tubazioni stradali, nel servizio idrico integrato, le tubature idriche e fognarie. Il Consiglio di Stato (sez. V, 23 gennaio 2008, n. 156, in Foro it., 2008, 11, III, 565) ha affermato che la nozione di rete contenuta nell’art. 113, co. 14, del d.lgs. n. 267 del 2000, che prevedeva la possibilità di autorizzare il soggetto proprietario alla gestione del servizio, corrisponda solo a “quelle infrastrutture fisse, complesse e non facilmente riproducibili (quali le linee ferroviarie, i gasdotti, le reti idriche, quelle telefoniche, ecc.) che attengono ai settori del trasporto, dell’energia e delle telecomunicazioni, e ha affermato che non sono tali le attrezzature mobili, ove del caso deperibili ed agevolmente duplicabili, come sono quelle che afferiscono allo svolgimento del servizio di igiene urbana, nei suoi specifici segmenti relativi alla raccolta ed al trasporto dei rifiuti”.

99Per questo è stato presentato alla Camera un ordine del giorno (9/5025/109, 22 marzo 2012,

seduta n. 609, in http://parlamento.openpolis.it) per impegnare il Governo a fornire un’interpretazione autentica dell’espressione “a rete”, chiarendo l’ambito applicativo dell’art. 3- bis, poiché non è chiaro se questo articolo “si applichi anche al servizio rifiuti, al servizio giardini, ai servizi cimiteriali e agli altri servizi pubblici locali diversi da quelli che utilizzano reti fisiche per la propria diffusione territoriale, come ad esempio i servizi idrici, l’energia elettrica o il gas”.

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In via di deroga alla dimensione minima provinciale, è disposto che le Regioni possano individuare specifici bacini territoriali di dimensione inferiore alla provinciale, “motivando100 la scelta in base a criteri di differenziazione territoriale e socio-economica e in base a principi di proporzionalità, adeguatezza ed efficienza rispetto alle caratteristiche del servizio, anche su proposta dei Comuni” (proposta presentata entro il 31 maggio 2012, previa lettera di adesione dei sindaci interessati o delibera di un organismo associato e già costituito in forza di convenzione).

La nuova disciplina fa salva l’organizzazione di servizi pubblici locali di settore in ambiti o bacini territoriali ottimali già prevista in attuazione di specifiche direttive europee (quale quella relativa al servizio di distribuzione del gas), quella prevista da discipline di settore vigenti (quali quelle relative al servizio idrico e di gestione dei rifiuti), e quella prevista da disposizioni regionali che abbiano già avviato la

100 Si introduce, così, nel caso in cui l’individuazione degli ambiti sia effettuata non con

provvedimento amministrativo ma con legge regionale, un obbligo di motivazione. La dottrina classica ha negato che la legge possa essere motivata, in quanto libera nei fini.

Tuttavia, posizioni più recenti sono di apertura, e così anche quella della Corte Costituzionale. Con riferimento alla censura dello statuto della regione Emilia Romagna relativa all’art. 17, che prevede la possibilità di una istruttoria pubblica per la formazione di atti normativi o amministrativi di carattere generale, i quali dovranno poi essere motivati con riferimento alle risultanze istruttorie, infatti, la Corte ha affermato che “quanto ai rilievi relativi al fatto che in tal caso “il provvedimento finale è motivato con riferimento alle risultanze istruttorie”, anche volendosi in questa sede prescindere dalla contestabile configurabilità della legge sul procedimento amministrativo come parametro di costituzionalità, basta considerare che l’art. 3, comma 2, della legge 7 agosto 1990, n. 241 (Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi), non impone, ma certo non vieta, la motivazione degli atti normativi; ed in ogni caso - come ben noto - la motivazione degli atti amministrativi generali, nonché di quelli legislativi è la regola nell’ordinamento comunitario: sembra pertanto evidente che la fonte statutaria di una Regione possa operare proprie scelte in questa direzione” (Corte Cost., 6 dicembre 2004, n. 379, in Giur. cost., 2004, 6, punto 5 dei considerato in diritto). In sostanza, dunque, la Corte ha ritenuto la richiesta motivazione della legge costituzionalmente conforme al sistema delle fonti, implicitamente riconoscendo che il principio del divieto di motivazione delle leggi non è presente nell’ordinamento positivo; il richiamo della Corte al diritto europeo, invece, è parso avere possibili implicazioni “sovversive”, essendo proprio di un sistema non democratico, in cui non è percepibile la differenza tra atto amministrativo e legge, e in cui, mancando anche il concetto di sovranità e rappresentanza, è assente il substrato logico-filosofico su cui poggia il divieto di motivazione delle leggi (S. BOCCALATTE, La motivazione della legge. Profili teorici e giurisprudenziali, Padova, 2008, p. 186 ss.).

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costituzione di ambiti o bacini territoriali di dimensione non inferiore a quella provinciale. Tra queste, rientra l’organizzazione territoriale del servizio idrico integrato e di gestione integrata dei rifiuti prevista in Emilia Romagna dalla l.r. 23 dicembre 2011, n. 23, che ha individuato come ambito territoriale ottimale l’intero territorio comunale.

In caso di inattuazione del disposto entro il termine del 30 giugno 2012, si prevede l’attivazione del potere sostitutivo del Consiglio dei Ministri, “a tutela dell’unità giuridica ed economica”, ai sensi dell’art. 120 della Costituzione, secondo le modalità previste dall’art. 8 della l. 5 giugno 2003, n. 131.

Dall’individuazione degli ambiti consegue che la competenza dello svolgimento dell’analisi di mercato e dell’adozione della delibera quadro viene attribuita all’ente di governo locale dell’ambito o del bacino, pare, ente di governo territoriale già costituito, cioè una Provincia o un Comune: in coerenza con la già avviata soppressione delle Autorità d’ambito e le esigenze di contenimento della spesa pubblica, e quindi di razionalizzazione degli enti, non si sono configurati nuovi enti intermedi tra ente affidante e gestore del servizio

E tale ente può ritenersi che provvederà anche all’affidamento e all’aggiudicazione del servizio; ulteriore competenza attribuita all’ente di governo locale dell’ambito o del bacino è quella prevista dall’art. 3-bis del d.l. n. 138 del 2011, di vigilanza sull’osservanza da parte delle società in house dei vincoli derivanti dal patto di stabilità interno.